Archivi categoria: Camb.salute umana

Contagi e letalità, è anche una questione meteorologica

Perché in certi Paesi il contagio di Covid-19 è più diffuso che in altri? Non bastano i soli fattori sociali a spiegarlo. Uno studio del professor Nicola Scafetta – messo liberamente a disposizione dall’autore – dimostra una straordinaria somiglianza meteorologica anzitutto tra Wuhan e le province lombarde maggiormente colpite (Milano, Bergamo, Brescia). E lo stesso vale per le altre regioni che via via si aggiungono al triste elenco: freddo temperato (tra i 4 e gli 11°C), alta pressione, scarsa umidità, bassa circolazione dei venti appaiono le condizioni ideali per la diffusione e la letalità del contagio. Situazione destinata a spostarsi sempre più a Nord, fin quasi a rallentare del tutto in estate. Ma attenzione, perché in autunno ricomincia il giro, quindi non bisogna abbassare la guardia.

– IL TESTO INTEGRALE DELLO STUDIO (in Italiano) II ENGLISH (ORIGINAL)

Tanto tempo fa, nell’ormai lontano mese di febbraio, si dava quasi per scontato che l’epidemia di Covid-19 si sarebbe risolta con l’arrivo della stagione calda. Sono poi arrivate docce fredde, dall’Oms e dalla nostra virologa Ilaria Capua che hanno posto quasi del tutto fine a questa speranza: non ci sono prove che attestino come il nuovo coronavirus possa perdere slancio la prossima estate. Quindi è ancora tutto da dimostrare. Ma un nuovo studio, a firma di Nicola Scafetta (Università di Napoli Federico II) rimette al centro la temperatura. Lo studio del professore di Oceanografia e Fisica dell’atmosfera, che alleghiamo in versione integrale in formato Pdf, trova una correlazione tra tassi di diffusione e virulenza del Covid-19 e condizioni meteorologiche. Ovviamente quello delle condizioni meteorologiche è solo uno dei fattori che contribuiscono a diffusione e letalità, ma lo studio – il primo del genere – ha il merito di spiegare la prevalenza dell’epidemia in alcune regioni e, su questa base, prevedere i probabili tassi di diffusione nel prossimo futuro.

In questi mesi ci siamo posti una serie di domande: perché l’Italia e la Spagna sì, ma la Grecia no? Perché la Russia è stata quasi del tutto risparmiata, nonostante la vicinanza della Cina? Perché il virus non si diffonde altrettanto rapidamente nel Sud del mondo (Asia meridionale, Africa e America latina)? Perché l’Europa orientale e lo spazio ex sovietico sono meno colpiti?

Non solo la pandemia di Covid-19 (scoppiata fra novembre e gennaio nella Cina centrale), ma in genere tutte le malattie respiratorie, dal semplice raffreddore alla più grave polmonite, si manifestano maggiormente nella stagione invernale e passano in primavera, sia perché le condizioni meteorologiche facilitano il contagio, sia perché i nostri sistemi immunitari sono più deboli. E’ senso comune a suggerirlo e a quanto pare, la nuova malattia non fa eccezione. Ma non tutti i tipi di freddo sono il terreno ideale per la diffusione di questa epidemia: gli elementi sono anche la bassa umidità, l’alta pressione, il poco vento e un freddo temperato, dai 4°C agli 11°C. Cosa che spiegherebbe perché le steppe siberiane da una parte e le giungle tropicali dall’altra paiono aver immunizzato (non del tutto) le popolazioni che vi abitano.

Il professor Scafetta ha osservato una straordinaria somiglianza meteorologica in tutte le zone maggiormente colpite dall’epidemia, nel momento in cui colpisce più duramente. A Wuhan e nello Hubei cinese, il coronavirus si è diffuso soprattutto fra gennaio e febbraio, in Italia e Spagna soprattutto fra febbraio e marzo, mentre in Germania, Francia e Regno Unito soprattutto dal mese di marzo e negli Stati Uniti dalla fine di marzo. Questa progressione potrebbe non essere casuale, né dettata dai soli fattori sociali (maggiori collegamenti internazionali, politiche di quarantena e controllo delle dogane più o meno efficaci). “Ho mostrato – scrive Scafetta – che fra la regione di Wuhan, nella provincia dello Hubei, nella Cina centrale, e le province italiane di Milano, Brescia e Bergamo, che al momento sono le più colpite dalla pandemia di Covid-19, ci sono sorprendenti somiglianze nelle condizioni meteorologiche fra gennaio e marzo. In particolare, le condizioni meteo di Wuhan fra la fine di gennaio e febbraio, quando il contagio di Covid-19 ha colpito più gravemente la regione, è quasi identica alle condizioni meteo fra febbraio e marzo nelle province del Nord Italia”.

Questo perché, come nelle altre malattie respiratorie, “in generale possono sussistere diversi meccanismi biologici, fisici e solari che probabilmente influiscono sulla sopravvivenza stagionale del virus e sulla sua trasmissibilità per via aerea, così come influire sulla predisposizione del sistema immunitario umano”. Il freddo secco, l’alta pressione e la bassa forza dei venti sarebbero le condizioni ideali per la diffusione dell’epidemia. Quando parliamo o tossiamo “le goccioline potenzialmente portatrici del virus, rimangono più a lungo in aria perché si riducono di dimensioni”. Mentre se la temperatura fosse più alta e, soprattutto, piovesse: “l’umidità o la pioggia faciliterebbero la loro rimozione dall’aria”. Anche il sole giocherebbe il suo ruolo: “Nell’emisfero settentrionale, l’inverno è caratterizzato anche da meno ore di luce solare e di esposizione ai raggi UV, che possono avere un effetto sterilizzante”.

Mentre un ruolo solamente secondario sarebbe giocato dall’inquinamento, che è uno dei principali accusati della diffusione del morbo in aree densamente abitate e industrializzate quali Wuhan e la Pianura Padana: secondo Scafetta la concentrazione di inquinanti può facilitare la trasmissione del virus, ma è un effetto del meteo (alta pressione, poco vento, freddo secco) e non la causa. Infine, ma non da ultimo: “il tempo freddo normalmente aumenta la predisposizione delle persone agli attacchi dei virus”.

Mostrando le mappe del ciclo delle stagioni, il professore di Napoli ci spiega come è progredita l’epidemia finora, ma anche come è probabile che si evolva in futuro. Le stesse condizioni infatti si stanno ripresentando nell’Europa centro-occidentale: Germania, Francia, Regno Unito. Ed ora negli Stati Uniti, nelle aree con una situazione meteo più simile a quella dell’Europa occidentale. Nella tarda primavera tenderà a muoversi verso Nord: i prossimi che dovrebbero prepararsi sono il Canada, i Paesi scandinavi e la Russia, e anche alcune regioni fredde dell’emisfero Sud, come la Nuova Zelanda, il Cile e parte dell’Argentina. Fra giugno e luglio dovrebbe andare meglio un po’ ovunque. L’area tropicale potrebbe essere protetta più di altre, per un clima caldo tutto l’anno.

Ma attenzione, perché arriverà quasi inevitabilmente anche una seconda ondata. A partire da agosto, infatti, i cambiamenti stagionali delle temperature si invertono. In Italia il novembre è il mese che replica solitamente le condizioni climatiche di marzo e il dicembre quelle di febbraio. Mai abbassare la guardia, dunque: la bella stagione non serve a “distruggere” il virus, né a fermare l’epidemia, semmai a rallentare i contagi. Meglio sapere per tempo quando attuare le politiche di contenimento: in pratica, entro l’inizio del prossimo novembre dobbiamo farci trovare pronti.

Qui potete trovare la pagina originale del lavoro:
Scafetta, N.: A Proposal for Isotherm World Maps to Forecast the Seasonal Evolution of the SARS-CoV-2 Pandemic,
Pagina Web: https://www.preprints.org/manuscript/202004.0063/v1

Fonte : https://www.lanuovabq.it/it/contagi-e-letalita-e-anche-una-questione-meteorologica

Attività solare e pandemie

Sono tornato perchè la transizione del ciclo solare nel profondo minimo solare sta per innescarsi. Non starò qui a riportare link alle decine, centinaia, di documenti scientifici che evidenziano come ad esempio cambiamenti climatici  e grandi eventi sismici e vulcanici sono legati a forzanti esterne al nostro pianeta.

E’ il momento ! Andiamo alla cronaca di questi giorni e alla padamia globale che si è innescata in questo inverno 2019/20 e cerchiamo di capire se esiste una possibile relazione con attività solare/raggi cosmici e mutageni.

Vi riporto alcuni grafici ripresi da questo lavoro scientifico.

https://www.longdom.org/open-access/sunspot-activity-influenza-and-ebola-outbreak-connection-2332-2519-1000154.pdf

Qu [9] ha studiato più attentamente la correlazione tra macchie solari e influenza
e ha concluso che non solo i picchi nel ciclo delle macchie solari, ma i minimi
sono anche più rilevanti. Si è concluso che l’inizio di pandemie e possibili pandemie coincidono con gli estremi delle macchie solari [massimi e minimi] entro ± 1 anno.

Le date dei gravi focolai di Ebola sono indicate dai triangoli rossi in Figura 3. I gravi focolai di Ebola nel 2000-2001, 2001-2002 e il 2014 si sono verificati nel massimo delle macchie solari ± un anno, mentre il focolai nel 1976, 1995 e 2007-2008 si sono verificati nel minimo delle macchie solari e ± un anno. È interessante notare che 3 delle 5 date di punta dell’Ebola corrispondono strettamente ai picchi dell’influenza pandemica.

Seguiranno nei commenti ulteriore ricerche che possono evidenziare questo possibile collegamento.

Michele

Più morti che in guerra

E’ una guerra invisibile, con tre nemici. Ma ne combattiamo solo uno. E debolmente. E’ una guerra vigliacca, colpisce più i bambini che gli adulti. E fa più morti in Italia della seconda guerra mondiale. E’ una guerra che abbiamo sempre perso, e che abbiamo deciso di perdere ancora.  La propaganda la chiama “inquinamento“, ma il suo vero nome è un altro.

OSPEDALI E FUNERALI

Nella seconda guerra mondiale in Italia, in cinque anni e mezzo, sono morti per cause dirette e indirette, 291.376 militari e 153.147 civili [1]. In totale sono 444.000 morti. Ora in Italia, ogni anno, muoiono prematuramente per inquinamento dell’aria 87.ooo persone [2]. Quindi in cinque anni e mezzo (teniamo lo stesso periodo della seconda guerra mondiale per avere un confronto omogeneo) sono 478.000 morti. Come se non bastassero i morti, ci sono poi i “feriti“. In effetti le morti premature sono solo la punta dell’iceberg di un problema che devasta il Sistema Sanitario Nazionale.

Uno studio italiano del 2016 ha mostrato come l’incidenza delle malattie respiratorie siano più che raddoppiate in 25 anni (dal 1985 al 2011) [3]:

  • Attacchi d’asma +110%
  • Rinite allergica +130%
  • Espettorato frequente +118%
  • Broncopneumopatia cronica ostruttiva(BPCO) +220%

I bambini sono particolarmente esposti all’inquinamento dell’aria[4]:

  • innanzitutto la loro velocità di respirazione è 2/3 volte quella di un adulto;
  • poi lo strato cellulare che ricopre le loro vie respiratorie è più permeabile agli inquinanti, rispetto quello di un adulto;
  • le ridotte dimensioni delle vie respiratorie aumenta la probabilità di ostruzione a seguito di infezioni;
  • il loro sistema immunitario non è ancora sviluppato, ciò aumenta il rischio di infezioni respiratorie e diminuisce la capacità di contrastarle.

Come tutte le guerre, anche questa ha un costo, ma è negativo, cioè non spendiamo nel combatterla, ma nel perderla. Ogni cinque anni e mezzo, la spesa sostenuta per i costi sanitari (ospedalizzazioni, giornate perse di lavoro, visite, esami e cure) arriva a 530 miliardi di euro [5]. Per dare un’idea, è più della ricchezza prodotta in un anno dalla Lombardia e Veneto (le due regioni più ricche), ed equivale annualmente a quasi il 5% del PIL nazionale. In realtà, per come si calcola il PIL e la ricchezza di uno stato, è più corretto dire che grazie a questa spesa il nostro PIL è gonfiato di un 5%.

 ENTRIAMO NEL PARTICOLATO

Vediamo di capire cosa è successo nei giorni scorsi. Semplificando, l’inquinamento dell’aria è riconducibile principalmente alle polveri sottili, PM2,5, responsabili di oltre il 70% dei morti, e agli ossidi di azoto, che uccidono un altro 20%. [6] Il PM2,5 è composto da minuscole particelle “respirabili” che rimangono in sospensione nell’aria e riescono a giungere sin dentro ai polmoni e da qui nel sangue.

Le particelle, chiamate anche particolato, possono avere l’origine più diversa e trasportare altri inquinanti molto pericolosi, come il Benzopirene. Per questo, indipendentemente dall’origine, le PM2,5 sono classificate come cancerogene.

Il particolato [7] per lo più è prodotto in due modi:

  1. direttamente da tutte le combustioni (particolato primario)
  2. in inverno, a partire da altri inquinanti gassosi, soprattutto i composti azotati (ossidi di azoto e ammoniaca), quando le condizioni meteo trasformano l’aria inquinata in un vero e proprio laboratorio chimico-fisico (particolato secondario).

In inverno, le condizioni meteo (freddo, assenza di vento) possono portare alla concentrazione rapida del particolato nelle pianure e nei fondovalle. L’ultimo eclatante episodio è capitato solo pochi giorni fa ed ha investito l’intera Pianura Padana, con valori delle PM2,5 ben al di sopra degli 80 ug/m3 (il limite medio annuo è 25).

Concentrazioni di PM2,5 il giorno 31-1-2017 in Lombardia e Emilia Romagna. Fonte: Arpa Lombardia e Arpa Emilia Romagna. L’evento è capitato a grande velocità: sono bastati solo tre giorni. Segno questo che la produzione di inquinanti in Pianura Padana è troppo elevata per il ricambio e la diluizione dell’aria garantita dalle condizioni meteo e morfologiche della grande vallata.

Impennata delle concentrazioni di PM2,5 alla periferia della città di Cremona a fine gennaio 2017.

 SORPRESI DAL NEMICO ALLE SPALLE

Facciamo un gioco con i colori. Scopriamo in Italia chi produce i principali tre inquinanti: PM2,5, Ossidi di Azoto e Ammoniaca.

(cliccare per ingrandire) Ripartizione per settore di produzione, dei tre principali inquinanti dell’aria nel 2013, su base nazionale. Il traffico veicolare è calcolato su modelli reali di utilizzo, include quello leggero e quello pesante, l’usura dei pneumatici ma non quella dell’asfalto. Fonte: ASPOItalia, Inquinamento: tutti i banditi e i mandanti.

Si scoprono tre cosette interessanti:

  1. La prima sorpresa sono le biomasse (legna e pellet) per riscaldamento che producono il 60% delle PM2,5, sono di gran lunga la principale fonte di particolato primario;
  2. meno sorprendentemente, il traffico veicolare è il principale produttore degli ossidi di azoto, con il 42,5%;
  3. la seconda sorpresa viene dalla produzione di ammoniaca, che è al 95% prodotta dal settore agricolo (utilizzo di fertilizzanti);

Questi sono dati nazionali, vediamo di calarli in due casi reali.

In una grande città come Milano, in inverno biomasse (legna e pellet), traffico e particolato secondario producono ciascuno circa un terzo del PM2,5. In aperta campagna invece, oltre che al dimezzarsi del PM2,5 totale, i contributi sono: biomasse 35%, traffico 9%, particolato secondario 53% (NOx 31%, NH3 14%, SOx 9%) e altro 3%. [8]

Fine prima parte.  

 

Note

[1] Morti e dispersi dal 10/6/1940 al 31/12/1945. Fonte: ISTAT, Morti e Dispersi per cause belliche negli anni 1940-45, 1957

[2] Considerate le morte premature per Pm2,5 (66.630 decessi) e Ossidi di Azoto (21.040 decessi). L’ozono non è stato considerato in quanto inquinante estivo e causa di un numero di decessi prematuri decisamente più basso (3.380). Fonte: European Environment Agency, European Air Quality in Europe, pag 60, 2016

[3] Sara Maio et al., Respiratory symptoms/diseases prevalence is still increasing: a 25-yr population study, Respiratory Medicine 110 (2016) pp. 58-65

[4] UNICEF, Clear Air for the Children, Oct 2016, pp. 8/9

[5] Conto effettuato con cambio euro su dollaro a 1,08. Per l’Italia ogni anno i costi sanitari ammontano a circa 97 miliardi di dollari 2010. Fonte: WHO, Economic cost of the health impact of air pollution in Europe, 2015

[6] Sarebbero da trattare anche gli ossidi di zolfo, ma siccome sono stati ridotti moltissimo negli anni passati, il loro contributo è ormai secondario e le possibilità di intervento rimangono solo nell’industria dei solventi e nei trasporti marittimi. Si osservi che l’80% è di origine naturale (vulcani). Fonte: ASPOItalia, Inquinamento: tutti i banditi e i mandanti.

[7] Tralasciamo il particolato di origine naturale e trattiamo solo quello di origine antropica.

[8] M.G.Perrone, B.R. Larsen et al., Sources of high PM2.5 concentrations in Milan, Northern Italy: Molecular marker data and CMB modelling, Science of The Total Environment,Volume 414, 1 January 2012, Pages 343–355 [vedere pag 353]

 

Fonte : https://aspoitalia.wordpress.com/2017/02/05/piu-morti-che-in-guerra/

La Rivoluzione? Nasce col caldo

È un caso se la presa della Bastiglia segue il surriscaldamento del 1788? Gli incroci tra storia e clima, parla Le Roy Ladurie

«Anche le barricate sono state inventate nel 1588, dopo un’estate molto torrida che provocò una carestia… Certi eventi dipendono pure dall’influsso del meteo»

È cominciata ieri, l’estate, e come sempre l’argomento d’obbligo è il clima che farà. Ci troveremo di fronte a un agosto torrido e secco come quello dell’anno scorso, oppure i condizionatori (già affannosamente accaparrati nei grandi magazzini) resteranno a riposo per le piogge torrenziali? Ci saranno black-out per eccesso di consumi d’energia elettrica, oppure dovremo rinunciare alla tintarella per colpa delle nubi a Ferragosto? Invece di chiederlo a un meteorologo, stavolta giriamo le domande a uno storico: Emmanuel Le Roy Ladurie, l’inventore della storia del clima.

Anzitutto, professore: l’estate 2003 è stata davvero unica nella storia?

«La somiglianza con la situazione atmosferica dell’estate infuocata del 1719 è impressionante. Anche allora, come nel 2003, la canicola si concentrava nella Valle della Loira. Cambia solo la dimensione del fenomeno: ci furono 450.000 decessi in più, soprattutto a causa della dissenteria che colpì neonati e bambini. Il caldo, benefico per le coltivazioni, diventa malefico quando si accompagna all’aridità, creando situazioni di forte calo del livello dei corsi d’acqua e conseguente concentrazione degli agenti inquinanti. Il clima uccide d’inverno attraverso i polmoni, ma d’estate attraverso l’intestino. Andando indietro nel tempo, il XIII secolo, definito “piccolo optimum medievale”, è stato costellato di numerose estati calde che per molti aspetti ricordano quelle attuali. Più generalmente, a partire dal XIV secolo si contano, secondo la griglia dello scienziato olandese Van Engelen, 12 estati classificate sotto l’indice massimo 9, “estremamente caldo”, nove delle quali si collocano nei cinque secoli della “piccola era glaciale” e tre nella fase del riscaldamento contemporaneo che arriva al 2000, segnatamente il 1859, il 1868 e il 1994. Pertanto il 2003 non è affatto unico nella storia. Che è costellata di periodi di canicola».

In particolare, il 1420 resta negli annali…

«Quell’anno le vendemmie a Digione cominciarono il 25 agosto! Un’estate paragonabile al 2003. Con la differenza che i miseri raccolti di grano portarono, l’inverno e la primavera successivi, a una carestia devastante aggravata da un’epidemia opportunista. A Parigi i bambini gridavano: “Muoio di fame, muoio sui letamai”, sui quali potevano scaldarsi».

Non è piuttosto il freddo a uccidere?

«Nelle nostre regioni temperate (più a sud il discorso sarebbe diverso), le peggiori tragedie sono dovute al grande freddo, e più ancora alle annate malsane, molto umide. Ci furono il terribile inverno 1709 (il peggiore degli ultimi 500 anni), la gigantesca carestia “di pioggia” 1693-1694. Bilancio: 1,3 milioni di decessi in più. L’equivalente, in due anni, dell’ecatombe del 1914-1918…».

Con un notevole impatto demografico…

«Il caso citato del 1420 è illuminante. L’abbinata carestia-epidemia svolse un ruolo importante nella spirale demografica discendente avviata nel secolo precedente: dei 20 milioni d’anime del 1328, in Francia ne restano appena 10 milioni nel 1440. Certamente il Paese fu dissanguato anche dalla Guerra dei cent’anni, dalla terribile epidemia di peste polmonare del 1348, eccetera. Molto più tardi, le quattro stagioni fredde del 1740 fanno segnare un incremento della mortalità del 15% in Europa, che raggiunge però il 40% in Irlanda, il 57% in Finlandia… Per quanto in maniera molto meno drammatica, anche i matrimoni ne risentono. A causa del pessimismo dei fidanzati in tempo di crisi, calano del 6% nel 1740, del 9% nel 1741, rispetto agli anni dal 1735 al 1739 (intanto in Finlandia precipitano del 22% e poi del 25%). Ma il tempo perso verrà recuperato: più 8% nel 1743 e nel 1744! Anche le nascite prendono brutti colpi: da meno 6% a meno 8% negli anni dal 1940 al 1943».

Quali indizi consentono di capire che tempo faceva nel passato?

«Abbiamo a disposizione rilevazioni termometriche, da maneggiare con prudenza, a partire dalla fine del XVII secolo. Ma abb iamo anche tutta una serie di indicatori che fanno da termometro: lo stato dei ghiacciai, le rilevazioni delle inondazioni, i resoconti sull’aridità, le date dei raccolti e delle vendemmie, i dati di eventi ripetuti, i racconti dei curati e, determinante, l’andamento del prezzo del grano. Fin dall’inizio del XIV secolo, abbiamo a disposizione la curva annua dei prezzi di Douai. A partire dal 1523 si conosce il prezzo giornaliero del grano a Parigi. Ebbene, i prezzi salgono appena si ha la percezione di cattivi raccolti a primavera, si flettono dopo. A partire dalla metà del XVIII secolo, il clima uccide meno. L’anno senza estate del 1816, imputabile a un velo di polvere che avvolse il pianeta in seguito alla più grande eruzione vulcanica che si conosca (il vulcano indonesiano Tambora passò da 4300 a 2800 metri in poche ore, tanto fu straordinaria l’esplosione), causò “solo” 20.000 morti. Le carestie diventano meno gravi grazie ai progressi agricoli. Mentre in precedenza prevaleva l’immobilismo, a partire da Luigi XI, e soprattutto con Luigi XIV, lo Stato tenta di prendere in mano la situazione, importa grano dal Baltico, dalla Russia. Vengono organizzati “ristoranti del cuore”, eccetera. Si assiste in quel periodo a una polarizzazione del clima. La gente scende nelle strade, si solleva contro lo Stato approvvigionatore i cui sforzi sono giudicati insufficienti. La questione degli approvvigionamenti diventa un motivo fortissimo di contestazione».

Sta dicendo che il clima svolge un ruolo nei grandi avvenimenti storici?

«Le barricate sono state inventate nel 1588, dopo la carestia dell’estate del 1587. Il surriscaldamento del 1788 (i chicchi di grano avvizzirono) porterà a tumulti per la sussistenza l’inverno successivo. Nell’estate 1789 il pane raggiunge il prezzo più alto di tutto il XVIII secolo. Certamente il clima non è responsabile della Rivoluzione francese, ma ha creato un’atmosfera di scontento. Più recentemente, la crisi viticola del 1907 (la so vrapproduzione provoca la caduta dei prezzi) condurrà alla rivolta dei viticoltori del Sud. Nasce in questo periodo la lobby agricola. Io non difendo una causalità del clima, a priori. Ma bisogna riconoscere che il clima ha svolto, per certi grandi eventi, un ruolo causale o concomitante. Rivendico una sorta di materialismo di storico per riportare concretezza in una storia che viene troppo spesso situata nella stratosfera delle idee pure».

(per gentile concessione del quotidiano «La Croix»; traduzione di Anna Maria Brogi)

Note:

Tra i maggiori storici francesi, Emmanuel Le Roy Ladurie (nella foto) è stato il primo a parlare di «storia del clima». Autore (insieme a molti altri scritti) di una fondamentale Histoire du climat depuis l’an mil datata 1967 (traduzione italiana Tempo di festa, tempo di carestia. Storia del clima dall’anno Mille, Einaudi), ha appena pubblicato in Francia il primo tomo della monumentale Histoire humaine et comparée du climat en Occident. Canicules et glaciers XIII-XVIII siècles (Fayard, pagine 740, 25 euro). Il suo successo maggiore è stato «Storia di un paese: Montaillou» (Rizzoli 1977), in cui si narrano le vicende di un villaggio cataro occitano dal 1294 al 1324 grazie a una fonte speciale: il registro inquisitoriale di Jacques Fournier, futuro papa Benedetto XII.

 

Fonte : http://www.peacelink.it/ecologia/a/5630.html

La mortalità aumenta con il freddo o con il caldo ?

Il rischio di mortalità attribuibile a temperatura ambiente alta e bassa: uno studio osservazionale multinazionale

Il freddo uccide 20 volte di più del caldo: a sostenerlo è una ricerca internazionale pubblicata sulla prestigiosa rivista The Lancet. La conclusione, a cui sono giunti gli scienziati, non rappresenta una novità in senso assoluto, ma è la prima volta che a sostegno di questa tesi viene presentata una mole di dati così imponente: sono stati infatti presi in esame 74 milioni di decessi in 12 diversi Paesi.

Il lavoro dei ricercatori riporta al centro dell’attenzione un tema molto dibattuto negli ultimi anni, anche attraverso le tesi controverse dell’ambientalista danese Bjørn Lomborg, secondo cui i rischi del riscaldamento globale (global warming) per la salute dell’uomo sarebbero stati ampiamente sovrastimati.

Anche se gli studi hanno fornito stime di morti premature imputabili al caldo oppure al freddo in alcuni paesi, nessuno ha finora offerto una valutazione sistematica su tutta la gamma di temperature nelle popolazioni esposte a climi diversi. 

«Sì dà spesso per scontato che le temperature eccezionali causino la maggior parte dei decessi, e quasi tutte le precedenti ricerche erano focalizzate sugli effetti delle ondate estreme di calore», spiega un coautore della ricerca, Antonio Gasparrini, della London School of Hygiene & Tropical Medicine. «I nostri risultati, che derivano dall’analisi del più grande set di dati di sempre sull’argomento, mostrano che la maggioranza delle morti si verificano in realtà nelle giornate moderatamente calde o fredde, con la maggior parte dei decessi determinati da temperature moderatamente fredde.»

METODO, RISULTATI ed INTERPRETAZIONI

Abbiamo raccolto dati da 384 sedi in Australia, Brasile, Canada, Cina, Italia, Giappone, Corea del Sud, Spagna, Svezia, Taiwan, Tailandia, Regno Unito e Stati Uniti d’America. In totale sono stati analizzati 74.225.200 morti, in vari periodi tra il 1985 e il 2012, in regioni dai climi più disparati, che spaziano dal freddo polare al caldo subtropicale. In totale, il 7,71% della mortalità è riconducibile a temperatura non ottimale nei paesi selezionati all’interno dello studio, con sostanziali differenze tra i paesi, che vanno da 3,37% in Thailandia e 11% in Cina. I maggiori morti sono attribuibili : al freddo 7,29% escluso gli sbalzi di calore 0,42%. Le temperature fredde e calde estreme sono stati responsabili dello 0,86% della mortalità totale. Naturalmente i numeri variano da Paese a Paese, in Italia, ad esempio, la mortalità dovuta al freddo è pari a circa l’8,5%, mentre quella dovuta al caldo intenso quasi al 3%. La maggior parte del carico di mortalità risulta quindi correlata con una temperatura riconducibile ad un contributo freddo. L’effetto di giorni con temperature estreme è sostanzialmente inferiore a quello attribuibile a tempo mite ma non ottimale. Questa prova ha importanti implicazioni per la progettazione di interventi di sanità pubblica per ridurre al minimo le conseguenze sulla salute alle temperature negative e per le previsioni dei futuri effetti, in scenari di cambiamento climatico.

Fonte :  http://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736%2814%2962114-0/abstract