Archivio mensile:Febbraio 2011

GW NASA (GISS) – Gennaio 2011

La Premessa da fare quando si guardano questi dati è ovviamente sull’affidabilità.

Su NIA abbiamo molto spesso parlato proprio della serie storica GISS, che di tutte non è certo la migliore come affidabilità e come trend presenta valori diversi anche dalla serie storica del NOAA.

Con una breve ricerca sul sito di NIA (meglio se quello vecchio su wordpress) troverete sicuramente tanti articoli dove parliamo dell’affidabilità di queste serie storiche.

Cosa offre allora la NASA in più degli altri? Offre la possibilità di generare mappe che mostrano le anomalie rilevate negli oceani e dalle stazioni terrestri di superficie potendo cambiare il periodo di riferimento di tali anomalie.

Affronteremo allora il problema GW guardando come base di riferimento il decennio appena passato (il 2001-10) che secondo tali rilevazioni è il più caldo dal 1850.

Così facendo abbiamo un confronto su periodi da noi vissuti recentemente, diminuiscono anche i problemi di rilevazioni con strumentazione inadeguata, eliminiamo il periodo precedente al 1990 (quando le stazioni di rilevamento erano più del doppio di adesso) così da avere sempre le stesse stazioni come base ed infine abbiamo la certezza che il dato calcolato come media è stato realmente rilevato dalla stazione e non derivato attraverso processi statistici.

Come leggere le Mappe:

La mappa riguardante le stazioni di rilevamento terrestri ha la particolarità che considera tali stazioni come influenti nel raggio di 250km da esse, cioè, l’anomalia registrata in una stazione viene considerata come riguardante una porzione di territorio che ha distanza dalla stazione fino a 250km, cioè circa 60’000kmq di area interessata (noterete infatti dei quadratini isolati in mezzo a zone senza dati, tali quadratini rappresentano una singola stazione di rilevamento)

Nella mappa saranno anche presenti zone senza dati, colorate di grigio.

Anomalia Terre Emerse

Anomalia Oceani

Anomalia Terre Emerse + Oceani

FABIO

Improvviso ed Acuto colpo di reni del Sole!

Quello che sta capitanto in questi giorni rappresenta di certo un forte segnale  di risveglio dell’attività solare, il più intenso finora del ciclo 24.

Improvvfisamente la nostra stella è stata tempestata da numerose regioni, ed una in particolare si è ingrandita a tal punto da aver generato persino una Solar Flare di classe X2!

Mi riferisco all’AR 1158,

ubicata nel sud emisfero…magari ci si aspettava di più che una simile regione, ormai divenuta di classe gamma-delta, apparisse con più probabilità nell’emisfero settentrionale, forte del fatto che quest’ultimo è sempre apparso finora più attrivo di quello meridionale, ma tant’è!

Prorpio in virtù di questa regione, il solar flux è schizzato a valori mai raggiunti prima (126), ed è ormai da alcuni giorni che la media mensile provvisoria sta salendo inesorabile al punto che possiamo dire fin da ora che il record storico di febbraio 2010 (82.70) verrà certamente sorpassato!

Quasi sicuramente, anche la media del SN mensile vedrà un nuovo record, anche se qui vi è meno certezza, e di fatto il mese corrente se la giocherà fino all’ultimo con settembre 2010 (25.2).

Ma cosa aspettarsi  d’ora in poi?

Di certo non possiamo far finta di niente…il sole ha dato una accelerata evidente, la prima vera accelerata importante da quando 2 anni fa aveva raggiunto il suo minimo. Di certo mi aspettoche d’ora in avanti ogni volta che apparirà una regione degna di nota, il flusso solare raggiungerà e supererà quota 100 in modo più semplice e naturale, cosa che fino a qualche giorno fa sembrava un’eresia… ma in realtà noi tutti già sapevamo che tutto questo sarebbe accaduto prima o poi!

Ma la cosa più importante ora, è vedere a più lunga scadenza come si comporterà il sole; perchè se da una parte l’impennata c’è stata, non sappiamo con precisione cosa potrebbe accadere in futuro, a partire proprio da quello più prossimo.

Il sole potrebbe essersi finalmente sbloccato, oppure continuare la sua fase di dormiveglia?

E se fosse vera la prima ipotesi, chi ci dice che non stiamo già andando incontro alla sua fase di massimo, come alcuni già da tempo affermano e non solo in questo blog? In verità, la latitudine delle macchie non sembrerebbe confermare tale scenario, anche se va ripetuto che potrebbe essere proprio a causa della minore velocità dei nastri trasportatori che le regioni solari non siano già scese come dovuto…

Insomma, nessuno può sapere con esattezza cosa ci aspetta…possiamo fare tante ipotesi, di certo come abbiamo più volte detto qui su NIA, il ciclo solare 24 appare ormai assodato essere un ciclo molto debole, paragonabile alla prima fase del minimo di Dalton, ed a questo punto della storia non possiamo spingerci oltre…non ho mai creduto alla possibilità di un Maunder like, ma non posso escludere che magari a partire dal prossimo ciclo qualcosa di più profono possa anche accadere, perchè su una cosa sono abbastanza convinto, che conteggi moderni permettendo, il ciclo 24 sarà solo l’inizio di una serie di cicli molto deboli…quanto deboli?

…lo scopriremo solo vivendo…

Stay tuned, Simon

IL SEGRETO DEGLI INVERNI EUROPEI

Introduzione

Spesso su NIA dibattiamo sulle future (possibili) vicende meteo a lungo e lunghissimo termine: confrontiamo carte di previsione alle varie quote atmosferiche, commentiamo indici teleconnettivi (i famosi AO, NAO, QBO, ecc.), citiamo precedenti storici per ipotizzare i possibili scenari futuri della stagione successiva, oppure del proseguimento di una stagione già iniziata. I risultati di tali sforzi di indagare nelle nebbie, ben al di là dei fatidici 5 o 7 giorni, sono di solito altalenanti, ma non di rado del tutto inutili. Il tempo sembra spesso farsi beffe dei nostri tentativi di interpretarne in anticipo il comportamento, ma soprattutto degli sforzi dei migliori centri meteo internazionali, dotati di mezzi potentissimi e modelli estremamente sofisticati.

Ciò significa che non si può fare più di quanto non si stia già facendo, nel mondo e, ben più umilmente, su NIA? No, forse si può ottenere qualcosa di più. Forse si può scrutare una stagione futura, nei suoi tratti essenziali, con qualche settimana e magari anche qualche mese di anticipo, delineandone le tendenze, con un grado di attendibilità che, vedremo, può essere sorprendente.

Allo stesso modo cerchiamo di comprendere le cause che hanno determinato e che determinano specifiche condizioni meteo sul vecchio continente, non riuscendo ad esprimere spiegazioni plausibili. Ad esempio attualmente ci stiamo chiedendo il perché di un inverno finora deludente in Europa, nel pieno di un lungo minimo solare, dopo un inverno (2009-2010) tanto prodigo di freddo e di neve per le stesse zone? In realtà, una logica c’è, ed in questo articolo cercheremo di illustrarla nel modo più chiaro possibile.

Sappiamo che gli indici teleconnettivi  si possono definire descrittivi (AO, NAO, PNA, ecc…) o predittivi (AMO, PDO, ENSO, ecc…). I primi vengono tratti dalle corse dei modelli, quindi subiscono dei bei ribaltoni, i secondi possono essere impiegati per delineare un quadro previsionale a lunghissimo termine. Ebbene tra tutti gli indici predittivi ce n’è uno che ricopre un ruolo fondamentale per le sorti degli inverni europei: la QBO, o meglio l’accoppiata QBO/ATTIVITA’ SOLARE.   

Ai fini della nostra ricerca abbiamo considerato gli inverni europei (i lettori ci perdoneranno, l’Italia è troppo piccola per costituire un campione di studio significativo), dal 1950 ad oggi. Scorrendo gli archivi delle mappe a 500 ed 850Hpa (sono disponibili, ad esempio, su www.wetterzentrale.de) abbiamo notato sorprendenti correlazioni tra alcuni indici e certe configurazioni bariche e le relative isoterme. In sintesi, dall’esame della QBO a 30mb,  dall’esame dell’andamento del solar flux (ovvero dalla condizione di vicinanza ad un minimo o ad un massimo solare) e del sunspot number, abbiamo tratto alcune importanti conclusioni.

Ad onor del vero, esiste già uno studio in merito, che abbiamo individuato solo in corso di lavorazione del presente articolo, condotto dallo Stratospheric Research Group del FU Berlin . Poco male, ci conferma che l’idea non è affatto campata in aria e comunque non intendevamo concorrere al Premio Nobel…….!

Di seguito riportiamo quanto abbiamo potuto riscontrare, poi trarremo qualche conclusione.

 

Andamento degli inverni oggetto di analisi

  • INVERNO 1952-1953: Gennaio rigido con ondata di gelo intorno a metà mese (il 13 la -10 a 850hpa abbraccia il centro Italia). Febbraio molto freddo con nuova ondata di gelo intorno al 9 con la -10 sul centro Italia e la -15 sul nord-est. Anche marzo prosegue il trend con incursione fredda a metà mese. INDICI: QBO negativa (intorno a -2/-3); attività solare bassa con N. SPOTS MEDIO NEI MESI INVERNALI=18.6 e SOLAR FLUX=76.

 

  • INVERNO 1953-1954: Sia gennaio che febbraio mediamente freddi sull’Europa. Ondata di gelo storica a fine gennaio che colpisce Italia Francia e Spagna (il 1° febbraio la -15 è sulla Spagna!!!). INDICI: QBO negativa (-5/-7); attività solare bassa con N. SPOTS MEDIO NEI MESI INVERNALI= 5.9 e SOLAR FLUX=61.4.

 

  • INVERNO 1957-1958: Dicembre parte subito gelido con discesa fredda che colpisce il centro-sud (addirittura con la -10). Gennaio e febbraio sono contraddistinti da tre ondate di freddo intenso sull’europa (la prima il 22 gennaio, la seconda il 18 febbraio e la terza più intensa il 27-28 febbraio. Anche marzo risulta gelido per l’europa centrale e italia settentrionale. INDICI: QBO positiva (+4/+7); attività solare elevatissima con N. SPOTS MEDIO NEI MESI INVERNALI=200 e SOLAR FLUX=245

 

  • INVERNO 1959-1960: Gennaio storico con ondata di gelo il 9 (che colpisce soprattutto l’europa occidentale) e l’altra il 14 con la – 10 su Roma. Anche febbraio propone 2 avvenzioni gelide con maggior coinvolgimento dell’europa centrale e orientale. INDICI: QBO positiva (+8/+4); attività solare molto elevata con N. SPOTS MEDIO NEI MESI INVERNALI=120 e SOLAR FLUX=170

 

  • INVERNO 1961-1962: Ondata di gelo intensa  sull’italia il 17 dicembre con la -10 che abbraccia quasi tutto il paese. Dicembre propone una nuova avvezione gelida sull’europa il 24 ma l’italia questa volta resta ai margini. Nuova incursione fredda il 31 gennaio con la -10 sul nord italia. Altre ondate fredde rilevanti a febbraio marzo (in particolare il 15 marzo la -10 è ancora sul centro italia). INDICI: QBO positiva (+8/+5); attività solare in calo ma ancora abbastanza elevata con  N. SPOTS MEDIO NEI MESI INVERNALI=44 e con SOLAR FLUX=95 (tenendo conto che siamo in uscita dal ciclo più forte del XX sec.)

 

  • INVERNO 1962-1963: Oltre al celebre gennaio 1963 è da segnalare l’ondata di gelo del Natale 1962. INDICI: QBO negativa (-15/-19); attività solare bassa con N. SPOTS MEDIO NEI MESI INVERNALI=21 e SOLAR FLUX=77.5

 

  • INVERNO 1964-1965: Gelido febbraio 1965 con svariate ondate di gelo che colpiscono l’europa. A Roma cadono 40 cm di neve!!! INDICI: QBO negativa (-2/-3); attività solare ai minimi con N. SPOTS MEDIO NEI MESI INVERNALI=11.8 e con SOLAR FLUX=74.5

 

  • INVERNO 1966-1967: Inverno mediamente freddo con i due mesi invernali per eccellenza gennaio-febbraio costantemente freddi su europa e italia. Due ondate di freddo notevoli: la prima intorno all’8 gennaio con la -10 su firenze, e l’altra il 10 febbraio molto duratura. Freddo sull’italia anche a fine marzo. INDICI: QBO positiva (+13/+10); attività solare elevata con N. SPOTS MEDIO NEI MESI INVERNALI=96.7 e con SOLAR FLUX=141.2

 

  • INVERNO 1970-1971: Inverno molto mite sull’europa fino a fine febbraio-marzo. Ad inizio marzo infatti si registra un ondata di gelo intensa sull’europa e sull’italia (nevica nuovamente in modo copioso a Roma con la -15 sul nord italia il giorno 7). INDICI: QBO che è negativa fino a metà febbraio. Da lì volta su valori positivi; attività solare abbastanza elevata con N. SPOTS MEDIO NEI MESI INVERNALI=78.6 e con SOLAR FLUX=138

 

  • INVERNO 1978-1979: Gennaio storico su parte d’europa ed italia: ad inizio gennaio la -15 è sul nord italia (il 3 la -10 abbraccia quasi tutta l’italia) . Ancora gelo il 17 con nuova discesa polare. INDICI: QBO positiva (+1/+4); attività solare ai massimi con N. SPOTS MEDIO NEI MESI INVERNALI=141.2 e con SOLAR FLUX=187

 

  • INVERNO 1980-1981: Gennaio gelido sull’italia con due avvenzioni fredde notevolissime: la prima è la più intensa con la -10 su tutto il centro italia il 9 gennaio, la seconda il 28. INDICI: QBO positiva  (+9/+7); attività solare ancora elevatissima con N. SPOTS MEDIO NEI MESI INVERNALI=141.3 e con SOLAR FLUX=197

 

  • INVERNO 1984-1985: Inverno forse più famoso del XX sec. per la possente ondata di gelo verificatasi la prima decade di gennaio. INDICI: QBO negativa (-8 a dicembre e -0.37 a gennaio. Da febbraio svolta su valori positivi); attività solare ai minimi con N. SPOTS MEDIO NEI MESI INVERNALI=17 e con SOLAR FLUX=72.5

 

  • INVERNO 1986-1987:  Celebre, il Gennaio 1987. In zone come Scandinavia, Paesi Baltici, Polonia è fra i mesi più freddi di tutti i tempi e all’ondata di gelo di inizio gennaio di quell’anno appartengono più della metà dei record assoluti di quelle zone; l’Italia fu solo sfiorata dal grosso del gelo, ma al Centro-Nord riuscì comunque a nevicare copiosamente a metà mese. Freddissimo anche Febbraio in Europa, prima che scoppiasse il mese di marzo più freddo del secolo in Italia e zone come i Balcani: l’ondata di gelo del marzo 1987 durò oltre 15 giorni e fu eccezionale in zone come la Puglia, per durata e picchi, un’ondata di gelo che sarebbe stata eccezionale anche se fosse capitata a gennaio. INDICI: QBO negativa (-10/-14); attività solare bassissima con N. SPOTS MEDIO NEI MESI INVERNALI= 8.5 e con SOLAR FLUX=71

 

  • INVERNO 1990-1991: E’ entrato nella storia il gelido febbraio 1991 per l’Europa ed italia (si registrano  punte di -15-18° in Pianura Padana). INDICI: QBO positiva (+10/+8); attività solare ai massimi con N. SPOTS MEDIO NEI MESI INVERNALI=144 e con SOLAR FLUX=221 (con picco proprio a febbraio)

 

  • INVERNO 1992-1993: Ondata di gelo epocale sull’italia a gennaio 93. Il 3 la -15 è sul nord italia e la -10 sul centro: INDICI: QBO positiva (+8/+11); attività solare ancora alta con N. SPOTS MEDIO NEI MESI INVERNALI=75.6 e con SOLAR FLUX=139

 

  • INVERNO 1996-1997: Si registra una delle ondate di gelo siberiano più forti del secolo (il 27 dicembre la -15 tocca il centro italia). INDICI: QBO negativa (-12/-16); attività solare ai minimi con N. SPOTS MEDIO NEI MESI INVERNALI=8.8 e con SOLAR FLUX=72.9

 

  • INVERNO 2001-2002: Dicembre 2001 (prima al Centro-Nord, il famoso blizzard di S. Lucia, poi al Sud) e Gennaio 2002, ultimo inverno in cui siano gelati per più giorni (ovvero settimane) gran parte della Laguna Veneta, alcuni tratti fluviali del Nord Italia e laghi come quello Trasimeno. INDICI: QBO positiva (+1.5/+9); attività solare molto elevata con N. SPOTS MEDIO NEI MESI INVERNALI=113 e con SOLAR FLUX=206

 

  • INVERNO 2005-2006: inverno 2005/2006, che ha limitato il suo gelo in Russia (a Mosca si è scesi sotto i -30° dopo quasi 20 anni, dal gennaio 1987), ma è stato freddo anche in Italia con medie invernali di molto inferiori a quelle delle annate precedenti e col freddo da fine novembre a metà marzo. Spicca una nevicata superiore ai 50-80 centimetri sul Nordovest e sul Veneto alla fine di gennaio. INDICI: QBO negativa (-25/-0.38); attività solare bassa con N. SPOTS MEDIO NEI MESI INVERNALI=18 e con SOLAR FLUX=78.

 

  • INVERNO 2009-2010: Gelido in tutta la sua durata su gran parte d’Europa e sul Nord Italia come non accadeva da anni. INDICI: QBO negativa (-15/-19); attività solare bassissima con N. SPOTS MEDIO NEI MESI INVERNALI=14.55 e con SOLAR FLUX=79.5

 

Tutti gli altri inverni non citati risultano essere stati miti, o perlomeno non contraddistinti da incursioni fredde rilevanti. Le eccezioni, poche ma degne di nota, sono riportate di seguito in un paragrafo specifico.

 

Le tre regole

A nostro avviso, è possibile enunciare almeno tre regole, valide nella grande maggioranza degli inverni, dal 1950 ad oggi, in cui abbiamo riscontrato forti ondate di freddo su buona parte dell’Europa:

  • in presenza di QBO positiva, specie se ampiamente positiva, si verificano ondate di freddo, di origine artica o continentale, solo se il ciclo solare è al suo massimo o prossimo ad esso (solar flux e sunspot number prossimi ai valori massimi del ciclo in corso);

 

  • viceversa, in presenza di QBO negativa, specie se ampiamente negativa, le ondate di freddo sono molto spesso associate a situazioni di minimo solare o prossime ad esso (solar flux e sunspot number prossimi ai valori minimi del ciclo in corso);

 

  • infine, se si verifica un’accoppiata QBO-ciclo solare diversa dalle prime due, osserviamo tipicamente un “non inverno”, caratterizzato da zonalità, alta pressione distesa in prevalenza sui paralleli, nessuna irruzione artica nè alcuna retrogressione fredda continentale di rilievo, ecc.

 

Ulteriori considerazioni

La storia degli inverni europei  sembra ora limpida e di facile lettura. Prendiamo ad esempio in considerazione la serie degli inverni che parte dal 1957-58, inverni collocati  in un periodo di elevatissima attività solare. Si può constatare che da qui parte la famosa secuenza di un inverno freddo ogni due: inverno 57-58 gelido, causa QBO+; inverno 58-59 mitissimo causa QBO-, inverno 59-60 di nuovo freddo causa QBO+; inverno 60-61 anonimo causa QBO-;inverno 61-62 di nuovo gelido causa QBO+. Di quì si interrompe la sequenza uno ogni due, risultando l’inverno 62-63 storico per il gelo. La causa? Inizia il minimo solare  e gli inverni buoni si presentano in concomitanza  con la QBO-. Non a caso l’inverno 63-64 fu mite causa QBO+; 64-65 di nuovo gelido causa QBO-;e così via…..

A tal proposito ci piace farvi notare come entrambi gli inverni 1988-1989, 1989-1990, famosi per la loro straordinaria mitezza sono stati caratterizzati da condizioni di elevatissima attività solare e QBO- (in quel frangente si è riscontrata una QBO rimasta in campo negativo per un periodo anomalo). Il disaccoppiamento tra attività solare e QBO è stato anche causa del mitissimo inverno 2006-2007.

Ci siamo chiesti quale possa essere la spiegazione fisica, almeno di massima, di tale regola. Riportiamo testualmente quella descritta nell’articolo citato nell’introduzione, ci è parsa abbastanza chiara:

“…….Tra queste, forse la più importante, è quella che correla la frequenza di MMW al segno della QBO e all’intensità del ciclo solare.

Prendendo come riferimento il segno della QBO a 30hpa in entrata alla stagione invernale e l’intensità del Solar Flux, si è scoperto che episodi di Stratwarming e, in particolare, di MMW, sono più frequenti durante gli anni dominati da QBO+ e massimo solare e da QBO– e minimo solare. Al contrario QBO+ e minimo solare, così come QBO– e massimo solare, tendono a favorire la modalità positiva del Northern Annular Mode.
Tale relazione ha conseguenze pure nei confronti della Brewer-Dobson Circulation (BDC), la circolazione che descrive le modalità di trasporto di ozono dai tropici verso le regioni polari. La maggior parte dell’ozono è infatti prodotto a latitudini tropicali, come effetto della fotolisi dell’ossigeno che viene sollevato fino ad entrare nella stratosfera. La continua produzione di ozono sospinge quello degli strati superiori della stratosfera tropicale a muoversi verso le alte latitudini, dove le molecole di ozono si accumulano, risultando quindi quantitativamente maggiori rispetto al volume di molecole presente ai tropici.

Il processo sopra descritto avviene in tempi molto lunghi alle latitudini tropicali, basti pensare che una particella di aria impiega 4-5 mesi per passare da un’altezza di 16km ad un’altezza di 20 km e venire coinvolta nei processi che porteranno alla trasformazione in ozono.

La BDC, oltre ad essere modulata dalla variazione di intensità dell’attività convettiva in sede tropicale (MJO), come conseguenza di un innalzamento o abbassamento della tropopausa, trae influenza dai diversi abbinamenti QBO/ciclo solare che si vengono a creare. Com’è facilmente intuibile, durante QBO+ e massimo solare o QBO– e minimo solare, si ha un rafforzamento della BDC, con conseguente maggior trasporto di ozono ai poli. L’opposto accade con le altre due combinazioni, quando si ha un indebolimento della BDC e di riflesso un minor trasporto di ozono verso le latitudini polari”.

La motivazione risulta dunque essere abbastanza chiara: l’ozono viene prodotto in presenza di irradiamento solare. Dunque la maggior quantità di ozono stratosferico si dovrebbe riscontrare lungo l’equatore poiché lì la radiazione solare è maggiore. Ma non è affatto così poiché l’ozono è un gas che viene trasportato dai forti venti stratosferici verso i poli per compensare il deficit termico indotto da un minore soleggiamento. Il risultato è che la maggior concentrazione dell’ozono stratosferico si riscontra sopra i poli anziché sopra l’equatore. Un’accoppiata favorevole QBO/ATTIVITA’ SOLARE comporta un indice BDC maggiore, dunque una circolazione dell’ozono più forte. In questo caso si possono avere concentrazioni di ozono maggiori sopra i poli, favorendo di conseguenza situazioni di Stratwarming.

A sua volta la stratosfera ha un ruolo fondamentale per le sorti degli inverni europei. Per avere ondate di gelo rilevanti sulla “mite” europea è di fondamentale importanza che la stratosfera prenda le redini dell’inverno, esattamente come accaduto nella scorsa stagione invernale. In altre parole con una stratosfera fredda difficilmente si riscontrano situazioni eclatanti sul “vecchio continente”.

 

Le eccezioni: il ruolo della Nina

A tal proposito si può osservare che i soli inverni che rappresentano un eccezione  rispetto all’ipotesi da noi formulata sono stati contraddistinti da condizioni di NINA STRONG. Infatti gli inverni 74-75 e 76-77 che sono stati caratterizzati da QBO- e bassa attività solare, avrebbero dovuto portare gran freddo in Europa, ed invece entrambi sono risultati incredibilmente “miti”. La spiegazione va ricercata appunto nella NINA che, non favorendo l’intensificazione della East Asian Low, fondamentale per lo sviluppo dei fenomeni di Stratwarming, riduce le probabilità che si verifichino grossi disturbi in sede polare . Lo stesso discorso vale per il recente inverno 2007-2008, anch’esso trascorso in condizioni di minimo solare e QBO negativa ma con NINA STRONG.

E’ però d’obbligo una nota specifica sull’inverno 1955-1956. Apparentemente rappresenta l’anomalia per eccellenza: fu contraddistinto da condizioni di elevata attività solare, QBO lievemente negativa (a febbraio) e NINA STRONG; eppure è ricordato come un’inverno “storico” per il freddo e la neve, sull’Italia e su buona parte dell’Europa. In realtà, il freddo e la neve sono concentrati unicamente nelle prime tre settimane di febbraio, mentre il resto dell’inverno, in particolare dicembre e gennaio, è trascorso in modo sostanzialmente anonimo.

 

Il ruolo dell’attuale bassa attività solare

Infine è d’obbligo una considerazione in rapporto al profondo minimo solare che stiamo vivendo in questi anni. Tutti gli anni da noi presi in considerazione per la nostra indagine (dal 1950 ad oggi) fanno riferimento ad un periodo complessivamente di elevata attività solare, vale a dire che un profondo minimo di notevole durata, come si sta manifestando quello attuale, rappresenta un fattore del tutto inedito. Riteniamo possa essere in grado di cambiare del tutto le carte in tavola. Vale a dire una vera e propria variabile aleatoria. Ora abbiamo visto come gli episodi più eclatanti in Europa si sono avuti in coincidenza di minimo solare e QBO negativa (1963 e 1985), dettati da potenti fenomeni di riscaldamento stratosferico in sede polare con conseguente rottura del vortice polare stratosferico, e di conseguenza anche di quello troposferico. Quello che ci aspettiamo da un grande minimo solare (se tale sarà quello attuale), soprattutto nel lungo termine, è un ulteriore indebolimento del VP ed una sua maggiore vulnerabilità e dunque una propensione a situazioni che innescano eventi eclatanti sui lidi europei. Inoltre, in condizioni di minimo permanente l’accoppiata migliore (QBO-/BASSA ATTIVITA SOLARE) si presenterebbe circa una volta ogni due anni, a differenza dei periodi caratterizzati da cicli solari fortissimi (come sono stati gli ultimi) in cui tale accoppiata, per ovvii motivi, si riscontrava una volta ogni 10-11 anni. In altre parole non sarebbe necessario attendere ogni volta 10 o addirittura 20 anni per registrare episodi epocali in Europa. Quest’ultima condizione corrisponde proprio a quanto accadde nei decenni scorsi, quando, a causa della NINA STRONG del 75, per assistere nuovamente a condizioni di gelo estremo dettato “dall’accoppiata migliore”, si è dovuto attendere dal 1963 al 1985, esattamente 22 anni, cioè ben 2 cicli solari completi!!

Infine, non è nemmeno da escludere che nel pieno di un minimo solare eclatante (tipo Maunder o Dalton) la QBO si mantenga negativa per più anni consecutivi, generando condizioni favorevoli al freddo in Europa ogni inverno o quasi.

 

FabioDue e Riccardo

Ciclo 24 a confronto con gli altri: minimo e primo anno e mezzo

Premessa 

Questo articolo costituisce il seguito di quello già pubblicato la scorsa estate (http://daltonsminima.altervista.org/?p=10943). A due anni (dicembre 2008) dal minimo solare compreso tra il ciclo 23 ed il 24 ed a 6 mesi dalle rilevazioni analizzate nell’articolo precedente, tento di fare il punto sulla progressione dell’attuale ciclo 24, per sottolinearne similitudini e peculiarità. 

Di seguito si confronta lo smoothed sunspot number (SSN, media mobile su più mesi del sunspot number) del ciclo 24 con quello di tutti cicli compresi tra il 1798 ed oggi, cioè dall’inizio del Minimo di Dalton fino ai giorni nostri. Il confronto viene effettuato per i primi 18 mesi del ciclo, quelli finora disponibili per il ciclo 24. 

Come già spiegato nell’articolo precedente, la scelta dello smoothed sunspot number, rispetto al sunspot number medio mensile, è dettata dalla necessità di evidenziare i trend di medio/lungo periodo, eliminando tutte le oscillazioni “nervose” di breve, grazie appunto all’effetto dell’operazione di media. 

Lo scopo dell’analisi è quello di esaminare la progressione del ciclo 24, due anni dopo il minimo, per evidenziare informazioni importanti circa le sue prospettive future. 

Si tratta di un po’ di più di un gioco con i numeri, ma senz’altro meno di un’analisi scientificamente completa e rigorosa. 

I grafici sono poi oggetto di analisi e, nell’ultimo paragrafo, si cerca di trarre qualche conclusione. I grafici presentano la medesima scala, per un più agevole confronto. 

I dati sul sunspot number sono tratti dall’archivio SIDC (www.sidc.be), ente ufficiale di misurazione dei sunspot number. 

 

I cicli

Come accennato, i cicli oggetto dell’esame sono i seguenti:

Non sono stati presi in considerazione i cicli da 1 a 4, sia perché non aggiungono granchè all’analisi (hanno tutti una progressione superiore a quella del ciclo 24) sia in quanto i dati, risalenti ad oltre 200 anni fa, sono per questo fortemente sottostimati.

 Il grafico seguente (fig. 1) rappresenta l’intensità dei massimi relativi al ciclo che segue il minimo.

Fig. 1  

Si può osservare come l’attuale previsione sul massimo del ciclo 24 (Fonte: NASA, David Hathaway), almeno negli ultimi 200 anni (e probabilmente anche negli ultimi 300) sia ormai superiore ai soli cicli 5 e 6, quelli del cosiddetto “Minimo di Dalton” (1798-1823). 

Inoltre, occorre tenere presente che: 

  • è opinione comune tra gli studiosi che il sunspot number risulti tanto più sottostimato quando più si procede a ritroso nel tempo, specie a partire dalla fine del XIX secolo; dunque è possibile che i massimi del Minimo di Dalton siano affetti da una imprecisione non trascurabile, tale da rendere la previsione del ciclo 24 ormai paragonabile ai valori registrati per i cicli 5 e 6;
  • lo stesso fisico solare David Hathaway, nel sito NASA dedicato ai cicli solari, precisa come le previsioni dell’andamento di un ciclo solare risultino abbastanza affidabili a partire da 3 anni dopo il minimo; pertanto, nel nostro caso, occorre attendere almeno la fine del 2011; è quindi ragionevole aspettarsi ancora qualche ritocco (al ribasso?) prima che la previsione si stabilizzi.

Di seguito, si cerca di analizzare il minimo appena trascorso ed il primo anno e mezzo dal minimo stesso, confrontandolo con i cicli compresi tra il 1798 (inizio del Minimo di Dalton, come accennato prima) ed oggi. Si procede a ritroso nel tempo, suddividendo i cicli in 

  • Grande Massimo (1933-2008),
  • Ciclo finale del Minimo di Damon ed i due cicli successivi (1902-1933),
  • Minimo di Damon (1855-1902) e due cicli precedenti (1833-1855),
  • Minimo di Dalton (1798-1823) e ciclo successivo (1823-1833).

Tale suddivisione, come si nota, non corrisponde del tutto a quella tradizionalmente individuata dalla ricerca sui cicli solari, per maggiore semplicità di analisi e migliore coerenza dell’andamento dei cicli esaminati, come si può evincere dai grafici seguenti. 

 

  

  

   

 

Analisi

 

Fig. 2

Esaminando il grafico precedente (fig.2), appare subito evidente come nessun ciclo, dal 17 in poi regga il confronto con il ciclo 24, almeno nel primo anno e mezzo di vita: tutti i sette cicli precedenti sono molto più intensi, sia in termini di approccio al minimo” (da 6 mesi prima), sia come valore minimo (dal doppio fino a 6-7 volte il SSN del dicembre 2008) che in “salita” (1 anno e mezzo dopo, quasi tutti i sunspot number superano ampiamento il valore di 30). Il solo ciclo 17 evidenzia una progressione analoga a quella del 24 pur restandone comunque al di sopra e pur distaccandosene maggiormente negli ultimi 4 mesi, segno forse di una progressione più rapida.

Inoltre, il grafico precedente (fig.1) relativo ai massimi mostra come questi siano ampiamente superiori alla previsione per il ciclo 24.

Si tratta, come noto, dei cicli compresi nel cosiddetto “Grande Massimo” dell’epoca moderna, cioè il periodo, grosso modo compreso tra gli anni ’30 ed i primi anni del XXI secolo, in cui i cicli sono risultati i più intensi da quando si calcola il sunspot number e, stando a recenti ricerche, i più intensi degli ultimi 8000 anni.

 

  

Fig. 3

Procedendo ancora a ritroso, (fig. 3), s’incontrano tre cicli, corrispondenti alla porzione finale del cosiddetto “Minimo di Damon” (1850-1913) ed ai due cicli immediatamente successivi. Essi furono caratterizzati da lunghi minimi (lo si nota dal fatto che il valore minimo del sunspot number si è mantenuto immutato per più di un mese) e da massimi non particolarmente intensi.

Confrontando i valori dei sunspot number, si nota come, nella fase di approccio al minimo ed in fase di minimo, i valori furono paragonabili a quelli della transizione 23-24. Poi, però, in fase di progressione “post minimo”, i nuovi cicli si discostano sempre di più dal 24. Dunque, in sintesi, la “discesa” è “morbida” almeno tanto quanto quella dell’ultima transizione di ciclo, ma la “ripartenza” avviene con più “brio”. Ciò risulta coerente con quanto riportato in fig.1, in cui si nota come i massimi raggiunti dai cicli 14, 15 e 16 siano superiori, anche se non di molto, al valore previsto per il ciclo 24.

 

 

Fig. 4

Scorrendo ancora più a ritroso la lista dei cicli (fig.4), s’incontrano quelli compresi tra l’8 ed il 13, corrispondenti al Minimo di Damon ed a due (8 e 9) cicli successivi al Minimo di Dalton.

Come si nota chiaramente dal grafico, la progressione “post minimo” risulta nettamente più “vivace” rispetto al ciclo 24 ed a partire da sunspot number minimi già superiori. Fa eccezione il ciclo 10, che progredisce e si distacca dal 24 più lentamente degli altri.

Occorre però ricordare che ormai ci si trova in pieno XIX secolo e, come accennato in precedenza, i valori di sunspot number sono probabilmente affetti da un’approssimazione per difetto non trascurabile, anche se difficile da stimare in modo puntuale.

Fig. 5

Il viaggio a ritroso attraverso i cicli solari si conclude con il ciclo immediatamente successivo (7) e con i due (5 e 6) corrispondenti al Minimo di Dalton (1798-1823). Essi sono caratterizzati da minimi lunghi e profondi e da una ripartenza molto lenta. Infatti, l’analisi del grafico evidenzia come la progressione verso il massimo appare, almeno fino a 18 mesi dopo il minimo, appaia nettamente più lenta rispetto a quella finora evidenziata dal ciclo 24 e caratterizzata pure da qualche temporaneo arretramento del sunspot number.

Ciò risulta coerente con quanto riportato nel grafico di Fig. 1, almeno per i due cicli del Minimo di Dalton (5 e 6), il cui massimo rilevato appare inferiore alla stima attuale relativa al ciclo 24.

Conclusioni

 In sintesi, si può osservare che, nei primi due anni dopo il minimo,

  • solo il ciclo 6 risulta essere sistematicamente più debole del ciclo 24, pur considerando una probabile rilevante sottostima dei dati di sunspot number risalenti a 200 anni fa ed oltre;
  • i cicli 5 e 7 risultano “a cavallo” del ciclo 24, e dunque possono essere considerati ad esso paragonabili, tenendo anche conto della suddetta sottostima;
  • anche cicli più recenti, come il 10 ed il 15, che inizialmente appaiono paragonabili al 24, poi se ne discostano progressivamente;
  • solo il ciclo 17 mostra una progressione nel complesso paragonabile a quella del ciclo 24, pur presentando costantemente valori di sunspot number superiori, compresi tra 2 e 6;
  • infine, sebbene ciò abbia ad oggi un valore ancora piuttosto relativo, come accennato nel commento alla Fig. 1, solo i due cicli del minimo di Dalton hanno uno “smoothed” sunspot number” (effettivo) massimo inferiore a quello (stimato) per il ciclo 24, ma ormai potrebbe essere considerato ad esso paragonabile, per la succitata sottostima.

In conclusione, questo ciclo, mese dopo mese, anno dopo anno, assomiglia sempre di più ad un ciclo estremamente debole, ormai paragonabile a quelli più deboli verificatisi negli ultimi 200 anni ed oltre. Tuttavia, in base a quanto affermato da Hathaway circa l’affidabilità delle previsioni, si ritiene che per una piena valutazione della natura di questo ciclo occorra attendere ancora un anno circa.

Dunque, come ci raccomanda la NASA “stay tuned for updates”, restiamo sintonizzati per i prossimi aggiornamenti, che potrebbero riservare ulteriori novità e porre nuove domande.

In un articolo successivo, procederò al confronto tra il sunspot number del SIDC e quello NIA, nonchè altri grafici interessanti di confronto tra sunspot number e solar flux.

Tra 6 mesi ci riaggiorniamo per eventuali conferme o correzioni di quanto finora emerso.

 A voi la parola, per osservazioni e, naturalmente, obiezioni e critiche!

 FabioDue

I cambiamenti climatici aiutarono la caduta dell´Impero Romano.

Questo non é un articolo per i professoroni universitari che dall´alto della loro sapienza, e onniscenza si pemettono di contestare tutti quegli articoli e studi che non sono in accordo con la loro FEDE nell´AGW. Ma un nuovo studio dice che tra i fattori preponderanti che portarono l´Impero Romano alla fine, vi fu un CAMBIAMENTO CLIMATICO… e sí giá da allora il clima era importante per la crescita e lo sviluppo di economie, imperi politici militari, religioni, e rapporti umani.

Ricercatori dell´Universitá di Harvard e di varie istituzioni europee hanno mostrato che nell´auge della espansione di Roma, il clima era CALDO E PIOVOSO.  Questo tipo di clima, rafforza l´agricultura e cosí aiuta ad alimentare grandi eserciti, oltre a permettere una economia pulsante e in forte sviluppo che evita le insoddisfazioni interne.

Questo successe intorno all´anno 100 d.C. quando il Mediterraneo diventó un “Lago Romano” il Mare Nostrum, e l´Impero arrivó a collocare i piedi fino al Nord dell´Inghilterra, dove nel 126 d.C. finí il Muro di Adriano, per mantenere i nemici lontani.

Ad una certa ora, peró, la prosperitá finí. A cominciare dalla metá del 3° secolo, cambiamenti climatici GLOBALI causarono l´inizio della fine e  che i territori di tutto l´Impero diventassero piú secchi e freddi.

Secondo il gruppo di ricercatori internazionali, che ha pubblicato le sue conclusioni sulla rivista “Science”, questo certamente colpí la produzione di alimenti e puó aver stimolato le cause tradizionalmente relazionate alla decadenza di Roma, come per esempio l´inflazione.

Certamente politiche monetarie sbagliate aiutarono a peggiorare lo scenario della crisi economica, ma non é per questo che si deve “seguire la credenza comune che le civilizzazioni sono isolate dai cambiamenti climatici” dice Jan Esper della Universitá Gutembreg (Germania).

Per sapere come era il clima tanto tempo fa, gli scienziati hanno analizzato 9.000 pezzi di legname antico. La maggior parte viene da resti di costruzioni e manufatti in legno in tutta Europa dove in grande parte si ebbe l´influenza dell´ombelico del mondo antico.

  Editoria de Arte/Folhapress/Editoria de Arte/Folhapress  

Ogni anno si crea un anello unico nel tronco degli alberi. Pazientemente, gli scienziati sono andati indietro nel tempo comparando pezzi di tronchi d´albero sempre piú antichi.

Guardando lo spessore degli anelli nei tronchi degli alberi é possibile sapere quanto piovve e se fece caldo o freddo in quel determinato anno.

I ricercatori distaccano che l´esistenza di cambiamenti climatici in un periodo pre Rivoluzione Industriale non significa che il riscaldamento globale contemporaneo sia naturale….. (Non bisogna pestare troppo i piedi a che detiene, per ora, i cordoni della borsa per le ricerche scientifiche).

“Quello che sta succedendo adesso non ha precedenti perché é molto piú rapido” dicono… tanto per dare un colpo al cerchio e uno alla botte.

L´idea che fattori ambientali, piú che politici, portarono le societá al collasso, ha guadagnato forza nel 2005 quando il biografo americano Jared Diamond ha lanciato il libro “Collasso”. In questo libro Diamond mostra come  lo sfruttamento eccessivo di legname o della pesca portarono le societá antiche alla crisi.

Non c´era molto materiale scientifico, nel 2005, su come l´ambiente abbia colpito Roma. Ma i  romani, almeno, non ebbero colpa per i cambiamenti climatici che colpirono il loro Impero.

Lo scioglimento dei ghiacciai hanno portato alla luce pezzi di legname antico che galleggiavano sui fiumi che poi ghiacciarono. Questo fenomeno succede perché le temperature di oggi non sono calde sufficientemente per permettere la crescita delle foreste che prosperavano rigogliose fino ad altezze dove oggi é solo una pietraia.

http://alpen.sac-cas.ch/html_d/archiv/2004/200406/ad_2004_06_12.pdf

A sinistra: le Alpi come sono oggi e a destra come erano in epoca romana.

Negli ultimi anni un estesa lista di ritrovamenti del periodo medioevale e del periodo dell´Impero romano appaiono dove i ghiacciai si stanno sciogliendo. Alcuni archeologi stanno sperimentando una avventura inusitata scoprendo questi antichi tesori.

http://news.bbc.co.uk/2/hi/science/nature/7580294.stm

Insomma abbiamo delle grandi evidenze di numerosi periodi climatici come l´attuale o anche piú caldi di oggi.

http://www.co2science.org/data/mwp/studies/l1_piancabella.php

Chi fu che ha riscaldato il clima durante la civilizzazione e l´espansione dell´Impero Romano? Chi fu che raffreddó il clima dopo il 3 secolo? Una cosa é certa non avevamo né Al Gore nè i vescovi e cardinali della chiesa dell´AGW sponsorizzata dall´IPCC.

Il clima piú caldo favorí l´espansione romana, e il freddo lo distrusse.

Il caldo é un bene per i popoli!!!!

SAND-RIO