Archivio mensile:Novembre 2012

Era il 1977 e John A.Eddy scriveva, il caso delle macchie solari scomparse – 1°Parte –

Svariate testimonianze dimostrano che, tra il 1645 e il 1715, l’attività solare subì un drastico rallentamento: probabilmente quello non fu un episodio isolato

 

 – Articolo ripreso dalla rivista “Le scienze” n°109 del Settembre 1977 su segnalazione del nostro Zambo-

 

Nel 1893 E. Walter Maunder, sovrintendente per le ricerche solari del Royal Greenwich Observatory a Londra, studiando vecchi libri e riviste poteva credere a stento ai dati che trovava. Sembrava che per molti anni fosse sfuggita una fondamentale verità: il Sole non era cosi regolare e prevedibile come tutti avevano sempre pensato. Se quello che Maunder stava leggendo era degno di fede, allora il Sole doveva avere subito importanti mutamenti in tempi relativamente recenti. Più esattamente,le vecchie cronache mostravano che per un periodo di 70 anni, che finiva nel 1715 circa, le macchie e altri fenomeni di attività solare erano scomparsi dal Sole. Maunder sapeva che, se tutto ciò era realmente accaduto, si sarebbero potute trarre profonde implicazioni non solo per astronomia, ma forse anche per il clima e quindi per le future condizioni di vita sulla Terra.

Le macchie costituiscono il fenomeno solare meglio conosciuto e il ciclo di circa 11 anni in cui esse appaiono e svaniscono e uno degli eventi astronomici meglio documentati. Sebbene per secoli in Oriente gli astronomi avessero osservato grandi macchie solari a occhio nudo, nel mondo occidentale le macchie oscure sul Sole furono sostanzialmente ignorate fine al 1611, quando furono viste col telescopio da Galileo e da numerosi altri. Da allora in poi sono state tenute sotto costante osservazione telescopica. Nel 1343 l’astronomo dilettante tedesco Heinrich Schwabe dedusse dalle sue stesse osservazioni che se si rappresentava graficamente il numero medio di macchie viste in un anno, si poteva individuare un andamento ciclico con un periodo di circa 10 anni. La sua scoperta sorprese gli astronomi professionisti, che da tempo ritenevano che non ci fosse nulla di periodico nella comparsa delle macchie solari o in altri fenomeni di attività solare. Poco dopo annuncio di Schwabe, però, altri osservatori confermarono l’esistenza del ciclo, fissandone il periodo in 11,2 anni. Facendo uso di vecchi rapporti di osservatorio, l’astronomo svizzero Rudolf Wolf stabilì anche che il ciclo si ripeteva continuamente almeno dal 1700, anno che riteneva essere il limite di affidabilità per i dati disponibili. Nel 1893 era ben noto che il ciclo delle macchie solari era associato ad altri segni dell’attività solare e a fenomeni terrestri ricorrenti come le aurore boreali. La curva del numero di macchie solari per anno dal 1700 in poi appariva come una delle manifestazioni di un fenomeno periodico che si ripeteva invariabilmente sia nel passato che nel futuro. Quasi tutti erano convinti che le macchie solari e il ciclo di 11 anni non fossero fenomeni isolati a carattere transitorio. Anche allora come adesso si accettavano quei fenomeni come prove della regolarità dell’attività solare, dal che si deduceva che il Sole era stazionario e prevedibile.

Nel 1893 il Sole attraversava la fase di massima attività del ciclo delle macchie solari ed erano visibili centinaia di macchie, come Maunder ben sapeva. Anche negli anni in cui il ciclo e in fase di minimo si trova almeno qualche macchia solare: e raro che passi un mese intero senza che compaiano macchie sul Sole. Ma nei resoconti ammuffiti del XVII secolo, in un periodo di poco anteriore a quello corrispondente all’inizio della curva familiare che rappresenta la frequenza delle macchie solari, Maunder aveva trovato rapporti originali secondo i quali erano trascorsi anni e anni senza che apparissero macchie solari. Per 32 anni non fu osservata nemmeno una macchia nell’emisfero nord del Sole. Per 65 anni non si vide mai più di un solo piccolo gruppo di macchie per volta. Passarono vari periodi, che durarono anche 10 anni, senza che si trovassero macchie sul Sole. Maunder scopri che il numero totale di macchie solari osservate tra il 1645 e il 1715 era inferiore al numero di macchie che si vedano oggi (1977) in un solo anno di attività media.

Nel 1894 Maunder pubblicò un articolo intitolato: Un minimo prolungato dalle macchie solari in cui dava i dettagli di quello strano periodo nella storia del Sole e richiamava attenzione sulle possibili conseguenze. Se la scarsità apparente delle macchie era reale, l’astronomia solare avrebbe tremato fino alle fondamenta. Maunder fece notare che quel periodo così insolito avrebbe potuto fornire un test estremamente significativo sulle relazioni tra Terra e Sole: se il normale sviluppo del ciclo undecennale delle macchie solari era rilevabile nei cambiamenti del campo geomagnetico o forse delle condizioni atmosferiche, allora una modificazione prolungata nell’attività del Sole avrebbe dovuto essere accompagnata da effetti importanti sulla Terra. Non si sa con precisione se qualcuno prestò attenzione a Maunder. Un articolo precedente, che egli scrisse sullo stesso argomento, non venne tenuto in gran canto; uguale sorte toccò a un lavoro pubblicato un anno prima dall’astronomo tedesco Gustav Spfirer, che per primo spinse Maunder a interessarsi del periodo carente di macchie solari. Maunder non desistette. Nel 1922 ci riprovò con un altro articolo, che intitolo nuovamente; Un minimo prolungato delle macchie solari, in cui metteva ancora in evidenza l’importanza di quei 70 anni per l’astronomia solare e per la fisica terrestre. Sei anni più tardi Maunder mori, e il ciclo delle macchie solari continuò a ripetersi regolarmente quasi a prendersi gioco di lui. I suoi articoli furono dimenticati oppure furono ritenuti il prodotto di un entusiasta che riponeva troppa fiducia in resoconti vecchi e approssimativi.

Parecchi anni fa pensai che fosse tempo di chiarire il caso delle macchie solari mancanti che da troppo tempo pendeva imbarazzante come uno scheletro nell’armadio della fisica solare. Era stato disturbato da riferimenti occasionali a tale problema in relazione con un cambiamento contemporaneo del clima mondiale. Come astronomo solare ero certo che una cosa simile non sarebbe mai potuta accadere e il mio interesse per la storia rendeva particolarmente attraente la prospettiva di un’analisi critica delle affermazioni di Maunder.

II problema si presentava con la trama di un giallo si diceva che un crimine, grave per l’astronomia e forse per la Terra stessa, fosse state commesso in passato. Tutto ciò era realmente avvenuto ? Gli indizi originali che Maunder aveva seguito nello sviluppo del caso avevano ora più di 250 anni, ma si trovavano ancora infatti nelle biblioteche che conservano le cronache del XVII e del XVIII secolo. Ancora più incoraggiante era il fatto che nuove informazioni si erano acquisite col progredire della fisica solare nel mezzo secolo successivo alla morte di Maunder. Le nuove informazioni comprendevano cataloghi di osservazioni storiche di aurore boreali, compilazioni di macchie solari osservate in Oriente a occhio nudo e una più profonda comprensione di come apparirebbe un Sole completamente inattivo durante un’eclisse totale. Ma soprattutto potevano trovare uno strumento particolarmente efficace nell’analisi moderna degli anelli di accrescimento annuale degli alberi.

 

Disegno di macchie solari pubblicato nell XVII secolo da Johannes Hevelius di Danzica nel suo libro intitolato Selenographia (1647). Esso mostra il progredire di vari gruppi di macchie attraverso la superficie del Sole a causa della sua rotazione in un periodo che va dal 22 maggio 1643 al 31 maggio dello stesso anno.Facendo uso di una serie di disegn i di questo genere,l'autore e i suoi collaboratori hanno potuto calcolare la velocità con cui ruotava verso la metà del XVII secolo, proprio all'inizio del periodo di 70 anni in cui le macchie solari furono quasi assenti. La forma delle macchie nel disegno e i particolari della loro ombra oscura, circondata dalla penombra più chiara, dimostrano che la qualità dei telescopi del XVII secolo era sufficientemente elevata da permettere agli astronomi dell'epoca di osservare le macchie solari con un dettaglio sostanzialmente analogo a quello ottenibile con gli strumenti di oggi.

 

L’aspetto importante par il mio lavoro non era la larghezza degli anelli, che dà indicazioni solo sul clima locale, ma il loro contenuto chimico che conserva una registrazione indiretta dei cambiamenti del Sole. Maunder non conosceva nessuno di questi indizi. Nessuno di essi era di per se stesso conclusivo. La loro somma però, con i rapporti storici originali potrebbe forse risolvere il problema.

Studiando i resoconti degli astronomi dell’epoca trovai con mia sorpresa che corrispondevano esattamente alla descrizione data da Maunder, cosi che cominciai a chiamare <<minimo di Maunder>> il periodo di scarsità delle macchie solari. Quando una nuova macchia solare fu osservata nel 1671, nel bel mezzo del minimo di Maunder, il direttore di <<Philosophical Transactions of the Royal Society of Landon>> si sentì in dovere di affermare: <<A Parigi l’eccellente Signor Cassini ha osservato recentemente nuove macchie sul Sole, dopo tutti questi anni in cui, per quanto ne sappiamo, non se ne videro>>.

Seguiva la descrizione dell’ultima macchia solare osservata, 11 anni prima, a beneficio dei lettori che avevano dimenticato che aspetto avessero. Lo stesso Cassini (G.D. Cassini, fondatore e primo direttore dell’Osservatorio di Parigi) scrisse dello stesso evento: <<Sono passati circa 20 anni da l’ultima osservazione di macchie di grosse dimensioni sul Sole, sebbene prima di allora gli astronomi ne abbiano viste regolarmente da che è stato inventato il telescopio. Come si sarebbero potute scrivere parole simili in un periodo di normale comportamento del Sole.

Le velocità di rotazione del Sole all'equatore aumentò proprio prima dell'inizio del minimo di Maunder. II Sole non ruota come un corpo rigido: le regioni equatoriali ruotano più rapidamente delle altre. Qui e rappresentata in gradi per giorno In velocità odierna di rotazione del Sole a latitudini diverse (in grigio). Le osservazioni di Scheiner mostrano che la velocità di rotazione del Sole nel decennio iniziato nel 1620 (in nero) non differiva sostanzialmente da quella odierna. Le osservazioni di Hevelius nel decennio iniziato nel 1640(in colore) rivelano però; che la velocità di rotazione del Sole all'equatore era tre volte più alta di quella dei poli. Non si sa se ciò fu causa o conseguenza del minimo di Maunder.

 

– Fine prima parte –

Michele

Tornado F2-F3 sull’Ilva di Taranto!

riporto da meteogionale:

Il potente tornado che ha interessato Taranto, esattamente l’area dell’ILVA, in virtù dei danni prodotti, ha avuto intensità classificabile in F2 (181-253 km/h).

Fanno ritenere possibile questa classificazione l’osservazione dei danni. In particolare le auto sollevate ed accartocciate dimostrano che il vento ha soffiato oltre i 200 km orari.

Va detto che la soglia per una classificazione ad F3 del tornado non è da escludere, in quanto il vento ha abbattuto anche manufatti in muratura e cemento armato.

Nel frattempo, siamo tutti in apprensione sul ritrovamento di chi è disperso.

Questo evento meteo fa parte di quelli definiti estremi, e seppur sia riscontrabile nella storia meteorologica italiana un’altra serie di eventi analoghi, si osserva una maggiore densità spazio temporale di fenomeni violenti, segno che il clima cambia.

Il clima è cambiato sempre ed anche nel futuro cambierà, ma di certo dobbiamo reperire risorse per ridurre i danni, anche se quelli di un tornado, neppure negli USA, dove avvengono a centinaia all’anno, sono in grado di evitare.

Insomma, questo evento atmosferico fa riflettere. Ma nel frattempo, come annunciato stamattina, oggi sarà una giornata campale.

Il potente tornado che ha interessato Taranto, esattamente l’area dell’ILVA, in virtù dei danni prodotti, ha avuto intensità classificabile in F2 (181-253 km/h).

Fanno ritenere possibile questa classificazione l’osservazione dei danni. In particolare le auto sollevate ed accartocciate dimostrano che il vento ha soffiato oltre i 200 km orari.

Va detto che la soglia per una classificazione ad F3 del tornado non è da escludere, in quanto il vento ha abbattuto anche manufatti in muratura e cemento armato.

Nel frattempo, siamo tutti in apprensione sul ritrovamento di chi è disperso.

Questo evento meteo fa parte di quelli definiti estremi, e seppur sia riscontrabile nella storia meteorologica italiana un’altra serie di eventi analoghi, si osserva una maggiore densità spazio temporale di fenomeni violenti, segno che il clima cambia.

Il clima è cambiato sempre ed anche nel futuro cambierà, ma di certo dobbiamo reperire risorse per ridurre i danni, anche se quelli di un tornado, neppure negli USA, dove avvengono a centinaia all’anno, sono in grado di evitare.

Insomma, questo evento atmosferico fa riflettere. Ma nel frattempo, come annunciato stamattina, oggi sarà una giornata campale.

Fonte: http://www.meteogiornale.it/notizia/25465-1-taranto-tornado

Indici meteo-climatici di Ottobre 2012 e prospettive meteo-climatiche

Introduzione

Di seguito si riportano i principali indici climatici e se ne discute brevemente il significato e le conseguenze sul tempo e sul clima dell’Europa e dell’Italia.

La legenda relativa ai seguenti (e molti altri) indici è disponibile al link http://www.meteoarcobaleno.com/index.php?option=com_content&view=article&id=227:indici-climatici&catid=3:climatologia&Itemid=3,  peraltro già riportato nel forum Meteo.

aaaaaaaaaaa

Gli indici: i valori del mese

ENSO (El Niño Southern Oscillation, ad oggi Niño): (+0,271) +0,103

PDO (Pacific Decadal Oscillation): (-2,21) -0,79

AMO (Atlantic Multidecadal Oscillation):   (+0,487) +0,376

QBO30 (quasi Biennal Oscillation alla quota di 30Hpa): (-26,61) -24.51

QBO50 (Quasi Biennal Oscillation alla quota di 50Hpa): (-11,42) -10.51

MJO (Madden-Julian Oscillation): attualmente si trova in fase 5 e potrebbe entrare presto in fase 6 e poi 7, ma con intensità talmente ridotta che il grafico di previsione risulta di difficile lettura.

 

Commento indici Ottobre

– il Nino (ENSO) a ottobre (ed a novembre) oscilla debolmente tra neutralità e Nino debole ad est (zona 1+2 e zona 3) e Nino debole ancora presente ad ovest (zone 3.4 e 4).

– La PDO permane nettamente negativa, come da comportamento ciclico (è divenuta negativa qualche anno addietro e resterà tale per diversi anni) ed oscilla, talvolta aumentando, talvolta diminuendo; sta più che mai confermando il suo ruolo “moderatore” nei confronti dell’evento di Nino in corso, probabilmente contribuendo in modo decisivo nel “sopprimere” l’evento di Nino attualmente ancora assai faticosamente in corso. Al link seguente è riportato il grafico storico della PDO: http://jisao.washington.edu/pdo/img/pdo_latest.jpeg

– L’AMO si conferma in territorio positivo, ad ulteriore conferma della conclusione dell’escursione in territorio negativo. Al link seguente è riportato il grafico storico dell’AMO http://wattsupwiththat.files.wordpress.com/2011/12/november_2011_amo.jpg Tale indice risulta di dubbia interpretazione in termini climatici, se non nel lungo termine (decenni) a fronte di un suo cambio di segno.

– La QBO30 appare aver superato, ed è in graduale ripresa, pur restando ancora vicina ai propri minimi storici.

– La QBO50 potrebbe aver raggiunto il proprio minimo (-11,51) a Settembre, ad Ottobre si è ripresa lievemente.

In base alle osservazioni ENSO NOAA è presente una al limite tra Nino debole e neutralità nel comparto est, come detto. Le previsioni NOAA vedono al momento un ulteriore indebolimento dell’ENSO nel corso dell’inverno, fino a debole Nina nel comparto 3.4 e neutralità negli altri. Occorre però sottolineare la presenza di un certo grado di incertezza delle previsioni, anche di quelle dei prossimi 2-3 mesi. Non è pertanto esclusa qualche piccola “sorpresa”, ad esempio una sostanziale conferma della situazione attuale, oppure l’instaurarsi di una neutralità, in attesa di poter rilevare una tendenza chiara.

Per quanto riguarda le anomalie sottosuperficiali di temperatura, il grafico al seguente link http://www.bom.gov.au/cgi-bin/wrap_fwo.pl?IDYOC007.gif,

Dalla scorsa estate ad oggi si è verificato evidente indebolimento delle anomalie positive in tutto il comparto oceanico. Tuttavia queste non sono tuttora state completamente sostituite da anomalie negative, ma anzi, tra ottobre e novembre, la situazione sembra essersi assestata attorno ad un equilibrio, pur incerto, tra le diverse anomalie: nel comparto est resiste pur indebolita un’anomalia negativa, mentre nel comparto centro-ovest permane una vasta e debole anomalia positiva, sebbene insidiata in profondità da una nuova anomalia negativa.

Per quanto riguarda, invece, le anomalie di temperatura superficiale nell’Oceano Atlantico, prevalgono tuttora anomalie positive solo nel comparto oceanico tropicale ed equatoriale centrale, tra Sudamerica ed Africa. Più a nord, l’anomalia negativa presente fin dalla scorsa estate si è estesa e collegata con un’anomalia nei pressi delle Isole Britanniche. Inoltre, all’inizio di novembre si è formata una vasta anomalia negativa tra Atlantico, Florida e Golfo del Messico. A tale proposito, esaminando il comportamento delle anomalie oceaniche negli ultimi 10 anni, si nota che quella negativa nel Golfo del Messico si sviluppa contemporaneamente ad una corrispondente anomalia negativa, alla medesima latitudine, in Oceano Pacifico. Più di recente, il passaggio della PDO in fase negativa, con una maggiore presenza di anomalie negative nell’Oceano Pacifico orientale, sembra essere correlato ad una maggiore insorgenza di tale anomalia negativa atlantica nel Golfo del Messico.

http://www.osdpd.noaa.gov/data/sst/anomaly/2012/anomnight.11.26.2012.gif

aaaaaaaaaaaaa

Il passaggio di stagione: dall’autunno all’inverno 2012/2013

Come nei numeri precedenti di tale rubrica, si introducono ora alcune considerazioni di carattere generale circa il possibile decorso dell’ormai imminente stagione invernale. Per una disamina di dettaglio, si suggerisce di fare riferimento ai vari ed interessanti articoli di approfondimento che, in queste ultime settimane, stanno ben illustrando cause e possibili conseguenze dell’attuale scenario barico dell’Emisfero Nord, a tutte le quote di pressione.

La stagione autunnale appare ormai in fase conclusiva, sia secondo il calendario (come noto, l’inverno meteorologico inizia il 1 Dicembre), sia in base all’assetto barico, che promette di assumere presto connotati più invernali, almeno sull’Europa Centro-Settentrionale. L’autunno è stato caratterizzato essenzialmente da lunghi periodi anticiclonici, interrotti con una certa frequenza da bruschi ingressi perturbati atlantici o mediterranei, con precipitazioni localmente anche assai abbondanti e non di rado, purtroppo, caratterizzate da eventi alluvionali, come la cronaca ci ha ricordato.

Per quanto concerne le prospettive invernali, è sempre più probabile che tra pochi giorni si concretizzi il primo affondo freddo di stampo chiaramente invernale nel comparto europeo, come la carta seguente ad 850Hpa, a 72 ore, ben testimonia.

Ad una prima occhiata, risulta subito evidente come la prima ondata di freddo invernale provenga dal comparto russo-siberiano (angolo in altro a destra dell’immagine), dunque da nord-est, anziché dall’Artico, come invece accade solitamente in questo periodo. Un altro elemento evidente è la grande depressione, centrata proprio tra Italia e Mediterraneo, che funge da polo attrattore dell’aria fredda, spingendola verso sud e verso ovest. Per consentire tutto ciò, è essenziale la collaborazione dell’Anticiclone delle Azzorre, in basso a sinistra, che accenna a spingersi verso nord-est. Così facendo, l’anticiclone probabilmente (anche se non è certo) chiuderà la “porta atlantica” (in alto a sinistra) aprendo invece quella russo-siberiana. L’attuale incertezza previsionale non consente ancora di esprimersi con ragionevole precisione circa l’evoluzione futura di tale configurazione. Per un esame in termini generali, si può fare riferimento all’assetto previsto del Vortice Polare Stratosferico nei prossimi giorni, come testimonia l’immagine seguente (previsione GFS a 5 giorni a 100Hpa, ovvero la quota stratosferica più prossima alla troposfera):

Essa mostra il culmine della ellitticizzazione e bilobazione del Vortice Polare Stratosferico (attorno al 1 dicembre). Invece, già verso il 3 dicembre sembra esserci un inizio di ricompattamento del VPS.

Si nota che i due lobi del VPS interessano direttamente il Nordamerica e la Siberia (anzi, vi si trasferiscono letteralmente, traslocando dal Polo) e non l’Europa, coinvolta solo da una porzione decisamente minore (lo si vede sotto forma di una certa rimonta anticiclonica in Atlantico, cui corrisponde un affondo depressionario in Europa, specie verso la Spagna ed il Mediterraneo Occidentale). Ciò lascia pensare che l’Europa potrà essere coinvolta solo parzialmente da irruzioni fredde e soprattutto nella sua porzione Centro-Settentrionale. Ma anche, nel frattempo, che il gelo siberiano e dell’artico canadese sono destinati ad intensificarsi notevolmente, per eventuali “utilizzi” futuri.

aaaaaaaaaaa

Prospettive meteo-climatiche – inverno

Come detto più volte, ma è utile ribadirlo, la combinazione tra QBO negativa, Nino debole e centrato ad ovest, bassa attività solare e comunque la sostanziale assenza di elementi di “disturbo” a tale configurazione, depone a favore di una svolta invernale di non breve durata, almeno per l’Europa centro-settentrionale.

Per quanto riguarda la nostra Penisola, esprimere una valutazione è più complesso, in quanto entrano in gioco almeno un paio di altri fattori:

  • la tenuta dei blocchi anticiclonici atlantici alle latitudini mediterranee, che non è scontata a priori e può impedire, se il blocco non regge, che il grosso dell’aria fredda si riversi nel Mediterraneo;
  • la geografia (l’Italia è lunga e stretta e percorsa da catene montuose e dunque gli effetti possono essere molto diversi da regione a regione) e l’orografia, ovvero la barriera costituita dalla catena alpina all’ingresso dell’aria fredda e dunque la direttrice di ingresso delle correnti fredde, che dipende dalla configurazione barica; qualora queste entrassero massicciamente dalla Valle del Rodano (Marsiglia, come potrebbe accadere tra alcuni giorni) provocherebbero un’ondata di maltempo invernale su buona parte del Centro-Nord; se invece entrassero dalla Porta della Bora (Trieste), porterebbero freddo e neve solo lungo l’Adriatico e forse al Sud.

Come già ribadito più volte nelle discussioni dei giorni passati e negli articoli di approfondimento meteo, per un decorso “invernale” dell’inverno ormai alle porte, è meglio se il Vortice Polare, dopo l’imminente split, si ricompatterà a tutte le quote, o almeno non andrà oltre qualche futura bilobazione. Ciò è quanto suggeriscono già oggi le previsioni a lungo termine, almeno quelle stratosferiche. E questo ricorda quanto in effetti accadde a novembre e dicembre 1984, quando ci fu uno split importante tra fine novembre ed inizio dicembre, seguito da un ricompattamento. Il resto, cioè il forte stratwarming di fine dicembre ed il conseguente gelido gennaio 1985, è cronaca nota a tutti. Peraltro, anche allora l’attività solare era debole, prossima al minimo, la QBO nettamente negativa (raggiunse il minimo tra settembre ed ottobre, proprio come ora) e si era in presenza di una Nina molto debole, prossima alla neutralità, una situazione specularmente simile (anche se non identica) a quella attuale di Nino tra debole e neutralità. A titolo di cronaca, nel 1984 la prima ondata di freddo in Italia si verificò solo a ridosso di Natale. Fu soltanto il prologo a quello che sarebbe accaduto all’inizio di Gennaio.

Naturalmente, quanto sopra non comporta che assisteremo necessariamente ad una ripetizione dell’inverno 1984-1985. C’è qualche differenza (Nino debole o assente e west based, anziché Nina debole) e comunque i moti in troposfera possono riservare qualche variante non secondaria. Certo, l’impianto generale che si profila assomiglia a quello del 1984-1985. Anzi, si può dire che l’assenza di una Nina, che favorirebbe un ricompattamento del Vortice Polare, può rendere questa stagione persino più promettente. Manterrà le promesse per l’Europa? Probabile. E per l’Italia? Possibile, ma al momento non si riesce davvero a dire di più.

Non resta dunque che attendere i prossimi sviluppi delle dinamiche meteo troposferiche, ma senza perdere mai di vista ciò che accade in stratosfera. E’ da lì che con tutta probabilità giungeranno le notizie più significative per il proseguimento di questo inverno ormai agli esordi.

FabioDue

Stupido è chi lo stupido fa, Signore. (Forrest Gump)

 

Ci avviciniamo al Natale, tutti in casa durante la settimana a pensare come passare le prossime festività.

Ci sono sempre dei piccoli spazi per le nostre passioni, hobby…ma signori miei il momento non dei migliori. I pensieri ci affliggono, una grande insicurezza attraversa la nostra nazione. Il posto di lavoro, i problemi familiari ….

è si l’elenco è lungo…. ma porca miseria dico io, ci mancava anche questa….. l’effetto Maya

🙂

Prima naturalmente di arrivare tra uno o due settimane al martirio che sicuramente Tv, giornali e quasi tutte le testate del web lancieranno…ossia la “la fine del mondo” oppure la “la fine di un mondo“, mi piacerebbe approfondire la questione in maniera seria. Ci siamo capiti… altrimenti il tasto “canc” dei commenti sarà premuto.

😎

Come misuravano il tempo i Maya ? Se ricordo bene il calendario dei Maya prende in considerazione il pianeta Venere.

I terrestri oggi, prendono per un anno (misura del tempo) una rotazione del nostro pianeta intorno al Sole.

Io invece sono innamorato del ciclo a trifoglio. Ciclo che prende, come misura del tempo, le congiunzioni di Giove e Saturno. Ciclo di 60 anni. Articolo in lavorazione. 😎

Per info :

http://daltonsminima.wordpress.com/2010/07/27/il-centro-di-massa-del-sistema-solare-e-il-suo-moto-dal-ciclo-a-trifoglio-ad-un-ciclo-irregolare-la-via-per-comprendere-i-minimi%C2%A0solari/

 

In conclusione tanto è stato scritto e forse tutto è stato storpiato con il tempo… Una cosa curiosa l’ho beccata poco clic fa e la potete trovare al seguente collegamento :
http://ceifan.org/fine_del_mondo.htm

🙂

Pure il papa la passata settimana ne ha parlato. Il bombardamento è iniziato. Sicuramente viviamo tempi di cambiamento…il Sole ci sta girando le spalle. I media tacciono…ma noi andiamo avanti con il nostro progetto.

Io penso che la miglior risposta a questa storia dei Maya si possa trovare in questo video. Questa è la miglior risposta alla mal informazione che sta per tormentarci.

Bisognerebbe interrogare il nostro Sand-rio da l’altra parte del mondo. Lui era abbastanza documentato in merito, con documenti seri su questo calendario trasformato in un nuovo rituale carnevalesco apocalittico.  Serate in discoteca in arrivo gente ….

P.S.

http://en.wikipedia.org/wiki/K%27atun

A k’atun or k’atun-cycle is a unit of time in the Maya calendar equal to 20 tuns or 7,200 days, equivalent to 19.713 tropical year

19,713 anni …mhhhh….

Chi cerca trova ….

😉

Michele

L’INVERNO CHE VERRÀ (Parte II)

Procediamo con il nostro studio teleconnetivo in vista dell’ormai imminente inverno 2012-2013. Come anticipato al termine della Parte precedente, in questa occasione ci occuperemo di ciclo ENSO e di un “inedito” predictor invernale scoperto di recente e conosciuto come SAI index.

 

CICLO ENSO

Anche in questo caso la situazione attuale sembra abbastanza ingarbugliata in quanto, a differenza di molti altri anni, non si ha un chiaro evento di Nino o di Nina. Nello specifico, dopo essere stati interessati in estate (soprattutto nella prima parte) da un chiaro evento di Nino, la condizione attuale è di difficile interpretazione. Ancora una volta, per cercare di sbrogliare la matassa, facciamo affidamento alla “pura teoria”.
Molti studi recenti hanno dimostrato che non esiste un solo “canonico” tipo di Nino. Ad esempio, il Professor Ashok, insieme ad altri ricercatori del “Department of Earth and Planetary Science”, ha mostrato che in alcuni casi si possono verificare anomali eventi di riscaldamento nel Pacifico equatoriale centrale , i quali si distinguono dai tradizionali eventi di Nino. Questi eventi sono stati denominati come “El Nino Modoki events” (dove “Modoki” è una classica parola giapponese con cui si intende “una cosa simile, ma diversa”). Tale “modello” di Nino è molto diverso da quelli classico: esso infatti prevede un riscaldamento sopra il Pacifico equatoriale centrale con centri freddi disposti lungo l’equatore su entrambi i lati del centro caldo. Nella stessa ricerca è stato inoltre dimostrato che questi particolari eventi di Nino tendono ad influenzare le temperatura e le precipitazioni in più molte parti del mondo in maniera molto diversa dai convenzionali eventi di Nino.

In una ricerca successiva (2008), i Professori Seong Kug e Fei Jin della “School of Ocean and Earth Science and Technology, University of Hawaii” insieme al ricercatore Soon Il An del “Department of Atmospheric Sciences, Yonsei University, Seoul”, hanno studiato un “ulteriore” tipologia di Nino avente il centro delle anomalie positive ancora più spostate verso ovest, nei pressi della Western Pacific Warm Pool (Piscina calda pacifica). Per tale ragione questi tipi di eventi vengono definiti come “El Nino Warm Pool events” (Nino WP) . L’immagine che segue costituisce una catalogazione secondo le tre tipologie di alcuni eventi di Nino che si sono avuti dal 1970 in avanti:

 

 

Nella colonna centrale troviamo gli eventi di Nino convenzionale: essi sono caratterizzati da forti anomalie positive delle SST nel Pacifico orientale, che si estendono verso il Pacifico centrale. Per questi eventi, le SST in Nino 3 (zona orientale) costituiscono un adeguato indice per misurarne l’intensità.
Nelle altre due colonne troviamo gli eventi anomali di Nino (anomali in quanto diversi da quello convenzionale), caratterizzati da un centro di azione molto shiftato ad ovest. Nello specifico si ha che:

• negli eventi della colonna di destra il centro d’azione si colloca esattamente al centro del Pacifico. Pertanto, per questi eventi, le SST in Nino 3.4 (zona centrale) costituiscono un adeguato indice per misurarne l’intensità;

• negli eventi della colonna di sinistra il centro d’azione si ha ancora più ad ovest, sulla porzione occidentale del pacifico. In particolare, il cuore dell’anomalia positiva si colloca tra la linea di data internazionale (180º meridiano) ed il 150º meridiano. Pertanto, per questi eventi, le SST in Nino 4 (zona occidentale) costituiscono un adeguato indice per misurarne l’intensità.

Prima di procedere con la trattazione, cerchiamo di capire in quale “fascia” è possibile collocare la situazione ENSO attuale. A questo scopo riportiamo una carta che ritrae le anomalie termiche superficiali (SSTA) previste per il corrente mese di novembre:

 

 

Come si può facilmente constatare, l’anomalia positiva principale è esattamente collocata tra il 180º ed il 150º meridiano: pertanto possiamo affermare che abbiamo a che fare con un evento di Nino del tipo Nino WP.

Una completa trattazione circa le caratteristiche e gli effetti di un Nino WP richiederebbe uno spazio eccessivo. Ci limitiamo pertanto ad esporre in maniera sintetica quelle che sono le principali caratteristiche e le più importanti differenze tra gli eventi convenzionali di Nino e quelli “anomali” di Nino WP.

1) Anzi tutto la principale anomalia consiste nella presenza di due anomale celle di circolazione di Walker nella troposfera. Il ramo ascendente congiunto di queste celle è situato nel Pacifico equatoriale centro-occidentale (tale circostanza è più evidente nel caso di Nino Midoki in cui il ramo ascendente è piazzato sul Pacifico centrale), mentre i due rami discendenti si collocano ai due estremi dell’oceano stesso. Questo modello a doppia cella costituisce una marcata differenza dal modello a cella singola che si ha nel tipico caso di Nina. Nel caso di Nino convenzionale, soprattutto se accompagnato da forti anomalie positive sui settori orientali, si osserva una soppressione della circolazione di tipo Walker su gran parte del Pacifico;

2) Le anomalie precipitative, così come quelle termiche, rispecchiano a pieno lo schema di funzionamento a doppia cella sopra illustrato. Infatti, sul ramo ascendente si sviluppano anomalie termiche e precipitative positive, mentre sui rami discendenti le anomalie risultano lievemente negative e/o neutrali. Per quanto riguarda la ventilazione, a differenza del caso di Nino convenzionale “monocella”, il centro dell’anomalo vento zonale si trova ancora shiftato ad ovest e risulta più piccolo in magnitudo ed inoltre appaiono anomali venti orientali sul Pacifico orientale (tale circostanza si verifica normalmente nel corso degli episodi di Nina). Come è noto, i venti orientali sono in grado di sopprimere il riscaldamento superficiale sul Pacifico orientale a causa dei fenomeni di upwellings, provocando la soppressione dell’attività convettiva.

La cosa senz’altro più interessante consiste nell’ esaminare nel dettaglio le caratteristiche e l’intensità dei movimenti verticali (attività convettiva ) nel caso di Nino WP, sottolineando le differenze rispetto al Nino convenzionale. Ebbene, a questo proposito è stato osservato che l’intensità del movimento verticale (convenzione) risulta paragonabile tra il Nino WP ed il Nino convenzionale, nonostante il valore massimo di quest’ultimo sia mediamente 1,5 volte più grande di quello del Nino WP (l’anomalia SST massima del Nino convenzionale è circa tre volte quella del Nino WP, come mostrato nella prima Figura). Questa “strana” circostanza si verifica perché le SSTA positive del Pacifico centro-occidentale risultano molto più efficaci nell’ indurre anomala convezione rispetto al Pacifico orientale, anche a causa della natura più calda di queste acque (siamo nei pressi della piscina calda).
In riferimento all’ultimo concetto espresso, emerge chiaramente l’importanza di guardare alla dislocazione delle anomalie ed al valore assoluto delle temperature superficiali SST (anziché solo all’intensità complessiva delle SSTA come fanno in molti). Nel caso in esame, poiché le acque presso la piscina calda occidentale sono di per se molto più calde rispetto a quelle orientali, una loro anomalia positiva, anche se piccola, può avere una grossa valenza in termini di ripercussioni meteo-climatiche. Infatti, una doppia cella di walker con ramo ascendente collocato sul Pacifico centro-occidentale, è in grado di sviluppare intensi moti ascensionali (elevata convenzione). Tale circostanza, durante l’inverno boreale, è in grado di amplificare gli effetti della Rossby wave train con conseguente indebolimento del Vortice Polare Stratosferico e riduzione della velocità del getto.

 


La presente immagine ritrae le SST oceaniche. Notate come le temperature presse il Pacifico occidentale siano molto elevate nonostante le modeste anomalie (SSTA) positive.

 

Infine, la presenza di una discreta circolazione di Walker (che nel caso di Nino convenzionale east-based risulta soppressa) ed il conseguente rinforzo sul Pacifico orientale degli alisei di nord-est porta, sul vicino atlantico, ad un rafforzamento dell’anticiclone oceanico delle Azzorre. Questo fattore potrebbe senz’altro favorire una maggiore tenuta dei blocchi atlantici nel corso delle discese fredde da nord, scongiurando in parte situazioni simili a quelle vissute nel corso dell’inverno 2009-.2010.

In definitiva, dalla presente analisi emerge chiaramente che la situazione attuale ENSO risulta abbastanza positiva in quanto favorevole ad un “incremento” dei flussi di calore nell’ambito della stratosfera polare (NAM–). Inoltre, il particolare schema circolatorio sull’oceano Pacifico (doppia cella di Walker), potrebbe maggiormente favorire una discreta forza dell’azzorriano, incrementando così la possibilità che le discese fredde/gelide possano interessare anche il nostro paese (e non solo i paesi nord-occidentali europei). Ad oggi, le maggiori perplessità riguardano la tenuta di una simile configurazione termico-pressoria (e quindi circolatoria) sullo stesso Pacifico. A questo proposito i forecast attuali depongono a favore di un’ulteriore eccessiva occidentalizzazione delle anomalie positive già dalla fine di dicembre, con conseguente raffreddamento del Pacifico centro-occidentale. Dal punto di vista circolatorio, una simile evoluzione corrisponderebbe ad uno spostamento verso occidente del ramo ascendente della cella di Walker (che si andrebbe a piazzare sull’arcipelago indonesiano), segno evidente di una ripartenza di una lieve Nina. Tuttavia ritengo che la favorevole condizione di Nino WP, seppur debole, possa protrarsi almeno sino a metà gennaio. È evidente però che in riferimento alla parte finale dell’inverno (mese di febbraio), vista anche la notevole distanza temporale, la situazione risulta più incerta, anche se nei sopracitati dai sopracitati studi emerge che nei casi di Nino Midoki/Nino WP difficilmente riesce a partire un rapidamente un importante fenomeno di Nina.

 

SNOW COVER SIBERIANO

Come ultimo parametro predittivo consideriamo lo snow cover euroasiatico registrato nel precedente mese di ottobre. Difatti la quantità delle precipitazioni nevose che si manifestano nella prima parte dell’autunno sul comparto siberiano, costituisce un elemento in grado di “interferire” con la circolazione atmosferica nel trimestre invernale successivo.
Come indice rappresentativo dello snow cover utilizziamo lo “Snow Advance Index” (SAI), che misura il tasso di incremento della copertura nevosa sul comparto euroasiaco al di sotto del 60° parallelo nel corso del mese di ottobre. Nello specifico il SAI corrisponde al coefficiente angolare (pendenza) della retta di regressione ottenuta applicando il metodo dei minimo quadrati sui valori giornalieri dell’incremento di copertura nevosa. La scelta di considerare questo particolare indice non è affatto casuale: in uno studio a condotto nel 2011 dai ricercatori J. Cohen e J. Jones dell’ “Atmospheric and Environmental Research, Lexington” , è stata riscontrata l’esistenza di una forte correlazione tra il SAI ottobrino e l’indice AO (Arctic Oscillation) dell’inverno successivo. In particolare i risultati della ricerca mostrano che, quando il SAI ottobrino è elevato (intense precipitazioni nevose sull’Eurasia), il Vortice Polare (VP) tende a risultare molto più disturbato nel corso dell’inverno successivo (AO negativo). Al contrario, quando a fine ottobre il SAI è basso (scarse precipitazioni nevose sull’Eurasia), nell’inverno successivo il VP si presenta mediamente più compatto (AO positivo).
L’immagine che segue rappresenta la correlazione tra l’indice SAI, calcolato su base giornaliera, ed il valore medio dell’ indice AO valutato sul trimestre invernale successivo, per il periodo compreso tra il 1998 ed il 2011 (nella figura l’indice SAI è moltiplicato per -1 in quanto la correlazione è in antifase):

 

 

Come si vede la correlazione è pari a 0.859 e dunque molto forte. Inoltre dallo stesso grafico si può notare come al record campionario dell’indice SAI (2009), corrisponda il valore record negativo dell’AO index.
In mancanza di una serie storica diretta dei valori giornalieri SAI antecedente al 1998, per poter disporre di un campione più “corposo”, i ricercatori hanno dovuto ricostruire il SAI utilizzando i valori settimanali dell’ SCE (valore assoluto della copertura nevosa derivante dalla caduta di neve). Ovviamente l’indice SAI “ricostruito” su scala settimanale costituisce un valore meno affidabile rispetto alla sua misura diretta giornaliera. Nonostante questo la correlazione con l’indice per il periodo dal 1975 ad oggi rimane su valori accettabili (circa 0.63). La bontà di questo risultato è confermata dal fatto che il calcolo eseguito sul periodo 1998-2011 utilizzando un campione ricostruito allo stesso modo (utilizzando i valori settimanali SCE), sul restituisce valori simili (0.6). Ciò suggerisce che, il calcolo eseguito sui valori giornalieri diretti del SAI per l’intero periodo dal 1975 ad oggi, avrebbe portato ad un coefficiente di correlazione sempre molto alto (0.8-0.9). Tra l’altro, in riferimento a questo nuovo campione, ai due anni record di estensione della copertura nevosa ottobrina, spettano i valori più bassi di sempre dell’indice AO: stiamo parlando delle stagioni 1976-1977 e 2009-2010.

Tra l’altro si possono anche intuire parzialmente le ragioni fisiche di una simile correlazione. Difatti, la presenza di un estesa copertura di neve già nel mese di ottobre a latitudini relativamente basse (sotto il 60° parallelo), porta alla prematura formazione di un forte anticiclone termine. La presenza di quest’ultimo costituisce per l’emisfero boreale un ulteriore elemento in grado di “perturbare” la corrente a getto. Pertanto, un po’ come fanno le Montagne Rocciose in America, l’anticiclone termico favorisce l’ aumento dell’attività delle onde onde di Rossby, con conseguente incremento dei disturbi ai danni del VPS nella prima parte della stagione invernale (quando sul polo è totalmente assente la radiazione solare). Per quanto visto nella parte precedente, l’incremento della propagazione dei flussi in stratosfera (ep-flux), comporta l’attivazione di retroazioni positive in grado di rafforzare la Brewer-Dobson circolazionion (BDC), con tutte le conseguenze del caso.

Una volta capito che l’incremento dell’ “october snow cover siberiano” costituisce uno dei migliori predictor per l’intensità del “polar night jet”, vediamo come sono andate le cose nell’appena concluso ottobre 2012.
Per prima cosa cerchiamo un riscontro visivo attraverso l’immagine satellitare risalente 31 ottobre:

 

 

Da questa si vede facilmente che la copertura nevosa sulla Siberia al termine del mese si presente insolitamente estesa, con ottima diffusione alle latitudini più basse e buona propagazione anche sul comparto europeo.
Per un monitoraggio più accurato riportiamo poi il grafico contenente la retta di interpolazione che fornisce il complessivo SAI valutato su scala giornaliera:

 

 

Dalla sua analisi si denota chiaramente che, in “termini incrementali” (SAI), siamo esattamente sui livelli del 2009 (retta verde e rossa sono parallele) e del 1976, mentre in termini assoluti siamo anche sopra al 2009 (retta verde traslata verso l’alto rispetto a quella rossa). In definitiva, in riferimento all’ultimo trentennio, il 2012 si piazza tranquillamente sul podio dei record.

Termina qui la trattazione in vista dell’inverno 2012-2013. Alla luce della nostra analisi appare più che e mai evidente come il quadro teleconnettivo di partenza risulti decisamente favorevole allo sviluppo di discese fredde sul comparto europeo. In realtà le “premesse iniziali”, per quanto visto, non escludono che possano verificarsi episodi anche molto rilevanti, confermando così il trend intrapreso negli ultimi inverni.
Ma adesso siete voi che, alla luce delle nuove conoscenze acquisite, dovrete trarre le vostre conclusioni in merito a quello che ancora ad oggi rappresenta “l’inverno che verrà”.

 

Riccardo e Zambo