Archivi categoria: Curiosità sul Sole

Eliosfera: con o senza coda?

Uno studio presentato sulla rivista Nature Astronomy mette in crisi il modello secondo cui l’eliosfera, ovvero la bolla di influenza del campo magnetico solare, avrebbe una forma allungata, come la coda di una cometa. I dati indicano una forma simmetrica, dovuta probabilmente a un campo magnetico interstellare molto più intenso del previsto

Pare che il sistema solare sia circondato da un enorme campo magnetico di forma sferica dovuto alla presenza del Sole. A suggerirlo sono i dati raccolti dalla missione Cassini, dalle due sonde Voyager e dal satellite Interstellar Boundary Explorer (Ibex). I risultati sono in contraddizione con la teoria attualmente più accreditata, secondo cui la magnetosfera solare ha una forma oblunga, simile alla scia di una cometa. Il colpevole sarebbe il campo magnetico interstellare, molto più intenso di quanto previsto.

Grazie a una serie di dati provenienti dalle sonde Cassini, Voyager e Ibex, abbiamo scoperto che l’eliosfera potrebbe essere molto più arrotondata di quanto pensassimo. Questa illustrazione mostra un modello aggiornato. Crediti: Dialynas, et al.

Il Sole emette un flusso costante di particelle, chiamato vento solare, che colpisce tutto il sistema solare, arrivando fino all’orbita di Nettuno. Tale vento crea una bolla, detta eliosfera, del diametro di circa 40 miliardi di chilometri. Per oltre 50 anni il dibattito circa la forma di questa struttura ha favorito l’ipotesi di una bolla di forma allungata, con una testa arrotondata e una coda. I nuovi dati coprono un intero ciclo di attività solare (11 anni circa) e mostrano che la realtà potrebbe essere molto diversa: l’eliosfera sembra avere entrambe le estremità arrotondate, assumendo una forma quasi sferica. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Nature Astronomy.

«Al posto di una coda allungata abbiamo scoperto che l’eliosfera ha l’aspetto di una bolla, e questo a causa di un campo magnetico interstellare molto più intenso di quanto avessimo previsto», spiega Kostas Dialynas dell’Accademia di Atene, primo autore dello studio.

Oltre a esplorare Saturno e il suo sistema di anelli e satelliti, la sonda Cassini ha studiato anche il comportamento del vento solare, indagando in particolare ciò che accade alle sue estremità. Quando le particelle cariche provenienti dal Sole incontrano gli atomi di gas neutro del mezzo interstellare, lungo la vasta area di confine chiamata eliopausa, possono avvenire scambi di cariche, e alcuni atomi possono essere spinti verso il sistema solare e venire misurati da Cassini.

Molte stelle mostrano strutture a forma di coda di cometa, da cui l’idea che anche il nostro sistema solare possa essere fatto così. Dalla sinistra in alto e proseguendo in senso orario, le stelle: LLOrionis, BZ Cam e Mira. Crediti: NASA/HST/R.Casalegno/GALEX

«La sonda Cassini è stata progettata per studiare gli ioni intrappolati nella magnetosfera di Saturno», dice Tom Krimigis della Johns Hopkins University, team leader per strumenti sulle sonde Voyager e Cassini, e coautore dello studio. «Non avremmo mai pensato di poter vedere e studiare anche i confini dell’eliosfera».

Poiché le particelle che compongono il vento solare viaggiano a velocità pari a frazioni della velocità della luce, i loro tragitti dal Sole all’eliopausa richiedono anni. Con il variare del numero di particelle, ovvero con la modulazione dovuta all’attività solare, occorrono anni perché questa si rifletta nella quantità di atomi misurati da Cassini. I dati recenti hanno mostrato qualcosa di inaspettato: le particelle provenienti dalla “coda” dell’eliosfera riflettono i cambiamenti del ciclo solare in modo molto simile a quelle provenienti dalla sua “testa”.

I dati raccolti dalle missioni della Nasa Cassini, Voyager e Ibex mostrano che l’eliosfera è molto più compatta e simmetrica di quanto pensassimo. L’immagine a sinistra mostra il modello supportato dai dati, mentre quella a destra mostra il modello a coda estesa, che era stato assunto come il più valido fino ad ora. Crediti: Dialynas, et al. (a sinistra); Nasa (a destra)

«Se la coda dell’eliosfera fosse allungata come quella di una cometa, gli effetti dovuti al ciclo solare dovrebbero apparire molto più tardi», spiega Krimigis. Dato che questo non accade, ma invece le tempistiche sono piuttosto simili, significa che, in direzione della coda, l’eliopausa si trova più o meno alla stessa distanza di quanto avviene per la testa. Dunque l’eliosfera deve avere una forma molto più simmetrica del previsto.

I dati raccolti dalle sonde Voyager hanno inoltre mostrato che il campo magnetico interstellare è più intenso rispetto alle stime fornite dai modelli. Questo significa che la forma arrotondata dell’eliosfera potrebbe essere dovuta all’interazione del vento solare con questo campo magnetico, che spingerebbe l’eliopausa verso il Sole. La struttura dell’eliosfera svolge un ruolo importante nel modo in cui le particelle provenienti dallo spazio interstellare, chiamate raggi cosmici, raggiungono il sistema solare interno, arrivando fino alla Terra.

Per saperne di più:

 

Fonte : http://www.media.inaf.it/2017/04/26/eliosfera-con-o-senza-coda/

Le battaglie del Sole

Un team di ricerca del New Jersey Institute of Technology ha individuato una nuova relazione tra macchie solari ed eruzioni, i fenomeni che agitano la superficie della nostra stella. I risultati su Nature Communications

La superficie del Sole non è affatto un ambiente tranquillo. E cambia in continuazione: in alcune fasi del ciclo solare, la nostra stella appare agli astronomi interamente ricoperta da puntini più scuri. Si tratta delle macchie solari, o sunspot, la cui rotazione sulla superficie del Sole è da tempo ritenuta responsabile di episodi molto violenti chiamati eruzioni solari: improvvise esplosioni (dette anche brillamenti) che causano forti radiazioni elettromagnetiche con una conseguente espulsione di particelle cariche nello spazio. In base a questa teoria, il moto delle macchie solari provoca l’energia necessaria per ‘esplodere’ sotto forma di eruzioni solari. Ma un gruppo di ricerca del New Jersey Institute of Technology (NJIT) ha individuato per la prima volta un meccanismo in un certo senso inverso: secondo gli scienziati, le eruzioni solari hanno a loro volta un importante impatto sui sunspot. In che modo ?

Aumentandone la velocità di rotazione: i ricercatori affermano che i brillamenti inducono le macchie solari a ruotare molto più velocemente di quanto normalmente si osserva prima delle eruzioni. Questi risultati, pubblicati su Nature Communications, sono stati ottenuti sulla base delle immagini ad alta risoluzione catturate da New Solar, il telescopio di 1.6 metri del NJIT.

“Pensiamo che la rotazione delle macchie solari generi l’energia magnetica rilasciata sotto forma di eruzioni – spiega Chang Liu, prima firma dell’articolo – ma allo stesso tempo abbiamo osservato che le eruzioni possono indurre le macchie a ruotare circa 10 volte più velocemente. Questo ci mostra la natura potente e magnetica dei bagliori solari”.

Questi nuovi dati aiutano anche a definire la dimensione spazio-temporale delle macchie solari, descrivendo in modo preciso la loro rotazione progressiva e non uniforme. Informazioni essenziali per l’evoluzione della fisica del Sole, quella disciplina che studia le affascinanti e movimentate ‘battaglie’ sulla superficie della nostra stella.

Fonte : http://www.asi.it/it/news/le-battaglie-del-sole

I segni del ciclo solare SC25 visti superficialmente dal campo magnetico toroidale

Interessante articolo recente pescato in rete. I passi più significativi…

Analizzando la componente del campo toroidale (dati raccolti dal Solar Dynamics Observatory / immagini eliosismiche magnetiche di – SDO / HMI – e Wilcox Solar Observatory – WSO -, osserviamo i primi segni del prossimo ciclo solare apparsi alle alte latitudini. WSO ha fornito i dati per gli ultimi quattro cicli delle macchie solari, mentre SDO per gli ultimi sei anni.

Figura 1 – La direzione misurata della componente dei campi magnetici toroidali da maggio 1976 al giugno 2016. Le frecce e i colori indicano la direzione desunta del campo da est-ovest. I colori rosso e blu rappresentano rispettivamente la polarità dei campi negativi e positivi. L’intensità del colore indica l’entità dell’inclinazione media.

La componente toroidale mostra chiaramente la durata dei cicli solari (Fig. 1). Dopo il massimo del ciclo delle macchie solari, il ciclo successivo inizia alle alte latitudini con il campo toroidale che inizia a cambiare direzione, con cambiamenti nei segni della polarità. Raggiunto l’equatore, il ciclo raggiunge il minimo, mentre per passare al ciclo successivo occorrono almeno quattro anni.  Al ciclo tipico di “11 anni”, occorrono circa 16 anni per passare da l’alta a bassa latitudine.

Figura 3 – La figura 3 mostra la stessa analisi effettuata con i dati WSO. Qui viene misura la differenza fra l’inclinazioni delle due polarità. 

Entrambe le figure 1 e 3 mostrano l’inizio del ciclo 25 alle alte latitudini meridionali. Questo dato, combinato con i rapporti precedenti che riguardano l’intensità del campo magnetico polare dell’emisfero sud e l’intensità del campo magnetico polare nel passato minimo (dati del 2008), confermano che il ciclo 25 esiste e probabilmente avrà una forza simile a ciclo 24.

 

References

[1] Shrauner, J.A., Scherrer, P.H., 1994, Solar Phys, 153, 131, (DOI: 10.1007/BF00712496)
[2] Lo, L., Hoeksema, J.T., Scherrer, P.H., ASP Conf. Series. 428, (2010ASPC..428..109L)

 

Fonte : http://hmi.stanford.edu/hminuggets/?p=1657

 

Michele

 

Ricostruiti in modo corretto i cicli delle macchie solari dal Seicento a oggi

Sunspots

Esistono registrazioni telescopiche di macchie solari dal 1610, quando Galileo le iniziò (disegno), seguito da Thomas Harriot e padre Scheiner. Ma quanto sono affidabili i dati dei primi secoli? Saperlo è importante per conoscere meglio il ciclo solare e verificare se, oltre al periodo di 11 anni, ce ne siano di più lunghi, intorno a 100 anni, come alcuni hanno ipotizzato. La prima cosa che si nota davanti a un grafico dei cicli solari dal Seicento ad oggi è che il numero delle macchie sembra in quasi costante aumento. E’ vero o è un inganno dovuto a strumenti migliori e registrazioni più accurate?

Leif Svalgaard e John Briggs (Stanford University) si sono posto il problema e hanno cercato la risposta analizzando la qualità ottica dei più antichi telescopi e riproducendo un telescopio solare tipico del diciottesimo secolo. Risulta che i telescopi moderni mostrano tre volte più macchie di quelli antichi in quanto risolvono in macchie separate gruppi prima registrati come macchie singole. Calibrando in base a questo dato il grafico dal Seicento ad oggi la tendenza all’aumento delle macchie scompare ed emergono due minimi nella seconda metà del Seicento e all’inizio dell’Ottocento.

Svalgaard e Briggs hanno preso come riferimento l’astrofilo tedesco Johan Casper Staudach, che dal 1749 al 1796 registrò l’attività solare per 1.016 giorni. L’osservazione divenne sistematica e standardizzata con l’astronomo svizzero Rudolf Wolf a partire dal 1847. I due ricercatori americani hanno riprodotto un telescopio da 3 centimetri di apertura e un metro di focale con cui, per proiezione, hanno ottenuto 160 disegni in 120 giorni. Ciò ha permesso di rendere omogenee le vecchie osservazioni. Il lavoro è stato presentato durante un convegno a Boulder, Colorado.

Altre informazioni: http://www.leif.org/research/Press-Conf-Ancient-Telescope-Sunspots.pdf

Fonte : http://www.astronomianews.it/index.php?p=astro_news&n=2063

Aurore di Giove, ‘faro’ planetario

Tracciata la causa delle intense aurore a raggi X ai poli di Giove: le tempeste solari. Usando i dati della sonda NASA Chandra X-Ray Observatory e XMM-Newton dell’ESA

E’ stata scoperta la causa delle intense aurore boreali, ricche di raggi X riscontrate sul ‘gigante gassoso’ del nostro sistema solare, Giove. Il ‘colpevole’? Le potenti tempeste solari che causano aurore otto volte più luminose di quelle normali e centinaia volte più potenti di quelle terrestri. A rivelarlo è uno articolo pubblicato sul Journal of Geophysical Research – Space Physics, dedicato allo studio di scienze dello spazio, condotto da un team di ricercatori dell’University College London, NASA e altre istituzioni. E’ proprio la particolare intensità dell’attività solare, più precisamente l’espulsione di massa coronale dove la materia solare viene lanciata a grandi velocità nello spazio, ad interagire con la magnetosfera dei Giove e causare quindi le aurore. Come sulla Terra, anche sul pianeta gassoso si formano aurore ai poli, in questo caso più energetiche e molto intense di radiazioni di raggi X. Per dare un’idea delle dimensioni, queste aurore gioviane ricoprono un superficie molto più ampia delle dimensioni della Terra stessa. E’ dunque il vento solare, intensificato dalle tempeste solari, che comprime il campo magnetico di Giove. Colpendo la magnetosfera, i cui confini vengono ‘stirati’ fino a 2 milioni di km nello spazio, provoca potenti raggi X, visibili dalle sonde in orbita intorno al polo Nord. Lo studio si riferisce in particolare a delle misurazioni fatte durante una potente aurora a raggi X dell’ottobre 2011. Due osservazioni di 11 ore hanno fornito i dati necessari per risalire al colpevole. In passato era stato localizzato un ‘hot spot’ pulsante sul polo Nord, un punto caldo particolarmente attivo nell’emettere raggi X. Durante le osservazioni del 2011 si è potuto determinare che le sue pulsazioni erano passate da ogni 45 minuti a ogni 26 minuti, in occasione dell’aurora boreale. Questo studio è stato pubblicato a pochi mesi dell’arrivo della sonda NASA Juno nei pressi di Giove. Previsto per l’estate 2016, l’arrivo di Juno permetterà di studiare più da vicino il campo magnetico del gigante gassoso, fornendo un’analisi più profonda su questo tipo di fenomeni.

Immagini che mostrano le misurazioni fatte in ottobre 2011 – Crediti: X-ray: NASA/CXC/UCL/W.Dunn et al, Optical: NASA/STScI

Fonte : http://www.asi.it/it/news/aurore-di-giove-faro-planetario