Archivi giornalieri: 3 Novembre 2011

UN NUOVO MODELLO CLIMATICO ALLA BASE DELLA PEG: PARTE II

Un saluto a voi, popolo di NIA.
Come già anticipato nella precedente Parte I, nella presente Parte ci occuperemo principalmente delle onde di Rossby e della loro importanza nell’ambito della circolazione atmosferica invernale alle medie alte latitudini dell’emisfero boreale.
Prima di iniziare con la trattazione, volevo rinnovare a voi lettori la “raccomandazione” già fatta nel precedente appuntamento. Ogni singola Parte non va vista in maniera a se stante come fosse un pezzo autonomo, bensì come parte integrante ed inscindibile di un opera completa il cui unico scopo è quello di spiegare i meccanismi atmosferici che sono alla base del rapporto tra attività solare e clima terrestre e che portarono al periodo eccezionalmente freddo che coinvolse parte dell’emisfero boreale dalla fine del medio evo in poi: la cosiddetta Piccola Era Glaciale. Consiglio dunque a tutti i lettori che non avessero ancora avuto modo di leggere la parte precedente, di farlo prima di procedere con la presente Parte II.
Riprendiamo il discorso sulle onde di Rossby partendo da due assunti:

1) I fluidi viscosi freddi sono più densi di quelli caldi;

2) La fluidodinamica ci ha sperimentalmente mostrato che i fluidi viscosi in rotazione (in cilindri poco spessi e ampi) con indotto un gradiente termico periferia- centro di rotazione, tendono ad assumere moti ondulatori con spettri di frequenza e gradi di turbolenza dipendenti sia dal gradiente termico, sia dalla velocità angolare di rotazione.

L’aria è un fluido viscoso aggrappato alla Terra (che ruota) e nell’ambito della struttura atmosferica i gradienti termici sono una costante. Una delle zone con più spiccato gradiente termico è il cosiddetto fronte polare. Questo fronte è il confine tra la cella polare e la cella termicamente indotta di Ferrel. Al confine delle due celle si trovano pertanto masse d’aria con proprietà termiche e fisiche differenti. L’aria della cella polare è più fredda (dunque più densa) dell’aria della cella di Ferrel e per questo, per data quota, si sviluppa un gradiente di pressione. I gradienti di pressione danno vita al vento. Questo gradiente di pressione aumenta con la quota e raggiunge il massimo alla base della tropopausa, tuttavia a causa della forza di Coriolis il vento così determinato tende a scorrere parallelamente al fronte polare. Tanto è più forte il salto termico, tanto il vento diverrà vigoroso ( e sensibile ad azioni perturbative) in funzione del via via più marcato gradiente di pressione. Ecco la corrente a getto.
Come detto i fluidi viscosi al variare del gradiente termico tendono ad assumere un pattern ondulatorio. Se poi introduciamo elementi perturbatori come montagne e mari, allora si può intuire come queste oscillazioni possano essere più facilmente promosse e dunque influenzare in modo importante ampie zone della superficie terrestre. Infatti, la presenza di numerose ed imponenti catene montuose ed il continuo alternarsi di oceani e continenti (disomogeneità geografica) che caratterizzano il nostro emisfero nord, tendono a deviare le veloci correnti occidentali producendo ondulazioni trasversali nello jet stream.
Ove non sono meno presenti elementi perturbatori del getto, come ad esempio nell’emisfero meridionale, queste grandi onde risultano meno pregnanti nel caratterizzare in modo più sensibile su scale di tempo medio-breve soprattutto il clima delle latitudini intermedie.
Il numero delle onde di Rossby è tanto maggiore quanto è maggiore il divario termico tra le regioni tropicali-equatoriali e quelle polari. Infatti, come già spiegato:

1) fisicamente, fluidi viscosi a contatto tendono ad assumere un pattern ondulatorio la cui frequenza e cui gradi di turbolenza aumentano all’aumentare del gradiente termico;

2) all’aumentare del gradiente termico (e dunque di quello pressorio) aumenta la velocità delle correnti occidentali (jet stream), rendendo più efficace l’azione deviante e perturbante indotta dalle catene montuose e dall’alternanza oceani-continenti;

3) le onde di Rossby provvedono a gran parte dell’ingente trasferimento di calore che avviene tra le zone tropicali-equatoriali e quelle polari nell’ambito della cella di Ferrel. Detto trasferimento energetico sarà tanto maggiore quanto maggiore è il calore in surplus presente alle basse latitudini in raffronto a quelle polari (gradiente termico).

Riassumendo, le onde di Rossby sono marcate ondulazioni della corrente a getto polare (jet stream), connessa quest’ultima direttamente al Vortice Polare (VP). Sono pertanto le onde di Rossby che consentono all’aria polare di raggiungere le basse latitudini e agli anticicloni caldi tropicali di elevarsi sino alle zone polari. Questa dinamica provoca quindi un globale trasferimento di energia dalle basse alle alte latitudini.

In ultimo, come vedremo meglio più avanti, le onde di Rossby sono strettamente connesse ai fenomeni di Stratwarming (riscaldamento stratosferico), i quali risultano di fondamentale importanza per le sorti degli inverni boreali (soprattutto quelli europei). Ciò spiega inoltre perché il fenomeno dello Stratwarming riguarda principalmente l’emisfero nord (in quello sud è un evento molto più raro).
Le ondulazioni della corrente a getto (onde di Rossby) sono fondamentali per il clima boreale alle medie latitudini, essendo responsabili del maltempo nelle stagioni autunnali e primaverili, nonché delle discese fredde in inverno. Senza di esse il clima alle medie latitudini risulterebbe statico e monotono. Infatti, se la corrente a getto non deviasse mai, le regioni poste alle medie-alte latitudini sarebbero continuamente esposte al flusso perturbato occidentale associato al getto polare, mentre quelle situate alle medie-basse latitudini sarebbero soggette ad oltranza all’azione degli anticicloni tropicali oceanici disposti lungo i paralleli al di sotto dello jet stream (una situazione simile si verifica, come vedremo, in presenza di un vortice polare estremamente compatto). Tale concetto è visivamente riscontrabile dalle due immagini che seguono.


Consentitemi ora una digressione per spiegare alcune delle differenze principali tra il clima gelido che caratterizza gli stati della East Cost Statunitense e quello molto più mite tipico degli stati occidentali d’Europa. Tale fenomeno infatti, oltre ad essere ricollegato all’ “andamento” delle onde di Rossby, tornerà utile per proseguire il discorso inerente al gelo che investì il Vecchio Continente durante la PEG.

A tal proposito, voglio citare lo studio condotto dai professori Tapio Schneider e Yohai Kaspi del “California Institute of Technology”. Tra le altre cose, il presente studio ha messo in evidenza come la presenza della Corrente del Golfo, sia in grado di rendere il clima nelle regioni poste alle medio-basse latitudini sia della east coast statunitense sia dell’Europa occidentale maggiormente dinamico e perturbato. Infatti la Corrente del Golfo tende a cedere la maggior parte del calore trasportato al largo delle coste orientali statunitensi ed in generale nell’Atlantico centrale, riscaldando l’aria soprastante. Tali sacche di aria calda favoriscono l’ondulazione della corrente a getto, portando in alcuni casi allo sviluppo di estese onde di Rossby (con elevazioni dell’hp oceanico). Dette ondulazioni della corrente a getto producono tuttavia effetti ben diversi sulle due sponde dell’oceano. Infatti, se sugli stati orientali statunitensi il richiamo di venti nord occidentali indotti anche dalle più semplici ed ordinarie ondulazioni del getto polare producono severe ondate di gelo, sugli stati europei lo sviluppo di tali onde richiama nella maggior parte dei casi venti da nord ovest che in questo frangente risulteranno molto più miti. Anche questo fenomeno può essere meglio inteso se spiegato con l’ausilio delle immagini:

Da queste due immagini si può constatare come, anche la più blanda ed ordinaria oscillazione della corrente a getto, sia in grado di produrre un’ondata di gelo sugli stati orientali USA di dimensioni considerevoli se raffrontate a quelle che raramente investono l’Europa occidentale (con il punto rosso è indicata la posizione di New York, che ricordiamo essere situata alla stessa latitudine di Napoli). Ciò è dovuto al fatto che la costa orientale statunitense, trovandosi sopravvento all’intero continente, non riceve il contributo mite oceanico. Quest’ultimo viene ulteriormente limitato dalla presenza delle imponenti Montagne Rocciose che, sull’altra sponda del continente, bloccano e deviano le impetuose correnti zonali oceaniche (westerlies). Tali fattori fanno sì che i comuni venti di nord ovest, oltre ad essere di diretta estrazione polare, risultino anche “continentalizzati”. In poche parole, il canale di nord ovest (freccia rossa) è come autostrada senza ostacoli per le correnti gelide che attraversano distese di terra già di per se fredde nel periodo invernale.

Da queste altre due immagini si denota invece come in Europa, un’ondulazione anche più marcata del getto polare, non sia in grado di produrre alcuna ondata di freddo di rilievo. L’aria di estrazione polare per raggiungere il vecchio continente è costretta ad attraversare l’oceano, subendo un contrario processo di “marittimizzazione”. In poche parole, lo stesso tipo di circolazione avviene anche verso l’Europa, ma in questo frangente la massa gelida proveniente da nord-ovest si trova subito a contatto con l’oceano. In definitiva sull’Europa non arriverà mai il gelo con le correnti nord occidentali, freddo si, ma gelo no.
Ora, assodato che alle medie latitudini le oscillazioni climatiche a breve termine sono da ricondurre alla formazione delle onde di Rossby, il punto da chiarire è il seguente: in che modo tali onde, che ricordiamo essere la principale modalità di scambio termico avvenente tra polo e fascie equatoriali-tropicali nell’ambito della cella di Ferrel, possono portare il gelo in Europa?
La risposta a questo primo quesito è semplice ed intuitiva: l’Europa potrà essere interessata dal gelo solo nel caso in cui si sviluppino particolari onde di Rossby in grado di convogliare sul continente correnti provenienti da nord (asse della saccatura NS) o ancora meglio da nord/est (asse della saccatura NE-SO).
Per capire meglio sotto quali condizioni questo “raro” fenomeno riesce ad innescarsi introduciamo una grandezza molto importante nello studio delle onde di Rossby: la velocità di propagazione dell’onda.
La velocità V di propagazione delle onde di Rossby può essere stimata attraverso la seguente formula:

V = U – K•L2

(Nella formula, il 2 dopo la L indica un quadrato)

dove U è la componente media verso ovest delle correnti occidentali (flusso zonale), L è la lunghezza d’onda (distanza tra due creste o fra due ventri della sua forma d’onda ) e K è il parametro di Rossby. Per quest’ultimo vale la relazione:

K = (ω•cosf)•(1/2•p•R2)

(Nella formula il 2 dopo la R indica un quadrato; il simbolo p indica il p-greco = 3.14)

Dove ω è la velocità angolare della terra, f la latitudine a cui si muove la corrente ed R il raggio terrestre. Se si esprimono V ed U in m/s, L in 103 Km, sapendo che R = 6480 Km, ω = 7,5•10-5rad/s , allora alle medie latitudini (f= 45°) il parametro di Rossby K è pari circa a 0,4.
In questo modo, alle nostre latitudini, la prima relazione diviene:

V = U – 0,4•L2

Da quest’ultima si può facilmente constatare che, a parità di U, la velocità V di propagazione delle onde di Rossby decresce fortemente al crescere della loro lunghezza d’onda L. Detta in altri termini, le onde veloci sono più veloci di quelle lunghe.
Con l’ausilio di questa semplice formula possiamo definire quelle particolari onde di cui abbiamo accennato prima: le onde stazionarie e le onde retrograde.
Le onde stazionarie, come dice la parola stessa, si hanno se la velocità di propagazione V è nulla (V = 0). Invertendo la (3) si riconosce che un’onda è stazionaria se la lunghezza d’onda L assume il valore critico (lunghezza critica) dato da:

Lc = (2,5•U)½ (4)

Sapendo poi che U in media vale 10 m/s la lunghezza critica Lc è pari circa a 5000km.
Le onde stazionarie favorevoli a fenomeni di blocking oltre ad essere lunghe tendono ad approfondirsi molto in senso meridiano assumendo notevoli ampiezze. Nel caso di sviluppo di onde lunghe a grande ampiezza l’evoluzione meteorologica è più lenta se non quasi stazionaria, mentre in particolari condizioni essa può addirittura divenire “bloccata”, con notevoli scambi termici meridiani di lunga durata. Quando l’onda diviene stazionaria infatti, si ottiene come risposta un azione di blocco delle correnti occidentali da parte dell’anticiclone caldo isolatosi alle alte latitudini (fenomeno di blocking). In definitiva, tale tipologia rappresenta la classica figura di blocco meteorologico (es: blocco euroatlantico) responsabile di sostenute discese di aria fredda polare o artica ad est dell’asse di promontorio (che vanno spesso ad alimentare minimi già presenti) ed al contrario, di robuste risalite di aria calda subtropicale ad ovest dell’asse di promontorio.
Se poi V < 0, ovvero se L > Lc (come facilmente si desume dalle formule (3) e (4)), le onde si propagano in senso retrogrado, da est verso ovest, ovvero in senso contrario alle comuni correnti occidentali (westerlies). Si tratta pertanto di onde estremamente lunghe ed ampie, aventi asse non più verticale bensì inclinato lungo la direzione NE- SW. Lo sviluppo di tali onde comporta strutturazione di blocchi meteorologici a bicella a causa della rottura delle onde in cut-off sia anticiclonici che ciclonici. La struttura bicellulare per evoluzione di onda lunga a grande ampiezza con asse inclinato (SW-NE) è caratterizzata dalla presenza di una cellula di alta pressione più calda a N (cut-off anticiclonico con massimo di geopotenziale chiuso) e da una cellula di bassa pressione più fredda a S (cut-off ciclonico con minimo di geopotenziale chiuso); entrambe le figure sinottiche sono approssimativamente allineate sullo stesso asse meridiano. Dal momento in cui si struttura la bicella essa tende ad evolvere in una configurazione ad “omega” (cellula anticiclonica centrale con minimi di geopotenziale chiusi a SE e SW) ed in seguito ad invertire la circolazione al suo interno, originando nuovamente un blocco bicellulare. Infatti nella fase iniziale la strutturazione della bicella prende il via dalla migrazione verso alte latitudini di un massimo di geopotenziale (distacco per cut-off da un promontorio anticiclonico ad asse meridiano inclinato), cui in genere corrisponde la retrogradazione di un cut-off ciclonico (in distacco dalla saccatura posta ad E del promontorio per il superamento della lunghezza d’onda critica) che va a posizionarsi al di sotto (latitudinalmente) del massimo anticiclonico predetto; la prosecuzione della retrogradazione verso W favorisce l’entrata in fase del cut-off stesso con una saccatura che sovente si trova in Atlantico dietro al massimo anticiclonico (blocco ad omega). Successivamente il residuo cut-off retrogradato viene assorbito dinamicamente dalla saccatura atlantica che, specie se il massimo alle alte latitudini persiste, può a sua volta generare un nuovo cut-off ciclonico che, muovendosi verso levante al di sotto della cellula anticiclonica, induce una nuova struttura a bicella. Tale evoluzione è piuttosto frequente in caso di blocchi bicellulari euroatlantici. Al termine di tale forcing evolutivo la circolazione di blocco tende a dissolvere un flusso zonale moderatamente ondulato, con massimo anticiclonico alle alte latitudini in fase di collassamento ed una vasta fascia ciclonica che con continuità corre alle medie latitudini dall’Atlantico all’Europa orientale. Una evoluzione di questo tipo necessita per esplicarsi mediamente fra i 5 d i 10 giorni con periodo più frequente di 6-8 giorni. Tuttavia in particolari situazioni (fasi positive di Scandinavia pattern o negative di East Atlantic Jet-Stream pattern) si sono osservati fenomeni di blocchi bicellulari con durata eccedente i 30 giorni. Se si sviluppano situazioni di questo tipo nei mesi invernali, è possibile che sull’Europa occidentale vengono convogliate correnti provenienti direttamente dalle gelide terre del comparto euro-asiatico: si tratta della parte dinamica del famigerato orso siberiano.
Arrivati a questo punto resta da rispondere ad ultima cruciale domanda: quali condizioni si debbono verificare perché le onde planetarie assumano una simile configurazione con maggiore facilità e frequenza? È quì, cari lettori, che entra in gioco la bassa attività solare.

Riccardo