Facciamo un po’ di chiarezza 2: dinamiche di interazione tropo-stratosferiche

Preso atto dello stato generale di confusione che circola in merito alle dinamiche di interazione tropo-stratosferica nella stagione invernale, il nostro lavoro si propone di fare chiarezza gettando così le basi per un ampliamento delle conoscenze sulle dinamiche atmosferiche (in questo senso saranno ben accette eventuali proposte di lavoro da chiunque voglia collaborare).

Per meglio comprendere i meccanismi di propagazione d’onda planetaria è bene soffermarci e fare una breve digressione sulle leggi fisiche che descrivono le principali strutture della circolazione generale dell’atmosfera e chiarire concetti come onda di rossby e bilancio geostrofico.

La principale caratteristica di una particella d’aria nella libera atmosfera, in assenza di attriti/barriere orografiche, è rappresentata dall’avere un moto pressochè orizzontale (moti quasi piani). Questo dipende dal fatto che lo  spessore della colonna d’aria atmosferica, sia in rapporto allo sviluppo longitudinale che verticale della Terra, è molto esiguo e pertanto  la scala orizzontale dei moti è molto più grande della scala verticale. Da ciò scaturisce un’importante conseguenza ovvero che si può assumere una pressione idrostatica anche quando il fluido è in moto e quindi considerare che il gradiente di pressione orizzontale tra due punti non dipende dalla coordinata verticale. Per questa ragione, ed anche per semplificare la restituzione grafica, sulle mappe dei modelli la coordinata verticale viene espressa in coordinate isobariche (come pressione ad una certa quota) piuttosto che in termini di densità.

La causa per la quale il vento soffia sempre parallelamente alle isobare risiede nell’equilibrio geostrofico ovvero l’accelerazione che subisce una particella dovuta al gradiente di pressione tra due punti, che tenderebbe a spostarla sulla retta che li unisce, a causa della rotazione terrestre, la forza di Coriolis, proporzionale alla velocità del corpo in moto, agisce deviando la particella  verso destra senza modificarne la velocità.

 

Forza di Coriolis è pari= 2uΩsinФ

u e’ la velocità della particella di fluido considerata

Ω e’ la velocità angolare della Terra (7.29*10-5 s-1 ),

Ф è la latitudine.

In genere la grandezza [b]2ΩsinФ chiamata parametro di Coriolis viene indicata con la lettera  f.[/b]

La forza di Coriolis e’ massima al polo (Ф = 90°, sin Ф = 1) ed e’ nulla all’equatore (Ф = 0, sinФ =0).

 

La forza di pressione invece è la forza che si manifesta per effetto delle differenze di pressione che esistono nell’ambito di un fluido . La forza di pressione per unita’ di massa si esprime nel modo seguente:

Fp =  – (1/ρ). (D(p)/Dy)

Ρ è la densita del fluido

(D(p)/Dy) è la differenza di pressione tra due punti

La velocità orizzontale per la quale la forza di Coriolis bilancia esattamente la forza orizzontale di pressione, si chiama “vento geostrofico”.

Fc + Fp = 0

ovvero

2uΩsinФ =  -(1/ρ) (Dp/Dy)

[b]u = -(1/ρf) (Dp/Dy)

Da questa equazione si comprende come le velocità zonali sono strettamente legate alle variazioni di pressione e la sua componente, moti quasi piani, è parallela alle isobare.[/b]

Tuttavia la fluidodinamica ci ha sperimentalmente mostrato che i fluidi viscosi in rotazione con indotto  un gradiente termico periferia- centro di rotazione, tendono ad assumere moti ondulatori con spettri di frequenza e gradi di turbolenza dipendenti sia dal gradiente termico, sia dalla velocità angolare di rotazione. Quando a causa di una  simile  perturbazione una particella si porta a più a nord di latitudine accade che in riferimento ad essa il  parametro f di Coriolis, che risulta proporzionale al seno della latitudine, tende ad aumentare. Se f aumenta, affinchè la vorticità assoluta si conservi, deve simultaneamente verificarsi una diminuzione della vorticità relativa. In altre parole la curvatura della linea di corrente diviene anticiclonica. In maniera del tutto simmetrica, se la particella d’aria scende f diminuisce e per compensare detta diminuzione la vorticità relativa deve aumentare facendo divenire ciclonica la linea di corrente. Ciò rende possibile la formazione di un treno di onde in seno alla corrente occidentale, note come onde di Rossby.

Queste onde quindi, per effetto della variazione del gradiente termico tendono ad assumere un pattern ondulatorio. Se poi introduciamo elementi perturbatori come imponenti catene montuose trasversali alla circolazione zonale ed il continuo alternarsi di terre ed oceani, allora si può intuire come queste oscillazioni possano essere più facilmente promosse e dunque influenzare in modo importante ampie zone della superficie terrestre. Sono infatti le oscillazioni del getto connesse alle onde di Rossby che consentono all’aria polare di scendere di latitudine provocando quindi un globale trasferimento di energia dalle basse alle alte latitudini.

Arrivati a questo punto è importante focalizzare l’attenzione su alcuni aspetti fondamentali:

1)            per quanto detto, l’attività e l’importanza delle onde di Rossby tende ad aumentare con l’incremento degli elementi perturbatori in grado di innescarle. A questo proposito nell’emisfero settentrionale, in virtù della particolare dislocazione delle terre emerse e del gran numero di importanti catene montuose, è molto più frequente la formazione di grosse onde in grado di veicolare ingenti masse d’aria polare verso sud.

2)            le onde più energetiche responsabili delle discese polari più importanti e durature sono quelle stazionarie. Esse infatti, proprio in virtù della loro stazionarietà, riescono a bloccare per lungo tempo la normale circolazione westerly, favorendo movimenti meridiani o retrogradi delle masse d’aria di origine polare.

3)            le onde, per ragioni legate alla conservazione della quantità di massa, possono divenire stazionarie solo al di sopra degli oceani. Per questa ragione le onde principali sono l’onda pacifica (wave 1) e l’onda atlantica (wave 2).

I movimenti iniziali che portano ad un deciso disturbo del Vortice Polare (VP), sono legati sempre ai fenomeni di propagazione dell’onda planetaria più importante, ovvero l’onda asiatico-pacifica (wave 1). La genesi dell’onda nonché le cause che influenzano la sua attività sono state già ampiamente discusse nel  nostro precedente articolo:

http://www.meteoforumme.it/forum/analisi-e-previsioni-meteo/facciamo-un-po-di-chiarezza/

Quando si sviluppa un onda stazionaria sul pacifico (PNA+), il getto  tende ad invadere il comparto americano impattando le montagne rocciose: tale dinamica innesca una un ondulazione nel getto, che in “alcuni frangenti” nella successiva rotazione può divenire stazionaria sul comparto atlantico (NAO-), bloccando la normale circolazione zonale ed innescando una discesa d’aria polare sull’Europa. È chiaro quindi che per poter interpretare con tali movimenti, bisogna aver compreso il concetto di stazionarietà dell’onda.

A tale scopo partiamo da una formula ben nota in letteratura che consente di ricavare la lunghezza delle onde stazionarie a partire dal valore della velocità media zonale U:

V = U – K•L2                                        (1)

dove:

             V è la velocità con cui l’onda tende a traslare seguendo la normale circolazione westerly;

             U è la componente media verso ovest delle correnti occidentali (flusso zonale);

             K è il parametro di Rossby determinato dalla  seguente relazione:.

K = (ω•cosf)•(1/2•p•R2)                  (2)

In cui w è   la velocità angolare della terra (pari a 7,2685•10-5rad/s),  R = 6480 Km è il raggio terrestre e f la  latitudine  di riferimento per la quale si vuole effettuare il calcolo.

Dalla (1) si può facilmente constatare che, a parità di U, la velocità V di traslazione delle onde di Rossby decresce fortemente al crescere della loro lunghezza d’onda  e che quindi le onde corte sono più veloci di quelle lunghe. Le onde stazionarie, come dice la parola stessa, si hanno se la velocità di propagazione V è nulla (V = 0). Imponendo tale condizione  ed invertendo la formula,  si riconosce che un’onda è stazionaria se la lunghezza d’onda L assume il valore critico (lunghezza critica) dato da:

Lc = (U/K)½                                            (3)

 

Da questa si vede chiaramente che all’aumentare della velocità zonale media U aumenta la lunghezza e  dunque il livello di energia che l’onda deve possedere per risultare stazionaria.Il meccanismo di propagazione d’onda non è bidimensionale in quanto le onde si propagano sempre anche sulla verticale. Poiché durante l’inverno la struttura del Vortice Polare (VP), caratterizzata da un gradiente termico negativo e da una circolazione westerly più intensa alle quote progressivamente maggiori, si estende sino in prossimità della stratopausa, le onde più energetiche si propagano sino in alta stratosfera. Poiché come visto, le onde più energetiche sono anche le più lunghe, la propagazione verticale è strettamente correlata alla lunghezza e al numero di onde in azione (wavenumber): all’aumentare di tale parametro diminuisce infatti la media delle onde e dunque la loro capacità di divenire stazionarie e propagarsi ai livelli superiori dell’atmosfera. Viceversa, poiché la lunghezza critica dell’onda stazionaria Lc è proporzionale all’intensità  U delle correnti zonali (vedi formula 3), affinchè un onda più corta (e dunque meno energetica) riesca  a propagarsi verticalmente le velocità zonali devono essere mediamente più basse (e quindi diminuisce la velocità critica di propagazione Uc). Da ciò si capisce che il wavenamber è una mera conseguenza che descrive semplicemente il livello di disturbo che il vortice subisce e che dipende dall’attuale livello energetico delle onde e dall’intensità delle correnti zonali stesse.

Fissati questi concetti di base, possiamo andare oltre introducendo il ben noto fenomeno dello stratwarming. L’obiettivo è quello di capire la reale genesi di questo affascinante fenomeno nonché la sua reale capacità di condizionare le dinamiche atmosferiche.

Gli stratwarming altro non sono che improvvisi riscaldamenti stratosferici conseguenti ai meccanismi di propagazione ed infrangimento delle onde planetarie. Quando un’onda planetaria raggiunge la stratosfera, deposita il suo momento esterly, decelerando la corrente a getto stratosferica invernale che come detto è westerly: la deposizione di quantità di moto est nella stratosfera polare (“breaking wave”), produce per attrito l’improvviso fenomeno del riscaldamento. Da ciò si deduce che in nessun caso lo stratwarming è un fenomeno a se stante in grado di favorire episodi di gelo alle medie latitudini, ma una semplice conseguenza dell’azione intrusiva delle onde planetarie nel vortice polare invernale. Al contrario si può certamente asserire che il verificarsi degli stratwarming costituisce un passo fondamentale per le sorti dell’inverno europeo, con riferimento soprattutto alla fase più importante della stagione invernale (da metà gennaio in poi).Cerchiamo di capire insieme il perché di questa affermazione.

Durante la stagione autunnale, a causa della scomparsa della radiazione solare sul polo, anche in stratosfera tende ad invertirsi il gradiente termico e ad  instaurarsi quindi una circolazione di tipo westerly, con conseguente formazione del Vortice Polare Stratosferico. In questa fase, molto delicata, si verifica quasi sempre un certo disaccoppiamento (tale fenomeno molto importante sarà oggetto di future trattazioni) tra circolazione troposferica e circolazione stratosferica, in quanto i disturbi (che hanno origine in troposfera) non possono propagarsi sino alle quote superiori. All’inizio della stagione invernale il VP si presenta come una struttura unica, che si estende dalla troposfera sino al limite superiore della stratosfera (anche se può permanere una certa disomogeneità nelle caratteristiche fisico-termidinamiche tra le varie “sezioni” verticali). In questa fase il Vortice, soprattutto nella sua porzione medio alta,  tende ad approfondirsi raggiungendo l’apice della sua intensità. Contemporaneamente però, a partire dal comparto asiatico (hp siberiano e catena dell’Himalaya), cominciano a partire i primi disturbi che si traducono nella formazione delle prime onde ad alto livello energetico.

Queste, in un contesto  di velocità zonali molto elevate ed in via di approfondimento, non possiedono le caratteristiche (lunghezza ed energia) tali da consentire una completa  propagazione sino alle quote più elevate. Pertanto tali onde, non avendo i requisiti di stazionarietà, tendono ad infrangersi  rapidamente alle quote medio-basse e ad essere traslate molto velocemente sul settore canadese, generando i primi Canadian Warming (CW) della stagione.  Tale fenomeno si traduce successivamente in una fase DA+ che comporta un rafforzamento del getto in atlantico ed una nuova migrazione dei centri di vorticità  verso  l’Eurasia.

Il nuovo e più forte  impatto del getto (per conservazione del momento angolare) con il continente asiatico porta alla formazione di una nuova onda Pacifica, più energetica della precedente. A tal proposito il livello energetico di un onda è “proporzionale” alla veemenza con  cui il getto impatta l’elemento perturbante all’atto della sua formazione (è ovvio che in questo senso gioca un ruolo fondamentale l’estensione dello snow cover/hp siberiano da cui il famoso predictor di Cohen) .Detta dinamica si conclude quando riesce finalmente ad innescarsi un onda altamente energetica in grado di presentarsi stazionaria sul Pacifico ad ogni livello isobarico:  tale circostanza produce un riscaldamento stratosferico che in alcuni casi può raggiungere anche notevole intensità a partire dalle quote più elevate (MMW). A prescindere dalle rare ripercussioni dirette ed istantanee della dinamica che porta a detto riscaldamento (si parla di ripercussioni della dinamica e non del riscaldamento in quanto anch’esso è una mera conseguenza), essa segna sempre un passaggio fondamentale per le sorti della fase successiva della stagione. Si parla in questo caso di condizionamento da Major Warming, che nei casi più eclatanti può durare per un periodo molto lungo. Per avere un quadro completo sulla funzione degli MMW, occorre quindi analizzare nel dettaglio questi due fattori:

 

1)            genesi ed eventuali ripercussioni immediate degli MMW;

2)            condizionamento da  post-MMW.

 

1) Genesi ed eventuali ripercussioni immediate degli MMW

È ovvio che solo nei casi di MMW di tipo split si può parlare di eventuali ripercussioni sul comparto europeo. Tuttavia anche nei casi di riscaldamenti stratosferici molto intensi di tipo split, risulta molto difficile un interessamento diretto dell’Europa. Cerchiamo di capire il perché di questa affermazione. Come detto le eventuali ripercussioni “dirette” degli MMW sul continente Europeo dipendono solo ed esclusivamente dalla particolare tipologia della dinamica che innesca il riscaldamento stratosferico  stesso. Senza entrare troppo nel dettaglio, quando si hanno  particolari condizioni iniziali (si rimanda al precedente articolo), la wave 1 si presenta da subito altamente energetica ed in grado di assumere caratteristiche di forte stazionarietà nonostante l’elevata intensità delle velocità zonali.Tralasciando qualsiasi discorso in merito alle cause (già ampiamente discusse), quello si vuole sottolineare, è il grado di eccezionalità dell’evento in esame. Difatti per assumere carattere stazionario a tutte le quote in concomitanza del solstizio d’inverno (momento della stagione in cui le velocità zonali raggiungono mediamente la loro massima intensità), l’onda deve risultare altamente energetica e raggiungere dimensioni considerevoli. Per avere un idea di quanto stiamo dicendo facciamo un esempio pratico, prendendo in esame proprio l’evento stratosferico di quest’anno.

Assumiamo come riferimento il 4 gennaio 2013 (la scelta è stata obbligata dal materiale a disposizione, in quanto sarebbe stato più opportuno riferirsi a qualche giorno prima). Dal grafico Reading possiamo agevolmente risalire all’entità delle correnti zonali medie riferite ad una latitudine di 60° e ad una quota di 10hPa:

A partire da questo valore della velocità zonale (U=19.2 m/s), sfruttando la precedente relazione sulla stazionarietà dell’onda (3), possiamo ricavare la lunghezza che l’onda pacifica doveva possedere per risultare stazionaria alla quota di 10 hPa. Infatti sapendo che per la latitudine di riferimento f=60°  il parametro K di Rossby  vale 2,841•10-10 km•s, con un rapido calcolo si ricava una lunghezza d’onda L pari a ben 8224 Km. Ed ecco l’immagine che ritrae l’onda dalla quale è stato possibile verificare, dopo essere stata opportunamente scalata, la correttezza del nostro calcolo:

In questo modo appare in maniera molto chiara il livello di eccezionalità di un simile fenomeno. In un contesto di velocità zonali ancora molto elevato, l’onda, per riuscire a propagarsi sino alle quote superiori e risultare dunque stazionaria, raggiungere alle quote più elevate lunghezza importantissime (ricordiamo che le velocità zonali, per riduzione della viscosità dell’aria, aumentano all’aumentare dell’altitudine).

Ora è di fondamentale importanza sottolineare che proprio una notevole  lunghezza dell’onda  pacifica (wave 1) costituisce la genesi di un evento di tipo MMW split. Difatti, come testimoniano gli stessi vettori ep-flux,  un onda estremamente lunga impiega svariati giorni prima di iniziare a divenire convergente sul polo ed il tempo che intercorre dal momento della sua formazione sino alla sua completa intrusione risulta molto esteso. Mano mano che l’onda tende a divenire intrusiva le velocità zonali diminuiscono (per fenomeni di attrito da cui si sviluppa il calore) e l’onda stessa tende a divenire più corta.  Durante questo lungo periodo il Vortice tende progressivamente a disporsi in assetto ellittico, portando alla conseguente attivazione e propagazione dell’onda atlantica, che si genera proprio dall’ “impatto” del getto con il continente americano (montagne rocciose in particolare). Tuttavia in questa fase, poiché le velocità zonali (soprattutto alle quote medio-basse) risultano ancora molto elevate, anche l’onda atlantica per divenire ben stazionaria (presupposto fondamentale per assistere ad una lunga fase  antizonale sull’Europa),  deve risultare altamente energetica e raggiungere notevole lunghezza. Pertanto se l’asse iniziale (all’atto dell’innesco della wave 2) del basso VP risultasse anche di poco sfavorevole, l’onda atlantica non riuscirebbe ad acquisire quell’elevato  livello di energia necessario per raggiungere la completa stazionarietà in un simile contesto, ed il flusso zonale atlantico riuscirebbe a ripartire “abbastanza” rapidamente.

Da ciò scaturisce l’elevatissimo periodo di ritorno (bassissima probabilità) di un evento gelido in concomitanza di un MMW: già di per se l’MMW split è un evento molto raro (la formazione di un’onda pacifica di quella portata nella primissima fase dell’inverno non è cosa da tutti i giorni) e la probabilità che in contemporanea si inneschi una lunga fase antizonale in troposfera (legata come visto al carattere della wave 2) scende ancora di molto.

Studiando invece la  dinamica che porta ad eventi di tipo MMW displacement, si capisce chiaramente come questa  in nessun caso  possa portare a ripercussioni immediate sull’Europa. Anche in questo l’evento è conseguenza diretta dell’innesco di una wave 1 altamente energetica. La differenza principale risiede nella tempistica e nella “fase preparativa” all’evento stesso:  quando l’onda si sviluppa in una fase più avanzata della stagione in un contesto di velocità zonali più ridotte (il VP è stato già disturbato da più Canadian Warming  e/o  Upper warming), la wave 1 stazionaria presenta un’estensione (lunghezza) decisamente più ridotta rispetto al caso precedente. Per tale ragione essa tende a divenire convergente in maniera molto più rapida, non permettendo la propagazione dell’opposta onda atlantica. In questo caso l’antizonalità rimane confinata solo alle quote medio alte, dove l’onda ha una maggiore estensione ed è in grado di invertire da sola la circolazione westerly del vortice. 

Da tutto questo si capisce come non esiste alcuna propagazione di calore e circolazione esterliess dall’alto verso dal basso in quanto si parla solo di un preciso meccanismo legato alle dinamiche di propagazione e successivo infrangimento d’onda.

 

2) Condizionamento da post MMW

Le conseguenze dei riscaldamenti stratosferici (in particolare MMW) si hanno nella fase successiva all’evento stesso. Tale fenomeno, noto come condizionamento da Eses warm, può arrivare ad assumere caratteristiche di eccezionalità nei casi più eclatanti.

Cerchiamo di capire insieme il perché di questa fenomenologia che è alla base della ben nota legge statistica di D&B. In seguito all’avvento di un forte disturbo stratosferico il vortice polare si presenta fortemente destabilizzato a partire dalle quote medio alte (abbattimento delle velocità zonali). Per quanto visto in precedenza, in un simile contesto, le onde planetarie riescono a propagarsi e a divenire stazionarie con estrema facilità (la lunghezza critica decresce fortemente al diminuire delle velocità zonali medie).

Tale situazione favorevole, che è causa delle più intense e durature ondate di freddo, può protrarsi molto a lungo in seguito ai fenomeni stratosferici più intensi. Difatti a seguito di un forte warming si genera una condizione di disquilibrio sull’intera colonna d’aria: nel tentativo di ripristino dell’equilibrio radiativo (per mancanza della radiazione solare non ancora arrivata sul polo), a partire dall’alta stratosfera inizia rapidamente un processo di raffreddamento. Il raffreddamento dell’aria è accompagnato da movimenti di affondamento, in quanto l’aria più fredda e più densa tende a scendere verso il basso . L’aria più fredda discendente si riscalda per compressione adiabatica, portando le temperature nella medio-bassa stratosfera polare a diverse decine di gradi sopra l’equilibrio radiativo locale, contribuendo a mantenere il medio-basso VP instabile per un lungo periodo di tempo. Tra l’altro, come già spiegato nel precedente articolo, tale meccanismo è strettamente correlato all’incremento dell’attività convettiva equatoriale (rafforzamento della MJO):  difatti l’aria discendente nella regione polare, per conservazione della massa, deve  essere bilanciato da un flusso d’aria in ascesa sulle zone tropico-equatoriali. La BDC costituisce proprio questa cella circolatoria  in cui l’aria tropicale muove verso i poli per sostituire l’aria discendente ai poli.

Pertanto a riguardo si conclude dicendo che i warming non sono nient’altro che il risultato più estremo dell’attività delle onde planetarie che, a differenza di quanto accade nell’emisfero australe, riescono a rallentare ed in alcuni casi a bloccare la forte circolazione westerliess del vp (che riccordiamo estendersi in inverno fino all’alta stratosfera), consentendo così lo sviluppo di imponenti blocchi antizonali nella successiva fase più importante dell’inverno (metà gennaio in poi).

La trattazione sin qui svolta può trovare un buon riscontro con la situazione attuale (e futura). Difatti in un contesto di velocità zonali molto basse sull’intera colonna (fattore indotto dall’importante dinamica atmosferica di gennaio), l’onda atlantica potrà facilmente propagarsi ed assumere carattere di discreta stazionarietà  (nonostante una lunghezza non eccessiva) comportando , con estrema facilità, un lungo blocco della circolazione zonale sul settore atlantico, con conseguente fase artica sull’Europa dalle caratteristiche retroattive.

Basse velocità zonali per il forte condizionamento post-MMW

Dinamica attuale: innesco della wave 2 in seguito alla stazionarietà dell’onda pacifica

 

Riccardo, Alessandro (even), Cloover

29 pensieri su “Facciamo un po’ di chiarezza 2: dinamiche di interazione tropo-stratosferiche

  1. @scienzaobsoleta

    per irradiare ogni centimetro cubo di ionosfera con 1W di potenza ( che risulta difficile con semplici onde radio), se si irradiasse solo una porzione di superficie di 100km quadrati e 750km di altezza di ionosfera, una fantomatica antenna dovrebbe sparare almeno una potenza di circa 7,5 x 10^21 Watt, ovvero 7,5 miliardi di terawatt.
    Dato che sull’intero globo viene prodotta dalle centrali una potenza di 15 terawatt, servono 500 milioni di centrali elettriche mondiali.
    Senza contare perdite e altro, avrai riscaldato solo 100km quadrati… sticazzi sti militari!
    Ci faccia il piacere di fare due conti prima di sparare cose…

    Ciao
    Fano

      (Quote)  (Reply)

  2. @Oscar
    mi sa che prima del 2025 si inizieranno a fare due o tre conti con ENSO, estati torride e inverni gelati…. neve atlantica sempre più rara in Italia. Che guarda caso cade nei punti dove nel pleistocene c’erano i ghiacciai alpini. E la nebbia si forma sempre meno … dove c’era la pianura adriatica. Nebbia nel mediterraneo….. anni fa…. nel 90……

    e si specula sulla desertificazione..!

    2012 http://oi49.tinypic.com/344wb50.jpg

    2013 http://oi46.tinypic.com/35iyirc.jpg

      (Quote)  (Reply)

  3. FabioDue :

    artax :Solo in un paese come il nostro gente cosi preparata non viene valorizzata a dovere…
    complimentoni!

    Invece le riviste di gossip vanno alla grande.
    Che ci vuoi fare? E’ tutto funzione del nostro livello medio di istruzione…..ed anche di interesse per la scienza….
    Mi auguro che articoli come questo di Riccardo non passino inosservati. Però il rischio c’è.

    E’ questo il problema, Fabio. Trasmissioni demenziali e le riviste che hai citato sono sempre al 1° posto; purtroppo, poi, pur di fare notizia (oggi è solo questo che interessa…), spesse volte anche trasmissioni che trattano tematiche importanti sfociano inevitabilmente nelle cazzate pur di fare odiens……

      (Quote)  (Reply)

  4. @ fano
    Mi sono spiegato forse in modo sbrigativo, anche perchè facevo preciso riferimento a numerosi documenti scientifici (speravo che qualcuno vedesse le ricerche di eastlund), ti posto un link a google con diversi articoli accademici riguardanti cio’ a cui mi riferisco:
    http://scholar.google.it/scholar?q=Method+and+apparatus+for+altering+a+region+in+the+earth%27s+atmosphere,+ionosphere,+and/or+magnetosphere&hl=it&as_sdt=0&as_vis=1&oi=scholart&sa=X&ei=xpMKUey5IMvntQb73YHwCw&ved=0CDMQgQMwAA
    Credo valga la pena capire come l’ecosistema nel suo complesso (compreso l’aspetto meteo) risponde ai più svariati “stimoli artificiali”, è sperimentazione, scienza applicata. E’ la meteorologia del terzo millennio, non si accontenta più di creare modelli previsionali, vuole ottenere il controllo del clima. Credo che avere un crescente controllo di ogni aspetto del sistema in cui vive l’uomo sia il normale cammino evolutivo che ci contraddistingue.

      (Quote)  (Reply)

  5. Gentili autori,
    Vi chiedo se poteste usarmi la cortesia di volermi segnalare qualche testo su cui approfondire queste tematiche ovvero qualche testo base su cui fondare un’adeguata conoscenza della materia in modo da poter andare oltre gli articoli introduttivi che abbondano sui vari forum.
    Con stima,
    Stefano

      (Quote)  (Reply)

  6. @ScienzaObsoleta

    Ho letto qualche articolo.
    Quello che è costosamente possibile fare in ionosfera/magnetosfera in una zona molto ristretta, non ha ripercussioni significative sul clima locale.
    Il ciclo solare incide molto ma molto di più sulla temperatura della ionosfera e magnetosfera, nonch’è ogni tempesta solare riversa quantità enormi di energia nelle suddette regioni dell’atmosfera, ma le risposte atmosferiche in troposfera sono poco misurabili perchè minime e soprattutto hanno effetti davvero sul lungo periodo.
    Si parla di decine di anni durante i quali il sole deve riversare molti più raggi UV del normale.
    Vedi qualsiasi articolo su questo blog.

    Ciao
    Fano

      (Quote)  (Reply)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Immagine CAPTCHA

*

Aggiungi una immagine

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.