Archivi giornalieri: 19 Ottobre 2012

UN NUOVO MODELLO CLIMATICO ALLA BASE DELLA PEG: PARTE VI

Un saluto a voi, popolo di NIA.
Come già anticipato, nella presente Parte cercheremo di individuare assieme i fenomeni che portarono al raffreddamento climatico dell’emisfero boreale noto come Piccola Era Glaciale. In altre parole, sulla base di quanto finora imparato in merito alle più importanti dinamica atmosferiche a scala emisferica, tenteremo di rintracciare quel meccanismo avviato e promosso dalla bassa attività solare ed in grado di apportare nel lungo termine considerevoli modifiche all’atmosfera terrestre.
Tuttavia, prima di procedere con l’analisi consentitemi di mostrarvi una cosa molto interessante, che mi servirà per ricollegarmi direttamente a quanto detto nei precedenti appuntamenti.
Qui di seguito riporto le immagini relative all’andamento dell’indice NAM nelle tre passate stagioni invernali (compresa quella attuale):

Stagione 2009-2010:

Stagione 2010-2011:

Stagione 2011-2012:

Brevemente, Il NAM costituisce un pattern di variabilità climatica a scala emisferica, che descrive lungo il profilo verticale atmosferico (dalla troposfera alla stratosfera), l’andamento dell’intero Vortice Polare (VP). I colori “caldi” corrispondono ad un VP debole (valori negativi del NAM), mentre i colori “freddi” individuano un VP estremamente compatto, freddo e contraddistinto da elevate velocità zonali (valori positivi del NAM). Dalle immagini si vede chiaramente come, l’andamento del VP alle basse quote (Vortice Polare Troposferico) riflette perfettamente l’andamento del Vortice Polare Stratosferico (VPS).
Senza entrare troppo nel dettaglio, ricorderete come nella stagione invernale 2009-2010 si registrarono valori negativi dell’indice AO da record per via di UN VPT ridotto a brandelli per l’intera stagione. La conseguenza fu quella di avere un inverno estremamente dinamico, nevoso e freddo sull’Europa come non si vedeva da anni. L’indice NAM risultò fortemente negativo dall’inizio alla fine della stagione invernale.
Per chi si ricorda, l’inverno 2010-2011 ebbe una doppia faccia, nel senso che nella prima sua fase (fine novembre-metà gennaio), il gelo e la neve fecero da padroni in Europa (addirittura si parla di uno dei mesi di dicembre più freddi di sempre), mentre la seconda parte risultò estremamente statica e mite. Notate dalla carta come l’andamento dell’indice NAM rifletta questa situazione.
L’inverno attuale, neanche a dirlo, ha avuto un andamento simile ma opposto. Anche in quest’ultimo caso l’indice NAM riflette alla lettera detto andamento.
Tutto questo per ribadire ancora una volta un concetto fondamentale, che ancora non tutti hanno bene in mente:
anche se non tutti gli eventi di gelo in Europa sono correlate a forti eventi di Stratwarming, il Vortice Polare Stratosferico (VPS) gioca sempre un ruolo fondamentale. In altri termini, le vicende della stratosfera polare (temperature e velocità dei venti zonali), anche in assenza di fenomeni eclatanti, hanno sempre una valenza cruciale nelle dinamiche meteo invernali. Infatti, come è stato più volte ribadito, in presenza di elevate velocità zonali stratosferiche (VPS compatto), le onde di Rossby non si propagano e non riescono ad acquisire quelle grandi ampiezze e lunghezze tipiche delle onde stazionarie e retrograde. Pertanto né il freddo da nord, né il gelo da est arriveranno mai in presenza di un Vortice Polare Stratosferico compatto (colori blu nel grafico NAM). Infine anche la figura dell’anticiclone termico russo siberiano è strettamente correlata alla debolezza del Vortice Polare Stratosferico.
Nei precedenti appuntamenti abbiamo visto come l’attività solare gioca un ruolo chiave nell’ambito delle dinamiche stratosferiche polari, regolando la circolazione atmosferica nell’ambito delle regioni equatoriali. Infatti, l’attività solare è in grado di modulare l’intensità della circolazione meridiana stratosferica nota come Brewer Dobson Circulation (BDC) e di interferire nell’intensità e nelle caratteristiche dell’attività convettiva equatoriale. Questi due fattori sono quelli in grado di regolare le caratteristiche del VPS (temperature e velocità dei venti). Nello specifico abbiamo visto come la bassa attività solare sia responsabile di un anomalo rafforzamento della BDC, nonché di un rinvigorimento dell’attività convettiva equatoriale. Entrambi le circostanze favoriscono un VPS (VP in generale) fortemente disaggregato con frequenti episodi gelidi per l’Europa (medie latitudini in generale).
Infine abbiamo osservato come, questo legame non sia del tutto lineare, in quanto influenzato dall’andamento della QBO e del ciclo ENSO. A quest’ultimo proposito rimando alla lettura delle ultime due Parti:

Parte IV:

http://daltonsminima.altervista.org/?p=17306

Parte V:

http://daltonsminima.altervista.org/?p=18000

Procediamo ora con il discorso.
Iniziamo ad osservare come la stratosfera polare artica abbia subito per tutto il XX Sec. un progressivo ed inesorabile raffreddamento. Le cause di questo andamento sono da rintracciare essenzialmente in due fenomeni che sono risultati concomitanti nel suddetto secolo:

1) forte incremento dell’attività solare;
2) immissioni di sostanze inquinanti antropogeniche quali i clorofluorocarburi (CFC).

Infatti come è stato spiegato nella precedente Parte III, l’aumento dell’attività solare è responsabile nel lungo termine di una diminuzione dell’intensità media della Brewer Dobson Circulation (BDC), con conseguente isolamento e raffreddamento medio del Vortice Polare Stratosferico (VPS). Come si è visto inoltre tale circostanza comporta una perdita media di ozono nello stesso VPS. A sua volta l’immissione in atmosfera dei CFC ha aumentato notevolmente la velocità del processo di raffreddamento della stratosfera polare.
I clorofluorocarburi (CFC) sono composti organici semplici in cui tutti gli atomi di idrogeno sono stati sostituiti dagli alogeni cloro e fluoro. La radiazione ultravioletta altamente energetica proveniente dal sole è assorbita dall’ozono stratosferico e, di conseguenza, non penetra nella troposfera. Questo significa che la luce ultravioletta che raggiunge la superficie terrestre, è troppo debole per distruggere i CFC ivi presenti. Tuttavia, siccome i CFC hanno un’emivita atmosferica così lunga, delle quantità significative riescono a raggiungere la stratosfera dove la radiazione ultravioletta è abbastanza forte da scinderli nei radicali cloro e fluoro che sono molto reattivi. Questi radicali sono in grado di distruggere l’ozono. Questo processo, tuttavia, non porta necessariamente ad una forte deplezione dell’ozono perché i radicali cloro (i principali responsabili per la rimozione dell’ozono) subiscono anche altre reazioni che dipendono dalle condizione meteorologiche. Sebbene infatti l’ozono stratosferico sia rimosso dalla reazione con radicali cloro e fluoro a tutte le latitudini, il buco dell’ozono si forma solo ai poli. La spiegazione del perché di questo fenomeno è molto semplice. La decomposizione dei CFC crea radicali di monossido di cloro (CIO). Questi possono reagire con il biossido di azoto (NO2) per formare nitrato di cloro (CIONO2) o con il monossido di azoto (NO) e con il metano (CH4) per formare l’acido cloridrico (HCI) e acido nitrico (HNO3). Sia HCI che CIONO2 non reagiscono con l’ozono ma sono composti piuttosto stabili e rimuovono il cloro dai cicli di distruzione dell’ozono. Tuttavia, se le temperature nella stratosfera polare artica raggiungono temperature molto basse (VPS molto isolato), l’acido nitrico e l’acqua formano le nuvole di ghiaccio stratosferico. Sulla superficie del ghiaccio, l’acido cloridrico e CIONO2 reagiscono tra di loro per dare l’acido nitrico e cloro molecolare (CI2). Il cloro molecolare (CI2) è una molecola stabile che non reagisce con l’ozono. Tuttavia, è facilmente distrutta dalla radiazione ultravioletta (in arrivo nella fase finale dell’inverno boreale) proveniente dal sole per formare due radicali cloro che possono in seguito attaccare e distruggere l’ozono. Durante l’inverno, nella stratosfera polare possono essere prodotti livelli elevati di cloro molecolare (Cl2). Solo nella fase finale dell’inverno, il sole riappare e la radiazione solare ultravioletta aumenta. Questa radiazione ultravioletta scinde il Cl2 in radicali cloro, che distruggono poi l’ozono con conseguente formazione del buco nell’ozono.
Da ciò si capisce come le sostanze derivanti dall’azione inquinante umana (CFC), diventano efficace nell’azione di depauperamento di ozono stratosferico, solo in presenza di particolari condizioni atmosferiche. In particolar modo i CFC entrano in azione solo in presenza di un VPS estremamente isolato e freddo. Quest’ultima circostanza, come abbiamo visto, è favorita nel lungo periodo da una continua ed intensa attività solare. Entrambi i fenomeni “vanno dunque a braccetto”, nel senso che, anche se completamente indipendenti dal punto di vista delle cause, risultano complementari nel produrre ed accentuare lo stesso effetto. Inoltre, alla riduzione di ozono apportata dalle sostanze inquinanti va aggiunta quella “naturale” associata all’indebolimento della stessa BDC. Infatti ricordiamo che una delle principali funzioni della BDC è quella di trasportare, durante l’inverno, l’ozono stratosferico dalle zone in qui viene prodotto (equatore) ai poli. Infine, la riduzione di ozono stratosferico contribuisce ulteriormente al raffreddamento della stratosfera polare. Infatti, all’arrivo della radiazione solare sul polo nell’ultima parte dell’inverno, l’ozono presente assorbe la maggior parte della radiazione solare ultravioletta e la restituisce sotto forma di calore. Ciò favorisce intensi fenomeni di stratwarming e porta ad un Final Warming stratosferico “anticipato”(l’aggettivo “anticipato” qualifica l’evento in relazione all’andamento del fenomeno nell’epoca moderna, pertanto sarebbe stato più giusto utilizzare l’accezione “normale”) . La riduzione dell’ozono stratosferico polare tende dunque ad inibire il regolare riscaldamento della stratosfera a fine inverno ed a ritardare di molto il Final Warming. Quest’ultimo fattore, come è stato ampiamente dimostrato, comporta poi delle ripercussioni negative (in ambito meteorologico) nella seguente primavera e prima parte d’estate alle medie latitudini.
Pertanto siamo al cospetto di un fenomeno estremamente efficace, in quanto la riduzione di ozono stratosferico è causato dal raffreddamento della stratosfera polare ma a sua volta contribuisce a raffreddare la stessa.
Il meccanismo sin qui spiegato dimostra, infine, perché la problematica del “buco dell’ozono” riguarda più da vicino il polo sud. Infatti, la particolare configurazione geografica ed orografica che contraddistingue l’emisfero meridionale, rende molto difficile la formazione di onde di Rosbby particolarmente lunghe ed ampie (e dunque energetiche) in grado di penetrare nella stratosfera. Ciò rende quasi impossibile il verificarsi di fenomeni di stratwarming, rendendo praticamente inefficiente l’azione della BDC. Infatti, anche se la BDC portasse ad un innalzamento della temperatura al di sopra dell’equilibrio radiativo del VPS antartico (rallentandolo), l’impossibilità del verificarsi anche dei più blandi fenomeni di stratwarming, porterebbe la stratosfera stessa a raggiungere nuovamente l’equilibrio radiativo locale (-80 °C circa). Ciò porta ogni anno alla formazione di un VPS estremamente compatto e freddo sull’antartico, facilitando di molto il lavoro di distruzione di ozono ad opera dei CFC.
Per riassumere, questo complesso fenomeno, associato all’elevata attività solare e velocizzato dalle emissioni di sostanze inquinanti di origine antropica, ha portato nel secolo scorso (soprattutto seconda metà) ad un progressivo raffreddamento della stratosfera polare artica. Di seguito vi riporto un bellissimo grafico in cui è rappresentato tale fenomeno, con riferimento al ventennio che intercorre tra gli anni 80’ ed il 2000.

Dal grafico si evince come il processo sia stato regolare e senza alcuna interruzione. Inoltre notate come la linea blu (quantità di ozono nella stratosfera polare antartica) segua da molto vicino la linea rossa (temperature nel VPS), anche nelle oscillazioni inerenti al brevissimo termine. Questo dimostra come i due fenomeni sono strettamente correlati da un legame di causa effetto “multiplo” (nel senso che il singolo fenomeno è sia causa dell’altro, sia conseguenza).
Tale situazione ha portato nel corso dei vari decenni ad avere un VPS sempre più compatto ed isolato, con conseguente contrazione e compattazione dell’intera struttura del VP (anche a quote troposferiche). A tal proposito vi riporto di seguito un grafico in cui è tracciato l’andamento medio dell’indice AO invernale nel corso degli ultimi 60 anni (penso che tutti voi sappiate che l’indice AO misura il grado di compattezza del Vortice Polare e che valori bassi indicano un VP vulnerabile e dunque in grado di scendere a latitudini più basse).

In questo caso la linea blu rappresenta l’oscillazione annua del valore medio dell’AO invernale, mentre le linee rosse rappresentano le medie nel singolo decennio dei valori dell’AO stesso. Come si può facilmente osservare, il processo di raffreddamento/isolamento del VPS è coinciso con un graduale aumento della compattezza/contrazione del VP (aumento AO). Il record massimo dell’AO è stato raggiunto negli anni 90, con un valore medio pari a 0.41. Proprio negli anni 90 è stato toccato il record di bassa temperatura nella stratosfera polare artica.
Infatti nell’ultimo decennio (soprattutto ultimi 5 anni) il fenomeno di raffreddamento della stratosfera polare si è assestato, mostrando anzi un andamento di controtendenza. Alla luce di quanto ci siamo sin qui detti, mi sembra retorico sottolineare che la causa di tale circostanza si debba ricercare nel brusco calo dell’attività solare (Minimo di Eddy). Anche l’andamento dell’indice AO ha mostrato una controtendenza ed il valore medio del decennio si è assestato intorno a -0.34.

Esaminato nel dettaglio l’epoca moderna, andiamo ancora indietro nel tempo e cerchiamo di ricostruire assieme cosa accadeva durante la Piccola Era Glaciale (PEG).
Iniziamo ovviamente con il dire che il periodo antecedente al 1900 (dalla fine dell’epoca Medievale in poi) fù contraddistinto da uno stato generale di bassa attività solare. Ovviamente la stessa attività solare, in tutti quei secoli, ha avuto un andamento altalenante, ma mediamente ed a livello di trend si può asserire con certezza che essa sia stata molto bassa per tutti quei secoli. Al contrario, nel periodo ancora precedente (Medioevo) l’attività solare si adagiava su livelli molto elevati. Non sto qui ad elencare le conseguenze che si ebbero a livello climatico, in particolare nell’emisfero boreale alle medie latitudini, perché ritengo le conosciate tutti. Quello che mi interessa invece è cercare di individuare quel meccanismo che si è innescato con il mutamento dell’attività della nostra stella e che si è poi evoluto nel tempo, arrivando a toccare il culmine tra la seconda metà del 1700 e la prima metà del 1800 e che ha portato molte zone dell’emisfero settentrionale (Europa in primis) a vivere condizioni di freddo anomalo.
Abbiamo sin qui visto le modalità con cui l’attività solare riesce a modulare l’intensità dei vortici atmosferici polari, con particolare riferimento al Vortice Polare Stratosferico (e dunque all’intero Vortice Polare).
Nel caso specifico, nel corso dei secoli medievali (IX-XIII sec.), l’incessante alta attività solare è stata certamente causa di un processo di raffreddamento medio del VPS con conseguente rafforzamento/restringimento dell’intero VP. In un simile contesto gli scambi meridiani tra polo e medie latitudini erano fortemente inibiti e l’Europa occidentale si trovava spesso protetta, anche in pieno inverno, dall’anticiclone oceanico, la cui distensione lungo i paralleli era certamente favorita da una forte ed ininterrotta circolazione westerly. Se una simile situazione (figlia dell’alta attività solare) si protrae nel corso dei secoli, il risultato è certamente quello di avere un estremizzazione dell’andamento climatico pocanzi descritto ed una conseguente riduzione delle precipitazioni alle medie latitudini. La riduzione delle precipitazioni nevose, connessa al progressivo rafforzamento/contrazione del VP e dunque alla riduzione delle oscillazioni della corrente a getto polare, ha poi favorito un lento ma progressivo ritiro della copertura nevosa primaverile e dei ghiacci dalle medio-alte latitudini. Quest’ultimo fattore è poi connesso alla riduzione dell’effetto albedo, con conseguente aumento delle temperature in tutto l’emisfero nord (principalmente medie latitudini).

Alla fine di tale periodo, il repentino stravolgimento del regime dell’attività solare, ha cominciato ad apportare netti cambiamenti nella consistenza dei Vortici Polari, portando così ad un radicale mutamento dell’intera circolazione atmosferica alle medie latitudini. Il progressivo aumento delle temperature stratosferiche polari è coinciso con un incremento della debolezza dell’intero Vortice Polare. È chiaro che in caso di bassa attività solare duratura per svariati secoli, le conseguenze risultano tangibili su buona parte dell’emisfero boreale e possono divenire anche pesanti. Un simile processo culmina infatti con il decentramento totale del VP ed un espansione dei lobi gelidi ad esso connesso anche a basse latitudini. Nel caso specifico (PEG), l’espansione dello vortice polare ha causato nel tempo un incremento delle precipitazioni (in particolare nevose) alle medie latitudini, aumentando così la copertura nevosa dell’intero emisfero nord. L’incremento dell’effetto albedo derivante da simili circostanze ha prodotto poi un apprezzabile calo termico alle medie latitudini. La straordinaria debolezza del VP,già in fase autunnale, favoriva inoltre la precoce discesa di colate artiche portando alla prematura (rispetto ad oggi) formazione di un potente anticiclone termico russo siberiano. L’estensione della spessa copertura nevosa anche in zone più occidentali (Russia più occidentale) , ancora una volta dovuta ad un VP debole ed espanso, comportava un espansione (formazione anche in zone più occidentali) dello stesso hp termico siberiano. Durante l’inverno, l’incredibile debolezza/lentezza del VPS (in generale VP) favoriva la formazione di onde ampie e lunghe con conseguente blocco della circolazione occidentale ed attivazione di moti retrogradi da est sull’Europa occidentale. Le altissime (rispetto a quelle attuali) temperature nel VPS e la suddetta facilità di formazione di onde planetarie lunghe con ed ampie favoriva inoltre la formazione di numerosissimi e violenti stratwarming, con conseguente formazione di anticicloni caldi in sede artica in grado di attivare una circolazione oraria e sospingere sul comparto europeo correnti gelide connesse o a lobi freddi di diretta estrazione polare.. Inoltre, come sopra detto, l’eccezionale copertura che si palesava sul comparto russo già in autunno (a causa di un VP estremamente vulnerabile e maggiormente proteso a medie latitudini già nelle fasi iniziali dell’inverno) favoriva una formazione più occidentale (nel senso che era più esteso) dell’hp termico russo-siberiano. Pertanto le suddette circolazioni retrograde invernali attivate in seguito alla frequente formazione di onde particolarmente lunga (in grado di bloccare in maniera stazionaria la circolazione occidentale oceanica), potevano portare lo stesso hp russo-siberiano a lambire l’Europa (e non una sua propaggine dinamica).

È chiaro che alla base di tutto vi fosse un netto cambiamento di circolazione indotto nel Vortice Polare Atmosferico dalla lunga fase di bassa attività solare.
Abbiamo visto, nelle precedenti parti, come la bassa attività solare riesca a modulare (disturbare) il VPS con “l’ausilio” di due fenomeni: QBO ed ENSO. Cerchiamo di comprendere il loro andamento durante la PEG e verificare se questo fosse favorevole all’attivazione e all’accentuazione delle dinamiche sopra descritte.
Iniziamo con l’osservare che, in un contesto di attività solare “costantemente” bassa per svariati secoli, anche il classico andamento della QBO (quello che conosciamo oggi con fase di 28) sarebbe in grado di favorire importanti cambiamenti nella circolazione atmosferica invernale boreale. Di fatti in media un anno ogni due si sarebbero create condizioni ottimale per avere un VP particolarmente disturbato e propenso a discendere verso le medie latitudini. Praticamente durante la PEG un anno ogni due (con frequenza quindi dello 0,5) si venivano ad instaurare condizioni favorevolissime ad eventi eclatanti di gelo sull’ Europa, le “stesse” condizioni che nell’epoca moderna si verificano di mediamente una volta ogni vent’ anni.
Sempre riguardo alla QBO, recenti sudi stanno cercando di individuare una correlazione di causa-effetto tra attività solare ed andamento dei venti stratosferici equatoriali (QBO). Tra questi ricordiamo quelli condotti da Soukharev dell’ “Institut für Meteorologie, Freie Universitat Berlin” e Hood del “Lunar and Planetary Laboratory, The University of Arizona” e quelli pubblicati da Salby e Callaghan dell’ “University of Colorado”. In entrambi i casi i ricercatori hanno tentato di trovare una correlazione tra andamento della QBO e minimo-massimo solare nell’ambito però del classico ciclo solare undecennale. Il risultato è stato quello di osservare come la lunghezza del ciclo della QBO tenda ad allungarsi durante il minimo solare e ad accorciarsi durante il massimo, specificando tuttavia che i pochi dati a disposizione (campione di dati troppo breve) non consentono di trarre conclusioni certe e definitive..
Tuttavia, come anzi detto, tali ricerche sono state condotte con lo scopo di ricercare una correlazione tra QBO ed attività solare nell’ambito del consono ciclo undecennale. In altre parole si è cercato di capire come si comporta la QBO durante la fase di minimo del ciclo undecennale e come varia il suo andamento in concomitanza del massimo. Questo per dire che i ricercatori non si sono preoccupati di ricercare l’esistenza di un eventuale legame tra attività solare e QBO nel lungo termine, ovvero a livello di trend. Io nel mio piccolo ho tentato di farlo. In poche parole ho cercato di rispondere alla seguente domanda: esiste un legame di causa effetto tra andamento medio di attività solare ed andamento della QBO nel lungo termine?
Ebbene sulla base dei dati a disposizione inerenti alla QBO a 30 hpa ho potuto constatare come, 60 anni caratterizzati mediamente da un elevata attività solare (dal 1950 al 2007), hanno comportato un cambiamento sull’andamento medio della QBO. In particolare sono riuscito a costruire un grafico in cui si evince un trend della QBO davvero interessante: mediamente la durata complessiva della QBO negativa (linea gialla) si è andata lentamente ma progressivamente riducendo, mentre, la durata complessiva media della QBO positiva (linea viola) ha subito un processo di lenta e graduale crescita.

Ciò lascia presupporre che, nel lunghissimo termine, possa esistere un legame di causa effetto tra attività solare ed andamento medio delle fasi della QBO. Tale legame può riassumersi nel seguente modo:

 lunghi periodi interessati mediamente da un intensa attività solare comportano una diminuzione della durata media della fase orientale della QBO (QBO-) ed un aumento dell’opposta fase occidentale (QBO+);

 lunghi periodi caratterizzati da un’attività solare mediamente debole, portano ad un aumento della durata media della QBO negativa ed una diminuzione dell’opposta fase positiva.

Un legame di questo tipo ha un estrema importanza. Infatti l’aumento della durata media della QBO negativa comporta un aumento del tempo in cui l’attività solare riesce ad essere estremamente efficace nel modulare il clima (soprattutto nell’emisfero boreale). In altre parole, è possibile che al culmine della PEG, la durata complessiva delle fasi negative della QBO fosse discretamente superiore a quella delle opposte fasi positive, determinando un ulteriore aumento degli anni favorevoli al verificarsi di fenomeni di freddo anomalo alle medie latitudini boreali, Europa in particolare. Vale a dire che la frequenza dello 0,5, associata al famoso “un anno favorevole ogni due”, poteva essere in realtà superata (ad esempio due anni buoni ogni tre). Le ripercussioni climatiche di tale presunto legame, sarebbero per le medie latitudini a dir poco clamorose.
Come fatto per la QBO, nelle prossime Parti cercheremo di ricostruire l’andamento dell’altro fenomeno che in un contesto di bassa attività solare ha grande capacità di modulare le caratteristiche del VP: il ciclo ENSO. Verranno inoltre illustrati degli studi in grado di mettere in relazione l’andamento della QBO con lo stesso ciclo ENSO. Infine, come già anticipato in fase di presentazione dell’articolo, saranno fornite una serie di prove di carattere storico e scientifico a dimostrazione di quanto esposto.

Riccardo