Archivio mensile:Marzo 2014

Ciclo solari 21 & 22, sviluppi di una teoria in “BASIC”

Listato basic

La passata settimana, un  nostro affezionato lettore di nome Vincenzo, mi ha inviato un curioso ed interessante articolo. Articolo ripreso da una vecchia rivista, del Febbraio 1989 e al cui interno si trovava un particolare studio, sulla genesi dei cicli solari 21 & 22, in relazione alle dinamiche planetarie. Lo studio e il vero e proprio listato sono stati realizzati dal radioamatore Emilio Focosi e con il supporto di uno dei primi PC dell’epoca e nel quale, il radioamatore, ha messo insieme un programma in grado di calcolare l’attività solare dal 1974 al 1989. Tuttavia, per poter far coincidere i diagrammi ottenuti, con quelli rilevati nei decenni passati, ha dovuto introdurre nel calcolo un corpo celeste di dimensioni molto maggiori di Giove e orbitante molto all’esterno del sistema solare.

Il file contenente l’intero articolo, scannerizzato ed in formato pdf è disponibile al seguente link : Ciclo Solare-1

Il nocciolo della metodologia, si trova nella tabella a pagina 60 e nella rappresentazione della risultante delle forze mareali, a pagina 61, che evidenzia il contributo della triade Giove-Venere e Terra e l’ipotetico sistema “X”.

Triade Giove-Venere-Terra

Prima di lasciarvi alla lettura dell’articolo, riporto questo interessante passo conclusivo ripreso dall’articolo. Emilio Focosi, conlude, affermando :

Da quanto indicato nella figura 1, l’attuale ciclo, contrariamente a quello che si va dicendo da più parti, sembrerebbe avere un’ascesa regolare con un primo massimo relativo nel 1990, con successivi massimi nel trienno successivo. Ai posteri l’ardua sentenza…

Prima considerazione, si capisce bene dalle parole del Sig.Focosi, che anche a quei tempi, le previsioni dell’attività solare, rilasciate da chissà quale ente governativo, non erano così ottime… 🙂

Probabilmente, mi viene da pensare, che con cicli solari, così regolari e spinti, quali sono stati il 21 & 22, il gioco funzionava “quasi” perfettamente, vedi l’immagine sopra.

Sinceramente, tuttavia credo, che lanciarsi in una replica del listato scritto in Basic, e una contemporanea ricerca di una possibile connessione astronomica o spiegazione scientifca, che ipotizzi un eventuale sistema esterno al nostro, sia cosa decisamente al limite del fattibile, se non fantascientifica.

Sono perplesso e nutro forti dubbi … vista l’estrema flessibilità dell’attività solare, registrata nei passati secoli. Però, al contempo, nutro anche una forte curiosità.

Curiosità, che mi spinge ad indagare, sviluppare nuovamente il listato, su una eventuale macchina virtuale o altro … (P.S. Io non sono un programmatore, c’è qualcuno che mi può aiutare ? :smile:), in maniera tale da verificare, se allargando la scala temporale dal passato (facciamo ad esempio a partire dal 1900) ai nostri giorni ( vedi l’attuale fase di debolezza dell’attività solare), possa essere presente una possibile relazione.

 

Michele

Non più di due mesi…

Magma conservato per migliaia di anni può scoppiare in appena due mesi

Nuovi risultati, proposti da nuove ricerche, suggeriscono che il magma che si trova sotto la superficie del Monte Hood, nello stato dell’Oregon(circa 4-5 chilometri),  si è conservato in condizioni simili a quelle solide per migliaia di anni, e che il tempo necessario per liquefare e potenzialmente scoppiare è tuttavia sorprendentemente breve forse non più di un paio di mesi.

La chiave per scatenare una eruzione, dicono i geologi, è quella di elevare la temperatura della roccia oltre i 750 gradi Celsius, il che può accadere quando il magma caldo dal profondo della crosta terrestre sale in superficie.

“La miscelazione di lava liquida calda, con il dispositivo di raffreddamento magmatico solido, ha attivato due ultime eruzioni del Monte Hood circa 220 e 1500 anni fa”, ha detto Adam Kent, dell’università dello stato dell’Oregon (OSU), geologo e co-autore di un articolo che descrive le nuove scoperte. I risultati della ricerca, che è stata finanziata dalla National Science Foundation (NSF), sono stati pubblicati  su Nature.

Rapid remobilization of magmatic crystals kept in cold storage

http://www.nature.com/nature/journal/vaop/ncurrent/full/nature12991.html

Figura 1 dalla carta di Cooper e Kent (2014), carta che mostra la relazione tra l’età dei cristalli e la prova del riscaldamento. I simboli verdi e blu sono i secoli di cristallo, mentre le linee sono secoli di diffusione e distribuzione di dimensione dei cristalli. Nel complesso, mostrano un modello in cui i cristalli spendono molto del loro esistenza nei sistemi magmatici quando sono troppo freddi (viscoso) per poi eruttare. Immagine: Cooper e Kent (2014), Natura.

“Questi scienziati hanno utilizzato un nuovo approccio intelligente di temporizzazione per comprendere il funzionamento interno del monte Hood e questo è un passo importante nella valutazione del rischio vulcanico, nella catena della Cascade, ha detto Sonia Esperança, direttore del programma nella divisione NSF, di Scienze della Terra.

“Se la temperatura della roccia è troppo fredda, il magma è come il burro di arachidi in un frigorifero”, ha detto Kent”. Non è molto mobile. “Per il monte Hood, la soglia sembra essere di circa 750 gradi (C) e se questo si riscalda di solo 50-75 gradi, diminuisce notevolmente la viscosità del magma e questo rende più facile la mobilità dello stesso”. Gli scienziati sono interessati alla temperatura alla quale il magma risiede nella crosta, poiché è probabile avere un’influenza importante sui tempi e i tipi di eruzioni che potrebbero verificarsi.

Il magma più caldo che si trova a delle profondità maggiori, scalda il magma più fresco conservato a una profondità di 4-5 km. Questo rende possibile il mescolamento di entrambi i magmi e quindi un trasporto verso la superficie per la produzione di una nuova eruzione. Kent ha detto, “la buona notizia, è che le eruzioni del Monte Hood non sono particolarmente violente. Invece di esplodere, il magma tende a fuoriuscire dalla cima del picco”. Un precedente studio di Kent e della ricercatrice Alison Koleszar ha scoperto che la miscelazione delle due sorgenti dei magmi, che hanno diverse composizioni, è sia un trigger verso una possibile eruzione che un fattore limitante, per quanto violento possa essere. “Quello che succede e simile a ciò che accade quando si schiaccia un tubetto di dentifricio nel mezzo”, ha detto Kent. “Per alcuni esce dalla cima, mentre per altri, come nel caso del Monte Cofano, che non soffia, la montagna va a pezzi”.

Lo studio ha coinvolto scienziati dell’OSU e della università della California. I risultati sono importanti, dicono, perché poco si sapeva circa le condizioni fisiche di accumulo del magma e quello che serve a mobilitare quel magma. I ricercatori sono stati in grado di documentare l’età dei cristalli, il tasso di decadimento degli elementi radioattivi presenti in natura. Tuttavia, la crescita dei cristalli è anche dettata dalla temperatura: se la roccia è troppo fredda, non crescono velocemente. La combinazione dell’età dei cristalli e il tasso di crescita apparente fornire una impronta geologica per determinare la soglia approssimativa per rendere la roccia vicina solida, abbastanza viscosa, da causare una eruzione.

“Quello che abbiamo trovato era che il magma è stato memorizzato sotto il Monte Hood per almeno 20 mila anni e probabilmente anche 100 mila anni”, ha detto Kent.

“Durante tutto il tempo è stato lì, è stato in deposito, come il freddo burro di arachidi in un frigo per un 88 per cento del suo tempo, e probabilmente anche oltre il 99 per cento del tempo”. Anche se il magma caldo dal basso è in grado di mobilitare rapidamente la camera magmatica a 4-5 km sotto la superficie, la maggior parte del tempo, il magma, si trova in condizioni che rendono difficile l’eruzione.

“La cosa incoraggiante è che la tecnologia moderna dovrebbe essere in grado di rilevare quando il magma sta cominciando a liquefarsi e muoversi”, ha detto Kent, ” in maniera tale da poterci avvertire prima di una eruzione. “Il monitoraggio dei gas, le onde sismiche, e lo studio delle deformazioni del suolo tramite i GPS, sono alcune delle tecniche che ci possono dire se il vulcano si sta riscaldando”.

I ricercatori sperano di applicare queste tecniche ad altri vulcani più grandi, per vedere se possono determinare il potenziale spostamento della massa fredda e la potenziale eruzione, uno sviluppo che potrebbe portare gli scienziati ad essere vicini a prevedere l’attività vulcanica.

Fonte : http://wattsupwiththat.com/2014/02/24/another-thing-more-worrying-than-global-warming-aka-climate-change/

Michele

Rubrica Sole Febbraio 2014

 Introduzione e riepilogo

Durante la sua progressione verso il massimo solare, il ciclo 24 ha da subito manifestato un’intensità notevolmente inferiore a quella che gli esperti avevano pronosticato al termine del ciclo 23: http://science.nasa.gov/science-news/science-at-nasa/2006/21dec_cycle24/ . Fino alla fine del mese di Settembre 2013, vista l’evoluzione degli ultimi due anni, dopo il picco dell’autunno 2011, sembrava in verità molto improbabile che questo ciclo potesse prendere un diverso andamento rispetto a quello fatto vedere fino a quel momento. In definitiva il Sole era in una fase di “stallo”. Pur con naturali oscillazioni in alto ed in basso dei vari indici di attività, nel periodo in questione il solar flux (il miglior indicatore dell’attività solare finora noto) non ha mostrato in media alcun trend particolare, né crescente né decrescente. Lo si nota chiaramente dalla prima immagine successiva.

L’attuale fase di forte spinta ha condotto il ciclo al suo secondo massimo. Le influenze planetarie hanno avuto un peso non indifferente nelle dinamiche di questa ripresa dell’attività solare, come a suo tempo debitamente descritto in un articolo del nostro Michele. Resta però da capire quanto tale fase durerà e quando e come inizierà la fase di declino post-massimo.

In sintesi, il mese di Febbraio appena trascorso, è stato caratterizzato da un vero e proprio exploit del solar flux, che ha fatto registrare il massimo mensile. Anche il Sunspot Number ha raggiunto e superato la soglia record mensile di 100, chiudendo il mese a 102,8. Ribadiamo che si tratta di valori ancora bassi se paragonati ad un massimo solare dei cicli compresi tra il 19 ed il 23, anche perché le macchie non sono state né particolarmente numerose, né molto estese ed attive: meno di 30 macchie con un solo flare di classe X, sia pure molto potente (X4.9).

In ogni caso, l’attività del periodo Ottobre-Febbraio è ormai visibilmente superiore a quella dell’autunno 2011.

Questa fiammata dell’attività può essere messa in relazione al secondo picco di attività pronosticato anche dalla NASA http://science.nasa.gov/science-news/science-at-nasa/2013/01mar_twinpeaks/.

Abbiamo ormai superato il traguardo dei 5 anni (62 mesi) dal minimo del dicembre 2008 e dobbiamo comunque constatare che, fatti salvi brevi periodi di più intensa attività,

  • il solar flux ha raggiunto solo adesso quota 200, come valore di picco giornaliero ma non come media mensile; tale soglia fu ampiamente superata più volte dai cinque cicli precedenti, come valore giornaliero ma spesso anche in termini di media mensile;
  • anche il sunspot number risulta decisamente inferiore e analogo a quello dei cicli di fine Ottocento-inizio Novecento; ricordiamo però che i calcoli attuali sono molto rigorosi e tengono conto anche della macchia più piccola. Pertanto i valori del passato sono molto probabilmente sottostimati: perlomeno del 5% per i cicli di fine Ottocento/inizio Novecento, fino al 20% ed oltre in precedenza (ad esempio durante il Minimo di Dalton).

Il grafico seguente evidenzia come il ciclo sia stato sostanzialmente “piatto”, senza trend, fino a settembre 2013, per poi mostrare una netta accelerazione, fino al picco appena verificatosi. Risulta anche evidente il temporaneo superamento del “muro” dei 200: Solen Info

Il sunspot number

Il nuovo massimo assoluto del ciclo 24 è 69,0 (Agosto 2013) ed ha superato il primo massimo registrato a Febbraio 2012 e pari a 66,9. Tra i due massimi la progressione del SSN (Smoothed Sunspot Number, media mobile su 13 mesi; fonte SIDC) si è interrotta ed invertita. Il comportamento del ciclo 24, con due massimi di cui il secondo assoluto, finora assomiglia a qualcuno dei cicli tra fine ‘800 ed inizio ‘900, nonché al ciclo 5 del Minimo di Dalton.

Anche per il NIA’s agosto 2013 ha fatto segnare il nuovo massimo provvisorio di questo ciclo (35,76) riallineandosi ai dati ufficiali del sunspot number SIDC. Restano da verificare ancora alcuni dati che al momento sono solo provvisori e pertando vi potrebbe essere qualche variazione nel conteggio, stimabile in qualche decimo di punto. La curva della media “smoothed”di questo indice, con le dovute proporzioni, ricalca l’andamento di quello che per la Scienza ufficiale è e rimane l’unico conteggio valido, ovvero quello del SIDC.

Vediamo in dettaglio cosa ci ha riservato questo Febbraio 2014: Smoothed sunspot area

Questo grafico, basato sulle medie mensili delle aree del disco solare coperte da sunspot (in rosso la smoothed) è abbastanza eloquente: l’attuale ciclo 24 per ora riesce a stento a tenere il passo dei deboli cicli di fine ‘800 – primi ‘900.

In dettaglio, Febbraio ha confermato e superato il livello di attività di Gennaio ma anche e soprattutto di Novembre 2011. Il sunspot number è schizzato a 102,8, rispetto ad 82,0. Come evidenziato dal grafico sottostante, l’attuale decisa seconda impennata di attività certifica che ci troviamo nel massimo del ciclo, con tutta probabilità, in una fase anche abbastanza avanzata.

SN Nia e Sidc

Il valore del NIA’s di ottobre (42,8), novembre (38,8) sono stimati-provvisori ed al momento in attesa di validazione mentre sono già definitivi il dato di dicembre 2013 (58,4), di Gennaio 2014 (51,6) e di Febbraio 2014 che con 67,3 stabilisce il massimo relativo di questo indice.

Nel grafico è ben evidente il raggiungimento del primo e provvisorio massimo a primavera 2012, l’iniziale declino delle curve del SSN ed il seguente sostanziale stallo nonchè l’ultima nuova e più decisa tendenza al rialzo dell’indice in oggetto che stabilisce nuovi massimi assoluti.

 

Solar flux

Dunque il Solar Flux a Gennaio ha fatto registrare un ulteriore incremento rispetto a quello di Gennaio, già da record. A Febbraio il solar flux non è mai sceso al di sotto di 140, mentre nei mesi immediatamente precedenti si era spinto fino a 110. Tuttavia, a differenza di Gennaio, non è riuscito ad oltrepassare il valore di 200.

Quindi il solar flux mensile aggiustato ha battuto il record di Gennaio, segnando un 166,01 che risulta essere il massimo assoluto provvisorio di questo indice. Tale valore resta comunque abbastanza modesto rispetto ai valori medi raggiunti dai cicli solari immediatamente precedenti.

Il solar flux testimonia in modo eloquente le difficoltà che il ciclo 24 ha incontrato nella sua progressione. Dal grafico seguente risulta ancor più evidente la netta suddivisione dell’attività solare in due distinte fasi, spinta e riposo, la prima con valori relativamente elevati, la seconda con detti indici più vicini a valori da minimo che da massimo.

Confronto Solar Flux

In termini generali, il grafico conferma la peculiarità del ciclo 24, rispetto a quelli immediatamente precedenti. Inoltre, si nota chiaramente una tendenza alla stasi. Sì è, manifestatasi dall’autunno 2012 in poi (dal mese 45), dopo un trend fino ad allora costantemente improntato al rialzo. Come già rimarcato, rimane da valutare la consistenza e la durata dell’attuale nuovo massimo.

Più in dettaglio, nell’ultimo mese il valore medio del flusso “aggiustato” (ore 20) è stato pari a 166,01 (contro 157,50 di Gennaio) mentre la “forbice” tra il valore minimo e quello massimo è rimasta compresa tra 144,5 (ore 18 del 14/02) e 192,4 (ore 18 del 04/02).

 

Altri diagrammi: butterfly e inversione magnetica

Il cosiddetto “butterfly diagram”, per quanto ancora incompleto nella rappresentazione del ciclo 24, è eloquente: http://solarscience.msfc.nasa.gov/images/bfly.gif  Butterfly

Il ciclo 24 risulta paragonabile ai cicli più deboli, perlomeno dal 1880 in poi, in termini di numerosità delle macchie, in rapporto alla loro estensione (in sostanza la colorazione del grafico “a farfalla”). Risulta addirittura inferiore a tutti i cicli rappresentati, in termini di estensione delle macchie (grafico in basso).

Per quanto concerne lo stato di avanzamento dell’inversione dei poli solari, l’ultimo dato disponibile (21 Febbraio) su http://wso.stanford.edu/Polar.html evidenzia un valore “filtrato” per l’Emisfero Nord pari a +2. Si conferma così in netto calo rispetto a quanto emerso nelle precedenti uscite della Rubrica e ormai piuttosto vicino a zero. Non ci sono precedenti storici documentati di inversione di un polo appena due anni dopo l’inversione precedente. L’Emisfero Sud, invece, dopo il cambio di polarità avvenuto tra luglio ed agosto 2013 mostra una decisa progressione e fa segnare un valore di -17. In base al comportamento dei cicli precedenti, ci si attende trascorra ancora un anno circa, dopo l’inversione, prima dell’avvio di un evidente ed inesorabile declino del ciclo 24. Può essere utile anche visionare il seguente grafico relativo all’andamento dall’inizio del ciclo 24 fino ad ora: Aggiornamento WSO

In dettaglio, l’andamento degli ultimi 24 mesi dove è più evidente lo stallo e la tendenza al calo dei valori dell’emisfero nord:  Dettaglio aggiornamento WSO

Per una più immediata comprensione dello stato di avanzamento del fenomeno, si vedano inoltre i seguenti grafici, tratti dal sito di Leif Svalgaard: http://www.leif.org/research/WSO-Polar-Fields-since-2003.png,  WSO polar fields

andamento dei due emisferi dal 2003 e http://www.leif.org/research/Solar-Polar-Fields-1966-now.pngN - S polar fields

andamento complessivo dal 1966. Per ulteriori informazioni in merito, si veda anche l’articolo http://solar-b.nao.ac.jp/news/120419PressRelease/index_e.shtml.

Le ultime immagini “Stereo Behind” al momento mostrano un “treno” pressochè ininterrotto di regioni attive, specie nell’emisfero Sud. Quello Nord invece risulta visibilmente meno attivo. Si notano diverse macchie mediamente coalescenti e di una certa dimensione, se paragonate a quelle che le hanno precedute nei mesi scorsi. Si conferma dunque la forte riduzione di attività dell’Emisfero Nord, con poche AR e macchie visibili. Tutto ciò lascia pensare, come peraltro ci si attende, che il ciclo possa durare più dei “canonici” 11 anni: ad esempio David Archibald sostiene, in base ad uno studio delle emissioni coronali, che il ciclo 24 possa durare addirittura il 40% in più dei soliti 11 anni, cioè ben 17 anni, insomma fino al 2025!

Per i dettagli, si veda l’articolo al link seguente http://wattsupwiththat.com/2013/03/05/how-long-to-the-2425-solar-minimum/

Intanto, la previsione NASA http://solarscience.msfc.nasa.gov/images/ssn_predict_l.gif ci dice che il massimo starebbe per terminare. Dunque, se corretta, i primi chiari segnali di declino dovrebbero verificarsi nel corso del 2014.

 

Sunspot number per emisfero e conclusioni

Questo ciclo 24 è sicuramente una grande occasione per il mondo scientifico in quanto ci offre la possibilità di studiare “in diretta” situazioni che fino ad ora avevamo potuto solamente immaginare o “ricostruire” attraverso simulazioni, dati proxy e modelli matematici: molto probabilmente, e non siamo solo noi a dirlo, ci troveremo ad affrontare un periodo (forse anche relativamente “lungo”) di attività solare molto più bassa rispetto a quella a cui, in qualche modo, eravamo abituati.

Che questo ciclo fosse lontano da quella presupposta “normalità” di cui abbiamo più volte parlato ne avevamo sentore già da prima che il profondo ultimo minimo solare terminasse. La progressione dell’autunno 2011 aveva dato una parvenza di “normalità”. Gennaio 2012 ed in particolare Febbraio hanno fatto segnare un crollo che ha confermato la debolezza del ciclo. Il più recenti picchi isolati di Luglio 2012 e di Gennaio e Aprile/Maggio 2013, pur inaspettati, non hanno modificato il quadro complessivo. Da Agosto a Novembre abbiamo assistito a mesi senza “acuti” e con il netto calo del SSN. Infine, l’intensa attività degli ultimi 5 mesi ha restituito una temporanea vitalità ad un ciclo che sembrava destinato ad un lungo inesorabile declino. L’emisfero Nord, dopo l’inversione di polarità, sta mostrando come previsto un fisiologico calo (il massimo fu raggiunto a settembre 2011, con un SSN emisferico di 41,29). Invece l’emisfero Sud, dopo un periodo di sostanziale stabilità ha ripreso la sua rampa di ascesa verso un nuovo massimo relativo, “sorpassando”, per effetto degli ultimi mesi di maggiore attività, il livello di attività dell’emisfero nord: attualmente abbiamo un nuovo massimo provvisorio con un valore pari a 44,75, tendente ad aumentare ancora. Anche in questo caso però, stante l’inversione di polarità in corso e forse già conclusa, ci si attende presto un declino di attività.  SC24 progres

Che cosa ci riserverà il ciclo nei prossimi mesi? Dopo il secondo massimo, è ragionevole attendersi i primi chiari segnali di declino.

Vi lasciamo con un grafico che evidenzia l’andamento dell’attività solare in base al SSN: in blu la curva relativa al sole nel suo complesso, in rosso ed in verde lo stesso indice preso in considerazione rispettivamente per emisfero Nord e Sud. Si nota chiaramente il declino dell’emisfero Nord e la sostanziale prepotente crescita di quello Sud dopo la lunga stasi  seguita all’ascesa iniziale. SSN tot +N+S

Restate sintonizzati per i prossimi aggiornamenti!

 

Apuano 70 e FabioDue

Effetto vortice polare canadese su i ghiacci dello stretto di Davis

La discesa dei ghiacci artici sta per prendere il via, allora mi sono detto perchè non torniamo proprio a parlare dei ghiacci dell’emisfero nord. Da noi (Italia) si scrive a caretteri cubitali che è stato un non Inverno, ma da altre parti…. leggete un pò…

La sottopopolazione degli orsi polari dello stretto di Davis, si dice che sia ‘vulnerabile’ ai presunti effetti del riscaldamento globale, perché, come per la Baia di Hudson, i ghiacci marini dello stretto di Davis  si ritirano ogni estate, lasciando gli orsi polari sulla terra per diversi mesi.

Tuttavia, la popolazione degli orsi dello stretto di Davis è già stata conteggiata, aggiornata allo stato ‘stabile’, secondo l’ultima tabella del (2013),  rilasciata dal Polar Bear Specialist Group dell’IUCN (vedi la mappa di confine per Stretto di Davis riportata sopra). I recenti sviluppi del ghiaccio marino nella regione possono solo migliorare quest’ultima valutazione. Infatti, sembra che il ghiaccio marino dello Stretto di Davis sia ben superiore alla norma per questo periodo dell’anno, secondo quanto si scrive in un recente annuncio da parte del Canadian Ice Service (CIS).

E’ del 10% superiore alla media, un dato superiore a quello che è stato in 25 anni.

“Il servizio di monitoraggio dei ghiacci canadese, riferisce che c’è un ben 10 per cento in più di ghiaccio quest’anno, rispetto alla media di 30 anni. Probabilmente non abbiamo vissuto un inverno così brutto, per quanto riguarda il ghiaccio per gli ultimi 25 anni”, ha detto Voight, riferendosi sia alla quantità e lo spessore del ghiaccio.

http://ca.news.yahoo.com/coast-guard-warns-bad-ice-atlantic-canada-ships-173704122.html

Il Dr.Susan Crockford, amministratrice della piattaforma, continua la sua analisi e riferisce, come ha sottolineato di recente, che il ghiaccio del mare di Barents è sotto la media quest’anno, una condizione dovuta in gran parte a variazioni naturali dell’atlantico, si veda l’indice (AMO), ma è maggiore nell’atlantico occidentale. Poi c’è il ghiaccio del mare di Okhotsk che è sotto la media, ma li non ci sono orsi polari. 🙂

Per concludere si nota bene che c’è un sacco di ghiaccio intorno al Labrador e Terranova, comunque.

Sulla piattaforma della Dott.Crockford, sono presenti anche ulteriori mappe NSIDC di 25 anni fa (1989), e 35 anni fa (1979 e primi anni 1980), per un logico confronto e termine di paragone, con la situazione presente.

Fonte : http://polarbearscience.com/2014/03/13/davis-strait-polar-bear-habitat-higher-now-than-in-1979-and-early-1980s/

Michele

Credete che finisca quì ?

Riprendo un segnalazione lasciata dal nostro Fano, in un precente articolo, per comunicarvi l’uscita di una nuova carta, che verrà pubblicata sul Journal of Atmospheric and Solar-Terrestrial Physics. Carta, realizzata dal professore Sverre Holm del dipartimento di informatica dell’università di Oslo, http://arxiv.org/pdf/1307.1086.pdf
e che a mio modesto parere, si aggiunge a tutta un’altra serie di lavori scientifici, costruiti ad”hoc“, in quest’ultimo anno e mezzo, per gettare dubbi, caos e quant’altro….non solo su i lavori di Nicola Scafetta, ma anche su tutto quel palco di lavori scientifici, che nicola o altri ricercatori, hanno realizzato e che evidenziano una chiara ciclicità naturale che interessa tutto l’assetto climatico del nostro pianeta.
Sappiamo tutti quanto sia estremamente complesso sviscerare da un punto di vista matematico la sola variabilità climatica del nostro pianeta, immaginatevi quando ci mettiamo dentro i pianeti, il Sole e il complesso gioco di forze mareali elettromagnetiche e gravitazionali…

Prima che la carta venisse pubblicata sul blog di Antony watts, Sverre Holm, pubblica questo articolo, sul suo blog e getta una frase che dal mio modesto punto di vista e molto significativa e chiarisce molto bene la vera problematica che circonda l’attuale metodo scientifico e lo studio di queste tematiche :

http://blogg.uio.no/mn/ifi/innovasjonsteknologi/content/hvor-ble-det-av-sammenhengen-mellom-sola-og-klima

Jeg er jo ingen klimaforsker, men jeg har jobbet mye med sammenhenger mellom signaler.

Che tradotto significa :

Io non sono uno scienziato del clima, ma ho lavorato molto con le correlazioni tra segnali

Questo articolo non ha la pretesa di lanciare un sasso contro il lavoro strettamente matematico e sicuramente significativo del prof.Sverre Holm, nella quale si legge

La periodicità presunta di circa 30 anni nella carta di Scafetta (2010) non è davvero
presentare nella serie clima e potrebbe essere un artefatto dovuto a una combinazione
del modello di sovradattamento e dovuto a sbavature all’assunzione di invarianze temporali sui dati,

ma probabilmente affermare che Sverre Holm ha ragione, ma che Scafetta non ha torto …. 🙂

Forse …. se il prof.Sverre Holm allargasse gli studi alla climatologia, astronomia etc….le cose cambierebbero…ma siamo proprio sicuri che abbia vero interesse nel cercare la riposta (il vero ricercatore) al perchè del ciclo di 60 anni ? mmmhhh…..

P.S. Si veda i riferimenti

 

Riferimenti :

http://www.nature.com/ncomms/journal/v2/n2/full/ncomms1186.html
Here, we show that distinct, ~55- to 70-year oscillations characterized the North Atlantic ocean-atmosphere variability over the past 8,000 years.

http://www.fao.org/docrep/005/y2787e/y2787e01.pdf
The same 60-70 year periodicity has also been characteristic for the long-term dynamics of some climatic
and biological indices for the last 150 years (Klyashtorin 1998).

http://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/17451000802512283
Long-term changes of Atlantic spring-spawning herring and Northeast Arctic cod commercial stocks also show 50–70-year fluctuations that are synchronous with the fluctuations of climatic indices.

http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0273117713005474
The intensity of the vortex was found to reveal a roughly 60-year periodicity affecting the evolution of the large-scale atmospheric circulation and the character of SA/GCR effects.

http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1029/2012GL052885/abstract
The phase of the 60-year oscillation found in the tide gauge records is such that sea level in the North Atlantic, western North Pacific, Indian Ocean, and western South Pacific has been increasing since 1985–1990.

http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1029/1999JD900461/abstract
The first mode is oscillatory, with t in the narrow range 60–80 years. The spatial pattern of this multidecadal mode implies coherent oscillations over Europe and over northeastern North America, with maximum amplitudes in Europe; over northwestern North America this mode is absent.

http://www.nature.com/nature/journal/v367/n6465/abs/367723a0.html
Singular spectrum analysis of the surface temperature records for 11 geographical regions shows that the 65–70-year oscillation is the statistical result of 50–88-year oscillations for the North Atlantic Ocean and its bounding Northern Hemisphere continents.

http://www.terrapub.co.jp/journals/JO/pdf/5801/58010035.pdf
While 20th Century PDO fluctuations were most energetic in two general periodicities—one from 15-to-25 years, and the other from 50-to-70 years—the mechanisms causing PDO variability remain unclear.

Poi ci sarebbe anche un passato lavoro pubblicato su climatemonitor (vedi immagine in apertura) con relativa formula e segnali da sviscerare ….

y=∑A*cos(2*∏*(x-x0)/T-p)

http://www.climatemonitor.it/?p=31974

 

 

Michele