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Natale 2012: prime linee di tendenza

 

Sta per arrivare il Natale e come ogni anno ci chiediamo come sarà il tempo durante le festività natalizie: farà caldo, farà freddo, pioverà nevicherà ecc..Di certo la tradizione non è dalla nostra parte, visto che il periodo non è quello migliore per assistere a grosse ondate di freddo. Vediamo insieme se quest’anno, oltre a vivere un Natale in bianco, potremo godere di un bianco Natale.
Ovviamente la distanza temporale è a dir poco proibitiva, ed è impossibile valutare le esatte vicende meteorologiche a livello locale. Pertanto ci limiteremo a tracciare delle possibili linee di tendenza, facendo riferimento principalmente ai movimenti atmosferici a livello emisferico.
Per inquadrare l’evoluzione futura è sicuramente utile partire analizzando la situazione passata e presente. In questo modo ci possiamo rendere conto che siamo interessati da tempo da un unica grande dinamica, ancora largamente in corso. L’incipit della dinamica è stato l’innesco di una poderosa wave 1 (onda pacifica) al termine di novembre, in seguito alla dislocazione di un ramo del VPS sul comparto siberiano:

 

 

Questa situazione, davvero notevole visto il periodo molto prematuro, è stata favorita senz’altro da un Nino ovest-based in fase di piena maturazione (vedi anche passaggi MJO) nonché da un innevamento siberiano da livelli record. Inoltre, almeno nella fase iniziale, l’azione dell’onda pacifica è stata ben accompagnata dall’opposta onda atlantica (wave 2), andando quasi a “splittare”(dividere) il Vortice Polare (VP), sino alle quote medio-basse. Tale circostanza ha avuto come conseguenza principale quella di ridurre di molto l’intensità delle velocità zonali in seno al medio-basso VP, rendendolo così più “malleabile” alle azioni forzanti troposferiche.
La fase successiva ha visto un displacement (spostamento-dislocazione) del VP verso il comparto russo-europeo, proprio a causa dell’intensa azione spingente a carico dell’anticiclone stratosferico delle Aleutine (wave 1) ed un contemporaneo tentativo di ripristino, da parte della stratosfera, dell’omogeneità termica e geopotenziale su tutta la colonna (vista la consistente disparità instauratasi alle diverse quote). Tali circostanze sono ben descritte dalla seguente immagine:

 

 

Nella maggior parte dei frangenti, quando si verificano azioni da displacement di questo tipo, si ha come risposta un rafforzamento della getto in Atlantico, con conseguente ripresa del flusso zonale sull’Europa. Tuttavia il mantenimento di una decisa azione forzante troposferica (favorita anche da un anticiclone siberiano quanto mai pimpante), lo status debole dei venti zonali alle quote medio basse nonché l’allentamento dei geopotenziali in area Pacifica, ha favorito in questi giorni una nuova ellitticizzazione del basso VP con asse particolarmente favorevole. Tale impianto sta provocando in queste ore lo scivolamento sull’Europa, attraverso movimenti retrogradi, di masse d’aria gelida di natura polare.
Nel frattempo, l’alto VPS si presenta così:

 

 

Notate come esso, a differenza del basso VP, si presenti molto più compatto nonchè decisamente disassato, ovvero fuori dalla sua sede di origine che è indicata con G (questo ad opera del precedente displacement, molto più consistente alle alte quote), testimoniando ancora un discreto disaccoppiamento tra le basse e le alte quote . In queste condizioni l’alto VPS sarà soggetto ad un forte momento angolare, che lo porterà ad impattare con veemenza sulla Siberia-Asia orientale (freccia rossa). Alle basse quote tale movimento sarà assorbito in due step:

1) ulteriore rotazione d’asse del VPT con conseguente invadenza del canadese ed occlusione dell’onda atlantica (tale circostanza impedirà una completa penetrazione delle correnti gelide sull’Italia, scongiurando una seconda parte di dicembre dai connotati “storici”;

2) migrazione dei centri principali di vorticità verso il comparto russo-siberiano.

Durante l’intera dinamica, il VPT riuscirà a mantenersi discretamente ellitticizzato (segno di un’azione forzante troposferica sempre molto attiva). Proprio questa circostanza, dopo una brevissima pausa, potrebbe consentire il mantenimento di una debole e bassissima circolazione antizonale “fresca” (periodo dal 15-18 dicembre):

 

 

Tuttavia l’eccessiva invadenza del Canadese (eccessiva rotazione d’asse del VPT), potrebbe abbassare di troppo la direttrice della suddetta circolazione retrograda, con conseguente apporto di aria mite atlantica sul nostro paese.
Invece nella fase successiva, l’ormai completo decentramento dei centri di vorticità sulla Siberia, potrebbe facilitare, nel corso dell’ulteriore “ovvia” rotazione del VP, una rapida impennata dell’azzorre con veloce discesa artica sull’Europa (intorno al 19-21 dicembre):

 

 

A quest’evento, nonostante la distanza temporale molto elevata (oltre 10 giorni), do una probabilità di riuscita abbastanza elevata, in quanto conseguenza di una dinamica molto valida nonché logica.
Tornando alle quote più elevate, il forte impatto del VPS nell’area “altamente energetica” della Siberia/Pacifico occidentale (vedi dinamica sopra esposta), sarà certamente causa di una ripresa dei flussi di calore alle alte quote (ep-flux nuovamente convergente) con conseguente riscaldamento dell’alto VPS:

 

 

Tale dinamica se confermata potrebbe segnare l’incipit di un primo deciso stratwarming e di una ripresa molto energetica della wave 1 alle alte quote:

 

 

Ed è proprio da questo momento in poi che la situazione si fa molto più incerta in quanto è possibile che l’atmosfera intraprenda strade anche molto diverse. Di queste ve ne illustro brevemente due:

1) al termine della lunghissima manovra di rotazione (che come abbiamo visto parte da molto lontano), alle quote medio basse riesce a verificarsi un nuova parziale migrazione dei centri di vorticità dalla Siberia al Canada, grazie ad un anticiclone delle Aleutine non troppo invadente in area Canadese. In questo caso si verificherebbe, proprio in coincidenza del Natale, un affondo gelido sugli States con risalita del PNA e conseguente nuova discesa artica sull’Europa:

 

 

In questo caso le probabilità di assistere ad un bianco Natale su diverse zone del paese (con il centro-nord in prima fila) non sarebbero poi così remote. E’ da considerare inoltre che la direttrice di tale affondo potrebbe essere molto più obliqua (da nord est) con coinvolgimento più consistente di tutto il paese. Ma la cosa più importante è che, se andasse in porto tale dinamica, nel periodo successivo, contemporaneamente alla migrazione delle masse polari sul Canada, si realizzerebbe una discreta ripartenza della wave 2 anche alle quote superiori, che insieme all’azione della wave 1 andrebbe a chiudere a tenaglia il VP. In altre parole si andrebbe incontro ad un principio di split che potrebbe culminare orientativamente nel corso della prima decade di gennaio.

2) al termine della manovra di rotazione, a causa della permanenza di elevati geopotenziali sul Canada, i centri di vorticità tornerebbero ad invadere il settore Atlantico, con conseguente rafforzamento del getto sul comparto europeo, che verrebbe così sferzato da correnti miti zonali:

 

 

Inoltre in questo caso si andrebbe incontro nuovamente ad una manovra di rotazione (sicuramente più rapida), con nuovo riscaldamento stratosferico a partire dal comparto siberiano/Pacifico occidentale. A livello europeo, si assisterebbe sicuramente alla persistenza di clima mite di matrice atlantica almeno sino ad inizio gennaio.

Ovviamente si tratta di due visioni antipodiche (permettetemi questa licenza), e le varianti intermedie sono infinite. Inoltre come detto in fase di premessa, stiamo parlando di una linea di tendenza che non può tenere conto di fattori a carattere locale (es: esatta direttrice delle discese artiche, posizionamento dei minimi, ecc..) che però hanno un importanza cruciale per le sorti meteo del nostra bellissima Italia. Infine come emerge chiaramente, tale la linea di tendenza diviene molto meno affidabile proprio a partire dal Natale. Per quanto detto ritengo che proprio a cavallo del 25 dicembre possa verificarsi un passaggio cruciale per le sorti meteo di buona parte delle festività. Ma avremo sicuramente modo di tornare sull’analisi alla luce dei nuovi aggiornamenti. Per ora non mi resta che augurarvi, con netto anticipo, un felice e sereno Natale.

 

L’articolo contiene anche degli spunti e riflessioni emerse nel corso di piacevolissime discussioni intrattenute con gli utenti del forum di “Centro Meteo Toscana”, con particolare riferimento a Cloover, even e batstef. A nome di tutto il popolo di NIA, è doveroso un ringraziamento nei loro confronti.

 

Riccardo

L’INVERNO CHE VERRÀ (Parte II)

Procediamo con il nostro studio teleconnetivo in vista dell’ormai imminente inverno 2012-2013. Come anticipato al termine della Parte precedente, in questa occasione ci occuperemo di ciclo ENSO e di un “inedito” predictor invernale scoperto di recente e conosciuto come SAI index.

 

CICLO ENSO

Anche in questo caso la situazione attuale sembra abbastanza ingarbugliata in quanto, a differenza di molti altri anni, non si ha un chiaro evento di Nino o di Nina. Nello specifico, dopo essere stati interessati in estate (soprattutto nella prima parte) da un chiaro evento di Nino, la condizione attuale è di difficile interpretazione. Ancora una volta, per cercare di sbrogliare la matassa, facciamo affidamento alla “pura teoria”.
Molti studi recenti hanno dimostrato che non esiste un solo “canonico” tipo di Nino. Ad esempio, il Professor Ashok, insieme ad altri ricercatori del “Department of Earth and Planetary Science”, ha mostrato che in alcuni casi si possono verificare anomali eventi di riscaldamento nel Pacifico equatoriale centrale , i quali si distinguono dai tradizionali eventi di Nino. Questi eventi sono stati denominati come “El Nino Modoki events” (dove “Modoki” è una classica parola giapponese con cui si intende “una cosa simile, ma diversa”). Tale “modello” di Nino è molto diverso da quelli classico: esso infatti prevede un riscaldamento sopra il Pacifico equatoriale centrale con centri freddi disposti lungo l’equatore su entrambi i lati del centro caldo. Nella stessa ricerca è stato inoltre dimostrato che questi particolari eventi di Nino tendono ad influenzare le temperatura e le precipitazioni in più molte parti del mondo in maniera molto diversa dai convenzionali eventi di Nino.

In una ricerca successiva (2008), i Professori Seong Kug e Fei Jin della “School of Ocean and Earth Science and Technology, University of Hawaii” insieme al ricercatore Soon Il An del “Department of Atmospheric Sciences, Yonsei University, Seoul”, hanno studiato un “ulteriore” tipologia di Nino avente il centro delle anomalie positive ancora più spostate verso ovest, nei pressi della Western Pacific Warm Pool (Piscina calda pacifica). Per tale ragione questi tipi di eventi vengono definiti come “El Nino Warm Pool events” (Nino WP) . L’immagine che segue costituisce una catalogazione secondo le tre tipologie di alcuni eventi di Nino che si sono avuti dal 1970 in avanti:

 

 

Nella colonna centrale troviamo gli eventi di Nino convenzionale: essi sono caratterizzati da forti anomalie positive delle SST nel Pacifico orientale, che si estendono verso il Pacifico centrale. Per questi eventi, le SST in Nino 3 (zona orientale) costituiscono un adeguato indice per misurarne l’intensità.
Nelle altre due colonne troviamo gli eventi anomali di Nino (anomali in quanto diversi da quello convenzionale), caratterizzati da un centro di azione molto shiftato ad ovest. Nello specifico si ha che:

• negli eventi della colonna di destra il centro d’azione si colloca esattamente al centro del Pacifico. Pertanto, per questi eventi, le SST in Nino 3.4 (zona centrale) costituiscono un adeguato indice per misurarne l’intensità;

• negli eventi della colonna di sinistra il centro d’azione si ha ancora più ad ovest, sulla porzione occidentale del pacifico. In particolare, il cuore dell’anomalia positiva si colloca tra la linea di data internazionale (180º meridiano) ed il 150º meridiano. Pertanto, per questi eventi, le SST in Nino 4 (zona occidentale) costituiscono un adeguato indice per misurarne l’intensità.

Prima di procedere con la trattazione, cerchiamo di capire in quale “fascia” è possibile collocare la situazione ENSO attuale. A questo scopo riportiamo una carta che ritrae le anomalie termiche superficiali (SSTA) previste per il corrente mese di novembre:

 

 

Come si può facilmente constatare, l’anomalia positiva principale è esattamente collocata tra il 180º ed il 150º meridiano: pertanto possiamo affermare che abbiamo a che fare con un evento di Nino del tipo Nino WP.

Una completa trattazione circa le caratteristiche e gli effetti di un Nino WP richiederebbe uno spazio eccessivo. Ci limitiamo pertanto ad esporre in maniera sintetica quelle che sono le principali caratteristiche e le più importanti differenze tra gli eventi convenzionali di Nino e quelli “anomali” di Nino WP.

1) Anzi tutto la principale anomalia consiste nella presenza di due anomale celle di circolazione di Walker nella troposfera. Il ramo ascendente congiunto di queste celle è situato nel Pacifico equatoriale centro-occidentale (tale circostanza è più evidente nel caso di Nino Midoki in cui il ramo ascendente è piazzato sul Pacifico centrale), mentre i due rami discendenti si collocano ai due estremi dell’oceano stesso. Questo modello a doppia cella costituisce una marcata differenza dal modello a cella singola che si ha nel tipico caso di Nina. Nel caso di Nino convenzionale, soprattutto se accompagnato da forti anomalie positive sui settori orientali, si osserva una soppressione della circolazione di tipo Walker su gran parte del Pacifico;

2) Le anomalie precipitative, così come quelle termiche, rispecchiano a pieno lo schema di funzionamento a doppia cella sopra illustrato. Infatti, sul ramo ascendente si sviluppano anomalie termiche e precipitative positive, mentre sui rami discendenti le anomalie risultano lievemente negative e/o neutrali. Per quanto riguarda la ventilazione, a differenza del caso di Nino convenzionale “monocella”, il centro dell’anomalo vento zonale si trova ancora shiftato ad ovest e risulta più piccolo in magnitudo ed inoltre appaiono anomali venti orientali sul Pacifico orientale (tale circostanza si verifica normalmente nel corso degli episodi di Nina). Come è noto, i venti orientali sono in grado di sopprimere il riscaldamento superficiale sul Pacifico orientale a causa dei fenomeni di upwellings, provocando la soppressione dell’attività convettiva.

La cosa senz’altro più interessante consiste nell’ esaminare nel dettaglio le caratteristiche e l’intensità dei movimenti verticali (attività convettiva ) nel caso di Nino WP, sottolineando le differenze rispetto al Nino convenzionale. Ebbene, a questo proposito è stato osservato che l’intensità del movimento verticale (convenzione) risulta paragonabile tra il Nino WP ed il Nino convenzionale, nonostante il valore massimo di quest’ultimo sia mediamente 1,5 volte più grande di quello del Nino WP (l’anomalia SST massima del Nino convenzionale è circa tre volte quella del Nino WP, come mostrato nella prima Figura). Questa “strana” circostanza si verifica perché le SSTA positive del Pacifico centro-occidentale risultano molto più efficaci nell’ indurre anomala convezione rispetto al Pacifico orientale, anche a causa della natura più calda di queste acque (siamo nei pressi della piscina calda).
In riferimento all’ultimo concetto espresso, emerge chiaramente l’importanza di guardare alla dislocazione delle anomalie ed al valore assoluto delle temperature superficiali SST (anziché solo all’intensità complessiva delle SSTA come fanno in molti). Nel caso in esame, poiché le acque presso la piscina calda occidentale sono di per se molto più calde rispetto a quelle orientali, una loro anomalia positiva, anche se piccola, può avere una grossa valenza in termini di ripercussioni meteo-climatiche. Infatti, una doppia cella di walker con ramo ascendente collocato sul Pacifico centro-occidentale, è in grado di sviluppare intensi moti ascensionali (elevata convenzione). Tale circostanza, durante l’inverno boreale, è in grado di amplificare gli effetti della Rossby wave train con conseguente indebolimento del Vortice Polare Stratosferico e riduzione della velocità del getto.

 


La presente immagine ritrae le SST oceaniche. Notate come le temperature presse il Pacifico occidentale siano molto elevate nonostante le modeste anomalie (SSTA) positive.

 

Infine, la presenza di una discreta circolazione di Walker (che nel caso di Nino convenzionale east-based risulta soppressa) ed il conseguente rinforzo sul Pacifico orientale degli alisei di nord-est porta, sul vicino atlantico, ad un rafforzamento dell’anticiclone oceanico delle Azzorre. Questo fattore potrebbe senz’altro favorire una maggiore tenuta dei blocchi atlantici nel corso delle discese fredde da nord, scongiurando in parte situazioni simili a quelle vissute nel corso dell’inverno 2009-.2010.

In definitiva, dalla presente analisi emerge chiaramente che la situazione attuale ENSO risulta abbastanza positiva in quanto favorevole ad un “incremento” dei flussi di calore nell’ambito della stratosfera polare (NAM–). Inoltre, il particolare schema circolatorio sull’oceano Pacifico (doppia cella di Walker), potrebbe maggiormente favorire una discreta forza dell’azzorriano, incrementando così la possibilità che le discese fredde/gelide possano interessare anche il nostro paese (e non solo i paesi nord-occidentali europei). Ad oggi, le maggiori perplessità riguardano la tenuta di una simile configurazione termico-pressoria (e quindi circolatoria) sullo stesso Pacifico. A questo proposito i forecast attuali depongono a favore di un’ulteriore eccessiva occidentalizzazione delle anomalie positive già dalla fine di dicembre, con conseguente raffreddamento del Pacifico centro-occidentale. Dal punto di vista circolatorio, una simile evoluzione corrisponderebbe ad uno spostamento verso occidente del ramo ascendente della cella di Walker (che si andrebbe a piazzare sull’arcipelago indonesiano), segno evidente di una ripartenza di una lieve Nina. Tuttavia ritengo che la favorevole condizione di Nino WP, seppur debole, possa protrarsi almeno sino a metà gennaio. È evidente però che in riferimento alla parte finale dell’inverno (mese di febbraio), vista anche la notevole distanza temporale, la situazione risulta più incerta, anche se nei sopracitati dai sopracitati studi emerge che nei casi di Nino Midoki/Nino WP difficilmente riesce a partire un rapidamente un importante fenomeno di Nina.

 

SNOW COVER SIBERIANO

Come ultimo parametro predittivo consideriamo lo snow cover euroasiatico registrato nel precedente mese di ottobre. Difatti la quantità delle precipitazioni nevose che si manifestano nella prima parte dell’autunno sul comparto siberiano, costituisce un elemento in grado di “interferire” con la circolazione atmosferica nel trimestre invernale successivo.
Come indice rappresentativo dello snow cover utilizziamo lo “Snow Advance Index” (SAI), che misura il tasso di incremento della copertura nevosa sul comparto euroasiaco al di sotto del 60° parallelo nel corso del mese di ottobre. Nello specifico il SAI corrisponde al coefficiente angolare (pendenza) della retta di regressione ottenuta applicando il metodo dei minimo quadrati sui valori giornalieri dell’incremento di copertura nevosa. La scelta di considerare questo particolare indice non è affatto casuale: in uno studio a condotto nel 2011 dai ricercatori J. Cohen e J. Jones dell’ “Atmospheric and Environmental Research, Lexington” , è stata riscontrata l’esistenza di una forte correlazione tra il SAI ottobrino e l’indice AO (Arctic Oscillation) dell’inverno successivo. In particolare i risultati della ricerca mostrano che, quando il SAI ottobrino è elevato (intense precipitazioni nevose sull’Eurasia), il Vortice Polare (VP) tende a risultare molto più disturbato nel corso dell’inverno successivo (AO negativo). Al contrario, quando a fine ottobre il SAI è basso (scarse precipitazioni nevose sull’Eurasia), nell’inverno successivo il VP si presenta mediamente più compatto (AO positivo).
L’immagine che segue rappresenta la correlazione tra l’indice SAI, calcolato su base giornaliera, ed il valore medio dell’ indice AO valutato sul trimestre invernale successivo, per il periodo compreso tra il 1998 ed il 2011 (nella figura l’indice SAI è moltiplicato per -1 in quanto la correlazione è in antifase):

 

 

Come si vede la correlazione è pari a 0.859 e dunque molto forte. Inoltre dallo stesso grafico si può notare come al record campionario dell’indice SAI (2009), corrisponda il valore record negativo dell’AO index.
In mancanza di una serie storica diretta dei valori giornalieri SAI antecedente al 1998, per poter disporre di un campione più “corposo”, i ricercatori hanno dovuto ricostruire il SAI utilizzando i valori settimanali dell’ SCE (valore assoluto della copertura nevosa derivante dalla caduta di neve). Ovviamente l’indice SAI “ricostruito” su scala settimanale costituisce un valore meno affidabile rispetto alla sua misura diretta giornaliera. Nonostante questo la correlazione con l’indice per il periodo dal 1975 ad oggi rimane su valori accettabili (circa 0.63). La bontà di questo risultato è confermata dal fatto che il calcolo eseguito sul periodo 1998-2011 utilizzando un campione ricostruito allo stesso modo (utilizzando i valori settimanali SCE), sul restituisce valori simili (0.6). Ciò suggerisce che, il calcolo eseguito sui valori giornalieri diretti del SAI per l’intero periodo dal 1975 ad oggi, avrebbe portato ad un coefficiente di correlazione sempre molto alto (0.8-0.9). Tra l’altro, in riferimento a questo nuovo campione, ai due anni record di estensione della copertura nevosa ottobrina, spettano i valori più bassi di sempre dell’indice AO: stiamo parlando delle stagioni 1976-1977 e 2009-2010.

Tra l’altro si possono anche intuire parzialmente le ragioni fisiche di una simile correlazione. Difatti, la presenza di un estesa copertura di neve già nel mese di ottobre a latitudini relativamente basse (sotto il 60° parallelo), porta alla prematura formazione di un forte anticiclone termine. La presenza di quest’ultimo costituisce per l’emisfero boreale un ulteriore elemento in grado di “perturbare” la corrente a getto. Pertanto, un po’ come fanno le Montagne Rocciose in America, l’anticiclone termico favorisce l’ aumento dell’attività delle onde onde di Rossby, con conseguente incremento dei disturbi ai danni del VPS nella prima parte della stagione invernale (quando sul polo è totalmente assente la radiazione solare). Per quanto visto nella parte precedente, l’incremento della propagazione dei flussi in stratosfera (ep-flux), comporta l’attivazione di retroazioni positive in grado di rafforzare la Brewer-Dobson circolazionion (BDC), con tutte le conseguenze del caso.

Una volta capito che l’incremento dell’ “october snow cover siberiano” costituisce uno dei migliori predictor per l’intensità del “polar night jet”, vediamo come sono andate le cose nell’appena concluso ottobre 2012.
Per prima cosa cerchiamo un riscontro visivo attraverso l’immagine satellitare risalente 31 ottobre:

 

 

Da questa si vede facilmente che la copertura nevosa sulla Siberia al termine del mese si presente insolitamente estesa, con ottima diffusione alle latitudini più basse e buona propagazione anche sul comparto europeo.
Per un monitoraggio più accurato riportiamo poi il grafico contenente la retta di interpolazione che fornisce il complessivo SAI valutato su scala giornaliera:

 

 

Dalla sua analisi si denota chiaramente che, in “termini incrementali” (SAI), siamo esattamente sui livelli del 2009 (retta verde e rossa sono parallele) e del 1976, mentre in termini assoluti siamo anche sopra al 2009 (retta verde traslata verso l’alto rispetto a quella rossa). In definitiva, in riferimento all’ultimo trentennio, il 2012 si piazza tranquillamente sul podio dei record.

Termina qui la trattazione in vista dell’inverno 2012-2013. Alla luce della nostra analisi appare più che e mai evidente come il quadro teleconnettivo di partenza risulti decisamente favorevole allo sviluppo di discese fredde sul comparto europeo. In realtà le “premesse iniziali”, per quanto visto, non escludono che possano verificarsi episodi anche molto rilevanti, confermando così il trend intrapreso negli ultimi inverni.
Ma adesso siete voi che, alla luce delle nuove conoscenze acquisite, dovrete trarre le vostre conclusioni in merito a quello che ancora ad oggi rappresenta “l’inverno che verrà”.

 

Riccardo e Zambo

L’INVERNO CHE VERRÀ (Parte I)

 
É tempo di inverno, è tempo di freddo, è tempo di previsioni meteo. E già perché, esattamente come all’inizio della primavera, stagione degli amori, anche agli albori della stagione del freddo e dei freddofili , si percepisce nell’ “aria” un grande fermento. É proprio questo infatti il periodo i cui, nei “locali della meteo”, impazzano le discussioni tra chi è smanioso di sapere come sarà l’inverno e chi cerca di rispondere tracciando la “retta via”. Ed è arrivato il momento in cui, anche il popolo di NIA, dica la propria in merito a quello che ad oggi rappresenta ancora “l’inverno che verrà”. E Proprio per ottenere un vostro maggiore coinvolgimento, a differenza dello scorso anno, eviterò di fare un “monologo personale e soggettivo”. L’intento è infatti quello di realizzare una trattazione molto didattica, in maniera tale che tutti possiate avere gli strumenti adatti per riuscire ad “inquadrare” la prossima stagione invernale ed esprimere così un vostro parere. Insomma quest’anno, in vista di inverno potenzialmente interessante, voglio proporre qualcosa di diverso, al fine di costruire insieme a tutti voi una buona previsione.
 
Procediamo quindi con lo studio ed il monitoraggio dei principali fenomeni in grado influenzare l’andamento della stagione invernale sul vecchio continente.

 
ATTIVITÀ SOLARE e QBO
Per quanto riguarda l’attività solare, la situazione è abbastanza in bilico e pertanto di difficile interpretazione. Sappiamo infatti che l’attività del nostro astro, pur trovandosi “nei pressi” della fase di massimo, si mantiene su valori relativamente bassi, con il solar flux che oscilla quasi periodicamente da mesi tra 100 e 140. Per cercare di inquadrare meglio la “situazione sole”, cerchiamo di capire alcuni dei meccanismi attraverso i quali l’attività solare influenza la circolazione atmosferica terrestre, facendo riferimento al top della ricerca mondiale (Durkenton, Hood, Labitzke, Salby e Callaghan ecc..).
La direzione e l’intensità dei venti stratosferici tropo-equatoriali ricoprono un ruolo fondamentale nella modulazione del Vortice Polare invernale (VP), e dunque del clima alle medie latitudini. La testimonianza diretta di ciò deriva dalla Quasi Biennal Oscillation (QBO), che corrisponde proprio ad un’oscillazione periodica dei venti stratosferici nell’ambito della fascia tropicale: l’andamento di questi venti, come ben noto, costituisce uno dei principali “regolatori” d’intensità del VP. Ora, senza entrare troppo nel dettaglio (torneremo a parlare di questi interessanti argomenti in una più appropriata sede), negli ultimissimi anni è stato individuato un meccanismo attraverso il quale l’attività solare riesce ad influenzare l’andamento e la forza dei venti stratosferici equatoriali, interferendo così pesantemente sulla forza del VP. Detto meccanismo si basa sulla variazione delle emissioni dei raggi ultravioletti tra massimo e minimo solare e sulla sua interazione con il ciclo di produzione dell’ozono stratosferico. A questo proposito è necessario chiarire preliminarmente due concetti fondamentali:
 
1) in riferimento alla radiazione solare, l’unica frazione che varia “pesantemente” tra massimo e minimo solare è quella ultravioletta (anche 6-7 punti percentuali), mentre tutte le altre frazioni tendono a variare di quantità nettamente inferiori (il TSI nei cicli del XX secolo al più dello 0.1%).


La presente figura mostra l’intensità delle emissioni ultraviolette (raggi UV) nel corso dei ciclo 22 e 23. Come si vede, tra massimo e minimo solare, si riscontrano variazioni significative (dell’ordine del 6%).

Tale circostanza ha portato i maggiori centri di ricerca mondiale a focalizzare l’attenzione sulla radiazione ultravioletta per spiegare i mutamenti climatici a brevissimo termine che si verificano nell’emisfero boreale negli anni caratterizzati da bassa attività solare (come accaduto negli ultimi anni);
 
2) la maggior parte della produzione di ozono si verifica nella stratosfera tropicale, dove è più forte ed è sempre presente la radiazione solare. L’ozono è creato in questa regione in quanto è qui che il sole, presente tutto il giorno e per l’intero anno, è più intenso: i flussi solari (raggi UV) rompono le molecole di ossigeno (O2) in atomi di ossigeno (O), che reagiscono rapidamente con altre molecole di O2 per formare l’ozono (O3). Tutte queste reazioni, che sono altamente esotermiche, portano al riscaldamento radiativo dell’alta stratosfera tropicale, laddove si trova la principale zona di formazione dell’ozono. La conseguenza principale del riscaldamento radiativo è il gradiente termico positivo all’aumentare dell’altezza (a differenza di quanto avviene in troposfera), e dunque un aumento della stabilità della stratosfera stessa.

In definitiva, la riduzione della quantità di radiazione ultravioletta che si verifica negli anni di bassa attività solare, è causa di un riduzione del riscaldamento radiativo: ciò rende la stratosfera più fredda ed instabile (si riduce il gradiente termico positivo all’aumentare dell’altezza). Tale circostanza, attraverso il legame col vento termico, produce un indebolimento del vento zonale (U) nella mesosfera-alta stratosfera tropicale, andando ad interagire con il regime westerly della SAO (semi annual-wind oscillation), che proprio nei mesi in cui si forma il vortice polare stratosferico raggiunge il suo massimo valore (ottobre-novembre). L’anomalo indebolimento della SAO è molto importante per le seguenti ragioni:

è stato osservato che l’indebolimento dei venti stratosferici zonali nell’ alta stratosfera tropicale è associato ad un indebolimento dei venti zonali in seno al Vortice Polare Stratosferico (VPS), proprio durante il periodo in cui si registra il loro massimo (solstizio d’inverno). In altre parole è stato osservato statisticamente che, quando i venti zonali nella mesosfera/alta stratosfera tropicale sono meno intensi, il VPS tende ad essere più debole nella prima parte dell’inverno;

esiste una relazione tra il regime della SAO e quello della QBO. Nello specifico, negli anni di QBO negativa, l’indebolimento della SAO produce, sull’intera colonna stratosferica, venti easterly di maggiore intensità (valore assoluto della QBO più elevato) con conseguente aumento della durata della fase. Non è un caso che tutti gli episodi di QBO fortemente negativa (valori inferiori a -23/-24) sono stati registrati solo negli anni di bassa attività solare. Queste circostanze (aumento di intensità e di durata) sono fondamentali, vista l’importanza che ricopre la QBO negativa nell’azione di disturbo ai danni del futuro Vortice Polare Stratosferico. A questo proposito si ricorda che, quando il regime dei venti stratosferici tropicale è orientale, gli easterlies tropicali tendono a restringere la larghezza della planetary wave-guide nella bassa stratosfera extratropicale, favorendone una maggiore ampiezza d’onda ed una minore velocità di fase. Il risultano è un aumento della propagazione d’onda nella stratosfera con conseguente riscaldamento e rallentamento del VPS.
 
La scoperta di queste dinamiche, nonostante costituisca un grosso passo in avanti nella comprensione dei fenomeni di “trasmissione” del segnale solare , non consente ancora di spiegare a pieno il reale meccanismo di accoppiamento tra alta stratosfera tropicale, bassa stratosfera-troposfera tropicale e stratosfera polare. Non è un caso che i modelli di simulazione (“GCM simulations”), pur mostrando risultati coerenti alle previsioni teoriche, presentano ancora delle sostanziali divergenze con le misurazioni sperimentali. Ciò induce a ritenere che vi siano ulteriori fenomeni retroattivi in grado di amplificare fortemente la risposta dell’atmosfera nei riguardi del primario segnale “fotochimico” indotto dalla varabile solare, svolgendo così un importante un ruolo di accoppiamento: tra questi figura sicuramente la Brewer-Dobson circolation (BDC).
In passato abbiamo già avuto modo di parlare di questa “affascinante” circolazione meridiana. Brevemente ricordiamo che la BDC, così chiamata per i suoi scopritori Brewer e Dobson, è una lenta circolazione emisferica agente a quote stratosferiche e disposta lungo i meridiani. Tale circolazione è responsabile del movimento di particelle d’aria dalle regioni equatoriali sino alle regioni polari ed è maggiormente attiva nell’emisfero nord. In particolare detta circolazione è caratterizzata da moti ascendenti nelle regioni equatoriali e da moti discendenti nelle zone extratropicali (soprattutto polari nell’emisfero boreale). L’azione della BDC produce alcuni effetti fondamentali:
 
• grazie al trasporto verticale e meridionale delle specie chimiche, tra cui principalmente l’ozono, la BDC influenza enormemente la chimica dell’atmosfera polare. Il trasporto di ozono verso il polo nord ricompre, tra le altre cose, una grande importanza per le sorti della seconda parte dell’inverno (metà gennaio in avanti), in quanto, con l’arrivo sul polo della prima radiazione solare, l’ozono presente assorbe la maggior parte della radiazione solare ultravioletta e la restituisce sotto forma di calore, favorendo lo sviluppo di fenomeni di stratwarming e rendendo il VPS più debole;

i moti verticali associati alla BDC hanno conseguenze importanti nella distribuzione delle temperature nella stratosfera. Addirittura, a causa dell’azione della BDC, la tropopausa tropicale è la regione più fredda nella troposfera e stratosfera. Questo perché l’aria in risalita ai tropici si raffredda per espansione adiabatica, portando le temperature tropicali della bassa stratosfera ben al di sotto della temperatura di equilibrio radiativo locale. A tal proposito, poiché la BDC è più forte durante l’inverno boreale, la forza della risalita d’aria (upwelling) nei tropici, e quindi la bassa temperatura della tropopausa tropo-equatoriale, presenta un ciclo annuale, con valori record durante l’inverno boreale. Al contrario, nella regione polare, l’aria discendente si riscalda per compressione adiabatica, portando le temperature nella stratosfera polare a diverse decine di gradi sopra l’equilibrio radiativo locale. Quest’ultima circostanza favorisce il riscaldamento ed una maggiore “instabilità” della stratosfera polare anche nelle prime fasi dell’inverno.
 

La figura costituisce una schematizzazione della BDC.
 
Lo schema di funzionamento della BDC è abbastanza complesso. In prima analisi ci si potrebbe aspettare un meccanismo tipo cella di Hadley, nel quale la circolazione trae origine dal riscaldamento solare ai tropici ed il raffreddamento nella regione polare ed è caratterizzato da un grande trasporto di aria calda ascendente (tropicale) verso le regioni più fredde (nelle quali l’aria ridiscende). In realtà la BDC risultata strettamente correlata all’azione delle onde planetarie (onde di Rossby) nella stratosfera extratropicale. Difatti, quando un’onda stazionaria planetaria raggiunge la stratosfera, deposita il suo momento esterly, decelerando la corrente a getto stratosferica invernale che è westerly. In queste occasioni il vortice polare rallenta e può anche essere spostato. La deposizione di quantità di moto est nella stratosfera polare ed il conseguente rallentamento del getto polare invernale è conosciuto come “breaking wave”. Tale circostanza produce per attrito il fenomeno del riscaldamento stratosferico improvviso. Il risultato è una situazione che è termodinamicamente squilibrata. A questo punto, per ripristinare l’equilibrio radiativo, a partire dall’alta stratosfera inizia rapidamente un processo di raffreddamento. Il raffreddamento dell’aria è accompagnato da movimenti di affondamento, dal momento che l’aria più fredda è più densa ed affonda. Ed è proprio questo movimento che stabilisce il movimento d’aria lungo i meridiani dall’equatore al polo nell’emisfero invernale. Infatti l’aria discendente nella regione polare deve essere bilanciato da un flusso di aria verso i in movimento verso i poli. Per requisiti di continuità di massa, questa aria deve venire dai tropici. La BDC costituisce dunque quella cella circolazione in cui l’aria tropicale muove verso i poli per sostituire l’aria discendente ai poli.

Ora che abbiamo più chiaro uno dei meccanismi principali con cui l’attività solare, insieme alla QBO, modula l’intensità del getto polare, siamo sicuramente in grado di inquadrare meglio la situazione attuale. Infatti abbiamo capito che, per riuscire a decifrare l’attuale “rebus solare”, il parametro che bisogna monitorare con particolare attenzione è l’intensità della radiazione ultravioletta in arrivo sulla terra. Per far questo consideriamo i flussi a frequenze d’onda pari al 205 nm, in quanto sono quelli che riescono a penetrare fino alla quota di 30 km, ovvero fino alla zona di confine tra la mesosfera e l’alta stratosfera tropicale (è questa la quota dove si registra la massima produzione di ozono).
Di seguito si riporta quindi un grafico dal quale è possibile desumere l’andamento dei raggi UV in riferimento all’ultimo anno:
 

 
Per riuscire a “quantificare” l’intensità attuale dei flussi, utilizziamo come raffronto l’andamento dei raggi UV registrato durante il minimo solare a cavallo tra i cicli 22 e 23 (1995-1996):
 

 
Come si può ben vedere siamo praticamente sugli stessi livelli, pertanto possiamo affermare con discreta sicurezza che la situazione attuale può essere considerata più da minimo che da massimo solare.
In risposta a tale andamento dei raggi UV, la QBO sta facendo segnare dei valori negativi di tutto rispetto. Nello specifico, in riferimento alla quota di 30 hPa, per due mesi consecutivi (luglio ed agosto) è stato segnato un valore quasi da record (-28), mentre nella fase successiva (settembre-ottobre), nonostante il superamento del picco, la QBO si è mantenuta comunque su livelli molto bassi (intorno a -25). E’ probabile inoltre che l’attuale ciclo della QBO negativa risulti particolarmente lungo. Infatti, sempre in riferimento alla quota di 30 hPa, se il cambio di segno si avrà a febbraio (come è lecito aspettarsi), l’attuale ciclo risulterà composto da ben 18 mesi consecutivi di regime easterly (QBO-). Per quanto riguarda invece la QBO alla quota di 50hPa, è cosa praticamente certa che il cambio di segno avverrà ad inverno ultimato. Quindi possiamo concludere che, anche per quanto riguarda la QBO, la situazione in vista dell’inverno risulta decisamente positiva.
Infine, sempre in riferimento alla QBO, ci tenevo a farvi notare che la situazione attuale è molto simile a quella avuta nel biennio 1984-1985. Anche in quel frangente la QBO a 30hpa faceva segnare un picco significativo (ancora -28) al termine dell’estate (in quel caso nel mese di settembre). Ovviamente non possiamo considerare questa informazione come indicativa circa l’andamento del prossimo inverno, ma sicuramente si tratta di una “coincidenza” da tenere d’occhio, considerando soprattutto che anche in quel periodo l’attività solare si presentava debole.

Termina qui la prima parte dello studio teleconnettivo per l’inverno 2012-2013. Nella parte seguente procederemo analizzando altri fondamentali indici predittivi (tra cui il ciclo ENSO), in modo tale da avere una più completa visione in merito all’inverno che verrà.

 

Riccardo e Zambo

IL POLO NORD SI SCIOGLIE E LA COLPA È SOLO……. (PARTE III)

 

Nell’appuntamento precedente abbiamo imparato a conoscere questo nuovo schema circolatorio, caratterizzato da una struttura dipolare e noto per questo come pattern Artctic Dipole. Questo è misurato attraverso un indice che corrisponde al gradiente pressorio tra la fascia artica siberiana (con centro sul Mar di Kara) e la zona Canadese-Groenlandese (DA index). In breve, quando si verifica un forte episodio DA+, la circolazione sul polo (in generale su tutto l’emisfero boreale), subisce un cambiamento radicale, con una forte accelerazione dei venti meridionali di provenienza pacifica ed un incremento dei venti settentrionali sul settore atlantico-europeo. Tale circostanza determina un fortissimo aumento dei flussi di calore pacifici direttamente sul polo, con conseguente accelerazione della velocità di fusione estiva della banchisa artica. Abbiamo infine visto i risultati di studi sperimentali (modello PIOMA in primis), in quali dimostrano inequivocabilmente che l’orientamento e l’entità del pattern DA+ sono la chiave per capire e prevedere la diminuzione di ghiaccio marino nel bacino artico.

Nella terza ed ultima parte del presente lavoro cerchiamo di individuare i fenomeni che regolano l’evoluzione e l’intensità del DA pattern, e di conseguenza dei ghiacci marini artici estivi.
A tale scopo partiamo facendo delle considerazioni a carattere prettamente intuitivo, basandoci sulla seguente immagine che ritrae l’andamento del DA index dal 1980 ad oggi:

 

 

Guardando a questo grafico infatti, c’è una cosa che balza subito all’occhio: il mutamento più radicale della circolazione sul polo lo si è avuto a partire dal 2005-2006. Questo ci suggerisce di pensare che anche il fenomeno che regola il DA pattern (e dunque la circolazione sul polo) abbia subito un cambiamento consistente proprio a partire da quel periodo. Ora, tra tutti i (pochi) fenomeni in grado di forzare pesantemente la circolazione atmosferica a scala emisferica (e dunque polare), ce n’è uno in particolare che ha subito un pesante stravolgimento nel periodo di riferimento: l’attività solare. Questo fattore potrebbe indurci a pensare che il principale attore in “questa commedia” sia il sole. Vediamo ora se riusciamo a trovare delle prove in grado di supportare l’ipotesi dettata dall’intuizione.
Anzi tutto, facendo ancora riferimento al medesimo grafico, possiamo osservare come il trend al rialzo del DA sia iniziato, in maniera lenta e graduale, a partire dalla seconda metà degli anni 90. Se guardiamo ora alla storia recente del sole, ci accorgiamo che un primo calo dell’attività si sia registrato proprio nel medesimo periodo, a causa di un ciclo solare (ciclo 23) sottotono rispetto ai precedenti:

 

 

Altre prove a favore della nostra tesi derivano dalla ricerca scientifica mondiale. Difatti sono moltissimi gli studi condotti dai più autorevoli centri di ricerca che dimostrano come la bassa attività solare sia in grado di apportare, anche a breve termine, mutamenti significativi negli schemi circolatori più importanti. Nello specifico è stato in più occasioni dimostrato come la bassa attività solare porta le figura bariche dominanti ad assumere anomale posizioni in grado di accentuare fortemente gli scambi meridiani tra medie ed alte latitudini. Ad esempio è stato ampiamente verificato che, quando il sole si mantiene su bassi livelli attività, tende ad aumentare considerevolmente la frequenza di notevoli episodi da pattern NAO–. Ora, per chi non l’avesse ancora capito, il pattern NAO– risulta strettamente correlato con il pattern DA+.
Per riassumere, la scienza ufficiale ha correlato, in diverse occasioni e con successo, la bassa attività solare con i più famosi pattern favorevoli ad un rafforzamento degli scambi meridiani tra le medie e le alte latitudini (AO– NAO– ecc..). Il fatto che non si sia ancora fatto esplicito riferimento (almeno secondo le nostre conoscenze) al legame bassa attività solare-pattern DA+, potrebbe risiedere semplicemente nel fatto che, proprio il pattern DA+ , è stato individuato solo di recente (ma non si escludono altre motivazioni …..).
Al contrario, sebbene sia comprovata la capacità delle emissioni antropiche (gas serra) di alterare le temperature globali, non esistono studi rilevanti che hanno trovato dei rapporti di causa-effetto tra emissioni di gas serra ed andamento dei più importanti pattern atmosferici (come pattern AO, NAO ecc..). Solo i clorofluorocarburi (CFC) possono influire sulla circolazione polare per via della loro efficacia nella deplezione dell’ozono stratosferico. In questo caso però si parla di un rafforzamento del Vortice Polare (si tratta dunque dell’effetto opposto). Infine, sempre a questo proposito, ammesso per assurdo che esista una debole correlazione tra quantità di emissioni di gas serra e “tipologia” di circolazione sul polo, per giustificare lo stravolgimento circolatorio registrato tra il 2004 ed il 2007, si dovrebbe ammettere che nell’arco di questo triennio le emissioni inquinanti siano aumentate di svariati ordini di grandezza.
Fino ad ora dunque tutti gli “indizi” portano a pensare che sia proprio l’attività solare a guidare l’evoluzione del DA pattern (e dunque dei ghiacci marini artici). Tuttavia manca ancora quella prova schiacciante, in grado di eliminare qualsiasi dubbio. In attesa che la “scienza ufficiale” arrivi a fornircela, noi abbiamo pensato di giocare in anticipo. Di seguito vi mostriamo i risultati di una ricerca da noi condotta in merito appunto alla presumibile relazione tra attività solare e DA pattern.

Lo studio è nato quasi per caso quando, guardando ai valori assunti negli ultimi 54 anni (dal 1959 in avanti) dall’indice DA, ci siamo accorti di una possibile relazione con l’andamento assunto dall’attività solare nel medesimo periodo. Si tratta dunque di uno studio a carattere statistico finalizzato alla valutazione di una potenziale correlazione tra andamento dell’attività solare ed il trend assunto dal DA pattern nel periodo di riferimento (come grandezza rappresentativa dell’attività solare si è fatto riferimento al Sunspot Number)
Per valutare gli andamenti complessivi dei due fenomeni (DA pattern ed attività solare), si è fatto ricorso ai metodi di interpolazione polinomiale. Nello specifico sono state utilizzate delle funzioni interpolanti polinomiali del medesimo ordine (polinomi del IV ordine). Di seguito vengono mostrati i grafici che rappresentano i risultati del processo di interpolazione:

 

DA- PATTERN TREND

 

SOLAR ACTIVITY TREND

 

Notate la perfetta corrispondenza tra la linea rossa, rappresentante il trend del DA pattern) e la linea verde, che invece esprime l’andamento dell’attività solare. Ovviamente, poiché le due funzioni sono in antifase (quando una cresce l’altra diminuisce e viceversa), al fine di visualizzare meglio corrispondenza, il grafico relativo all’attività solare è stato ribaltato.
Sebbene la sola analisi visiva tra le due interpolanti dia risultati più che confortanti, per ottenere una prova certa ed inconfutabile è necessario procedere con uno studio più raffinato, basato sui metodi dell’inferenza statistica. Nel caso in esame, per stabilire il grado di correlazione tra le due grandezze, si è proceduto calcolando, per il parco dati a disposizione (periodo di riferimento), la covarianza e dunque l’indice di correlazione di Pearson.
Brevemente, l’indice di correlazione di Pearson (o di Bravais-Pearson) consente di valutare il grado di correlazione tra due variabili aleatorie e dunque il loro rapporto di causa ed effetto, ammesso che non si tratti di una correlazione spuria (non è questo il nostro caso). Nello specifico, date due variabili aleatorie x ed y, l’indice di Pearson è definito come il rapporto tra la loro covarianza ed il prodotto delle deviazioni standard delle due variabili:

 

 

L’indice di Pearson può assumere valori compresi tra -1 ed 1. Ovviamente valori negativi indicano una correlazione inversa (come nel nostro caso), mentre valori positivi si ottengono per correlazioni dirette. Inoltre ambedue i valori estremi dell’intervallo rappresentano relazioni perfette tra le variabili, mentre il valore 0 si ottiene in assenza di relazione. Ovviamente nei casi pratici non si ottengono mai precisamente i valori estremali ed il valore 0. In generale, quando si ottengono valori bassi (vicini a zero) la correlazione è debole, mentre per valori superiori a 0.7 la correlazione comincia a divenire forte. Infine, per valori superiori a 0.9 la correlazione è fortissima per divenire perfetta quando si supera la soglia dello 0,95 (ovviamente lo stesso identico discorso vale per i valori negativi dell’indice).
Ora, senza girarci troppo attorno, eseguendo i calcoli sul parco dati a nostra disposizione, è venuto fuori un valore dell’indice di correlazione di Pearson che ci ha lasciato praticamente spiazzati: stiamo parlando di un valore prossimo a -0.97. In altre parole abbiamo riscontrato analiticamente una correlazione perfetta tra andamento dell’attività solare e DA pattern.

Chi ha un po’ di dimestichezza nella disciplina statistica sa bene che il coefficiente di correlazione di Pearson non misura l’intensità di una relazione qualunque, ma di una particolare relazione: stiamo parlando del tipo di correlazione più desiderata dagli studiosi, ovvero della relazione lineare tra due variabili.In altre parole, quando si ottengono valori molto elevati dell’indice di Pearson (come nel nostro caso), vuol dire che esiste una forte relazione di tipo lineare tra le due variabili. A questo punto, certi di un riscontro positivo e facendo ricorso al metodo dei minimi quadrati, abbiamo calcolato l’equazione della retta che esprime il legame tra attività solare ed indice DA.
In questo caso, per semplicità di calcolo, abbiamo eseguito lo studio su intervalli regolari di ampiezza prefissata (a livello concettuale non fa alcuna differenza):

 

 

Come si vede, ciascun intervallo temporale di riferimento va all’incirca dal massimo di un ciclo solare al massimo del ciclo successivo. Per ciascuno degli intervalli sono stati calcolati i valori medi del sunspot number e dell’indice DA:

 

Senza alcuna sorpresa si riscontra che i punti sperimentali (della tabella) si dispongono lungo una retta:

 

 

Utilizzando il metodo dei minimi quadrati è stata dedotta l’equazione analitica della suddetta retta:
y=ax+b
dove:
a=-8.22
b=38.86

Si può dunque concludere che:

1) l’arctic dipole pattern (DA) è la chiave fondamentale per capire e prevedere la diminuzione di ghiaccio marino nel bacino artico;

2) l’andamento medio dell’attività solare è perfettamente correlato con l’andamento del DA pattern; ciò implica che tra i due fenomeni esiste uno stretta relazione di causa ed effetto;
3) tale relazione è di tipo lineare;

4) poiché come detto, dall’andamento medio del DA pattern dipende l’andamento dell’estensione estiva della banchisa artica, si conclude che l’attività solare gioca un ruolo fondamentale nella modulazione dei ghiacci marini artici;

5) il presente studio non esclude in alcun modo l’influenza del riscaldamento globale di origine antropica nel processo di fusione dei ghiacci artici; quello che è stato inequivocabilmente dimostrato è che l’attività solare, modulando pesantemente la circolazione atmosferica sul polo, gioca un ruolo primario nell’evoluzione dell’estensione dei ghiacci marini artici (con riferimento al periodo estivo); per le stesse ragioni, è assolutamente indiscutibile che il crollo dell’attività solare (ciclo 24) abbia contribuito pesantemente nella decurtazione della banchisa artica avvenuto negli ultimi 7-8 anni.

Infine,nella presente trattazione il DA pattern è stato utilizzato per spiegare l’anomalo andamento dei ghiacci marini artici. Tuttavia, come già accennato, il cambiamento di questo indice corrisponde ad un mutamento generale della circolazione boreale sia in inverno che in estate, con notevole accentuazione degli scambi meridiani e conseguente raffreddamento delle medie latitudini. Pertanto, nel prossimo futuro, al fine do prevedere i cambiamenti climatici che interesseranno il continente europeo, risulterà fondamentale approfondire i meccanismi legati a questo tipo di circolazione nonché i suoi (certi) legami con l’attività solare.

 

Riccardo e Zambo

IL POLO NORD SI SCIOGLIE E LA COLPA È SOLO……. (PARTE II)

 

Nell’appuntamento precedente abbiamo visto che le sonde russe ed americane , poste presso lo stretto di Bering, hanno rilevato, nell’arco delle ultime stagioni estive, un anomalo incremento dei flussi d’acqua calda di provenienza pacifica entranti nel polo. Ci siamo quindi lasciati con un importante interrogativo:

• quale fenomeno può aver indotto uno stravolgimento così importante ed improvviso della circolazione oceanica interna e limitrofa al bacino artico?

Ebbene la risposta a tale quesito è molto semplice: negli ultimi dieci anni si è verificato un mutamento radicale della circolazione atmosferica nell’ambito del circolo polare artico (e non solo). Nello specifico, a partire proprio dal 2001, ha iniziato a prendere piede e a divenire sempre più frequente un particolare pattern atmosferico, fino ad allora molto raro: si tratta del pattern DA+ (“positive arctic dipole”). Tale fenomeno, come vedremo, è strettamente correlato (attraverso un preciso rapporto di causa-effetto), con l’anomalo incremento dei flussi d’acqua calda entranti nel polo attraverso Bering.
Per prima cosa cerchiamo di capire le caratteristiche essenziali di questo particolare schema circolatorio.
Il pattern DA+ è lo schema circolatorio in assoluto più efficace nel favorire lo sviluppo di intensi scambi termici meridiani tra polo e medie latitudini. La sua principale caratteristica, da cui deriva anche il nome, è la sua forma dipolare. A tal proposito, mentre l’AO pattern è contraddistinto da un unico centro anulare che copre l’intero artico , il DA pattern è formato da due centri d’azione, di cui uno ciclonico ed uno anticiclonico:

 


Figura 1: la figura schematizza i due pattern circolatori: AO pattern (colonna di sinistra) e DA pattern (colonna di destra. Per entrambi sono riportate le variazioni infrastagionali (molto più evidenti per il DA pattern).

 

Come si denota dalla presente immagine, in contrasto con l’anomalia del vento indotta dall’AO pattern (che è ciclonica o anticiclonica rispettivamente durante la sua fase positiva o negativa), l’anomalia del vento risultante dalla DA (freccia nera) è meridionale. Un’altra differenza tra i due pattern risiede nel fatto che il DA+ , a differenza dell’AO, tende a mutare nel corso dell’anno, per via della diversa inclinazione del dipolo.
Concentriamoci ora sul pattern DA+ estivo:

 


Figura 2

 

Come si vede, il Pattern DA+ estivo è caratterizzato dalla presenza di SLP positive (alta pressione) sull’Islanda, Groenlandia ed arcipelago Canadese, ed SLP negative (bassa pressione) sulle zone del Mar di Kara. Ora, come ben sappiamo, attorno ad un’ area di alta pressione i venti spirano in senso orario, mentre attorno ad un’area di bassa pressione spirano in senso antiorario: tra le due aree si sviluppano anomali venti meridionali la cui direttrice è quasi parallela allo stretto di Bering.
Nelle immagini che seguono viene schematicamente illustrata l’anomala ventilazione indotta dal pattern DA+ :

 


Figura 3

 


Figura 4

 

Le conseguenze dirette di questo tipo di circolazione sono facilmente prevedibili:

1) gli intensi venti meridionali di provenienza pacifica tendono ad erodere la banchisa artica a partire dai settori più occidentali (Mar di Chukchi), favorendo un incremento della velocità di assottigliamento dei ghiacci (tale aumento è addirittura pari a 0.5 m/mese). In generale dunque, i venti meridionali tendono ad eliminare il ghiaccio marino dal bacino artico, mentre una maggiore quantità di ghiaccio è spinta verso i settori atlantici (attraverso lo stretto di Fram);

2) i venti anomali, la cui direttrice è quasi parallela allo stretto dei Bering, spirando da sud verso nord, trasportano maggiori flussi di acqua calda pacifica attraverso lo stretto stesso. Ciò spiga l’anomalo incremento dei flussi di acqua calda entranti nel polo rilevato dalle sonde americane e russe. Tale fattore accelera ulteriormente il drastico assottigliamento dei ghiacci marini.

Volendo usare una similitudine non troppo elegante, il pattern DA+ si comporta come una centrifuga in grado di aspirare flussi di aria e di acqua calda dal Pacifico.

Tra gli effetti nocivi del pattern DA+ ce ne sono anche altri di tipo indiretto non di minor rilievo . A tal proposito, l’azione degli intensi flussi meridiani di calore, accelerando vistosamente la fusione della banchisa, favorisce, già al termine della primavera, un aumento consistente di area occupata da acqua libera e ghiaccio sottile. Tale circostanza consente, nel corso dell’intera stagione estiva, il riscaldamento solare su una superficie molto più ampia, innescando fenomeni di retroazione positiva associati alla riduzione dell’effetto albedo. L’aumento termico nel bacino artico dovuto a questo fenomeno di feedback ghiaccio-oceano da albedo, è stato stimato essere pari a ben 5 °C.
Per quanto detto sin ora, l’entità della fusione estiva dei ghiacci marini artici, non dipende solo dall’intensità del dipolo artico, ma anche dal suo orientamento. Per capire questo, facciamo riferimento alla seguente figura in cui vengono messi a confronto i pattern DA+ registrati negli ultimi anni (dal 2007 al 2010):

 


Figura 5

 

Sebbene tutte le estati prese in considerazione siano state caratterizzate da un pattern DA+ molto forte, si possono notare delle differenze:

• anche se le anomalie del vento nel 2007 erano in magnitudo più grandi rispetto al 2008 (freccia nera più spessa) , l’orientamento per entrambi gli anni è stato più favorevole al trasporto calore dalla porta pacifica. Al termine di queste due estati si sono registrati i valori più bassi di estensione della banchisa artica (in riferimento al campione analizzato);

• le anomalie del vento nel 2007 e nel 2010 hanno grandezza simile e risultano entrambi più grandi di quelle registrate nel 2008. Tuttavia, l’orientamento delle anomalie eoliche nel 2010 è meno favorevole al “trasporto” di ghiaccio al di fuori dalla regione artica. Ed infatti al termine dell’estate 2010 è stata misurata un estensione della banchisa maggiore rispetto al 2007 ed al 2008;

• il pattern DA+ avuto nell’estate 2009 è il meno favorevole alla fusione dei ghiacci marini, in quanto le anomalie dei venti meridionali ad esso associate risultano più deboli e mal orientate (quasi trasversali allo stretto di Bering). Nell’estate 2009 si è registrata l’estensione massima del post 2007.

A questo punto, capito il funzionamento di questo particolare schema barico, risulta interessante capire come esso si sia evoluto nel tempo. In altre parole servirebbe uno studio finalizzato a valutare la “variazione media” del pattern DA nel corso degli anni. Per far questo abbiamo pensato di utilizzare il programma “Telemappa”, ideato e sviluppato da Andrea e presentato su NIA qualche mese addietro:

 

http://daltonsminima.altervista.org/?p=21833

 

Con l’ausilio di Telemappa e sfruttando gli archivi storici NCEP, siamo riusciti a ricostruire l’andamento medio dei geopotenziali sul bacino artico, in riferimento alle due aree di interesse (cerchio rosso e cerchio blu in Fig. 3). Facendo una semplice differenza tra i geopotenziali relativi alle due aree è stato possibile ricavare, per ogni anno (estate), il valore assunto dall’indice DA. Dopodichè, utilizzando i metodi di interpolazione polinomiale, è stato tracciato il trend assunto dal DA pattern nell’ultimo trentennio (nello specifico è stata utilizzata, come funzione interpolante, una polinomiale del IV ordine):

 


Figura 6

 

Dall’ “andamento medio” dell’indice DA (linea rossa), emerge chiaramente il cambiamento significativo di pattern atmosferico che ha interessato il polo negli ultimi 30 anni (addirittura si passa da un valore medio di -5 ad un valore di +5). Questi numeri, tradotti in termini pratici, stanno a significare un totale stravolgimento della circolazione atmosferica in sede artica (e di conseguenza anche di quella oceanica).
Per “testare” poi l’importanza del pattern DA sulla fusione dei ghiacci artici, basta confrontare la figura precedente con il trend di estensione della banchisa artica estiva nello stesso periodo di riferimento:

 


Figura 7: “evoluzione media nel tempo” dell’estensione minima estiva della banchisa artica. Il diagramma è rovesciato per consentire un diretto raffronto diretto con l’andamento del DA pattern (tale necessità deriva dal fatto che le due grandezze sono inversamente proporzionali: all’aumentare dell’indice DA tende a diminuire l’estensione di ghiaccio marino).

 

Il grafico è ovviamente capovolto per consentire una migliore percezione visiva della somiglianza tra i due andamenti. Notate come la curva relativa all’estensione tenda a cambiare curvatura proprio quando inizia a riscontrarsi un cambiamento del pattern dominante sul polo (e precisamente quando il valore di DA inizia a crescere). Negli anni 2000 poi, esattamente come il pattern DA+, la velocità di fusione tende a crescere rapidamente .
Sempre a questo proposito, uno studio più raffinato è stato condotto di recente (2010) da un gruppo di ricercatori appartenenti a diversi centri di ricerca, tra cui ricordiamo le università di Washington e di Tokyo . Questi hanno creato un modello (PIOMAS) in grado di simulare l’estensione della banchisa artica, nonché l’andamento della circolazione oceanica, sulla base della sola azione forzante indotta dal pattern DA (anche in questo caso i valori giornalieri del DA sono ricavati dagli archivi NCEP).
Ebbene, come si desume dalla seguente figura, i risultati di questa simulazione sono stati a dir poco sbalorditivi:

 


Figura 8

 

In essa infatti le linee continue rappresentano i valori di estensione dedotti dalle simulazione, mentre le linee tratteggiate si riferiscono all’estensione reale rilevata dai satelliti. Inoltre le linee rosse riguardano l’estensione minima inerente al mese di settembre, mentre le linee verdi sono relative all’estensione media tra i mesi di gennaio e settembre. Il fatto che i valori simulati, aventi come solo dato di input il parametro DA, approssimino benissimo quelli reali, dimostra inequivocabilmente che l’orientamento e l’entità del pattern DA+ sono la chiave per capire e prevedere la diminuzione di ghiaccio marino nel bacino artico.
Al termine della presente parte emerge in maniera chiara ed inequivocabile come, l’evoluzione della banchisa polare artica, dipenda in modo preponderante dall’andamento di una particolare forma di circolazione atmosferica. Nel prossimo appuntamento cercheremo di fare l’ultimo e decisivo passo verso la comprensione del processo di fusione dei ghiacci marini artici, tentando di scoprire il fenomeno che regola l’evoluzione storica del DA pattern.

 

Riccardo e Zambo