Risultati di laboratorio relativi alle osservazioni geofisiche
Il 5 aprile., 1741 0. P. Hiorter in Uppsala scoprì che le aurore sembravano agitare uno ago magnetico, e nel 1826 HC Orsted spiegò questa fenomenologia come una scarica elettrica lungo l’arco aurorale. Nel 1770 JC Wilcke notò che i raggi dell’aurora si estendevano verso l’alto lungo il campo magnetico. Così, nel periodo di Birkeland i geofisici erano ben consapevoli del legame intimo tra Aurora e perturbazioni del campo geomagnetico.
Nel periodo 1825-1850 H. Schwabe effettuò delle registrazioni sistematiche sulle macchie solari, e nel 1844 scoprì il ciclo solare delle macchie. Ben presto si rese conto che il verificarsi delle aurore era fortemente legato a questo ciclo, e nel 1851 E. Sabine mostrò che l’intensità dei disturbi geomagnetici variavano anche in concomitanza con il ciclo delle macchie solari. Durante la prima metà del XIX secolo venne realizzato un network globale di magnetometri distanziati, distribuiti in tutte le colonie britanniche, e studiati metodi per separare i contributi apportati al campo geomagnetico dalle correnti all’interno della terra, da quelli nell’atmosfera. Dopo aver affermato la sua ipotesi aurorale Birkeland si rese conto che uno studio più approfondito sulle responsabilità delle perturbazioni magnetiche poteva essere una chiave per la comprensione dell’interazione solare-terrestre.
Uno dei problemi principali al’epoca era però che gli osservatori magnetici si trovavano a basse o medie latitudini, mentre le perturbazioni più interessanti si svolgevano nelle regioni polari. Birkeland organizzò quindi una spedizione nel nord della Norvegia nel febbraio e marzo 1897, ma questa impresa si rivelò un completo fallimento, dal momento che non erano preparati per delle condizioni invernali molto difficili in queste regioni. Tuttavia, l’esperienza pratica ricavata in quella spedizione fu molto utile per la seconda spedizione del 1899-1900, che si rilevò un grande successo.
Figura 8: Birkeland e il suo assistente Olav Devik con la camera da 1000 litri e un terrella da cm 36 (1913)
Le sue osservazioni sulle due cime delle montagne, Halddetop e Talviktop durante l’inverno chiarirono che le precipitazioni aurorali dovevano essere collegate con forti correnti nell’alta atmosfera, e nella sua relazione della spedizione, B. concluse che le stesse particelle che producono l’aurora producono anche delle correnti elettriche che provocano le perturbazioni magnetiche. Questo può sembrare ovvio oggi, ma bisogna tenere a mente che questa affermazione si colloca a solo pochi anni dopo la scoperta dell’elettrone, e non è generalmente accettato che tutte le correnti elettriche sono trasportate da particelle subatomiche cariche elettricamente. Tuttavia il modello di perturbazioni magnetiche risultò essere estremamente complesso, e Birkeland ritenne di dover incrementare le osservazioni della rete globale di stazioni, nella regione polare. Questa fu la base per la sua terza spedizione del 1902-1903, dove eresse quattro ampi osservatori distanziati nella regione artica. In queste stazioni eseguì registrazioni magnetiche e aurorali, misure di correnti elettriche atmosferiche e della terra, e osservazioni meteorologiche.
Le registrazioni di queste stazioni vennero combinate con i dati da lui raccolti da osservatori magnetici distribuiti in tutto il mondo, questo lo rese in grado di creare delle mappe globali sulle perturbazioni magnetiche. Dalla meticolosa analisi di questi modelli, divise le perturbazioni geomagnetiche in tre categorie principali, le perturbazioni equatoriali, le tempeste polari elementari, e le tempeste ciclico mediane.
Le perturbazioni equatoriali corrispondono a ciò che ora noi chiamiamo le tempeste geomagnetiche, e sono causate da correnti perturbate verso est o verso ovest vicino al piano equatoriale. Birkeland eseguì esperimenti terrella che dimostrarono l’esistenza delle fasce di radiazione.
Nella figura sopra riportata, si osserva un anello luminoso, che Birkeland attribuì al movimento a spirale degli elettroni verso est in prossimità del piano equatoriale, che costituisce un anello di corrente. Tuttavia, le perturbazioni equatoriali vennero divise in due tipi, positive e negative, corrispondenti a correnti perturbate verso est e verso ovest rispettivamente, mentre l’anello di corrente è diretto verso ovest. Nella sua discussione di questo problema ha scritto:
“….Se, invece, abbiamo ipotizzato l’esistenza permanente di un anello, potremmo immaginare la perturbazione (positiva) essere spiegata da una diminuzione nella forza di questa corrente. Questa spiegazione è molto improbabile e inutile…”
Questo è ciò che si crede oggi essere la spiegazione corretta, ma Birkeland la abbandona in seguito a delle osservazioni che effettuò su una terrella dotata di uno schermo verticale. Una deriva verso est di elettroni intrappolati doveva dare illuminazione del lato ovest dello schermo, riferisce B., ma l’esperimento, mostrò il risultato opposto, come evidenziato in Fig. 9a.
Figura 9: (a) Esperimento sugli effetti della corrente sull’anello con schermo verticale. Si noti che il lato est dello schermo è illuminato, mentre una corrente di elettroni intrappolati farebbe illuminare il lato ovest (vedi la discussione nel testo). (b) Le illuminazioni sullo schermo lungo il campo magnetico sono state interpretate come dovute all’allineamento del campo.
Birkeland tentò di spiegare questo risultato con una particolare teoria delle traiettorie Starmer, ma queste particelle non rimasero intrappolate, e non potevano contribuire quindi in maniera permanente con gli anelli di corrente esistenti. La sua spiegazione alternativa fu molto vaga, e ammise che era ben lontano dalla soluzione definitiva. Questo è un classico esempio, in cui gli esperimenti Terrella lo hanno portato fuori strada, e ci sono certamente molti altri esempi. La cosa importante, però, è che egli individuò il problema, lasciando la soluzione finale per le indagini in seguito.
Simone Becuzzi
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