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I segni del ciclo solare SC25 visti superficialmente dal campo magnetico toroidale

Interessante articolo recente pescato in rete. I passi più significativi…

Analizzando la componente del campo toroidale (dati raccolti dal Solar Dynamics Observatory / immagini eliosismiche magnetiche di – SDO / HMI – e Wilcox Solar Observatory – WSO -, osserviamo i primi segni del prossimo ciclo solare apparsi alle alte latitudini. WSO ha fornito i dati per gli ultimi quattro cicli delle macchie solari, mentre SDO per gli ultimi sei anni.

Figura 1 – La direzione misurata della componente dei campi magnetici toroidali da maggio 1976 al giugno 2016. Le frecce e i colori indicano la direzione desunta del campo da est-ovest. I colori rosso e blu rappresentano rispettivamente la polarità dei campi negativi e positivi. L’intensità del colore indica l’entità dell’inclinazione media.

La componente toroidale mostra chiaramente la durata dei cicli solari (Fig. 1). Dopo il massimo del ciclo delle macchie solari, il ciclo successivo inizia alle alte latitudini con il campo toroidale che inizia a cambiare direzione, con cambiamenti nei segni della polarità. Raggiunto l’equatore, il ciclo raggiunge il minimo, mentre per passare al ciclo successivo occorrono almeno quattro anni.  Al ciclo tipico di “11 anni”, occorrono circa 16 anni per passare da l’alta a bassa latitudine.

Figura 3 – La figura 3 mostra la stessa analisi effettuata con i dati WSO. Qui viene misura la differenza fra l’inclinazioni delle due polarità. 

Entrambe le figure 1 e 3 mostrano l’inizio del ciclo 25 alle alte latitudini meridionali. Questo dato, combinato con i rapporti precedenti che riguardano l’intensità del campo magnetico polare dell’emisfero sud e l’intensità del campo magnetico polare nel passato minimo (dati del 2008), confermano che il ciclo 25 esiste e probabilmente avrà una forza simile a ciclo 24.

 

References

[1] Shrauner, J.A., Scherrer, P.H., 1994, Solar Phys, 153, 131, (DOI: 10.1007/BF00712496)
[2] Lo, L., Hoeksema, J.T., Scherrer, P.H., ASP Conf. Series. 428, (2010ASPC..428..109L)

 

Fonte : http://hmi.stanford.edu/hminuggets/?p=1657

 

Michele

 

Aurore di Giove, ‘faro’ planetario

Tracciata la causa delle intense aurore a raggi X ai poli di Giove: le tempeste solari. Usando i dati della sonda NASA Chandra X-Ray Observatory e XMM-Newton dell’ESA

E’ stata scoperta la causa delle intense aurore boreali, ricche di raggi X riscontrate sul ‘gigante gassoso’ del nostro sistema solare, Giove. Il ‘colpevole’? Le potenti tempeste solari che causano aurore otto volte più luminose di quelle normali e centinaia volte più potenti di quelle terrestri. A rivelarlo è uno articolo pubblicato sul Journal of Geophysical Research – Space Physics, dedicato allo studio di scienze dello spazio, condotto da un team di ricercatori dell’University College London, NASA e altre istituzioni. E’ proprio la particolare intensità dell’attività solare, più precisamente l’espulsione di massa coronale dove la materia solare viene lanciata a grandi velocità nello spazio, ad interagire con la magnetosfera dei Giove e causare quindi le aurore. Come sulla Terra, anche sul pianeta gassoso si formano aurore ai poli, in questo caso più energetiche e molto intense di radiazioni di raggi X. Per dare un’idea delle dimensioni, queste aurore gioviane ricoprono un superficie molto più ampia delle dimensioni della Terra stessa. E’ dunque il vento solare, intensificato dalle tempeste solari, che comprime il campo magnetico di Giove. Colpendo la magnetosfera, i cui confini vengono ‘stirati’ fino a 2 milioni di km nello spazio, provoca potenti raggi X, visibili dalle sonde in orbita intorno al polo Nord. Lo studio si riferisce in particolare a delle misurazioni fatte durante una potente aurora a raggi X dell’ottobre 2011. Due osservazioni di 11 ore hanno fornito i dati necessari per risalire al colpevole. In passato era stato localizzato un ‘hot spot’ pulsante sul polo Nord, un punto caldo particolarmente attivo nell’emettere raggi X. Durante le osservazioni del 2011 si è potuto determinare che le sue pulsazioni erano passate da ogni 45 minuti a ogni 26 minuti, in occasione dell’aurora boreale. Questo studio è stato pubblicato a pochi mesi dell’arrivo della sonda NASA Juno nei pressi di Giove. Previsto per l’estate 2016, l’arrivo di Juno permetterà di studiare più da vicino il campo magnetico del gigante gassoso, fornendo un’analisi più profonda su questo tipo di fenomeni.

Immagini che mostrano le misurazioni fatte in ottobre 2011 – Crediti: X-ray: NASA/CXC/UCL/W.Dunn et al, Optical: NASA/STScI

Fonte : http://www.asi.it/it/news/aurore-di-giove-faro-planetario

Un possibile legame fra la variabilità del Sole e l’attività vulcanica

Autori: (Paolo Madonia, Francesco Parello, Dalila Pitarresi, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Sez. di Palermo, Palermo, Italia,e altri)

Riassunto

La variabilità solare ha la capacità di controllare il clima globale, che a sua volta agisce come un trigger per l’attività vulcanica. In questa ricerca si è studiato la connessione Sole-Terra analizzando la distribuzione temporale delle eruzioni dei vulcani situati nell’emisfero nord, nel mar dei Caraibi e ad est del Mar Mediterraneo, con particolare attenzione ai vulcani italiani più attivi. L’analisi comparata tra le macchie solari e i cicli vulcanici suggerisce che le eruzioni vulcaniche sono più frequenti durante i minimi dell’attività solare, con circa 3 eruzioni su 4 che si verificano nei minimi relativi del ciclo di undici anni del Sole. La relazione tra il Sole e la variabilità del sistema vulcanico non è così evidente nel lungo termine (scala temporale centenaria), poiché la complessa analisi del meccanismo che collega l’eruzioni vulcaniche a l’attività solare non può prescindere da discriminanti geodinamiche, che svolgono un ruolo fondamentale nel guidare la migrazione del magma verso la superficie terrestre.

Vulcani 1Abbiamo preso in considerazione le date di insorgenza delle eruzioni e agitazioni vulcaniche in sei diverse aree, che si trovano tra una latitudine compresa tra 10° N e 40° N: Mar dei Caraibi, isole di Capo Verde, le isole Azzorre, Isole Canarie, Italia e Grecia (i vulcani del distretto sud-italiano : Vesuvio, Etna, Stromboli e isola vulcano). Nella valutazione del possibile accoppiamento fra i cicli solari e l’attività vulcanica l’approccio che abbiamo seguito è stato il modello a blocchi: abbiamo semplicemente confrontato i tempi di eruzione e il numero di macchie solari, alla ricerca di un qualsiasi legame possibile tra questi due. Nel fare questo ci siamo concentrati con particolare attenzione ai cicli vulcanici, vale a dire, un gruppo di almeno tre eruzioni consecutivi il cui tempo di insorgenza era nettamente superiore rispetto ai periodi adiacenti, compreso i periodi dalla prolungata assenza di attività vulcanica. Per una migliore evidenza abbiamo tracciato le eruzioni usando una curva cumulativa. I dati provenienti da vulcani situati nella stessa zona sono state raggruppati e presentati qui sotto, fatta eccezione per l’italia, dove per un dettaglio maggiore, abbiamo considerato ogni vulcano separatamente. Nessuna relazione sistematica fra l’attività vulcanica e cicli solari centenari può essere accertata.

Vulcani 2Vulcani 3Il passo successivo è stato quello di suddividere le eruzioni per le diverse classi di SSN, cioè, associando ad ogni data di esordio di eruzione il corrispondente SSN osservato sul Sole I risultati sono tracciati sul grafico a barre, nella figura seguente. La distribuzione delle eruzioni in relazione al SSN rileva che il 73% delle eruzioni si è verificato quando il numero di macchie solari era inferiore a 60, condizione in base al quale il Sole ha speso il 76% del suo tempo. La forte somiglianza delle due distribuzioni di frequenza suggerisce l’assenza di rapporti causa-effetto tra i due parametri, poiché la probabilità che si verifichi una eruzione durante le fasi basse del SSN è più elevata solo perché il sole trascorre la maggior parte del suo tempo in questa condizione.

Vulcani 4Successivamente, ciascun ciclo solare è stato suddiviso in due metà, utilizzando la mediana ampiezza di picco come una divisione tra la parte bassa e alta del ciclo; le eruzioni sono state poi classificate in base alla loro posizione all’interno del picco. Come evidenziato nella figura sotto riportata, le più alte frequenze di eruzioni sono state osservate durante minimi relativi del ciclo solare, in tutte le aree considerate. Le isole delle Canarie hanno evidenziato le differenze più ampie, con il 90,9% delle eruzioni che si sono verificati durante i picchi di metà più bassi, rispetto al 9,1% durante quelli più alti, mentre lo Stromboli ha le differenze più basse, rispettivamente 55,2% e 44,8%. In totale, il 71,9% delle eruzioni ha avuto luogo durante i minimi del ciclo di 11 anni e solo il 28,1% durante i massimi.
Vulcani 5Conclusioni
I sistemi vulcanici sono controllati da meccanismi complessi e l’analisi di correlazioni tra l’eruzioni e l’attività solare non può prescindere da discriminanti geodinamiche, che svolgono un ruolo fondamentale nel guidare la migrazione del magma verso la superficie terrestre. Nonostante le complicazioni indotte da fattori geodinamici, l’analisi comparata tra i cicli delle eruzioni e il SSN suggerisce che le eruzioni vulcaniche sono più frequenti durante i minimi del ciclo solare di 11 anni. Circa 3 eruzioni su 4 si sono verificate nella zona studiata (minimo). Questo risultato può essere interpretato come un indizio preliminare che la variabilità del clima della Terra, guidato dal ciclo del Sole, potrebbe agire come un possibile fattore scatenante dell’attività vulcanica. Tuttavia, dal momento che questo effetto è una mera forzatura esterna della soglia eruttiva energetica di un vulcano, un collegamento diretto tra le eruzioni e dei cicli del Sole deve essere esclusa. L’attività di sole non può risvegliare una dormiente volcano, ma potrebbe scatenare l’insorgenza di un’eruzione in un vulcano che è in fase indipendentemente e in condizioni pre-eruttive.

Fonte : https://www.novapublishers.com/catalog/product_info.php?products_id=54254&osCsid=ca4f22cdac656b28ed24afa348882c8f

Le macchie solari versione 2.0 ? Irrilevante. Il Sole c’è.

Dopo la richiesta che mi è arrivata da parte di 5 persone indipendenti, circa la nuova ricostruzione del numero delle macchie solari, la quale non mostra alcun contributo dato dal Sole sul riscaldamento della temperatura terrestre, occorso nel 20° secolo, ho deciso di scrivere qualcosa su questa piattaforma.

Ho una sola parola per descrivere questa nuova revisione : Irrilevante !

Questa è ancora una volta, una buona occasione  per scrivere qualcosa su questi nuovi risultati. Risultati, che mostrano, che il sole ha un grande effetto sul clima. Eppure, il mondo continuerà ancora ad ignorarlo. Sono sorpreso ? No non lo sono.

In primo luogo, la storia? Un gruppo guidato da Frédéric Clette ha tenuto una presentazione all’assemblea IAU alle Hawaii. In essa, si è dichiarato, che il numero delle macchie solari soffre di diversi errori sistematici, in quanto,  è una misura soggettiva. Poiché tali errori sistematici variano nel tempo (con i diversi osservatori e metodi di osservazione), la ricostruzione del SN può esibire una tendenza fittizia nel lungo termine. Hanno anche tentato di calibrare i dati, per ottenere un insieme di dati più omogeneo. Tutto questo, è descritto, nel loro preprint arXiv.

L’aspetto più interessante della loro nuova ricostruzione delle macchie solari è che c’è molta meno variazione del numero delle macchie solari tra i diversi massimi solari dal minimo di Maunder. Ciò implica, secondo loro, che non vi è stato un significativo aumento dell’attività solare nel corso del 20° secolo, e quindi, che  il sole non dovrebbe aver contribuito per nulla all’aumento delle temperature. Questo punto è stato naturalmente catturato dai media.

Figura 1: Il passato conteggio (rosso) e il nuovo (blu) del numero delle macchie solari di Clette et al.

Allora, che cosa penso a questo proposito? In primo luogo, non ho idea se la taratura è corretta. Vale a dire, alcune correzioni sono probabilmente necessarie e non vi è alcun motivo a priori per pensare che quello che hanno fatto non è valido. Tuttavia, la loro affermazione circa l’attività solare in generale non è sbagliata e non varia molto da quando il sole è uscito dal minimo Mounder. Ci sono altri modi più obiettivi per ricostruire l’attività solare rispetto al conteggio soggettivo delle macchie solari, e ci mostrano che l’attività solare è aumentata nel corso del 20° secolo. Quindi al massimo, si può affermare che l’attività solare ha vari aspetti, e che il numero massimo delle macchie non è un buon indicatore di tutti loro. Questo non è irragionevole dal momento che il numero di macchie solari rifletterebbe più direttamente la quantità di linee di campo magnetico chiuse, ma non quelle aperte che soffiano nel vento solare.

I due importanti indicatori oggettivi per l’attività solare sono gli isotopi cosmogenici (C14 e 10Be), e l’indice geomagnetico AA. L’indice AA (misurato a partire dalla metà del 19° secolo), mostra chiaramente che nella seconda parte del 20° secolo, il Sole è stato più attivo rispetto alla seconda metà del 19° secolo. Il set di dati 10Be, più lungo, rivela che la seconda metà del 20° secolo è stata più attiva rispetto a qualsiasi momento precedente, dal minimo di Maunder. (Il C14 è un po’ problematico perché le bombe nucleari umane dal 1940 in poi hanno liberato un sacco di C14 in atmosfera, quindi non può essere utilizzato per ricostruire l’attività solare nella seconda parte del 20° secolo).

Figura 2: L’indice geomagnetico AA, che mostra un netto aumento dell’attività solare nel corso del 20° secolo.

Figura 3: La produzione di 10Be dimostra ancora una volta, che il sole era particolarmente attivo nella seconda metà del 20° secolo. Il vecchio conteggio delle macchie solari “, senza la ricostruzione e correzione di Clette et al.

 

Che cosa ci dice questo grafico ? Dato che le variazioni nel lungo termine del clima della Terra non sono correlate con l’attività solare nel lungo termine (ad esempio, vedere la prima parte di questo articolo ) e dato che alcuni indicatori dell’attività solare (presumibilmente ?) non mostrano un aumento dal minimo di Maunder, ma alcuni si, questo significa che il clima è sensibile a quegli aspetti dell’attività solare che sono aumentati (ad esempio il vento solare), ma non con quelli più direttamente associati con il numero di macchie solari (ad esempio : UV o radiazione solare totale). Così, questo risultato sul massimo delle macchie solari (di nuovo, se vero), rafforza l’idea che il legame sole – clima è legato attraverso le linee del campo magnetico aperto, come la forza del vento solare o il flusso di raggi cosmici.

Il secondo punto che volevo evidenziare è un’analisi recentemente pubblicata che mostra che il sole ha un grande effetto sul clima, e quindi si può quantificare esso. Recentemente, Daniel Howard, Henrik Svesmark ed io, abbiamo analizzato i dati altimetrici satellitari, che sono simili alle registrazioni mareografiche e che misurano le variazione del livello del mare. Tuttavia, poiché i dati dei satelliti sono di alta qualità, e con una risoluzione superiore rispetto ai dischi temporali mareografici, questo ci consente di individuare le componenti di espansione termica. Questo ci permette una migliore stima del forcing solare, che è 1,33 ± 0,34 W / m2 nell’ultimo ciclo solare. Questo può essere visto in fig. 4, con il sole e il ciclo enso, che possono spiegare una grande frazione del cambiamento del livello del mare da scale annuali a decennali.

Fig.n°4

Figura 4: I dati del livello del mare e l’adattamento del modello. I punti blu sono il livello globale del mare linearmente misurato con l’altimetria satellitare. La linea viola è l’adattamento del modello dei dati che comprende sia una componente solare armonica che un contributo del ciclo ENSO. Le regioni ombreggiate indicano le regioni di confidenza. L’adattamento spiega il 71% della variazione osservata nei dati filtrati.

La linea di fondo evidenzia che il sole sembra avere un grande effetto sul clima su diverse scale temporali. Se le macchie solari non riflettono l’aumento dell’attività solare dal minimo di Maunder (come riscontrato in quest’ultima serie di dati) non è molto importante. Al massimo, se non lo riflettono, rafforzano l’idea che qualcosa associato al vento solare lo fa (come i raggi cosmici che modulano).

Fonte : http://www.sciencebits.com/sunspots_2.0

Le grandi tempeste solari invisibili

Recenti osservazioni raccolte da un team di ricercatori spagnoli hanno dimostrato che gli indici utilizzati per prevedere e monitorare le perturbazioni geomagnetiche solari potrebbero non essere efficaci quanto pensiamo. Lo studio ha portato allo sviluppo di un indice locale per la Spagna, che sembra garantire previsioni più accurate

Rappresentazione artistica di una tempesta solare in viaggio verso la Terra. Crediti: NASA

Stando alle osservazioni raccolte dal Tihany Magnetic Observatory in Ungheria, gli indici utilizzati dagli scienziati per prevedere e studiare le perturbazioni geomagnetiche del Sole non sarebbero in grado di rilevare alcuni di questi eventi, e questo potrebbe mettere a serio rischio le reti di alimentazione e di comunicazione terrestri. Il Tihany Magnetic Observatory ha registrato una tempesta solare estremamente intensa, che nessuno degli altri osservatori ha osservato.

Nel 1859 la più grande e potente tempesta solare mai registrata, chiamata Evento di Carrington in onore dell’astronomo inglese Richard Carrington che l’ha osservata per primo, è stata rilevata presso il Colaba Observatory in India. Questa tempesta solare è stata talmente intensa da portare all’osservazione di aurore a latitudini basse quanto quelle di Madrid e del Mar dei Caraibi. Tuttavia, ha anche comportato interruzioni di corrente e incendi presso le strutture che ospitavano sistemi telegrafici in tutta Europa e nel Nord America.

Da allora sappiamo che le tempeste geomagnetiche più intense costituiscono una minaccia per una società sempre più dipendente dalla tecnologia, poiché possono rappresentare un pericolo per l’incolumità delle reti elettriche e di comunicazione. Al fine di evitare questo rischio gli scienziati hanno messo a punto diversi indicatori che possono aiutare ad analizzare e prevedere le tempeste geomagnetiche.

Uno degli indici più utilizzati per misurare l’intensità di tali fenomeni è il Dst (Disturbance storm time), che si ottiene facendo la media dei dati registrati ogni ora in quattro osservatori: Hermanus (Sud Africa), Kakioka (Giappone), Honolulu (Hawaii) e San Juan (Porto Rico).

Un altro indice, ancora più preciso, si chiama SYM-H e valuta la componente orizzontale del campo magnetico terrestre utilizzando le informazioni raccolte da un numero maggiore di osservatori, con una risoluzione temporale del minuto. Utilizzando questi due indici, per i quali la latitudine è il dato fondamentale nelle misurazioni magnetiche, gli scienziati sono in grado di monitorare gli effetti delle grandi tempeste solari. Uno degli eventi più recenti e importanti è stata la tempesta solare di Halloween, che ha avuto luogo tra i mesi di ottobre e novembre del 2003.

Tuttavia, né il Dst né il SYM-H sono stati in grado di rilevare la perturbazione magnetica che ha colpito la Terra il 29 ottobre 2003. L’evento era straordinariamente simile a quello di Carrington e ha colpito alcune centrali elettriche in Svezia e Sud Africa, dove sono andati bruciati svariati trasformatori.

L’evento è stato registrato dal Tihany Magnetic Observatory. Un team di ricercatori dell’Università di Alcalá ha studiato nel dettaglio il fallimento degli indici ufficiali, e ha presentato un report sulle potenziali conseguenze.

«Una delle conclusioni è che gli indici comunemente utilizzati dagli scienziati, come il Dst o l’SYM-H, che si basano su una visione globale della Terra ottenuta calcolando valori medi, molto probabilmente non sarebbe stata in grado di rilevare nemmeno l’evento di Carrington», spiega Consuelo Cid, autrice principale della ricerca.

Lo studio, pubblicato dal Journal of Space Weather and Space Climate, suggerisce che la comunità scientifica potrebbe utilizzare un approccio sbagliato calcolando valori medi in diverse regioni terrestri. L’errore potrebbe risiedere fatto che i disturbi magnetici positivi e negativi si annullano a vicenda, il che significa che il disturbo magnetico reale in una regione risulta nullo quando non lo è. Inoltre, il disturbo dipende molto dall’ora locale (ovvero la longitudine), mentre alcuni scienziati ipotizzano che dipenda soprattutto dalla latitudine.

«Un evento di tipo Carrington può verificarsi più spesso di quanto sospettiamo, anzi, potrebbe essere già accaduto senza che ce ne siamo resi conto», osserva Cid, che sottolinea la necessità di sviluppare indici locali più solidi, e quindi più utili alle aziende potenzialmente interessate da questi disturbi, come ad esempio le società elettriche.

Il team di Cid ha sviluppato l’indice di disturbo locale per la Spagna (LDiñ) che calcola la perturbazione geomagnetica sul territorio spagnolo. Il calcolo viene effettuato in base al campo magnetico registrato dall’Osservatorio di San Pablo a Toledo.

«Un indice simile a LDiñ potrebbe essere utilizzato in paesi vicini a noi, come il Portogallo, la Francia e l’Italia. Analogamente, potrebbero essere sviluppati altri indici, corretti per ogni regione, da utilizzare in altre parti del mondo», sottolinea la ricercatrice, che insiste sulla necessità di collaborare con le aziende coinvolte, come è accaduto nel caso del suo gruppo di ricerca che ha interagito con la società responsabile della rete elettrica spagnola: la Red Eléctrica Española.

Fonte : http://www.media.inaf.it/2015/10/19/le-grandi-tempeste-solari-invisibili/