Archivi giornalieri: 25 Aprile 2013

La risposta di Nicola Scafetta, a chi minimizza gli effetti planetari, su la genesi del ciclo solare.

Premessa sulla natura del metodo scientifico

Che posizione deve assumere la scienza ufficiale del tempo, se ripetutivamente, in natura, osserviamo un fenomeno che viola, infrange, le leggi della fisica conosciute di quel tempo ?

ll metodo scientifico è la modalità tipica con cui la scienza procede per raggiungere una conoscenza della realtà oggettiva, affidabile, verificabile e condivisibile. Esso consiste, da una parte, nella raccolta di evidenze empiriche attraverso l’osservazione e l’esperimento; dall’altra, nella formulazione di ipotesi e teorie da sottoporre al vaglio dell’esperimento per testarne l’efficacia. Nel dibattito epistemologico si assiste in proposito alla contrapposizione tra i sostenitori del metodo induttivo e quelli del metodo deduttivo.

Mentre ero alla manifestazione EGU 2013, a Vienna, nicola scafetta mia aveva trasmesso una interessante mail a titolo : “Paper rebutting a criticism of the planetary theory of solar variation has been published”.

Ero completamente assorbito dalla manifestazione austriaca e quindi non avevo tempo e risorse energetiche per approfondire questo nuovo capitolo delle vicende planetario-solari.

Inoltre, rientrato in Italia, il lavoro e altre complicanza di natura familiare mi avevano tenuto lontano dalla questione. Quindi, solamente adesso, riacquisita la giusta tranquillità e energia mentale, sono riuscito ad approfondire l’argomento.

Procediamo con ordine e facciamo un piccolo salto indietro, era il 20 Marzo 2012 e sulla rivista Journal of atmospheric and solar-terrestrial veniva pubblicata la seguente carta :

“L’influenza delle attrazioni planetarie sul tachocline solare”

http://www.cdejager.com/wp-content/uploads/2008/09/2012-planetary-attractions1.pdf

Carta redatta da Dirk K. Callebaut , Cornelis de Jager e Silvia Duha, che nelle formulazioni e espressioni matematiche interno ad esse , si minimizza gli effetti planetari sulla genesi del ciclo solare. Riporto di seguito, il riassunto e alcune interessanti considerazioni riprese dal documento :

Presentiamo alcune analisi fisiche, dell’ipotesi, che la trasmissione della variabilità solare, mostrate nelle varie attività strato solari fotosferiche interne ed esterne, potrebbe essere dovuta all’attrazione newtoniana dei pianeti. Calcoliamo le forze planetarie esercitate sulla tachocline e quindi comprendiamo non solo le forze immediate, ma prendiamo anche in considerazione le azioni planetarie e della dinamo durante un certo tempo, per l’integrazione. Nel tentativo di migliorare le precedenti ricerche su questo argomento abbiamo riconsiderato le velocità convettive interne, ed esaminato molti altri effetti, in particolare quelli causati dal galleggiamento magnetico e dalla forza di Coriolis. La conclusione principale, è che nella sua essenza: l’influenze planetarie sono troppo piccole per una piccola modulazione del ciclo solare. Noi non escludiamo però la possibilità che l’azione combinata nel lungo termine dei pianeti può indurre un piccolo movimento interno al sole. Movimento che potrebbe avere un effetto indiretto sulla dinamo solare dopo un lungo periodo di tempo.

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Abbiamo calcolato le varie accelerazioni vicino o nella tachocline area, rispetto a quelle dovute all’attrazione dal pianeti. Abbiamo trovato che le prime sono più grandi di quest’ultime, di circa quattro ordini di grandezza. Inoltre, la durata delle varie cause può cambiare un pò il rapporto tra i loro effetti, ma sono ancora molto piccole rispetto alle accelerazioni che si verificano presso la tacholine. Quindi, l’influenze planetarie devono essere escluse come possibile causa di variabilità solare. In particolare, abbiamo migliorato il calcolo interno alla carta e quest’ultimo mi ha dato una stima alternativa. Se l’accelerazione di marea di Giove sono importanti per il ciclo solare, come per le accelerazioni di marea di Mercurio, Venere e la Terra, allora, l’evoluzione temporale delle macchie solari sarebbe quindi totalmente diversa e la differenza tra il massimo solare e il suo minimo sarebbe molto meno pronunciata. Tenendo conto della durata dell’accelerazione

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gli effetti planetari sono troppo piccoli di diversi ordini di grandezza per essere una causa principale del ciclo solare (che possono essere al massimo una piccola modulazione), non riescono a dare una spiegazione del cambiamento della polarità nel ciclo solare. Inoltre, i periodi di rivoluzione dei pianeti (in particolare Giove) non sembrano compatibili con il ciclo solare su tempi lunghi.

In effetti, una spiegazione planetaria del ciclo solare è quasi impossibile.

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La replica di Nicola Scafetta non tarda ad arrivare, è l’otto Marzo 2013 :

http://people.duke.edu/~ns2002/pdf/ATP_3797.pdf

Commento su “L’influenza delle attrazioni planetarie sul tachocline solare”

Nella loro carta originale, Callebaut, Duhau e Jage, basano la loro intera argomentazione sulla pretesa che non ci sono evidenze empiriche che suggeriscono un legame tra movimento planetario e le dinamiche solari. Da qui hanno concluso che la teoria planetaria di variazione dell’attività solare dovrebbe essere esclusa perché, secondo i loro calcoli le maree planetarie sono troppo piccole.

Come dimostrato nel nostro articolo appena pubblicato la domanda empirica su cui si basa il loro argomento è sbagliato, perché ci sono numerose evidenze empiriche che suggeriscono un legame tra movimento planetario e le dinamiche solari tra cui il fatto che i modelli prodotti da Venere, la Terra e le maree di Giove producono un ciclo armonico 11,07 a periodo di un anno, che è la lunghezza media del ciclo delle macchie solari, inoltre il ciclo delle macchie solari è costituito da tre frequenze di cui due del periodo di Giove e l’altro il periodo di Giove e Saturno e numerosi altri cicli solari modulanti (Gleissberg , Suess, ~ 1000 cicli all’anno, etc) possono essere riprodotti da armoniche planetarie, come numerosi autori hanno dimostrato, me compreso.

Essi hanno anche erroneamente commentato l’articolo di Humlum et al. sostenendo che contraddiceva i miei risultati. Humlum, Solheim e Stordahl sono stati informati da me e sono d’accordo con me che la loro carta è stata seriamente mal interpretata e questo è il motivo per cui il co-autore ha pubblicato il commento.

Di fronte alle evidenze empiriche l’argomentazione di Callebaut, Duhau e de Jager crolla, ed i loro calcoli teorici basati sulla fisica classica (mentre il sole non è un sistema di fisica classica) diventano non conclusivi.

La nostra carta discute inoltre di come la scienza di frontiera (in cui non tutto è già compreso) deve essere correttamente interpretata ed è un breve ricordo del caso di Wegener viene aggiunto.

http://it.wikipedia.org/wiki/Alfred_Wegener

Nel 1911 Wegener venne a conoscenza delle nuove teorie che stavano emergendo dallo studio dei fossili, in particolare quella di un antico collegamento fra Brasile e Africa, e quella di Roberto Mantovani che ipotizzava una deriva dei continenti per dilatazione del pianeta. L’anno successivo Wegener annunciò la teoria della deriva dei continenti in una conferenza della Società Geologica di Francoforte sul Meno dal titolo La formazione dei continenti e la geofisica, a cui seguì una seconda conferenza dal titolo Gli spostamenti orizzontali dei continenti, tenuta presso la Società per il Progresso delle Scienze naturali di Magdeburgo.

La teoria della deriva dei continenti tuttavia non fu accettata dalla comunità scientifica nel corso della vita di Wegener, perché non riusciva a spiegare né come si muovessero i continenti, né il perché. Le sue teorie cercavano la causa di questi movimenti in forze esogene, come la rotazione terrestre e l’attrazione gravitazionale, tuttavia proprio per queste teorie di bassa scientificità ed efficacia non trovò una grande approvazione nel mondo scientifico. Solo alla metà del Novecento, grazie alle esplorazioni dei fondali oceanici, si trovarono le spiegazioni che mancavano, che vennero individuate nelle dorsali medio-oceaniche.

P.S. : Nella nuova carta Nicola incolla una nuova analisi che ci rileva nuovamente il ciclo di 60 anni.

La figura mostra le registrazioni (GISP2) usate da Humlum et al. (2011) dal 1350 (rosso), la valutazione dello spettro di potenza ( inserito nel grafico) e il ciclo astronomico di 60 anni proposti da Scafetta (2010) (blu). Nonostante la bassa risoluzione delle registrazioni del nucleo di ghiaccio della groenlandia (GISP2), che si deteriora andando indietro nel tempo, nel corso del periodo analizzato, le registrazioni  mostrano chiaramente un importante modulazione ciclica di 60 – 61 anni , che è in fase con il ciclo astronomico armonico di 60 anni di Scafetta.

Conclusione

L’osservazione del fenomeno ci mostra un fatto, una dinamica riscontrata già nel passato (evidenza empirica). Le leggi della fisica attuale non confermano il fenomeno osservato. Il fenomeno osservato in natura, non deve quindi essere accettato dalla comunità scientifica, nel momento storico osservato, perchè la formula o legge newtoniana ( o altra .. del periodo) non lo contempla.

 

Michele