Archivi categoria: Geomagnetismo

Fluttuazioni impresse nei secoli

Un nuovo studio rivela che l’indebolimento del campo magnetico terrestre non rappresenta un rischio per la biosfera. L’analisi archeologica di alcuni manici di antichi vasi israeliani svela che già nel corso dei secoli passati le forze geomagnetiche erano fluttuanti

Campo magnetico terrestre indebolito, nessun allarme. Lo conferma uno studio congiunto delle Università di Tel Aviv, Gerusalemme e San Diego: la diminuzione delle forze geomagnetiche, registrata negli ultimi 180 anni e segnalata anche da Einstein come uno dei cinque grandi misteri della scienza moderna, non sarebbe un problema ma solo una fase transitoria di un processo fluttuante che si protrae sin dalle origini.

La nuova ricerca, pubblicata sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, si basa sull’analisi dei manici di 67 antichi vasi israeliani risalenti ad un periodo compreso tra l’ottavo e il secondo secolo Avanti Cristo (un lasso di tempo esteso tra l’età del Ferro e quella Ellenistica in Giudea), gettando luce su un’era remota quanto ignota dal punto di vista fisico.

Come novelli Indiana Jones, gli scienziati coinvolti hanno effettuato test in forni per studi di paleomagnetismo sui reperti archeologici, la cui origine è stata appurata con precisione attraverso lo studio delle peculiarità artistiche e dall’analisi al carbonio. I dati raccolti svelano che il materiale con cui le giare sono state modellate ha “registrato” l’impronta del campo magnetico terrestre. La ceramica infatti, come altri materiali sottoposti a processi di cottura e poi raffreddato (pensiamo all’argilla o al cotto dei mattoni) è in grado di memorizzare le caratteristiche del campo magnetico al momento in cuil’oggetto prende forma.

Secondo gli autori, i reperti in questione confermerebbero che le forze geomagnetiche sono suscettibili di fluttuazione: il picco massimo di forza sarebbe stato registrato in corrispondenza dell’Età del Ferro – con il campo più potente degli ultimi 100.000 anni. Il trend avrebbe poi puntato verso il basso per poi riprendere di nuovo a crescere a fasi alterne. Per tale motivo, la preoccupazione relativa all’indebolimento attuale del campo magnetico sarebbe immotivata e non metterebbe in alcun modo a rischio la salute della biosfera.

Fonte : http://www.asi.it/it/news/fluttuazioni-impresse-nei-secoli

Un campo magnetico pulsante

I tre satelliti ESA Swarm hanno misurato i cambiamenti del campo magnetico della Terra degli ultimi anni, ecco dove si è ridotto e dove si è rafforzato

Il campo magnetico terrestre è in continuo cambiamento. Si sposta e si muove con il passare del tempo. Il trio satellitare Swarm, una costellazione ESA per lo studio del campo magnetico del pianeta, ha fornito nuovi dettagli su questo fenomeno. I risultati sono stati presentati al Living Planet Symposium sull’Osservazione della Terra, che si sta tenendo questa settimana a Praga. I nuovi dati ci dicono dove il campo magnetico si è indebolito in alcune regioni e rinforzato in altre, ma soprattutto quanto velocemente siano avvenuti questi cambiamenti. “La missione Swarm è stata lanciata appena 2 anni e mezzo fa e già sta fornendo dati di altissima qualità”, spiega Rune Floberghagen, ESA Swarm mission manager.

Dal 1999 al 2016 il campo magnetico della Terra sopra il Nord America si è ridotto del 3.5%, mentre è aumentato del 2% sopra l’Asia. Il suo punto più debole rimane sempre l’Anomalia del Sud Atlantico – una regione tra il Sud America e il Sud Africa – in cui il campo magnetico si è ulteriormente indebolito del 2%, mentre il Polo Nord magnetico si è spostato a est, in direzione dell’Asia. Il campo magnetico viene generato dal ferro liquido nel nucleo esterno terrestre, creando una magnetosfera che ci protegge dai pericolosi raggi cosmici e altre particelle cariche dannose per la vita. Si teorizza che questi cambiamenti registrati siano dovuti a come questo ferro liquido scorra all’interno del nucleo esterno. I satelliti Swarm continueranno il loro lavoro di monitoraggio, fornendo nuovi aggiornamenti sui cambiamenti del campo magnetico terrestre.

Fonte : http://www.asi.it/it/news/un-campo-magnetico-pulsante

Salvati dalla Luna

A mantenere la geodinamo attiva, e con essa il campo magnetico terrestre, contribuirebbe l’effetto dovuto all’attrazione gravitazionale esercitata dal nostro satellite. Lo suggerisce uno studio pubblicato su Earth and Planetary Science Letters da un team di ricercatori del CNRS

Senza scudo magnetico saremmo spacciati, questo si sa. È solo grazie alla magnetosfera se raggi cosmici e altre pericolose particelle cariche provenienti dallo spazio – perlopiù dal Sole – vengono in gran parte fermate. Ora, all’origine del campo magnetico terrestre è pressoché certo che vi sia la cosiddetta geodinamo: l’azione prodotta dal rapido movimento d’enormi quantità di materiale ferroso liquido nel nucleo esterno del nostro pianeta. Assai più dibattuta è invece l’origine dell’energia che ha alimentato – e continua ad alimentare – nel corso di miliardi di anni la geodinamo. Ebbene, uno studio uscito la settimana scorsa su Earth and Planetary Science Letters suggerisce che almeno parte dell’energia necessaria possa arrivare dalla Luna, e in particolare dalla deformazione del mantello indotta dagli effetti mareali.

Gli effetti gravitazionali determinati dal sistema Terra-Luna-Sole provocano la deformazione ciclica del mantello terrestre e oscillazioni nel suo asse di rotazione. Questo tensione meccanica applicata a tutto il pianeta provoca forti correnti nel nucleo esterno, costituito da una lega di ferro liquido di viscosità molto bassa. Correnti sono sufficienti a generare il campo magnetico terrestre.

Crediti: Julien Monteux e Denis Andrault

Per capire quanto quest’ipotesi possa essere condivisibile, conviene anzitutto dare un’occhiata ai numeri. Partiamo dalla temperatura. Il modello classico implica un raffreddamento di 3000 gradi, nell’arco degli ultimi 4.3 miliardi di anni di vita della Terra, della temperatura del nucleo, che sarebbe dunque passata da 6800 gradi iniziali ai 3800 attuali. Il problema sta nella vertiginosa temperatura di partenza richiesta: se le cose fossero andate davvero in questo modo, fino a quattro miliardi d’anni fa il nostro pianeta sarebbe dovuto essere completamente fuso. Eventualità che sia le analisi geochimiche condotte sulla composizione delle carbonatiti e dei basalti più antichi, da una parte, sia i modelli più aggiornati sull’evoluzione del pianeta, dall’altra, sono concordi nell’escludere.

Ma se, come lo studio guidato dai quattro ricercatori del CNRS propone, la temperatura della Terra in realtà fosse scesa non di 3000 bensì di 300 gradi – appena un decimo rispetto a quanto richiesto dal modello classico, dunque – da dove avrebbe tratto tutta l’energia necessaria, la geodinamo, per mantenersi attiva? L’ipotesi presa in considerazione da Denis Andrault e colleghi è che arrivi dalla combinazione di effetti gravitazionali come quelli di cui scrivevamo poc’anzi.

Rimanendo sempre con l’occhio puntato sui numeri, ma mettendo un istante da parte la temperatura e guardando alla potenza, gli autori dello studio calcolano che la Terra riceva in continuazione 3700 miliardi di watt dal trasferimento dell’energia gravitazionale e di rotazione prodotto dal sistema Terra-Luna-Sole. Di questi, stando alle stime, circa mille miliardi potrebbero essere disponibili – tramite l’azione di deformazione elastica del mantello, per esempio – per tenere in movimento il nucleo esterno. Cifre sufficienti a rendere conto del campo magnetico terrestre.

Un effetto, questo delle forze gravitazionali sul campo magnetico d’un pianeta, del resto già ampiamente documentato per due lune di Giove, Io ed Europa, e per un buon numero di pianeti extrasolari. Non solo. Considerando anche le irregolarità della rotazione terrestre, dell’orientamento del suo asse e dell’orbita della Luna, l’effetto combinato produrrebbe nella geodinamo fluttuazioni tali da spiegare, analizzando il loro possibile impatto sul mantello e dunque sui vulcani, gli eventi eruttivi più importanti. Insomma, concludono i quattro autori dello studio, gli effetti della Luna sulla Terra sembrano andare ben oltre le maree.

Leggi su Earth and Planetary Science Letters l’articolo “The deep Earth may not be cooling down”, di Denis Andrault, Julien Monteux, Michael Le Bars e Henri Samuel

 

Fonte : http://www.media.inaf.it/2016/04/05/salvati-dalla-luna/

Geotemperaturamagnetica

Una veloce osservazione finesettimanale…

The term Sun-Earth Relationship indicates a complex of different scientific matters, strongly multidisciplinary, including, among the others, solar physics, upper atmosphere physics and geomagnetism.

http://roma2.rm.ingv.it/en/research_areas/10/sun-earth_relations_ionospheric_phenomena

I riferimenti scientifici che mettono in relazione aspetti di natura geomagnetica alla circolazione atmosferica, geologia, etc.. sono numerosi. Di questi, 93.500 documenti mettono in relazione aspetti di natura geomagnetica alle temperature terrestri :

https://scholar.google.it/scholar?q=geomagnetic+and+temperature&hl=it&as_sdt=0&as_vis=1&oi=scholart&sa=X&ved=0ahUKEwiFgYbX4efJAhVFvhQKHcE0DpQQgQMIITAA

Queste sono le pesanti anomalie delle temperature terrestri dal 1 Dicembre al 13 Dicembre in relazione con il modello magnetico terrestre WMM 2015.

Il centro delle pesanti anomalie è dove hanno sede i due poli geomagnetici terrestri nell’emisfero nord : Canada e Siberia.

WMM 2015 - T anomaly

Se la circolazione atmosferica terrestre è guidata da aspetti di natura elettrica e magnetica, quest’ultima è in connessione continua con le variazioni magnetiche solari. Quindi, a nessuna variazioni EM solare significativa dovrebbe corrispondere nessuna alterazione atmosferica significativa (troposferica-stratosferica).

http://www.vukcevic.talktalk.net/MF.htm

Oggi, siamo nella fase più tranquilla del ciclo solare, nel post massimo, è chiaro che la CO2 guida questo periodo di stasi climatica.

🙂

Fonti : http://www.ngdc.noaa.gov/geomag/WMM/data/WMM2015/WMM2015_F_MERC.pdf

Michele

Le grandi tempeste solari invisibili

Recenti osservazioni raccolte da un team di ricercatori spagnoli hanno dimostrato che gli indici utilizzati per prevedere e monitorare le perturbazioni geomagnetiche solari potrebbero non essere efficaci quanto pensiamo. Lo studio ha portato allo sviluppo di un indice locale per la Spagna, che sembra garantire previsioni più accurate

Rappresentazione artistica di una tempesta solare in viaggio verso la Terra. Crediti: NASA

Stando alle osservazioni raccolte dal Tihany Magnetic Observatory in Ungheria, gli indici utilizzati dagli scienziati per prevedere e studiare le perturbazioni geomagnetiche del Sole non sarebbero in grado di rilevare alcuni di questi eventi, e questo potrebbe mettere a serio rischio le reti di alimentazione e di comunicazione terrestri. Il Tihany Magnetic Observatory ha registrato una tempesta solare estremamente intensa, che nessuno degli altri osservatori ha osservato.

Nel 1859 la più grande e potente tempesta solare mai registrata, chiamata Evento di Carrington in onore dell’astronomo inglese Richard Carrington che l’ha osservata per primo, è stata rilevata presso il Colaba Observatory in India. Questa tempesta solare è stata talmente intensa da portare all’osservazione di aurore a latitudini basse quanto quelle di Madrid e del Mar dei Caraibi. Tuttavia, ha anche comportato interruzioni di corrente e incendi presso le strutture che ospitavano sistemi telegrafici in tutta Europa e nel Nord America.

Da allora sappiamo che le tempeste geomagnetiche più intense costituiscono una minaccia per una società sempre più dipendente dalla tecnologia, poiché possono rappresentare un pericolo per l’incolumità delle reti elettriche e di comunicazione. Al fine di evitare questo rischio gli scienziati hanno messo a punto diversi indicatori che possono aiutare ad analizzare e prevedere le tempeste geomagnetiche.

Uno degli indici più utilizzati per misurare l’intensità di tali fenomeni è il Dst (Disturbance storm time), che si ottiene facendo la media dei dati registrati ogni ora in quattro osservatori: Hermanus (Sud Africa), Kakioka (Giappone), Honolulu (Hawaii) e San Juan (Porto Rico).

Un altro indice, ancora più preciso, si chiama SYM-H e valuta la componente orizzontale del campo magnetico terrestre utilizzando le informazioni raccolte da un numero maggiore di osservatori, con una risoluzione temporale del minuto. Utilizzando questi due indici, per i quali la latitudine è il dato fondamentale nelle misurazioni magnetiche, gli scienziati sono in grado di monitorare gli effetti delle grandi tempeste solari. Uno degli eventi più recenti e importanti è stata la tempesta solare di Halloween, che ha avuto luogo tra i mesi di ottobre e novembre del 2003.

Tuttavia, né il Dst né il SYM-H sono stati in grado di rilevare la perturbazione magnetica che ha colpito la Terra il 29 ottobre 2003. L’evento era straordinariamente simile a quello di Carrington e ha colpito alcune centrali elettriche in Svezia e Sud Africa, dove sono andati bruciati svariati trasformatori.

L’evento è stato registrato dal Tihany Magnetic Observatory. Un team di ricercatori dell’Università di Alcalá ha studiato nel dettaglio il fallimento degli indici ufficiali, e ha presentato un report sulle potenziali conseguenze.

«Una delle conclusioni è che gli indici comunemente utilizzati dagli scienziati, come il Dst o l’SYM-H, che si basano su una visione globale della Terra ottenuta calcolando valori medi, molto probabilmente non sarebbe stata in grado di rilevare nemmeno l’evento di Carrington», spiega Consuelo Cid, autrice principale della ricerca.

Lo studio, pubblicato dal Journal of Space Weather and Space Climate, suggerisce che la comunità scientifica potrebbe utilizzare un approccio sbagliato calcolando valori medi in diverse regioni terrestri. L’errore potrebbe risiedere fatto che i disturbi magnetici positivi e negativi si annullano a vicenda, il che significa che il disturbo magnetico reale in una regione risulta nullo quando non lo è. Inoltre, il disturbo dipende molto dall’ora locale (ovvero la longitudine), mentre alcuni scienziati ipotizzano che dipenda soprattutto dalla latitudine.

«Un evento di tipo Carrington può verificarsi più spesso di quanto sospettiamo, anzi, potrebbe essere già accaduto senza che ce ne siamo resi conto», osserva Cid, che sottolinea la necessità di sviluppare indici locali più solidi, e quindi più utili alle aziende potenzialmente interessate da questi disturbi, come ad esempio le società elettriche.

Il team di Cid ha sviluppato l’indice di disturbo locale per la Spagna (LDiñ) che calcola la perturbazione geomagnetica sul territorio spagnolo. Il calcolo viene effettuato in base al campo magnetico registrato dall’Osservatorio di San Pablo a Toledo.

«Un indice simile a LDiñ potrebbe essere utilizzato in paesi vicini a noi, come il Portogallo, la Francia e l’Italia. Analogamente, potrebbero essere sviluppati altri indici, corretti per ogni regione, da utilizzare in altre parti del mondo», sottolinea la ricercatrice, che insiste sulla necessità di collaborare con le aziende coinvolte, come è accaduto nel caso del suo gruppo di ricerca che ha interagito con la società responsabile della rete elettrica spagnola: la Red Eléctrica Española.

Fonte : http://www.media.inaf.it/2015/10/19/le-grandi-tempeste-solari-invisibili/