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Cambiamenti climatici: Le parole chiave

In un futuro non troppo lontano, sarà probabilmente difficile capire come tante persone istruite hanno creduto e accettato acriticamente per tanto tempo una teoria non dimostrata scientificamente, come il cosiddetto riscaldamento globale antropogenico (AGW).

Presa quasi come un dogma, l’AGW è stato imposto con forza per mezzo di un fuoco di fila di notizie allarmistiche e indottrinamento che inizia nei libri di testo della scuola elementare ed è inesorabilmente “imposta” su di noi dai mass-media e da molte istituzioni scientifiche (tra cui alcune pseudo-scientifiche) , mentre i politici ingenui o opportunisti escogitano tutti i mezzi possibili per inserire il clima  nei programmi di ricerca.

La presunta minaccia rappresentata da quel mondo di emergenza avrebbe dovuto giustificare la necessità di almeno dimezzare le emissioni di carbonio umano fino alla metà del secolo, il che significa una riduzione draconiana l’uso di combustibili fossili a livello mondiale. Nonostante il drastico impatto potenziale di tali misure sui livelli di vita di tutte le nazioni, l’incapacità di farlo e di istituire un “basse emissioni di carbonio”, ci viene detto, avrebbe introdotto l’apocalisse ambientale in Beh, fortunatamente per l’umanità, ha vinto ‘.

Tuttavia, tale valanga è andato troppo lontana. Quindi, è giunto il momento di voltare questa pagina allarmista e scartare le parole d’ordine con cui il “clima” è stato messo in commercio una volta per tutte: (immeritato) super, (immotivata) paura, (non necessarie) restrizioni e (inaccettabili) sacrifici. Al loro posto nuove parole chiave sono necessarie per mettere i fenomeni climatici nella loro giusta prospettiva: proporzione, conoscenza e capacità di recupero.

La prima parola chiave: proporzione

La macchina della propaganda ambientalista ha attribuito una connotazione intrinsecamente negativa e minacciosa al termine cambiamento climatico, come se le oscillazioni climatiche dell’ultimo secolo e mezzo siano state qualcosa senza precedenti, il che implica che deve essere combattuto ad ogni costo – anche se questo potrebbe ostacolare le prospettive di sviluppo della maggior parte dei paesi in via di sviluppo (e come se l’umanità avesse le necessarie conoscenze e mezzi per farlo). Nonostante, cambiamento è la condizione naturale del clima della Terra – nelle scale temporali – storiche e geologiche non c’è mai stato e non ci sarà mai una cosa come un clima “statico” (così, il cambiamento climatico è una sorta di pleonasmo). Come regola generale, durante il 90% delle ere nel Fanerozoico (gli ultimi 570 milioni anni) la Terra ha sperimentato temperature superiori a quelli attuali, e il 90% del periodo Quaternario (gli ultimi i 2,6 milioni di anni) sono trascorsi in condizioni glaciali e temperature molto più basse di quelle attuali.

Il Quaternario ha anche assistito ad oscillazioni più frequenti e rapidi cambiamenti climatici nella storia geologica della Terra, alternando periodi di freddo glaciale e caldo interglaciale.  Negli ultimi 800.000 anni i cicli più lunghi hanno prevalso e la Terra è passata per otto ere glaciali di circa 90.000 anni, separati da otto periodi interglaciali in media lunghi 10,000-11,000 anni (anche se ci sono controversie sulla loro lunghezza).

Durante le ere glaciali le temperature medie sono state 8-10 ° C inferiori a quelli attuali, il livello del mare  era 120-130 metri più in basso e gran parte dell’emisfero settentrionale era coperto da un pack fino a 4 km di spessore, fino al 40 N ° parallelo (la latitudine di  New York). Durante i periodi interglaciali, la temperatura media era di  4-6 ° C e il livello del mare 3-6 m superiore a quelle attuali. Il nostro periodo interglaciale dell’Olocene, che è iniziato 11,500-11,700 anni fa, aveva temperature medie fino a 4 ° C piú alte e il livello del mare fino a 3 m superiore a quelli di 5.000-6.000 anni fa (Medio Olocene).

I periodi di transizione tra le fasi di riscaldamento e raffreddamento e viceversa, quando le temperature medie sono aumentate o diminuite di 6-8 ° C  fanno la differenza tra un periodo interglaciale e l’Era Glaciale, e sono durati da qualche secolo a pochi decenni.

Il genere Homo è apparso sulla Terra subito dopo l’inizio del Quaternario. La nostra specie Homo sapiens sapiens è emersa durante la penultima glaciazione, da qualche parte tra 150.000-200.000 anni fa. E il nostro “solutore di problemi- costruttore di cittá, tecnologico, scientifico, industriale artistico etc etc” , é nato nell´Olocene quando le temperature piú calde hanno permesso l´inizio dell´agricoltura. 

 La dinamica del clima del Quaternario sembra essere quello di “auto-regolare” le condizioni al contorno delineato da ere glaciali e interglaciali. Quindi, il rischio  di “riscaldamento galoppante” o un qualche tipo di perturbazione del clima dalle emissioni di carbonio umano è inverosimile, soprattutto per quanto riguarda il tanto conclamato “numero magico” di 2 ° C di riscaldamento che presumibilmente non poteva essere superato (un espediente ammesso dal suo autore stesso, il fisico tedesco Hans Joachim Schellnhuber in un’intervista al sito Spiegel Online).  Durante i periodi  interglaciali ci sono state temperature più elevate, senza alcun tipo di disturbo “fuori controllo”.

Reali emergenze globali

Per quanto riguarda le emergenze reali globali che richiedono azioni urgenti e nuovi livelli di attenzione internazionale, cooperazione, coordinamento e finanziamento, non mancano di certo. Per chi seriamente é interessato a questo, qui ci sono alcune emergenze che non esistono solo nei supercomputer dei modelli matematici e che potrebbero beneficiarsi molto da frazioni degli importi colossali di denaro – e risorse umane – che sono stati sprecati con l’inesistente AGW:

* Problemi più gravi del mondo ambientale, in particolare nei paesi in via di sviluppo, sono quelli legati alla mancanza di infrastrutture idriche e fognarie, come l’inquinamento dell’acqua e le malattie trasmesse dall’acqua  che uccidono un bambino ogni 15 secondi nei paesi in via di sviluppo, secondo la Organizzazione Mondiale della Sanità. [4] Non ho mai visto Al Gore, le stelle di Hollywood o le grandi ONG ambientali fare una campagna per servizi igienico-sanitari a favore del terzo mondo.

 La fame e le sue conseguenze uccidono un bambino ogni sei secondi, secondo la FAO. [7] Quasi un miliardo di persone in tutto il mondo soffrono di fame cronica, uno scenario che sicuramente peggiora a causa della attuale speculazione e aumento dei prezzi relativi ad alcuni alimenti base.  Oltre lo spreco immorale della vita, il costo economico annuo di una tale tragedia in perdite di produttività, fatturato, investimenti e consumi è stimato nell’ordine di centinaia di miliardi di dollari. 

* La mancanza di accesso da gran parte della popolazione mondiale alle fonti di energia moderna. La legna da ardere, é il combustibile più primitivo noto al genere umano e sono ancora le risorse di base per le esigenze quotidiane della maggior parte degli africani sub-sahariani (oltre ad essere le principali fonti di deforestazione e malattie respiratorie). Anche se con valori più bassi, lo stesso accade in gran parte dell’Asia, dell’America Latina e dei Caraibi. E, come oltre l’80% del fabbisogno di energia primaria del mondo sono forniti da carbone, petrolio e gas naturale, non è difficile accertare le possibili conseguenze della restrizione previsto nel loro uso, come proposto da molti scienziati, ambientalisti, politici, commercianti di carbonio e tutto il popolo terrorizzato dalle storie spaventose dell´ AGW. (Decimare la popolazione mondiale africana, parte asiatica e sud americana per far sopravvivere noi “fortunati”).  Oltre a questo, impianti termoelettrici generano circa i due terzi di energia elettrica del mondo, il resto è quasi totalmente fornita da impianti idroelettrici e nucleari (anche sempre più nel mirino degli ambientalisti). 

L’elenco dei veri problemi è molto più lungo, ma questi pochi esempi sono sufficienti per dimostrare le distorsioni  della discussione globale, sia tra i politici e l’opinione pubblica in generale (che, nel caso di questioni climatiche, riflettono una diffusa carenza di cultura scientifica fra gli strati colti della società).

Massicci investimenti nazionali ed internazionali per efficienti  sistemi integrati di trasporto multi-modale e urbani possono e dovrebbero contribuire a ridurre l’uso di automobili e camion, in particolare nelle grandi città sovraffollate. Per la generazione di energia, ci sono le opzioni di sfruttare il potenziale idroelettrico ancora disponibile, l’espansione dell’energia nucleare e l’interconnessione delle reti elettriche  continentali e anche inter-continentale  al fine di migliorare sia l’efficienza energetica e sicurezza per tutti i paesi coinvolti (dimenticare il corrente “fonti alternative” per impieghi su larga scala, non sono tecnologicamente ed economicamente fattibili per energizzare società urbane e industriali). E quindi, gas carbone, petrolio i continueranno a essere fonte di sviluppo e di progresso per molto tempo ancora  ed è inaccettabile che il suo uso possa essere ostacolato da una minaccia immaginaria.

La seconda parola chiave: conoscenza

La seconda parola chiave per la rivalutazione attesa da tempo dei problemi climatici è la conoscenza, il che significa una comprensione più completa e migliore  delle dinamiche del clima.

 

Tuttavia, come prerequisito, è necessario chiarire un concetto comunemente usato male e abusi da parte dei difensori del riscaldamento globale antropogenico (AGW): l’idea che “la scienza é finita” e che il cosiddetto “consenso scientifico” sul tema sarebbe contestato solo da qualche manciata di irriducibili “scettici”.

Per cominciare, non esiste una cosa come “la scienza é finita,” né in climatologia né in nessun altro ramo della scienza. Il corpo di conoscenze scientifiche è una costruzione aperta e permanente in corso che è sempre aperto a nuove evidenze, nuove ipotesi, dibattiti, discussioni e revisione – è così che la scienza avanza realmente.

Inoltre, “consenso” è un  concetto alieno alla scienza, che non è un’attività “democratica” il cui avanzamento è spinto dal peso del numero di seguaci di una certa linea di pensiero o teoria – ma da un processo permanente di convergenza tra  nuove ipotesi e testimonianze raccolte nel mondo fisico.

E ‘davvero deplorevole che questo metodo scientifico vero sia stato deliberatamente trascurato da un bel po’ della comunità scientifica coinvolta nella ricerca sul clima e le tematiche correlate.  Forse, in molti casi questo atteggiamento è stato motivato dal richiamo degli incentivi offerti alla macchina dell´AGW – borse di ricerca abbondanti, esposizione mediatica, il prestigio, l’orgoglio professionale di fare parte di una branca della scienza elevata verso la celebrità, le opportunità di business consulting e molti altri.

D’altra parte, oltre le centinaia di miliardi di dollari che sono stati sprecati, con il tentativo di imporre una teoria che non è supportata da evidenze nel mondo fisico, la spinta “warmist” sta danneggiando la scienza in modo molto pericoloso. In primo luogo, si spinge la scienza a  fornire una valutazione motivata e relativamente ben informata della dinamica del clima che può fornire un utile orientamento per strategie a lungo termine e politiche pubbliche; in secondo luogo, si sta distorcendo la percezione pubblica della scienza,  cosí che gli scienziati del clima avranno probabilmente difficoltà a cercare di riconquistare la fiducia pubblica dopo l’usura e la fine apparentemente inevitabile della visione allarmista dell´AGW.

Per quanto riguarda l’IPCC, è stato un espediente politico fin dall’inizio, dedicato al compito di dimostrare “il rischio di origine antropica del cambiamento climatico”. [14] Così, le sue procedure metodologiche sono adatte alla sua agenda politica del “giustificare il controllo delle emissioni dei gas a effetto serra, soprattutto anidride carbonica, “come è stato giustamente descritto da S. Fred Singer, uno dei decani delle scienze atmosferiche ancora in servizio.

In realtà, l´IPCC si é  limitata a una raccolta scientifica delle opere legate al clima.  Anche se questo metodo può essere utile per fornire qualche panoramica sullo stato dell’arte della ricerca climatica, non può essere invocata per fornire una comprensione più realistica e funzionale della dinamica del clima.

Con la fissazione ossessiva sulla anidride carbonica é stato inoculato nella scienza del clima un  “virus riduzionista”.

I supercomputer presentano modelli climatici globali (GCM) tanto cari ai difensori dell´AGW sono strumenti riduzionisti per eccellenza. In modo semplificato, un GCM tipico divide l’atmosfera in griglie,  “scatole” di centinaia o migliaia di chilometri quadrati e di alcuni chilometri di quota, e cerca di accertare e quantificare i flussi di energia e le loro influenze sui parametri climatici nelle e tra le “scatole . “Come ogni” scatola “comprende diversi gradi di latitudine e longitudine e una molteplicità di ambienti fisici e biologici (tipo di superficie,  vegetazione, ecc), si può immaginare la complessità del processo – che non può che fornire una risposta con molto approssimazione del mondo fisico. Inoltre, siccome molti fattori che influenzano tali flussi sono poco conosciuti o addirittura ignoti, di solito sono “regolati”, “fisso” (“parametrizzati” in gergo) o semplicemente ignorato dal modellatori. (Vedi esempio del Sole la cui irradianza é stata semplicemente ignorata e considerata ininfluente sul clima)  Quindi, nessuna meraviglia se le discrepanze tra i modelli e le osservazioni del mondo reale sono generalmente notevoli. 

Il clima deve essere visto come un sistema integrato in sé e studiare la sua evoluzione nel corso della storia geologica della Terra a fondo, tenendo conto di tutti gli astrofisici, atmosferiche, oceaniche, geologici, geomorfologici e biologici che influenzano e le loro interazioni molteplici e complessi, molti dei quali – vale la pena ripeterlo – sono ancora poco noti.

La terza parola chiave: resistenza

La  parola resistenza può essere descritta come la capacità  elastica di  riprendersi da urti. Questa è una proprietà che l’umanità ha sempre dimostrato di possedere, mentre di fronte tutti i tipi di minacce alla sua evoluzione, e questa è anche la terza parola chiave e la più importante per la rivalutazione necessaria del dibattito sul clima.

Nonostante alcune interruzioni transitorie del processo di civiltà e un sacco di battute d’arresto e di tragedie di tutte le dimensioni, la natura intrinsecamente creativa, associativa e sinergica della nostra specie,  hanno concesso all’umanità la capacità di evoluzione (in termini di conoscenza delle relazioni  socio-politico-economiche) e l’elasticità necessaria per superare ogni genere di sfide fino ad ora: condizioni climatiche avverse, scarsità di cibo, epidemie e pandemie, catastrofi naturali, conflitti di ogni genere, cattivi governanti,   “disgrazie” alimentate da esotiche idee scollegate da qualsiasi coerente processo di comprensione delle leggi universali – come l’ambientalismo e il suo alfiere la teoria del riscaldamento globale antropogenico (AGW).

Vale la pena ricordare che la nostra specie è apparsa nella penultima era glaciale da qualche parte in Africa e di cui da lì a conquistare tutti i continenti con più condizioni climatiche sfavorevoli rispetto a quelli prevalenti nel periodo dell’Olocene, gli ultimi 12.000 anni. E ‘stato sotto le dure condizioni prevalenti durante la maggior parte di quel lasso di tempo che i nostri antenati hanno sviluppato il “fisico” e il “sociale” e le tecnologie necessarie non solo per la mera sopravvivenza, ma anche per l’avvento della vita civile: il fuoco, gli strumenti, le armi da caccia sofisticate , l’addomesticamento degli animali, il linguaggio articolato, la capacità di azione di gruppo e concetti astratti, anche profondi, come l’intuizione di un principio di ordine universale e un raffinato senso artistico (esemplificata dai magnifici dipinti in grotte di Lascaux e di Altamira e dai 35 mila anni- flauti antichi fatti di ossa di animali si trovano in Germania del sud-est). Solo l’agricoltura ha dovuto attendere l’inizio del nostro caldo periodo interglaciale dell’Olocene.

Così, con  150.000 anni di eredità di esperienza accumulata, l’umanità non ha carenza di condizioni per affrontare qualsiasi scenario ambientale creato dalle oscillazioni naturali della dinamica del clima, con tutte le temperature, umidità, copertura di ghiaccio, il livello del mare ed altre modifiche che ci si può attendere in un futuro prevedibile. La parola chiave è garantire la resistenza necessaria per tale capacità -, invece di sacrificare le prospettive di benessere e progresso di gran parte della popolazione mondiale con un’ossessione irrazionale per un piccolo aumento dei termometri e dei manometri per la marea.

Di più: per la prima volta, l’umanità custodisce il corpo necessario e sufficiente di conoscenza e di risorse tecniche e fisiche per fornire la totalità virtuale del materiale esigente di una popolazione ancora più grande di quella esistente, aprendo la possibilità di universalizzare – in un modo del tutto duraturo e sostenibile  – i livelli di benessere generale di cui godono i paesi più avanzati, in termini di acqua, servizi igienici, energia, trasporti e servizi di comunicazione e infrastrutture, sanità e istruzione e altre conquiste della moderna vita civilizzata. Nonostante le argomentazioni fallaci neo-malthusiane  contro tale prospettiva, i principali ostacoli al suo compimento in meno di due generazioni sono politici e mentali, non fisico o ambientale.

D’altra parte, è ironico che le condizioni di raffreddamento sono sempre stato molto più fastidiose per l’umanità, specialmente in ciò che riguarda la salute umana e impatto agricolo, i viaggi e le interruzioni delle infrastrutture e molti altri effetti negativi. Così, siamo la prima generazione nella storia che siamo preoccupati per il riscaldamento del pianeta – una condizione che ha sempre dimostrato di essere favorevole alla maggior parte della biosfera (anzi, prima che la  climatologia fosse stata trasformata in una “scienza politicizzata”, la fase più calda dei periodi interglaciali sono stati nominati “climatiche ottimali”).

In realtà, ci sono alcune serie indicazioni che i prossimi due/tre decenni ci  sarà una tendenza al raffreddamento, dovuto alla coincidenza di un ciclo di debole attività solare e le fasi fredde del Pacific Decadal Oscillation (PDO) e altri cicli di temperature superficiali del mare, una combinazione che aiuta a spiegare gran parte delle oscillazioni di temperatura durante il secolo scorso. 

Quindi, il modo più intelligente ed efficiente per aumentare la resistenza complessiva dell’umanità per affrontare i cambiamenti climatici inesorabili – climi caldi o freddi, asciutto o bagnato – è per mezzo di aumentare il suo benessere generale e di progresso per i livelli consentiti dalla scienza moderna e la tecnologia, e non dalla loro limitazione o virtuale “congelamento” – condizione che deriverebbero dalla folle “de-carbonizzazione” dell’economia sostenuto dai seguaci del culto AGW.

Dal punto di vista fisico, il benessere dell’umanità e la resistenza dipenderà molto molto su un significativo aumento dell’uso di energia pro capite da parte delle popolazioni meno sviluppate in Africa, Asia, America Latina e dei Caraibi, che dovranno essere moltiplicati per i fattori da 3 a 6 al fine di raggiungere almeno gli attuali livelli dei paesi ex sovietici (circa la metà dei paesi OCSE ‘). Tale obiettivo non può essere raggiunto senza un aumento su larga scala dell’uso di carbone, petrolio e gas naturale, che già forniscono oltre l’80% del consumo energetico mondiale e due terzi della produzione di energia elettrica .

Per quanto riguarda la loro disponibilità fisica, le ricorrenti e pessimista “Peak Oil”, i rapporti devono essere prese “cum grano salis”. Le recenti scoperte di enormi  giacimenti di petrolio in acque ultra profonde al largo della costa brasiliana, nel Golfo del Messico e in altri luoghi, oltre al promettente sviluppo delle tecnologie per esplorare le vaste riserve e diffusa di gas scisto, suggeriscono che i limiti alla presunta produzione e espansione di idrocarburi  non sono ancora nel futuro prossimo.

Certo, lo smantellamento della vasta gamma di interessi politici, scientifici, economici, mediatici e altri raggruppati attorno alla paura AGW non è un compito facile, ma è fondamentale per il futuro della civiltà e del suo miglioramento. Fortunatamente, le incongruenze dello scenario “warmist”, le pratiche non scientifiche di molti dei suoi campioni e la insostenibilitá  fisica / economica del programma di “de-carbonizzazione” stanno diventando sempre più evidenti al grande pubblico, così come le liti tra i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo su chi debba sopportare il peso dei sacrifici per la sua attuazione e chi dovrebbe pagare il conto. Oltre a ciò, un numero crescente di scienziati imperterriti e laici  in tutto il mondo hanno preso nelle loro mani il compito cruciale di restituire la discussione sul cambiamento climatico per il posto che non dovrebbe mai essere stati rubato: il terreno della vera scienza, il buon senso e il bene comune.

 

SAND-RIO

 

FONTI:

1. Il Progetto Paleomap, sito della University of Texas (Arlington), geologo Dr. Christopher R. Scotese, offre una buona panoramica sulla Terra geologica, l’evoluzione geografiche e climatiche degli ultimi 1,1 miliardi anni, con un testo ben scritto e didattico mappe animate che sono utili e interessanti per i lettori generale e geologi per professione (www.scotese.com). Per un’eccellente descrizione della storia climatica del Quaternario, vedere il capitolo 2 del Cielo Ian Plimer e Terra: il riscaldamento globale, la Scienza Missing (Lanham: Taylor Commercio Publishing, 2009). Lettori di lingua spagnola possono trovare particolarmente interessante il sito del Dott. Antón Uriarte, geografo presso la Universidad del País Vasco, Paleoclimatologia: Historia del Clima y Cambios Climáticos ( http://homepage.mac.com/uriarte/ ).

2. IPCC, Climate Change 2007: relazione di sintesi – Sintesi per i Decisori Politici .

3. Evers Marco, Olaf Stampf e Gerald Traufette, “Un Superstorm per la ricerca Global Warming”, Spiegel Online , 2010/01/04,

http://www.spiegel.de/international/world/0, 1518,686697,00. html .

4. Oliver Cumming, Affrontare il killer silenzioso: il caso di servizi igienico-sanitari. Londra: WaterAid, luglio 2008 .

5. Sarah Boseley, “La sanità valutato il più grande progresso medico in 150 anni”, The Guardian , 2007/01/19 .

6. Marcelo Cortes Neri (Coord.), Trata Brasil: saneamento e Saúde . Rio de Janeiro: Fundação Getúlio Vargas, 2007.

7. Bread for the World, “La fame Fatti: Internazionale” , http://www.bread.org/hunger/global/.

8. FAO, “Fame” , http://www.fao.org/hunger/en/.

9. FAO / Alessandra Benedetti “La fame in aumento: impennata dei prezzi aggiunge 75 milioni di persone alla fame nel mondo rotoli”,,

10. Agenzia internazionale dell’energia statistiche della pagina .

11. Stephen Hawking, A Brief History of Time: dal Big Bang ai buchi neri . Toronto: Bantam Books, 1988.

12. Accademia Nazionale delle Scienze, On Being uno scienziato: una condotta responsabile nella RicercaWashington: National Academy Press, 1995.

13. Vedere le voci di Wikipedia per “Trofim Lysenko” e “lisenkismo”.

14. IPCC, “Principi di lavoro IPCC”, http://www.ipcc.ch/pdf/ipcc-principles/ipcc-principles.pdf.

15. S. Fred Singer (a cura di), Natura, non Attività umana regolamento interno del clima . Chicago: The Heartland Institute, 2008 .

16. Per una panoramica generale dei modelli climatici si veda la voce di Wikipedia per “modello climatico globale”.

17. Alexander Marshack, Il mondo nello spazio: la storia dell’Anno Geofisico Internazionale. New York: Dell Publishing Co., 1958.

18. Luiz Carlos Baldicero Molion, “Aquecimento globale, El Niños, manchas solares, vulcões e Oscilação Decadal do Pacifico” (riscaldamento globale, El Niño, macchie solari, vulcani e Pacific Decadal Oscillation), Revista Climanálise , Ano 3, n. 1., 1 -5 (2006) .

19. Giuseppe D’Aleo, “Temperature Stati Uniti e fattori climatici dal 1895” (2008),http://icecap.us/images/uploads/US_Temperatures_and_Climate_Factors_since_1895.pdf.

20. Horst Borchert, “Südpazifische Oszillation und Kosmische Strahlung” (Sud Pacifico Oscillation e Radiazione Cosmica) (2010) , http://www.eike-klima-energie.eu/uploads/media/SO_Borchert.pdf.

21. Vedi la voce di Wikipedia per “Indice di Esplosività Vulcanica”.

22. Vedere l’International Energy Agency statistiche della pagina .

23. Vedere la “origine abiotica profondo di idrocarburi: mito o realtà?” Sessione del 33 ° Congresso Internazionale di Geologia (Oslo, 2008) , http://www.cprm.gov.br/33IGC/Sess_182.html.

24. Anton Kolesnikov, Vladimir Kutcherov G. e F. Alexander Goncharov, “metano-derivati ​​degli idrocarburi prodotti in alto a mantello condizioni”, Nature Geoscience 2, 566-570 (2009).

25. Carnegie Institute for Science, “Idrocarburi in Terra profondo?”, 27/07/2009,http://carnegiescience.edu/news/hydrocarbons_deep_earth.

26. Richard Lindzen, “Testimonianza di Richard S. Lindzen prima che il Pubblico Ambiente del Senato un Comitato aziendale del 2 maggio 2001” .

27. J. Freeman Dyson, infinito in tutte le direzioni . New York: Harper & Row, Publishers, 1988.

Riscaldamento globale o una nuova era fredda?

Un eccellente articolo, apparso sul Daily Mail (quotidiano britannico) ha fatto la domanda del titolo agli esperti del clima, che si muovono al vento come bandiere. L’autore fa anche una breve storia del passato, e alla fine  tira le somme con un risultato molto triste … penso che sia giusto  riportare la traduzione, anche se approssimata di questo articolo, che per ora rimane nascosto nella rete informatica perché nessuno vuole ancora di lasciare l’osso succulento del riscaldamento globale. L’autore è Christopher Booker e questo è l’indirizzo per trovare la versione originale.

L'era glaciale sulla Strada suo? L'ultima notizia e il Che potremmo minacciati Essere ONU forte calo della temperatura

Non voglio commentare troppo: conoscete bene le mie idee. Forse in passato non sarei dovuto andare giù in modo pesante e non si può accusare solo l’isteria politica-climatica, perché le scelte politiche sono spesso realizzate con grande chiarezza “economica”…ma questi climatologi sono dei… va bé lasciamo stare.

Chi l’avrebbe pensato? L’ultima notizia è che il mondo è minacciato da un improvviso calo delle temperature, probabilmente tanto grave da attivare una nuova mini era glaciale. Il motivo è l’inquinamento di migliaia di centrali a carbone che stanno bloccando l´ingresso  del riscaldamento solare. Questo dice il Dr. Robert Kaufman presso la Boston University. Assicura che l’espansione economica della Cina ha provocato un enorme aumento delle emissioni di zolfo, che stanno creando una sorta di schermo alla radiazione solare che provocherá un raffreddamento globale.

Ma … aspettate un attimo. Non erano questi gli stessi scienziati allarmisti che avevano detto solo pochi anni fa che il nostro pianeta era in pericolo di essere “arrostito” da un irreversibile surriscaldamento globale? E  non erano loro che con le loro dichiarazioni assicuravano gran parte del mondo politico, dalla Gran Bretagna ai politici di tutto il mondo, sul pericolo del riscaldamento globale e che  hanno fatto spendere centinaia di miliardi di sterline per tentare di salvare la terra? Il problema è che questo incredibile cambiamento di idee solleva una domanda fastidiosa: «Questi esperti climatologi hanno una pallida  idea di cosa discutono e dicono?”

 

Ma forse la cosa più bizzarra è che la stessa situazione é successa tanti anni fa negli anni `40 per essere precisi.  Le persone ora sono preoccupate e così abituate a sentir parlare di riscaldamento globale che non si ricordano che, gli scienziati americani negli anni settanta avevano allarmato il mondo, fornendo la previsione di una nuova, potente era glaciale. Questo era stato causato da un periodo di circa 30 anni di temperature in diminuzione tra gli anni 40 e 70, dopo un improvviso aumento di temperatura all’inizio del ventesimo secolo. La causa di questo raffreddamento è stato associato dagli americani climatologi Schneider e Hansen, al biossido di zolfo e altri composti che vengono creati da combustibili fossili, in particolare dalle centrali a carbone.

15 anni dopo gli stessi scienziati sono stati in prima linea a creare il panico sul riscaldamento globale.

Schneider, che divenne un professore di biologia ambientale e  cambiamento climatico globale presso la Stanford University, aveva sostenuto allora (per spiegare il periodo di raffreddamento) che il danno non era venuto dalla fuliggine e dallo zolfo, che bloccano il calore del sole, ma dalla anidride carbonica ad effetto serra e da altri “gas” che sono una trappola per il calore. (sic! Per loro la famigerata CO2 era la causa di quel periodo di raffreddamento)

Erano uomini come Schneider e Hansen, alla fine degli anni 80, che hanno cambiato idea e hanno cominciato a terrorizzare il mondo con l´equazione “politica”  CO 2 = riscaldamento globale. In pochi anni, sono arrivate la riunione di Rio de Janeiro e del trattato di Kyoto, che occorreva procedere in qualche modo per ridurre le emissioni di CO2 per mantenere l’economia globale. Per un certo tempo è sembrato anche che la teoria, mettendo su decine di computer finanziati dai governi e quindi pagate con le tasse dei cittadini, fosse stata confermata dalla prova dei fatti. La CO 2 ha continuato a crescere e la temperatura sembrava seguirla.

Il “successo”, tuttavia, ha avuto vita breve, e recentemente è diventato evidente che qualcosa era andato storto in questo caso puramente teorico. Certamente la CO 2 atmosferica continua a crescere, ma la temperatura ha seguito un corso diverso, dimenticando di obbedire a ciò che il computer aveva predetto.

La teoria si basava di Che Guevara di I livello salgono di CO2, le temperature salgono Medie Troppo

Nel 2007, quando la temperatura è caduta tanto di quanto  era cresciuta nel ventesimo secolo, gli esperti hanno cominciato a dubitare della validità del riscaldamento globale (ma non certo i media  i giornalisti e gli eco-terroristi … idioti).

Un numero crescente di studiosi cominciarono a dire che la causa del cambiamento della temperatura alla fine di questo secolo potrebbe essere completamente scollegata dalla anidride carbonica. Forse, dicono, ci sono stati altri fattori responsabili dei cambiamenti climatici come le fluttuazioni nella radiazione solare e le variazioni delle correnti oceaniche. (Evviva!!)  Un poco alla volta, alcuni sostenitori del calore a tutti i costi, cominciano a formulare una teoria della responsabilità. Può darsi che il mondo sta attraversando un periodo di raffreddamento, ma gli effetti delle cause naturali sono stati solo “mascherati” e la tendenza per il caldo continua ad agire. Tra un decennio o venti anni  la CO 2 sará più “cattiva” di prima.

Tuttavia, negli ultimi anni, la maggior parte del mondo è stato costretta a sopportare inverni più freddi degli ultimi tre decenni. E ‘diventato abbastanza comico vedere come, con qualsiasi tempo, i sostenitori del riscaldamento globale continuano ad aggrapparsi alla loro amata teoria.
Qualunque cosa accada oggi, è caldo o freddo, si subisca un ondata di calore o di una terribile tempesta di neve, inondazioni o siccità, prima o poi sentirai le solite voci che dicono che la colpa di tutti questi eventi estremi è sempre la distruzione del clima causato dalle attività umane e da noi peccatori colpevoli.

Sono tutti uniti gli ambientalisti di Greenpeace, il WWF e la BBC e i loro alleati in tutto il mondo come l’Istituto nazionale di meteorologia, le migliaia di scienziati di tutto il mondo che hanno ricevuto miliardi di fondi dai loro governi per studiare i cambiamenti climatici e la sua prevenzione. Tutti ancora in lotta per quello che era il terrore della storia umana.

La verità, che sta diventando sempre più evidente (per coloro che sono disposti ad ascoltare e leggere) è che nessuno di questi personaggi  hanno la pur minima idea di che cosa governa i cambiamenti climatici. Essi non possono dire quale sará la temperatura  il prossimo mese o l’anno prossimo, ma nel frattempo  intendono rispondere con modelli al computer che sono in grado di dire ciò che accadrà tra un centinaio di anni. Ciò che è veramente terribile in tutto questo, tuttavia, è che i politici sono così “intrappolati” e rapiti con  la storia del terrorismo climatico che non mostrano ancora  alcun segno di iniziare a capire la realtà che sta apparendo agli occhi di che vuol vedere:: il riscaldamento globale non è affatto una certezza! (Adesso il canadá ha capito e si sono svincolati dalle fantasie climatiche)

Tre anni fa, quando l’isteria era al suo apice, i politici britannici hanno votato quasi all’unanimità per ridurre la CO 2 dell´ 80% in 40 anni. La spesa per questo piano di salvezza era di circa 18 miliardi di sterline all’anno entro il 2050, la legge più “costosa” mai emanata dal Parlamento britannico.

Siamo anche obbligati a seguire gli obiettivi dell’Unione europea che nel giro di nove anni, richiede una produzione di energia elettrica attraverso fonti rinnovabili, spendendo circa 200 miliardi di sterline per turbine eoliche inutile che attualmente malgrado i grandissimi finanziamenti e i mega impianti  riuscono a generare in Gran Bretagna solo lo 0,5% della potenza attualmente necessaria.

Le tasse imposte dai politici per combattere il cambiamento climatico (notare come lo chiamano ora … un po ‘di vergogna?) Sono costati circa 200 sterline per famiglia all’anno. Tutto questo solo per seguire una fantasia collettiva come non è mai era stato prima nella storia umana. (Ancora una volta tutto ció mi ricorda la favola del “Re nudo”.

Non solo, però. Tutto questo avviene nel nome di una teoria fraudolenta, con  le stesse persone che volevano convincerci che il mondo fosse  sul punto di “friggere”, se non fermavamo le centrali elettriche convenzionali e che ora sono  in prima linea nel dire che le stesse centrali potrebbero portarci verso una nuova era glaciale.

Siamo nelle mani di pazzi? Ma che si mettessero d´accordo con i loro stessi pensieri!!! Anche senza una massiccia iniezione di buon senso da parte del popolo britannico, sembriamo condannati a vivere in una tale situazione.

Per il WWF, Greenpeace e le ONG pseudo-ambientalisti, gli affari sono affari e il denaro non ha odore …  come dicevano i  latini “Pecunia non olet”, “Il denaro non puzza”.

SAND-RIO

 

 

Niña, PDO-, AMO-: tre medicine che riducono la febbre della Terra

Introduzione

ENSO (ora Niña), PDO, AMO: si tratta di tre indici che descrivono anomalie di temperatura delle superfici degli oceani Pacifico ed Atlantico settentrionale, i cui effetti storicamente incidono molto sul clima e sul tempo dell’intero pianeta, inclusa ovviamente la cara, vecchia Europa e quindi anche l’Italia.

Di seguito si presentano brevemente tutti e tre gli indici, insieme ad altri ad essi correlati. Quindi si procede a qualche riflessione sul loro comportamento storico, specie durante eventi di Niña paragonabili a quello in corso. Infine si prova a tratteggiare le prospettive future suggerite dalle informazioni oggi disponibili e si riporta qualche “notizia di cronaca” a corredo.

Il presente articolo non pretende di giungere ad alcuna conclusione nuova e clamorosa; quanto riportato è in gran parte già noto. Intende però evidenziare ciò che risulta chiaramente leggibile dall’esame dei dati e dei grafici di questi tre indici. Lo scopo è quello di ribadire quanto forse oggi non viene sottolineato abbastanza, in un periodo caratterizzato da un dibattito tutto incentrato sul Riscaldamento Globale di origine umana.

 

Gli eventi e gli indici

Per quanto riguarda la Niña (ovvero l’ENSO, El Niño Southern Oscillation), che cosa sia, come si misura (MEI) e quali siano i suoi effetti, è tutto spiegato nell’articolo http://daltonsminima.altervista.org/?p=16514, al quale si rimanda per i dettagli. In estrema sintesi, la Niña corrisponde a quella grossa anomalia negativa di temperatura che si vede al centro dell’immagine seguente, a cavallo dell’Equatore, nell’Oceano Pacifico, tra le coste del Sudamerica e l’Australia e la Nuova Guinea (Figura 1).

 

Figura 1: la Niña attuale e le altre anomalie oceaniche di temperatura

 

La PDO (Pacific Decadal Oscillation) è una sorta di “dipolo” caldo-freddo (in alto nell’Oceano Pacifico, Figura 1), per certi versi simile al sistema Niño/Niña (ENSO), anche in termini di ciclicità degli eventi, situato nell’Oceano Pacifico settentrionale, ben riassunto dallo schema seguente (Figura 2):

 

Figura 2: fase calda (sinistra) e fase fredda (destra) della PDO

 

La fase calda della PDO è quella rappresentata a sinistra, dove le anomalie negative di temperatura si trovano nella porzione centro-occidentale dell’Oceano Pacifico, mentre quelle positive si trovano a ridosso delle coste occidentali del Canada e appena sotto l’Alaska.

La fase fredda della PDO è invece schematizzata a destra, dove l’anomalia negativa si trova ad est, a ridosso del Canada e dell’Alaska, mentre quella positiva è ad ovest. Tale fase è quella attualmente in corso da qualche anno.

Tra PDO ed ENSO, tuttavia, vi sono almeno due grosse differenze:

  1. se è vero che anche gli eventi PDO sono ciclici, tuttavia si tratta di una ciclicità avente un periodo di 25-30 anni (almeno nel Ventesimo secolo) e non di 6-36 mesi, come nel caso dell’ENSO;
  2. gli effetti della PDO sul clima (analoghi a quelli dell’ENSO) sono assai marcati e diretti nel Nord Pacifico e nel Nord America (naturale, essendo assai vicini), mentre sono indiretti nelle regioni tropicali; per quanto riguarda l’ENSO, come potete immaginare data la sua posizione, accade esattamente il contrario.

Per quanto concerne gli effetti della PDO sul clima dell’Europa, se in fase fredda, essa amplifica la Nina e dunque ne esalta gli effetti: dunque rafforzamento del Vortice Polare, intensificazione delle correnti occidentali, distensione dell’alta pressione delle Azzorre lungo i paralleli e sul Mediterraneo. Inoltre, un calo della PDO preannuncia a breve una intensificazione della Nina. Per maggiori dettagli, si veda il paragrafo successivo.

L’AMO (Atlantic Multidecadal Oscillation), quella geograficamente più vicina all’Europa, è costituita dall’anomalia complessiva di temperatura rispetto ad una media mobile decennale, opportunamente destagionalizzata, in una vasta fascia dell’Oceano Atlantico compresa tra l’Equatore e la Groenlandia, indicata nell’immagine seguente (Figura 3).

 

Figura 3: porzione di Oceano Atlantico considerata per il calcolo dell’AMO

 

Per semplificare, l’AMO è rappresentata dal valore (positivo o negativo) che si ottiene aggiungendo e sottraendo tutte le anomalie di temperatura della porzione di Oceano Atlantico dell’Emisfero Settentrionale.

L’AMO positiva (fase calda) ha un’influenza diretta sul clima del Nord America e dell’Europa, come si può ben immaginare: tende ad esaltare e prolungare i periodi di siccità, specie in Nord America.

In generale, l’AMO (e in particolare la distribuzione delle anomalie oceaniche) influenza la disposizione dell’Alta pressione delle Azzorre, ad esempio favorendone od ostacolandone la propensione ad elevazioni lungo i meridiani, specie in assenza di altri fenomeni prevalenti, come ad esempio una Nina moderata/forte.

Per ulteriori dettagli in merito ai suddetti indici, si consiglia la lettura di quanto riportato al link http://www.meteoarcobaleno.com/index.php?option=com_content&view=article&id=227:indici-climatici&catid=3:climatologia&Itemid=3, peraltro già presente nel forum Meteo di NIA.

 

Analisi andamento storico di ENSO, PDO, AMO, temperature globali e cicli solari

Il comportamento di questi eventi o “pattern” oceanici ed atmosferici è ben riassunto dai seguenti grafici, che permettono anche di effettuare confronti e ricavare interessanti considerazioni in merito. Nell’ordine, si riportano il MEI (indice ENSO, dunque per Niño, in rosso, e Niña, in blu), l’indice PDO l’indice AMO, le temperature medie globali ed i cicli solari. Il MEI è disponibile a partire dal 1871, il PDO dal 1900, l’AMO dal 1856. Inoltre le temperature medie globali si riportano dal 1880 ed i cicli solari dal 1900. Pertanto il confronto completo riguarda un periodo di circa 110 anni, dal 1900 in poi.

 

 

 

 Figura 4: MEI (indice ENSO) bimestrale; i grafici presentano parziali sovrapposizioni

 

 

 Figura 5: indice PDO mensile 1900-2011

  • Dal 1900 al 1920, la correlazione tra MEI e PDO non è molto evidente: ad eventi di Nina non paiono corrispondere pienamente oscillazioni del PDO e viceversa, anche se i due eventi di Nina del 1910 e del 1917-18 potrebbero corrispondere alla PDO lievemente negativa attorno al 1910 e quella negativa tra il 1915 ed il 1920.
  • La correlazione tra MEI e PDO migliora decisamente dal 1920 in poi: fino al 1942 circa, gli eventi di Nino prevalgono su quelli di Nina e la PDO rimane in prevalenza positiva; dopo e fino circa al 1976, la Nina prevale e la PDO diviene negativa e rimane tale grossomodo fino a quell’anno; poi gli eventi di Niño diventano preponderanti, fino alla fine degli anni 90, con la PDO che accompagna o precede di poco l’ENSO; negli ultimi 10-12 anni ENSO e PDO hanno seguito il medesimo andamento, persino in relazione ad eventi minori, come la Niña del 1999-2000 (cui ha corrisposto un picco negativo del PDO), la Niña del 2008-2009 (picco negativo del PDO), il Niño del 2009-2010 (breve positività del PDO) e l’attuale Niña, che si accompagna ad una PDO progressivamente sempre più negativa. In particolare nel 2010 e nel 2011, un netto calo della PDO a metà anno ha anticipato di poco l’intensificazione della Nina.

 

 

 Figura 6: indice AMO mensile 1856-2009

  • L’AMO, in apparenza, segue un ciclo proprio, come si diceva, avente una periodicità in generale non dipendente da ENSO e PDO. Qualche interazione con l’ENSO si nota in corrispondenza di grandi eventi di Niña del 1910, del 1917-18 e del 1955 (picchi negativi dell’AMO) e soprattutto della fase negativa negli anni 70 (2 eventi di Niña).

 

 

Figura 7: andamento delle temperature medie globali annuali dal 1880 al 2010

  • Le temperature medie globali sono diminuite dal 1880 fino al 1910, a causa dei ripetuti eventi di Nina dell’epoca. Poi sono cresciute fino al 1940 circa. Quindi hanno registrato una stasi duratura e un lieve calo tra il 1945 ed il 1975 circa, un periodo caratterizzato da eventi di Niña importanti e prevalenti su quelli di Niño, PDO negativa ed AMO che è divenuta negativa verso la metà degli anni 60. Quindi sono cresciute fino alla fine degli anni 90; da circa dieci anni mostrano una evidente stazionarietà.

 

 

Figura 8: andamento dei cicli solari dal 1900 al 2010

  • L’attività solare ha registrato un forte incremento tra la metà degli anni 30 ed i primi anni del nuovo secolo, con cicli molto intensi e regolari, intervallati da brevi minimi poco profondi. Uno studio in particolare di Sami Solanki di alcuni anni fa (Max Planck Institut), ha concluso che si sia trattato del periodo di attività solare più intenso degli ultimi 8000 anni. Tale attività è terminata nel 2006 con il recente lungo e profondo minimo.

Dunque, tra la metà degli anni 40 e la metà degli anni 70, l’incremento delle temperature subì una battuta di arresto e poi un lieve calo (Figura 7), in seguito alla combinazione di ripetuti e prevalenti eventi di Nina (Figura 4) e del passaggio della PDO in fase fredda (Figura 5). L’AMO diede un contributo quando divenne negativa, verso metà degli anni 60 (Figura 6). Il tutto avvenne a dispetto della forte crescita dell’attività solare, in corso fin dalla fine degli anni 30 (Figura 8).

Attualmente,

a)     è in corso un evento di Niña molto importante, paragonabile per intensità a quello del 1975 e secondo solo all’evento del 1955, negli ultimi 60 anni; la sua durata è ancora da stabilire, stando alle ultime previsioni è probabile arrivi perlomeno a 2 anni; la Niña attuale segue a breve distanza un’altra di intensità moderata;

b)     la PDO è tornata di recente in fase fredda (negativa), come nel periodo 1945-1975;

c)     l’AMO, pur ancora in fase calda (positiva), ha registrato qualche escursione sotto la neutralità, come ad esempio a novembre 2011, ma anche nei primi mesi del 2009; stando alle serie storiche, è probabile torni positiva entro il termine dell’attuale evento di Niña o poco dopo; si prevede possa passare in fase fredda (negativa) tra una quindicina di anni circa, come accadde appunto verso la metà degli anni 60.

 

Conclusioni: la febbre della Terra si ridurrà presto?

In queste condizioni, del tutto analoghe a quelle iniziali del periodo 1945-1975, è ragionevole attendersi perlomeno una lunga stasi o un lieve calo delle temperature medie globali, proprio come allora, a prescindere dal comportamento del Sole.

Lo scorso mese di giugno, nel New Mexico, i fisici solari americani a convegno discussero diversi studi presentati in cui si prospetta un’evoluzione dell’attività solare in bilico tra una successione di cicli deboli (come nel Minimo di Dalton) ed una sostanziale sospensione dell’attività ciclica (come nel Minimo di Maunder). Qualora una di queste prospettive si avverasse (ormai sono ben più che semplici ipotesi di studio), ci sarebbe da attendersi un calo progressivo, strutturale e quindi duraturo delle temperature medie globali, tale da compensare, decennio dopo decennio, buona parte dell’incremento osservato fino dall’Ottocento? Qualcuno da tempo se lo aspetta, qualcun altro comincia a chiederselo dopo le prime evidenze meteo:

http://www.climatemonitor.it/?p=22005

http://www.drroyspencer.com/research-articles/global-warming-as-a-natural-response/

http://www.dailymail.co.uk/news/article-1242202/Could-30-years-global-COOLING.html

Infine, si riportano due notizie di cronaca recente collegate alla trattazione di cui sopra:

  • a novembre 2011 le temperature medie globali (RSS) sono ulteriormente scese da +0,09 di ottobre a +0,03 rispetto alla media di riferimento; invece quelle UAH sono state lievemente ritoccate al rialzo, da +0,11 a +0,12, dopo un ritardo dovuto a motivi tecnici;
  • l’indice PDO è sceso nettamente, da -1,34 di ottobre a -2,33 di novembre, raggiungendo il valore più basso degli ultimi 50 anni (dicembre 1961: -2,69). Poiché la PDO, come detto, modula l’ENSO ed anzi ne preannuncia a breve il cambiamento, è lecito attendersi una nuova prossima intensificazione della Nina.

Per concludere, tutta la trattazione dell’articolo riguarda senz’altro la tendenza climatica futura per l’intero pianeta. Per quanto concerne il clima dell’Europa, è noto come la sua mitezza rispetto alla latitudine, in rapporto al clima di altri continenti, non consenta di solito le brusche escursioni verso il freddo (o verso il caldo) tipiche ad esempio delle pianure americane o asiatiche. Queste escursioni possono però verificarsi se i tradizionali “serbatoi” di freddo invernali, l’Artico e la Siberia, sono ben “carichi”, grazie ad esempio al calo delle temperature medie consentito da ripetuti e durevoli eventi di Nina e dall’intervento di PDO- ed AMO- con i suoi tempi.

 

NOTA: tutte le immagini e le informazioni del paragrafo che descrive gli indici sono tratte da siti Unisys (Niña), NOAA (MEI), NASA (AMO), JISAO (istituto di oceanografia e climatologia dell’Università di Washington, PDO) e SIDC (cicli solari); inoltre si è scelto di utilizzare immagini tratte da siti ufficiali per garantire l’assoluta attendibilità dei dati oggetto dell’analisi, anche se presentano scale temporali tra loro disomogenee le quali non facilitano i confronti.

Ringrazio infine sentitamente Giorgio per la cortesia di aver svolto, ancora una volta, la funzione di revisore del testo e dei contenuti.

FabioDue

UN NUOVO MODELLO CLIMATICO ALLA BASE DELLA PEG: PARTE I ( Concetti Base di Fisica dell’Atmosfera)

Un saluto a voi, popolo di NIA.
In questo mio articolo ho intenzione di spiegarvi cosa è realmente accaduto durante la PEG e dunque, cosa ci sia alla base dell’ormai famosissimo cambiamento climatico che ha interesso, dal XV al XIX sec., l’emisfero nord terrestre, con particolare riferimento al nostro amato vecchio Continente. In altre parole, cercherò di spiegarvi in modo più scientifico possibile le modalità con cui la bassa attività solare modula l’atmosfera terrestre e, di conseguenza, la storia meteorologica mondiale (con particolare riferimento al nord emisfero). Per far questo introdurrò un nuovo modello climatico per certi aspetti innovativo ed inedito.
Non nascondo che si è trattato di un grande lavoro che mi ha impegnato moltissimo. Infatti, al fine di ottenere una completa comprensione, sono stato “costretto” a dover decifrare prima, e a studiare poi, numerose ricerche scientifiche condotte nell’ultimo decennio da svariate università e centri di ricerca mondiale. La nuova scienza sta infatti intraprendendo una strada del tutto nuova, abbandonando quelle vecchie credenze che ci hanno accompagnato sin ad oggi. Finalmente la scienza sta riuscendo a spiegarci cosa è realmente accaduto in Europa a livello meteorologico nella seconda metà del secondo millennio.
I temi che verranno toccati saranno molteplici, ed in alcuni casi anche complessi. Per tale ragione ho deciso di spezzare l’articolo in diverse parti e di utilizzare un linguaggio più semplice possibile. Difatti, al fine di ottenere la massima comprensione e di rendere digeribili a tutti anche i concetti più difficili, mi vedrò costretto ad utilizzare in alcuni casi un lessico semplicistico e poco tecnico, con il rischio tal volta di banalizzare e ridicolizzare fenomeni fisici altamente complessi ed importanti. Mi scuso quindi sin da subito con i più preparati che dovranno assistere inermi al mio modo brutale di trattare certi argomenti che richiederebbero tutt’altro gergo ed attenzione.
La sola cosa che vi chiedo e di guardare l’opera nel complesso, in quanto tutti gli aspetti sono perfettamente correlati l’un l’altro e pertanto inscindibili. Si tratta infatti di un grande mosaico, in cui ogni tassello, oltre ad essere indispensabile, ha il suo posto ben preciso.
Come detto l’Articolo verrà spezzato in più parti, precisamente in sei parti. Nella Parte I (la presente) verranno esposti dei concetti base di fisica dell’atmosfera, mentre nella Parte II verrà esaminata l’importanza che le onde di Rossby hanno sul clima dell’emisfero boreale. Nelle Parti III e IV verranno illustrate le modalità con cui la bassa attività solare è in grado di influenzare il clima invernale alle medie latitudini nell’emisfero boreale. Infine nelle ultime Parti V e VI, sulla base di quanto imparato nelle precedenti parti, tenteremo di ricostruire il meccanismo che, innescatosi alla fine del Medioevo, ha portato nei secoli a venire un progressivo raffreddamento dell’emisfero nord (Europa in particolare). In particolare nell’ultima Parte saranno presentate una serie di prove storico/scientifiche a dimostrazione di quanto esposto nella precedente Parte V.
Prima di iniziare il nostro lungo percorso, consentitemi di fare un grosso ringraziamento ad una grande persona, nonché utente NIA, senza la quale non sarei mai riuscito a portare a termine il presente lavoro. Sto parlando di Andrea Zamboni, il quale, con infinita pazienza, cordialità e passione, ha tradotto dall’inglese all’italiano le innumerevoli ricerche scientifiche da me inviate. Inoltre, grazie alla sua ottima preparazione in materia, ha potuto aiutarmi nel risolvere alcuni nodi spinosi. Infine ci tengo a sottolineare che alcuni pezzi dell’articolo sono farina del suo sacco in quanto scritti da lui stesso.
Come già anticipato dunque, oggi ci limiteremo a spiegare in maniera estremamente semplicistica e veloce alcuni concetti base nel campo della fisica dell’atmosfera, in modo tale che tutti possiate seguirmi più agevolmente nelle fasi successive.

L’atmosfera è una gigantesca macchina termica che ha la funzione di rimuovere dalla fascia equatoriale il calore solare in surplus, per poi trasferirlo verso le calotte polari onde ripianare il sistematico deficit energetico di tali regioni. Il motore di questa macchina è ovviamente il Sole, senza i cui raggi i moti atmosferici verrebbero a cessare in appena 50-60 giorni. La circolazione generale dell’atmosfera è dunque la diretta conseguenza della diversa intensità con cui il Sole riscalda le basse e le alte latitudini. E in effetti il bilancio energetico al suolo su base annuale tra la radiazione solare assorbita e la radiazione persa per irraggiamento nell’infrarosso, mostra un surplus di calore all’Equatore e un deficit ai poli. Ora, se tale disomogeneità non venisse prima o poi rimossa, la temperatura all’Equatore dovrebbe aumentare senza sosta, anno dopo anno, mentre quella ai poli dovrebbe essere in costante diminuzione. Ovviamente non è così, in quanto nell’atmosfera esiste un meccanismo mediante il quale il surplus di calore equatoriale viene trasportato verso più alte latitudini, onde appianare il deficit energetico polare. In effetti la ridistribuzione del calore a scala planetaria è affidata per quasi l’90% alla circolazione generale dell’atmosfera e per il restante 10% alle correnti oceaniche.
Partendo da tale presupposto, Hadley nel 1735 propose il primo modello per descrivere la circolazione generale.
In tale modello si suppone, per semplicità, che la Terra sia priva di rotazione e che abbia superficie omogenea, così da poter trascurare il diverso riscaldamento stagionale tra oceani e continenti.
Sulla colonna d’aria equatoriale il riscaldamento, dovuto al surplus di calore, provoca un moto ascendente all’interno della colonna stessa, mentre il progressivo raffreddamento da deficit calorico sulla corrispondente colonna d’aria polare aumenta la densità dell’aria, instaurando così moti discendenti. Nella porzione troposferica superiore della colonna d’aria equatoriale, le correnti ascendenti determinano, per apporto d’aria dagli strati sottostanti, un aumento della pressione atmosferica (perché aumenta il peso della colonna d’aria avente la sua base nella media troposfera), con conseguente formazione di un’alta pressione rispetto alle zone circostanti. Al contrario nella parte superiore della colonna d’aria posta a latitudini polari, la sottrazione d’aria provocata dalle correnti discendenti favorisce la formazione di una bassa pressione rispetto alle aree circostanti. L’equilibrio tra le due colonne si è così spezzato, perché alle quote superiori le masse d’aria verranno sospinte dall’alta pressione verso la bassa pressione, ossia dall’Equatore verso i poli. Ma al livello del suolo, tale fuoriuscita orizzontale di aria dalla colonna equatoriale determina, rispetto alle zone circostanti, una bassa pressione al suolo alla base della colonna, perché è diminuito il peso della colonna d’aria sovrastante. Viceversa l’afflusso di aria equatoriale sulla colonna polare dà luogo al suolo a un’alta pressione rispetto alle zone circostanti, essendo aumentato il peso totale che la colonna d’aria esercita sulla sua base al suolo.
Di conseguenza in prossimità del suolo, le masse d’aria saranno sospinte dai poli verso l’Equatore e quindi tra alte e basse latitudini si instaura una megacella convettiva chiusa, denominata cella di Hadley. Tale cella permetterebbe di spiegare gli scambi di calore tra Equatore e poli.
Il modello di Hadley, pur rendendo conto della presenza effettiva della fascia di bassa pressione al suolo all’Equatore e dell’alta pressione ai poli, è palesemente inadeguato per descrivere la circolazione atmosferica osservata a scala planetaria e appena descritta.
In effetti, tale modello non riesce a spiegare alcune importanti caratteristiche, come la fascia di alta pressione subtropicale a 30° e quella di bassa pressione intorno a 60°. Evidentemente l’ipotesi che la circolazione dell’atmosfera sia regolata solo dallo squilibrio energetico tra poli ed Equatore non è pienamente valida. L’incongruenza nasce dalla presenza della forza deviante di Coriolis, che nel modello a una megacella non veniva presa in considerazione. Infatti, la forza di Coriolis è una forza deviante dovuta alla rotazione della Terra, la quale crea una deviazione verso la destra del moto nell’emisfero nord e verso la sinistra in quello sud. Introducendo l’effetto di deviazione delle correnti orizzontali da parte della forza di Coriolis, si deduce che, ad esempio nell’emisfero nord, a qualsiasi latitudine le correnti della medio-alta troposfera, dirette dall’Equatore verso il polo, tenderanno ad acquistare una forte componente occidentale, mentre quelle di ritorno nella bassa troposfera dovranno avere una componente orientale. A livello globale, il modello che ne deriva è una struttura a tre celle, come rappresentato nelle seguenti figure:

Sulla verticale dell’Equatore esistono, come previsto dal modello di Hadley, le correnti ascendenti di aria calda che, dopo aver raggiunto le alte quote, si dirigono poi verso nord, ma la cella di Hadley si interrompe intorno a 30° di latitudine perché la progressiva deviazione verso destra (nell’emisfero nord) imposta dalla forza di Coriolis, fa sì che, già intorno a 30° di latitudine, le correnti in quota, inizialmente dirette verso Nord, siano in realtà ormai allineate quasi da ovest verso est, interrompendo in tal modo anche il loro viaggio verso il Polo.
Ciò provoca, però, intorno a tale fascia di latitudini, un accumulo delle masse d’aria equatoriali, la cui “unica” via di uscita è il deflusso verso il basso fino al suolo, per poi ritornare verso l’Equatore come Alisei. Ecco perché nella fascia subtropicale l’atmosfera è animata permanentemente da correnti discendenti, le quali provocano, per subsidenza, il riscaldamento e l’essiccamento della colonna d’aria nonché la formazione di anticicloni permanenti. Questo spiega anche perché in tale fascia si trovino le regioni più aride del pianeta.
Tra 30° e 60°di latitudine (tali limiti sono indicativi in quanto tendono ovviamente a variare di stagione in stagione), dove le differenze termiche nord-sud sono più intense, la circolazione media meridionale è di verso opposto a quello previsto, secondo lo schema di Hadley, da una circolazione di tipo termico.
Infatti, in tale cella, denominata cella di Ferrel, l’aria si solleva sulla regione più fredda intorno a 60°, per poi ridiscendere nella regione più calda intorno a 30° di latitudine. Infatti, parte dell’aria divergente alla superficie vicino alla latitudine di 30° N si muove verso il polo ed è deviata ad est per l’effetto Coriolis formando i venti prevalenti occidentali. A circa 60° N, l’aria risale, si raffredda, si condensa e forma nuvole e precipitazioni. Parte dell’aria che risale ritorna verso i tropici dove scende nuovamente per chiudere la seconda cella. In tal modo, ai tropici la pressione si mantiene permanentemente alta.
Per completare la descrizione delle cellule di circolazione evidenziate nelle precedenti figure, si ponga l’attenzione sulla cella a nord del 60° parallelo. L’esistenza di cellule di questo genere non è sicura. Tuttavia l’osservazione mostra che sulle calotte polari in media prevalgono anticicloni termici. L aria fredda che diverge da tali anticicloni, dirigendosi verso le latitudini inferiori, devia verso ovest per Coriolis e va a convergere con quella più calda proveniente dalle medie latitudini e trasportata da correnti occidentali. Si determinano in questo modo condizioni di forte gradiente termico e di intensa baroclinicità, caratteristici dei sistemi frontali, sui quali si sviluppano i cicloni extratropicali. È in questa zona di confine tra le due celle (quella Polare e quella di Ferrel) che i venti occidentali (westerlies), nel loro moto verso i poli, incontrano i freddi venti polari e, a causa dell’interazione fra masse d’aria calda e le masse d’aria fredda, si origina una fascia di perturbazioni che è nota come fronte polare. Nello specifico, tale fascia di perturbazioni extratropicali è strettamente correlata alla Corrente a Getto (Jet Stream), che nient’altro è che un flusso d’aria di sezione relativamente piccola, che fluisce velocemente da est verso ovest e che si forma nell’atmosfera terrestre alla quota di circa 10-11 km dalla superficie, appena sotto la tropopausa, ai confini tra masse le due masse d’aria adiacenti aventi significative differenze di temperatura.
Per comprendere meglio la natura di dette correnti atmosferiche (jet stream) occorre ricordare che, a scala emisferica, il gradiente termico orizzontale nord- sud, assume valori molto intensi proprio in concomitanza della “linea” di separazione tra le due masse d’aria fortemente diverse che giace come detto intorno ai 60° di latitudine (più bassa in inverno). Nello specifico, nella parte settentrionale di tale linea, ovvero nella parte di aria fredda polare, a causa della maggiore densità atmosferica, la pressione diminuisce con la quota molto più rapidamente di quanto non accada nell’adiacente colonna d’aria occupata da aria molto più calda (appartenente alla cella di Ferrel). Ciò fa si che, tra le opposte parti del fronte, si generi una differenza orizzontale crescente nella pressione atmosferica , con un valore massimo raggiunto proprio ai limiti della troposfera (tropopausa ). Pertanto nell’alta atmosfera ed intorno ai 60° di latitudine, sotto la spinta di tali dislivelli barici, i venti occidentali divengono molto più intensi dando luogo alla cosiddetta corrente a getto polare (jet stream).

La modalità con cui la corrente a getto “produce”le fasce perturbate responsabili del maltempo alle medie-alte latitudini, è strettamente correlata ai concetti di convergenza e divergenza delle masse d’aria.
A tal proposito si immagini una colonna d’aria verticale, che vada dal suolo fino alla tropopausa (che si trova in media attorno ai 9-11 km di altezza alla nostra latitudine). Dentro questa colonna ci sarà una certa quantità di aria, che con la quota cambierà di densità, di temperatura, di velocità di spostamento orizzontale.
Ora, se si fa passare una Corrente a Getto alle alte quote, si andrà inevitabilmente a togliere massa d’aria dalla cima della colonna (divergenza). A quel punto il “buco” d’aria dovrà essere colmato in qualche modo. Ma, poichè dall’alto non può arrivare aria (a causa del “tappo” invalicabile della tropopausa), dovrà per forza arrivare aria dal basso, cioè far salire aria dagli strati inferiori (eventualmente dal suolo).
Ciò significa che gran parte dell’aria dagli strati bassi si muoverà verso quelli alti della troposfera, causando una convergenza al suolo e, dunque, la formazione di una bassa pressione “oceanica”.
Se con il prosieguo dell’azione della Corrente a Getto, la quantità d’aria in arrivo dal basso non sarà sufficiente a colmare il buco, allora la pressione continuerà a diminuire nei bassi strati con il passare del tempo, altrimenti (come accade nella maggior parte dei casi) dopo un primo brusco abbassamento la pressione si assesterà. Stesso discorso, alla rovescia, lo si deve fare per le alte pressioni: quando c’è forte convergenza in quota (ad esempio sul bordo meridionale di una corrente a getto, dove il vento all’improvviso si placa) mentre al suolo c’è una zona di relativa alta pressione (divergenza di massa d’aria relativamente debole), allora l’anticiclone al suolo, o comunque alle quote più basse, tenderà a rinforzarsi, in quanto l’aria in eccesso alle alte quote verrà schiacciata forzatamente verso il basso, facendo appunto aumentare la pressione (questo sul bordo meridionale dello jet-stream).
La corrente a getto, la cui posizione cambia di giorno in giorno all’interno della fascia occupata dalle correnti occidentali, ha dunque una notevole importanza per la genesi delle depressioni mobili. In realtà, a causa della presenza di terre emerse, la fascia di basse pressioni intorno al 60° nord si riduce, nella realtà, a due sole depressioni permanenti note con i nomi di “Ciclone d’Islanda” e di “Ciclone delle Aleutine”. La loro posizione, anche se fluttuante come già detto in precedenza, è caratterizzata da un minimo depressionario sull’Oceano Atlantico Settentrionale ed un altro sull’Oceano Pacifico Settentrionale, in prossimità del Circolo Polare Artico. Il Ciclone d’Islanda in particolare ricopre un ruolo particolare nelle vicende atmosferiche che interessano il continente europeo, perchè è il luogo in cui si ha la genesi di tutte le perturbazioni che poi si muovono verso le medie latitudini del continente. Da quanto appena spiegato in merito all’origine delle depressioni extratropicali in seno alla Corrente a Getto, emerge che il bordo meridionale della corrente a getto sia delimitato dagli anticicloni oceanico: è’ il caso dell’Anticiclone del Pacifico settentrionale e dell’anticiclone delle Azzorre nel vicino Atlantico. Durante l’inverno boreale tutte e tre le celle sin qui descritte tendono a traslare verso sud, mentre d’estate si assiste ad un inversa traslazione verso nord. In particolare lo Jet Stream, che in estate è posizionato attorno ai 60°-65° di latitudine, in inverno si trova fino ai 45°-50°.
Il modello climatico sin qui descritto, indurrebbe a pensare ad un’atmosfera divisa a comparti stagni, in cui ogni regione è sottoposta sempre e solo allo stesso clima (ad eccezione delle variazioni di latitudine stagionale al quale è soggetto lo Jet Stream). Infatti, se le correnti occidentali non deviassero mai dal loro percorso lungo i paralleli, non si potrebbe mai attuare lo scambio di calore tra l’aria calda equatoriale e l’aria fredda polare (o meglio sarebbe troppo esiguo), cosicché la temperatura salirebbe progressivamente sulla fascia equatoriale e diminuirebbe sulle calotte polari.
L’incremento progressivo del contrasto termico Equatore-poli porterebbe a sua volta a una graduale intensificazione delle correnti occidentali, fino a raggiungere 300 km/h dopo circa 3 mesi, ed inoltre verrebbe a determinarsi un maggiore dislivello barico fra la fascia di bassa pressione attorno ai 45°-60° e fra la cintura di alta pressione sottostante.
In realtà via via che aumenta il contrasto termico tra alte e basse latitudini, le correnti occidentali divengono sempre più veloci, fino al punto che, a causa delle forzate e improvvise deviazioni di percorso introdotte dalle catene montuose e dall’alternarsi di oceani e continenti, iniziano a oscillare lungo i meridiani, così come capita a una corda di violino quando viene pizzicata. Questa instabilità genera grandi moti ondulatori sul piano orizzontale (onde planetarie o onde lunghe di Rossby). Il crescere dell’ampiezza delle onde fa penetrare sempre più le masse di aria calda tropicale verso le regioni polari e le masse di aria fredda verso le regioni equatoriali determinando in tal modo, fra le zone polari e quelle tropicali, uno scambio termico a grandissima scala che attenua il contrasto determinato dalla diseguale distribuzione della radiazione solare. Le seguenti due immagini illustrano il passaggio dalla situazione “fittizia” senza scambi meridiani, a quella che vede la corrente a getto contraddistinta da una andamento ondulato (sinusoidale).

Le ondulazioni (onde di Rossby), una volta innescatesi, tendono a divenire via via più ampie, fino a raggiungere alternativamente le zone equatoriali e polari. A questo punto le singole onde, divenute ormai molto allungate nel verso dei meridiani, tendono a rompersi nella parte terminale (cut-off), isolando vortici a circolazione oraria, pieni di aria calda (anticicloni di blocco) alle alte latitudini, e vortici pieni di aria fredda (gocce fredde) a circolazione antioraria alle basse latitudini. Con questo processo si realizza un riscaldamento delle zone polari e un raffreddamento di quelle equatoriali. Lungo il tratto ascendente delle ondulazioni tendono a formarsi onde più corte (onde di Bjerknes) dalla cui evoluzione prendono poi origine i fronti, tipici sistemi responsabili a loro volta del maltempo che investe contemporaneamente vaste aree delle medie latitudini.
In parole povere le onde di Rossby sono marcate ondulazioni della corrente a getto grazie alle quali si realizzano intensi scambi meridiani tra diverse le diverse celle. Dette ondulazioni sono responsabili della maggior parte dei fenomeni perturbati che investono l’Europa occidentale, nonché delle discese gelide alle nostre latitudini. Detto in modo semplicistico, le onde di Rossby sono (talvolta) associate agli anticicloni di blocco lungo i quali scorre aria più fredda di estrazione artica. Quello delle onde di Rossby è comunque un fenomeno di estrema importanza, di maggiore interesse soprattutto per le vicende meteorologiche del nord emisfero.
Per ora ci fermeremo qui. Nella Parte successiva dell’articolo si parlerà ancora delle onde di Rossby e dell’importanza che hanno nell’ambito del clima dell’emisfero boreale (con particolare riferimento a quello europeo).

Riccardo

Nevai sulle marittime. Piccolo aggiornamento

Grazie all’archivista di famiglia ho ritrovato la foto analogica relativa alla zona in cui ho recentemente fatto una gitarella.  L’ho immediatamente scannerizzata (scusate la scarsa qualità ma il convento non passa altro) e ritagliata per un confronto .

Purtroppo il periodo non e’ proprio lo stesso: su quella vecchia era scritto “luglio 1997” . Quella attuale e’ del 19 agosto (2011 ovviamente).

Allego le foto e poi una breve analisi e nessun commento (così in altri blog sul clima  non si alterano …)

Foto 1 : 1997

foto 2 : 2011

Nota geografica: La foto e’ relativa all’alta valle Gesso. Si intravvede il Rifugio Questa sullo sperone a sinistra.  La zona dello scatto e’ il vallone del “valasco” .

Prima osservazione : L’attenzione va concentrata sui quattro  nevai in alto, sulla cima triangolare in mezzo alle foto.  Si vede abbastanza bene, infatti, che la prospettiva e’ diversa (nel 2011 la foto e’ stata scattata molto più da “sotto” e i nevai che si notano in basso sulla destra nella foto del ’97 sono nascosti dalla placca rocciosa. Per chi fosse incuriosito, la “piana del Valasco”  da cui sono state scattate le foto e’ parecchio lunga, almeno 1.5km). Vi posso assicurare che i nevai c’erano ancora ma non essendo rimasti nella foto … non possono essere analizzati. Anzi, per par condicio non citerò le macchiette che appaiono sullo sperone all’estrema sinistra della foto del 2011 e completamente assenti in quella del ’97.

Seconda osservazione : Nevai in regressione : Partendo da sinistra i primi due nevai (uno piccolino e quello grande a forma di V) rovesciata appaiono leggermente più piccoli. Erano stati ripresi però almeno un mese prima…

Terza osservazione : Nevai in avanzamento : I due nevai sovrapposti a destra sono chiaramente cresciuti.

Quarta osservazione : Il limite della vegetazione non ha subito modifiche (gli alberi sono solo un pò cresciuti: se avete pazienza potete ritrovare il singolo larice nelle due foto.  Vi posso asscurare che in 14 anni un larice cresce parecchio . )

Fine dell’articolo . Breve breve, da leggersi d’un fiato (che figata!)
Luca Nitopi

P.S.

1) questo articolo voleva essere un “addon” al precedente…  http://daltonsminima.altervista.org/?p=15403

2) Come detto sopra per evitare alterazioni di umore mi astengo dai commenti . Ma un appello agli appassionati di montagna lo faccio…

Cercate nei vostri archivi … Cercate i NEVAI.  Se un ghiacciaio ha un’inerzia notevole, il nevaio risponde “quasi” in tempo reale a riscaldamenti e raffreddamenti, aumenti o diminuzioni delle precipitazioni etc.

E poi postate le foto del “Prima” e del “Dopo”….Senza commenti, per carità…

Luca