Archivio mensile:Settembre 2015

Studi suggeriscono che il Sole innesca i grandi terremoti

Sulla base di due documenti, che saranno pubblicati il 5 ottobre sulla rivista online NCGT, il sole sta provocando i terremoti più funesti del pianeta, tra cui, il recente terremoto di magnitudo M8.3, occorso in Cile, il 16 settembre 2015. I documenti, che a breve verrano presentati, si concentrano sulle fluttuazioni dell’attività del campo magnetico del sole. In queste due carte, è stata trovata una relazione statisticamente significativa tra i terremoti di magnitudo M8 + e gli estremi e capovolgimenti del campo magnetico polare del sole.

Il team di ricercatori, ha annunciato i risultati nel mese di agosto 2014, e recentemente ha utilizzato i metodi proposti in questo studio, per fornire la prova che un recente grande terremoto si adatta ai modelli riportati nello studio. Nei primi mesi del 2014, il team del Dottor Christopher Holloman, ricercatore statistico presso la Consulting Service Ohio State University, è stato in grado di costruire un modello che espone un accordo molto forte tra il magnetismo solare e il verificarsi dei grandi terremoti. Il Dr. Holloman ha avvertito che la sperimentazione formale del modello può essere effettuata solo esaminando le sue prestazioni nel corso dei prossimi anni, ma i risultati sono sufficienti per suggerire che esiste probabilmente un rapporto tra i campi magnetici polari del sole, associati con il nord e il polo sud del sole, e i grandi terremoti. Abbiamo anche un evento successivo che sembra comportarsi con quanto riportato nello studio iniziale. Infatti, la data finale del nostro studio è coincisa con il disastroso terremoto in Cile. Speriamo di presentare anche altre pubblicazioni, nel quale riportare, in modo più dettagliato, gli eventi del 2016.

“Questo tipo di conferma è solo il primo passo, ma è certamente positivo”, osserva l’autore Ben Davidson dello SpaceWeatherNews LLC. Il secondo documento è stato presentato dal solo Davidson, ed in esso ci si è limitati all’analisi del terremoto Cile per accompagnare lo studio iniziale.

“L’aspetto più sorprendente del modello è che è, per la maggior parte, relativamente semplice” dice il Dott. Holloman. I risultati osservati nei campi magnetici solari non sono il risultato dell’applicazione di alcune funzioni matematiche oscure. L’algoritmo è basato su picchi, depressioni nei cicli solari o forza assoluta di uno dei poli, in un particolare momento. Questi semplici modelli sono più spesso predittivo rispetto ai modelli più complessi.

La relazione qui descritta e che “ci può essere collegamento elettrico tra la Terra e il Sole”, secondo il dottor Kongpop U-yen. Guardando il set completo di dati, non è difficile per chiunque vedere che c’è una connessione. Per essere sicuri dei nostri risultati abbiamo anche eseguito una verifica di questa scoperta con un’analisi statistica. Si ritiene inoltre di aver compiuto una mossa importante nell’integrare elementi sia elettromagnetici che elettrostatici nel discorso generale, e di aver compiuto un deciso progresso nelle indagini.

Gli studi suggeriscono anche che il campo magnetico interplanetario è associato con i buchi coronali alle basse latitudine, in particolare con le strutture dei buchi coronali polari, e possono anche fornire percorsi di approfondimento, insieme a modi alternativi per monitorare questa attività del campo, come ad esempio l’intensità del vento solare, associata ai buchi coronali. Commentando ulteriormente la semplicità dell’algoritmo, Davidson osserva, “Guardare agli estremi del magnetismo e all’inversione della polarità – in realtà è abbastanza semplice.”

Entrambi i documenti, saranno pubblicati nel prossimo numero della rivista Nuovi concetti di tettonica globale –NCGT- , disponibile il 5 ottobre 2015, e la discussione sul trigger solare su i terremoti farà parte della prossima discussione presso l’Osservatorio di frontiera a Pittsburgh, il 17 ottobre e il 18, il 2015.

 

Fonte : http://spaceweathernews.com/studies-suggest-sun-triggers-massive-earthquakes/

Piccoli ma …

Termiti

Termiti e anidride carbonica i fatti :

• Le termiti, all’anno , producono più anidride carbonica (CO2) che di tutti gli esseri viventi combinati.

• Gli scienziati hanno calcolato che le termiti producono (in un anno) biossido di carbonio dieci volte tanto i combustibili fossili bruciati in tutto il mondo .

• libbra per libbra, il peso di tutte le termiti nel mondo è maggiore del peso totale di tutti gli esseri umani.

• Gli scienziati, stimano che in tutto il mondo (in un anno) , le termiti possono rilasciare più di 150 milioni di tonnellate di gas metano in atmosfera. Nella nostra atmosfera inferiore questo metano reagisce per formare biossido di carbonio e ozono.

• Si stima, che per ogni essere umano sulla Terra ci possono essere di 1000 libbre di termiti.

• Le termiti, in media espellono gas composto da circa : 59% di azoto, 21% di idrogeno, 9% di anidride carbonica, 7% di metano e 4% di ossigeno.

• Si pensa che ci siano 2.600 diverse specie di termiti, e si stima che ci siano almeno un milione di miliardi singoli termiti sulla Terra, che emettono il 2/4% del biossido di carbonio globale e metano, rispettivamente, sia mediata direttamente o indirettamente dai microbi.

• Le termiti mangiano la cellulosa, ma non possono digerire senza l’aiuto di microrganismi nel loro intestino. I protozoo unicellulari sono gli organismi primari che spezzano i legami e che trasformano la cellulosa in unità di glucosio, e da lì, le termiti possono rompere i legami di glucosio, liberare energia, e dare via all’anidride carbonica e l’acqua.

• La rivista Science riporta che le termiti ogni anno generano più di due volte tanto di biossido di carbonio come l’umanità non brucia combustibili fossili. Una specie di termiti emette annualmente 600.000 tonnellate di acido formico in atmosfera, un importo pari al contributo combinato di automobili, rifiuti di combustione e di vegetazione.

• I danni causati dagli insetti che distruggono il legno ha un importante effetto economico. A livello nazionale, il costo del controllo e la riparazione del danno si avvicina ai 5 miliardi di dollari all’anno; la spesa in California e alle Hawaii supera 1 miliardo all’anno (Brier et al., 1988, Su e Scheffrahn 1990). In California, le termiti sotterranee sono responsabili di più del 95% di tutti i costi derivanti dagli insetti che distruggono il legno (Brier 1987 Rust et al. 1988). Il danno dalle termiti è più comune nel sud della California (Wilcox 1979).

Fonte : http://termitedetector.com/detection.cfm

Le Alpi nel medioevo

Il 18 Agosto 2015 riportavo questa nota sul mio profilo Fb :

https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10207842698094192&set=a.10201172870992683.1073741825.1497457597&type=1

Verres

La vacanze estive finiscono e la ricerca sul web inizia, in cerca di possibili conferme …

………….

La ricerca :  I grandi valichi valdostani in età medioevale alla luce delle moderne concezioni di climatologia

di Cerutti Augusta Vittoria

doi : 10.3406/globe.1985.1198

La storia délla Valle d’Aosta è essenzialmente la storia dei suoi valichi. Il solco della Dora Baltea, pur essendo cinto dai monti più alti d’Europa (Monte Bianco 4.810 m., Cervino 4.478 m.. Monte Rosa 4.633 m.) svolge attraverso i tempi la funzione di canale dei traffici fra il Mediterraneo e l’Europe Centro-Occidentale grazie ai profondi corridoi vallivi e alle larghe selle di trasfluenza che i ghiacciai pleistocenici incisero nella potente massa
montuosa. I passi più conosciuti e più frequentati sono il Piccolo San Bernardo e il Gran San Bernardo che mettono rispettivamente nella alta Valle dell’lsère e nella Valle dell’Entremont, tributaria dei Rodano Vallesano. Essi conservano testimonianze di frequentazione fin dalle età preistoriche e protostoriche. Nelle condizioni climatiche attuali questi passi (che hanno rispettivamente l’altitudine di 2.188 e 2.473 m.) sono innevati per otto, nove mesi l’anno e pertanto è logico chiedersi come potevano in passato garantire una regolare via di transito. Si noti che attraverso i valichi valdostani, durante il medioevo non si svolgevano soltanto transumanze di armenti o traffici locali ma veri e propri itinerari commerciali che provenivano dalla penisola italiana ed erano diretti nei secoli XII et XIII alle grandi fiere dello Champagne, in quelli XII e XVI a quelle di Ginevra e nei secoli XV-XVI a quelle di Lione (BERCIER, 1980, p. 199 e seg.).

Solo i moderni studi della climatologia storica possono dare una valida risposta a questa domanda. Le ricerche sui documenti d’archivio accostate in questi ultimi trenta anni a quelle dendrologiche, palinologiche e glaciologiche hanno messo in luce variazioni climatiche tali da influire fortemente sulla vita e la attività umana, soprattutto nelle zone che, come l’alta montagna e le elevate latitudini, sono poste sulla frontiera dell’ ecumene
(PINNA, 1969). Infatti persistendo per qualche decennio una variazione média annua positiva o negativa di uno o due gradi della temperatura o di alcune decine di millimetri di piovosità in queste zone marginali l’innevamento diventa abbastanza brève da permettere lo sviluppo dei ciclo vegetativo delle fondamentali piante alimentari e la transitabilità delle strade per la maggior parte dell’anno, oppure cosi lungo da impedirli.

La variazione di due gradi di temperatura média annua corrisponde allo spostamento di trecento metri dei limiti altitudinali delle colture, dei boschi, dei pascoli e delle nevi perenni e di conseguenza alla perdita o all’acquisto di centinaia di ettari di territorio utilizzabili ai fini econimici. Per quanto riguarda la transitabilità dei valichi, oltre alla temperatura média annua, grande importanza ha la quantité di neve e il periodo di innevamento; infatti negli anni poco nevosi i passi sono transitabili per un periodo più lungo. Oggi al Gran San Bernardo l’innevamento dura in média 255 giorni (JANIN, 1970, p. 49) ed al Piccolo 210 (JANIN, 1980, p. 34).
Con temperature meno severe e minore quantità di neve l’innevamento potrebbe ridursi rispettivamente a meno di 200 et 160 giorni. Il più attento studioso delle variazioni climatiche in Valle d’Aosta è Umberto Monterin. Nato nel 1887 a d’Ejolo un villagio dell’alta valle di Cressoney posto all’altitudine di 1.850 m., docente universitario, glaciologo e geologo insigne, direttore degli osservatori scientifici del Monte Rosa posti alle quote di 3.000 e di 4.500 metri, egli approfondi fin dagli anni 20 le ricerche di climatologia alpina attuale e storica. Nel 1937 dette alle stampe un opéra dal titolo “II clima delle Alpi ha mutato in epoca storica ?” in cui con metodo rigorosamente scientifico precorre le attuali ricerche.

In questa opéra egli, sulla scorta dell’esame di tronchi su-fossili ritrovati molto al di sopra del limite attuale del bosco, stabilisce che in epoca medioevale, nelle valli del Monte Rosa, pinete ed abetaie raggiungevano l ‘altitudine di non meno di 2.500 m. Inoltre l’esame degli antichi canali di irrigazione esistenti in Val d’Ayas e in Valle di Gressoney lo porta a concludere che in età medioevale i ghiacciai avevano una estensione assai più limitata dell’attuale e il clima non solo era più caldo ma anche notevolmente più secco.

Il grafico in allegato mostra l’andamento della cosiddetta “linea degli alberi”, cioè l’altezza massima alla quale possono crescere gli alberi di alto fusto sull’Arco Alpino (tratto da HH Lamb). Si deduce dal ritrovamento di piante fossili distribuite lungo l’Arco Alpino a varie altezze, che mostrano quella che era la quota di accrescimento nelle varie epoche climatiche. Ne deduciamo che nel 2500 a. C. le piante allignavano fino a 2100 metri di quota, in media, rappresentando il periodo climatico più caldo per le Alpi Svizzere ed Austriache degli ultimi 5000 anni! Ma ne deduciamo anche che nel Medioevo, attorno all’anno 1000, le piante ad alto fusto allignavano almeno 100-150 metri più in alto di adesso, con una differenza termica quindi superiore ad 1°C in più rispetto agli anni Duemila. Fonte : https://notalotofpeopleknowthat.wordpress.com/2014/06/22/alpine-tree-lines-offer-clues-to-mwp/

Infine, sulla scorta di numerosi documenti d’archivio lo studioso valdostano mette in luce che soltanto nel XVII e XVIII secolo vengono rilevate difficoltà di transito sui valichi più elevati per l’aumento delle masse glaciali mentre nei secoli precendenti gli stessi valichi (Passo di Monte More 2.862 m; Passo del Teodula 3.317 m.; Col Fenêtre de Durant 2.812 m.;
Col Collon 3.132 m.; Col d’Herin 3.480 m.) appaiono come normali vie di collegamento fra le valli contigue. Gli studi condotti dal geomorfologo austriaco Mayr sulla scorta della datazione al C14 delle torbe prelevate a Bunte Moor in Tirolo, presso la fronte del ghiacciaio di Fernau, hanno messo in luce che dopo la forte espansione glaciale dei secoli VI, VII e VIII corrispondenti ad un ‘epoca più fredda dell’attuale, attorno al 750 d.C. il clima cominciô a migliorare (LE ROY LADURIE, 1967, p. 240).

Di decennio in decennio il limite polare e altimetrico delle coltivazioni si estese; i passi alpini si fecero transitabili per un periodo annuale sempre più lungo e la vita in montagna cambiò in modo sostanziale. Con il trascorrere del tempo il miglioramento climatico andrà facendosi sempre più évidente e, salvo un cinquantennio freddo posto fra il termine del secolo XII e l’inizio del XIII perdurera fino a meta del secolo XVI dando luogo a quello
che viene chiamato “l’optimum climatico del Basso Medioevo” (BERGIER, 1980, p. 173).

In quegli anni il clima doveva essera tanto mite da assicurare la transitabilità
degli alti valichi per la maggior parte dell’anno. Non si spiegherebbe
diversamente la decisione di San Bernardo di fondare l’ospizio sul valico
stesso all’altitudine di ben 2.470 m. s.l.m. e non sulla via di accesso corne
era stato per l’Abbazia carolingia di Bourg St. Pierre.

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Il lavoro continua al seguente link : http://www.persee.fr/web/revues/home/prescript/article/globe_0398-3412_1985_num_125_1_1198

Nuove prospettive per le previsioni climatiche nel lungo termine ?

Il ciclo naturale di 11 anni dell’attività solare sta apparentemente influenzando nel lungo termine, le fluttuazioni climatiche nell’emisfero settentrionale. Un team internazionale di scienziati del centro Helmholtz GEOMAR ha dimostrato che la cosiddetta North Atlantic Oscillation (NAO), uno dei modelli di circolazione dominanti dell’emisfero settentrionale, è bloccato in fase con la decennale attività solare e con un ritardo che va da uno a due anni. Lo studio, è stato presentato recentemente sulla rivista internazionale Nature Communications. La carta : http://www.nature.com/ncomms/2015/150915/ncomms9268/full/ncomms9268.html

Le previsioni climatiche per periodi di diversi anni sono affidabili ? Oppure lo sono solo per brevi periodi di più giorni? Un nuovo studio condotto da scienziati del centro GEOMAR ha rilevato che il noto ciclo di 11 anni dell’attività solare influisce sullo sviluppo, nel lungo termine,  dei sistemi di pressione su larga scala nell’emisfero settentrionale.

Per le loro indagini gli scienziati hanno usato un accoppiato modello oceano-atmosfera. Inoltre, questo modello comprende un modulo interattivo chimico che può ad esempio far fronte con l’effetto della radiazione ultravioletta (UV) nell’atmosfera. Questo componente aggiuntivo sembrerebbe essere fondamentale per la trasmissione delle variazioni della radiazione solare che potrebbero avere solo un piccolo impatto diretto sulla superficie terrestre, attraverso un meccanismo complesso dalla stratosfera (10-50 km di quota) alla bassa atmosfera.

“Abbiamo effettuato diversi esperimenti”, dice il Dott Rémi Thiéblemont del GEOMAR, autore principale dello studio. “Abbiamo condotto esperimenti su modello che ricopre un periodo di 145 anni, con e senza l’influenza dell’attività solare”. L’influenza del sole potrebbe chiaramente essere individuata nella cosiddetta North Atlantic Oscillation, che è grosso modo la differenza di pressione tra le Azzorre e l’islanda. Il rapporto tra questi due sistemi di pressione spesso determina il tempo in Europa per periodi di tempo più lunghi, ad esempio se i mesi invernali saranno caldi e tempestosi o freddi e nevosi. I ricercatori hanno scoperto un intervallo di tempo tra le variazioni della irradianza solare e modelli della pressione atmosferica, di circa uno o due anni, che possono essere spiegati attraverso l’interazione tra l’atmosfera e l’oceano. Confrontando i due esperimenti con o senza attività solare, i ricercatori sono stati in grado di dimostrare per la prima volta che l’irraggiamento solare funge da fase di aggancio per l’oscillazione del Nord Atlantico. In questo contesto, un aumento della prevedibilità della fase NAO decennale può essere previsto.

Serie temporali dell'attività solare (in basso) e la North Atlantic Oscillation in due simulazioni del modello, senza (blu) e con (giallo) forcing solare. Credit: Grafica, GEOMAR.

“Il fatto che la circolazione nell’alta atmosfera risponde in modo significativo alle fluttuazioni solari, è già noto”, dice il Prof. Dr. Katja Matthes, promotore e co-autore dello studio della GEOMAR. “Con questo nuovo studio, possiamo dimostrare la trasmissione del segnale alla superficie terrestre e la sua interazione con l’oceano, e d’altra parte si può dimostrare l’importanza delle reazioni chimiche nell’accoppiamento“. Finora, la maggior parte dei modelli climatici globali non hanno né una risoluzione sufficiente nella stratosfera né componenti chimici interattivi. “Anche se l’effetto solare sul North Atlantic Oscillation spiega solo una piccola percentuale della varianza totale, la stretta relazione tra l’attività solare e la fase della North Atlantic Oscillation è un indicatore importante per migliorare la prevedibilità della variabilità del clima”, secondo quanto dice il dottor Thiéblemont.

C’è ancora molta strada da fare, per avere successo nelle previsioni ed avere una certa affidabilità nel lungo termine, fino a un decennio.

Tuttavia, per avere successo è importante comprendere le fluttuazioni solari, così conclude il professor Matthes.

 

Fonte : http://phys.org/news/2015-09-perspectives-long-term-climate.html