Archivio mensile:Ottobre 2011

25 ottobre 2011: analisi dell’evento alluvionale del levante ligure

La perturbazione che il 25 ottobre ha interessato la Liguria e la Toscana, in particolare l’estremo levante ligure, e’ stata di eccezionale intensità. A poco piu’ di un anno di distanza dall’alluvione che il 4 ottobre 2010 provocò ingenti danni a Varazze, Cogoleto e Genova – Sestri Ponente, la Liguria ha dovuto fare i conti per l’ennesima volta con un alluvione di straordinaria potenza che ha provocato morte e distruzione: basti pensare che a Brugnato Borghetto Vara, piccolo comune spezzino, si e’ registrato il picco massimo, con 145 mm di pioggia caduti fra le 13 e le 14, arrivando a toccare a fine evento i 542 mm di acqua piovana; come conseguenza della grande quantità d’acqua, caduta in poco tempo, si sono verificate esondazioni del Vara, a Brugnato, e del Magra, a Fornola, dove alle ore 19 era a +7,14 metri sopra lo zero idrometrico (durante l’alluvione che si verificò la notte fra il 24 e il 25 dicembre 2009 si era ‘fermato’ a + 6,10 metri).

Ma cos’è successo realmente in queste zone? Quali sono le principali cause di questo autentico nubifragio? Credo che sia doveroso ricordare, tanto per cominciare, il periodo estremamente secco che abbiamo avuto a settembre e inizio ottobre, con il suolo che ha praticamente fatto una crosta completamente impermeabile all’acqua, con i letti dei fiumi invasi da vegetazione e immondizia di vario genere che ha fatto il resto.

Ma veniamo ai fatti, e in particolar modo ci catapultiamo a qualche giorno prima dell’evento (in particolare il 20 ottobre): in questa cartina del modello americano GFS vediamo, appunto per il 25 ottobre, una saccatura di origine artica abbordare le coste francesi e spagnole,guidata da un minimo depressionario posizionato poco più a ovest della Gran Bretagna. Si nota subito come sulla Liguria si formi il famoso “naso padano”, ovvero un rigonfiamento delle isobare, una specie di naso, appunto, che si forma quando le correnti si dispongono dai quadranti meridionali: sul versante meridionale delle Alpi l’accumulo di masse d’aria causa un aumento dinamico della pressione, convezione orografica forzata e precipitazioni, con stau a Sud del versante e foehn a Nord.

 

 

Ora veniamo all’analisi più dettagliata del peggioramento, iniziando a parlare della carta dei venti a 700 hPa, ovvero circa a 3000 metri. Può essere utile partire dall’analisi dei venti in quota perché si può studiare meglio il movimento del fronte. Come possiamo notare abbiamo venti tesi da SW su tutta la Liguria. Inoltre la carta evidenzia anche una quantità elevata di umidità della colonna d’aria, ingrediente fondamentale per la condensazione dell’aria.

 

 

La carta dei venti a 850hPa evidenzia direzione e umidità dei venti a 1400 metri circa, ovvero appena sopra lo strato limite planetario, ovvero quella parte di atmosfera in cui abbiamo valori massimi di turbolenza e attrito dovuti alla particolare orografia e vicinanza col suolo. L’aria che arriva già estremamente instabile dal mare trova gli appennini liguri, si solleva e scarica l’acqua condensata dal sollevamento orografico. Ricordiamo la particolarità dei paesi delle cinque terre, con alle spalle le colline a picco sul mare. I venti, sull’estremo levante ligure, provengono da S-SW.

 

 

Ma ciò che ha reso drammatica la situazione è stato il sollevamento frontale, ovvero lo scontro tra aria fredda proveniente da nord e aria calda e umida da sud-sud est, lungo una linea di convergenza delle correnti. L’ulteriore convergenza fra correnti di Scirocco al suolo e Libeccio in quota ha alimentato una serie di temporali autorigeneranti nel mar Ligure. I sostenuti venti di Scirocco al suolo, dopo essersi caricati di umidità a contatto con le calde acque del “mare Nostrum”, addensano lungo le coste liguri estesi e compatti addensamenti nuvolosi, con annessi nuclei piovosi, che dal mare risalgono i versanti sud-occidentali dell’Appennino ligure, apportando piogge battenti e persistenti che possono poi sfociare in veri e propri nubifragi temporaleschi particolarmente violenti. Se il flusso meridionale risulta bello teso le precipitazioni vengono ulteriormente esaltate dal notevole effetto “stau” esercitato dai rilievi del vicino retroterra e dai colli dell’Appennino Ligure.

 

 Qui vediamo la mappa delle precipitazioni previste dal modello non idrostatico a scala limitata MOLOCH, esalta subito all’occhio come, già dal giorno prima, avesse centrato in pieno la situazione che si sarebbe poi venuta a creare. Infatti pone i massimi precipitativi proprio sulla zona del levante ligure.

Infine penso sia utile evidenziare l’aspetto forse più importante di tutto l’evento, e cioè la sua configurazione prettamente invernale che ha assunto nel genovese con tramontana scura di intensità forse non prevedibile, e imputabile anche a quel famoso padano di cui vi ho parlato sopra. E’ bene inoltre ricordare che Genova veniva da almeno 2 giorni di tramontana, che ha fatto abbassare di molto le temperature. Il concetto che sta dietro alla tramontana scura è semplice: l’aria fredda da nord scende dalla pianura padana verso il mar Ligure per effetto del gradiente (differenza) di pressione determinato da cause termiche (tra la pianura fredda e il mare più caldo) e dinamiche (richiamo del minimo di pressione che si crea sul mar ligure in molti peggioramenti autunno-invernali).

Se da un lato la tramontana ha salvato il ponente genovese, dall’altro ha impedito allo scirocco di espandersi verso ovest causando azione di blocco nel levante. Probabilmente ci sarebbe stato una distribuzione più omogenea delle precipitazioni su tutto il territorio regionale.

Guardate infatti le differenze abissali di temperatura che ci sono state durante l’evento fra la zona notoriamente battuta dalla tramontana scura (il genovesato e Savona) e la riviera di levante, colpita da venti di scirocco. Nella cartina è rappresentato il corridoio percorso appunto dalla tramontana scura.

E’ emblematica, infatti, questa mappa radar che rappresenta le precipitazioni sulla Liguria in uno dei momenti clou di quella maledetta giornata. Vediamo, appunto, molti picchi che vanno oltre i 50 mm di pioggia caduta in un’ora.

Questa è la cartina degli accumuli definitivi in tutta la Liguria. Si notano subito le punte da 400 mm e oltre di pioggia nelle zone di Monterosso, Brugnato e Borghetto Vara.

I dati finali dell’ARPAL: La perturbazione è durata complessivamente 30 ore, ma ha avuto una fase acuta di otto ore fra le 11.00 e le 19.00 del 25 ottobre 2011.

Tipiche di una tempesta tropicale, ma osservate anche nel clima mediterraneo, le precipitazioni massime puntuali, tutte registrate a Brugnato ed espresse in mm:

– 153 in 1 ora

– 328 in3 ore

– 472 in6 ore

– 511 in12 ore

– 539 in24 ore

– 542 in30 ore (tutto l’evento)

 

La stima della pioggia caduta su tutta l’area di allerta C è di 220.500.000 metri cubi, mentre allargando a tutto il bacino del Magra si arriva a 367.000.000 di metri cubi: il doppio della capacità del lago del Vajont o quindici volte l’invaso da cui trae l’acqua tutta Genova (lago del Brugneto).

Il volume d’acqua totale transitato alla foce del Magra è stato di 150.000.000 di metri cubi, contro i 4.320.000 metri cubi abituali, circa trenta volte superiore alla norma.

In un giorno è caduta circa un terzo della pioggia totale di un anno: la precipitazione massima caduta in tutto l’evento è di 542 mm, contro la media annuale di circa 1500 mm.

Daniele Gallo

 

 

E se fosse l’opposizione di Giove ?

Da circa 3 giorni stiamo registrando fronte Terra un valore del vento solare molto basso. Numericamente parlando stiamo oscillando fra i 300 e 270Km/s.  e tutti i principali indici di monitoraggio dell’attività solare sono ridotti ai minimi termini dagli Xray al flusso solare che sta scendendo. Adesso siamo intorno ai 120 dopo la grande spinta di fine Settembre, inizio Ottobre.

http://www.spaceweather.gc.ca/sx-4-fra.php

Di macchie dalla coalescenza magnetica significativa all’orizzonte non se ne osservano. Così come di buchi coronali. Anche monitorando attentamente il behind non sembra di scorgere una grossa attività magnetica. Quindi sempre più conferme alla ipotesi mareale di Bendandi e altri sulla formazione/accelerazione dell’attività solare & macchie . Probabilmente fra 5/6 giorni (sempre osservando il behind) protrebbero capitare delle sorprese a livello equatoriale, ma in conclusione è sempre presto.

 

Viceversa in questo post, mi piacerebbe approfondire una dinamica che da circa tre giorni vede il vento solare attestarsi su dei valori estremamente bassi con i raggi cosmici che stanno inevitabilmente aumentando, dopo la brusca frenata registrata un pò di giorni fa con l’impatto della CME .

A memoria non ricordo, da quando è iniziato questo ciclo solare SC24, attestarsi su dei valori così bassi e per così più giorni.  Anche il 23 Ottobre il “solar wind” si era attestato intorno ai 270 Km/s.

Interrogativo:

Non è che l’opposizione di Giove, in riferimento alle ipotesi mareali sta rallentando l’attività solare in questa particolare configurazione planetaria e di conseguenza la spirale di parker, eliosfera in quest’ultimi 10 giorni ?

Sicuramente come ho scritto c’è da valutare anche i contributi e la posizione in quest’ultimi 10 giorni di Saturno,Urano e Venere….ma lo ripeto questa sincronicità di situazione mi fa riflettere. Immagine riepilogativa.

Questa dinamica planetario/solare sarebbe da confrontare con le precedenti opposizioni di Giove 2010..2009..etc…., andando ad analizzare i rispetti parametri solari e posizioni planetarie.

Chissà ?

 

Michele

CHI COSTRUISCE DEVE CONOSCERE IL “CLIMA”

Dal nostro gruppo su facebook….

Buona serata,questa nota è indirizzata a tutte quelle grandi società che investono nel campo immobiliare,ai costruttori in generale:

Spesso ingenuamente si va a costruire vicino ad antichi torrenti se non addirittura nel loro letto(alluvione recente insegna)solo perchè magari la loro memoria umana non concepisce la gravità dell’errore,basterebbe studiare un pò di climatologia per arrivare a capire che tutto prima o poi ritorna,ovvero 30-50 o anche più di 100 anni con clima molto umido e piovoso ed un altro(quello appena concluso) molto secco,caldo e siccitoso.

Corsi d’acqua inattivi per più di 50 o 100 anni ritornano a prendersi il loro posto a forza,ma non è perchè la natura si è incattività,è l’uomo che ha costruito dove non deve,se si ha poca memoria storica basterebbe consultare una mappa di dove sono ubicati i vari corsi d’acqua,anche quelli che sono considerati erroneamente asciutti,un pò come il discorso dei vulcani,che sonnecchiano per millenni e poi devastano intere regioni.

In soldoni spero che la lezione venga recepita da chi di dovere perchè altrimenti saranno dolori,il riscaldamento degli ultimi 30 anni ha subito uno stop,il sole con il suo ciclo 24 sta approcciando un massimo tra i più bassi dal 1700,non è utopia dichiarare che si sta manifestando una chiara inversione di tendenza,anche l’attività vulcanica è in aumento,inoltre l’aumento di entrata dei raggi cosmici con un solarwind tra i più bassi di sempre incentiva nubi e precipitazioni più copiose.

 

Ettore Roesler Franz - Inondazione a Roma fine 800 -

 

Dico un altra cosa,io sono di Roma e conosco il mio Tevere come le mie tasche,quanti ingegneri ne hanno studiato le antiche piene? Io essendo esperto meteo e appassionato di climatologia mi sono ripassato le piene del biondo fiume,e casisticamente ho scoperto che fa una superpiena ogni secolo,qualche anno fa siamo stati vicini ad un altra Firenze per 2 metri soltanto…il fiume sarebbe esondato a prima porta,magliana,ponte milvio,bastava solo una giornata di pioggia in più…pochi sanno che molte abitazioni sulla via flaminia(tantissime)stanno a rischio innondazione ogni volta che il tevere va sopra il livello di guardia di Ripetta,inoltre le dighe a monte che ne controllano il livello per proteggere la capitale nell’ultima piena erano al limite,se le aprivano sarebbe stata la tragedia,per quanto tempo ancora avremo questa fortuna?

Non basterebbero nemmeno i giganteschi muraglioni per proteggere la città se fa una piena come quella di 100 anni fa,anche quì costruendo si è persa la memoria storica del fiume,il Tevere non farebbe paura se solo si rispettasse,e il rispetto sarebbe stato quello di costruire con criterio e non in aree potenzialmente alluvionali,ho avuto come cliente tempo fa l’autorità di bacino del fiume Tevere e i miei timori non sono infondati, speriamo non arrivi mai la Big One piena.

Cordialmente

STEFANO BARTOZZI

 

Possibile correlazione fra l’attività solare e l’attività vulcanica terrestre nel lungo termine – 2°parte –

Jaroslav Strestik

Istituto geofisico AS CR,Bocni II 1401,141 31 Praga, Repubblica Ceca

 

Continuiamo la traduzione di questa interessantissima ricerca ceca. La prima parte è reperibile al seguente indirizzo,

  http://daltonsminima.altervista.org/?p=16465

Un’ altro metodo per sopprime le variazione nel breve periodo di tempo è filtrare i dati con un’appropriato filtro passa banda. Restringiamo il nostro campo d’osservazione ad un periodo che va dai 40 ai 600 anni. Il limite inferiore è sufficientemente lontano dai periodi connessi con i cicli solari e il limite superiore è sufficientemente in ritardo dai periodi presi in esame, da essere ritenuto affidabile. Dopo questa procedura le costanti additive sono state rimosse e i valori filtrati e distribuiti simmetricamente intorno allo zero. Le curva sotto ci fornisce le stesse informazioni ricavate nell’ultima analisi grafica riportata nel precedente grafico, quest’ultima traccia e solamente stata lisciata maggiormente. Il coefficiente fra le due curve è pari a -0,50. L’attività solare è stata alta e l’attività vulcanica è stata bassa nella seconda parte del ventesimo secolo. Nei prossimi decenni, è previsto, un calo dell’attività solare nel lungo termine.

La linea continua evidenzia l’andamento dell’indice vulcanico “AI”. La linea tratteggiata l’andamento del numero delle macchie solari “sunspot number” . Entrambe le serie sono state filtrate usando il filtro passa banda nel periodo che va da 40 a 600 anni.

La somiglianza di periodicità in entrambe le serie si riflette anche negli spettri, vedi figura riportata sotto. I picchi nei periodi più lunghi si trovano quasi esattamente nella stessa posizione in entrambi gli spettri. Solo la loro altezza relativa può variare un po’. l picchi più significativi superano il 95% livello di fedeltà in entrambi gli spettri. Per periodi inferiori a 100 anni la somiglianza non è così precisa. ln generale: i picchi nei periodi dei 200 o meno delle macchie solari “sunspot number” sono più alti dei picchi dello spettro degli indici vulcanici.

Lo spettro dell’indice vulcanico “AI” e la linea solida e lo spettro delle macchie solari “sunspot number” e la linea tratteggiata. Le linee orizzontali evidenziano il 95% e il 99% di livello di confidenza per ogni appropriato spettro.

Gli spettri, nella figura sopra riportata sono stati calcolati su un’ intervallo di tempo per i quali i dati originali erano disponibili anche se una piccola differenza in entrambe le serie è presente. Purtroppo lo spettro della temperatura osservata in aria non può essere aggiunto, in quanto i dati sono disponibili solo in un’ intervallo di tempo molto più breve. La temperatura dell’aria è stata monitorata al Klementinurn di Praga dal 1771 e osservata continuamente fino a oggi.

18. Jirovsky V., Meteorologicka pozorovani v Praze Klementinu 1775-1975 (Meteorological observations in Prugue-Klementinum I775-1975), HMU Praha, 1976 (in Czech).

Pertanto tutti gli spettri sono stati calcolati per l’intervallo di tempo che va dal 1773 al 1972, 200 anni il periodo per il quale tutti i dati sono disponibili. La correlazione tra l’andamento dell’attività solare e vulcanica è migliore nel selezionato intervallo di tempo che in tutto il range, in cui i dati sono disponibili. Il coefficiente è -0,41. Per i dati levigati (filtrati) utilizzando la media dei 21 anni il coefficiente di correlazione è pari a -0,67. Tutti gli spettri sono rappresentati nella figura sotto riportata.

Lo spettro dell’indice vulcanico “AI” linea continua. Il numero delle macchie solari “sunspot number” linea tratteggiata lunga. La temperatura dell’aria a Praga tra il 1773-1972 linea tratteggiata corta. Le linee orizzontali evidenziano un livello di confidenza del 99%

Utilizzando questo breve intervallo di tempo, i picchi nei 400 anni non possono essere determinati, se non nei periodi di tempo intorno ai 200,100 anni. Entrambi i tre picchi si trovano quasi nell’identica posizione. Alcuni di loro, tuttavia, non raggiungono il livello di confidenza del 99%. La somiglianza tra gli spettri dell’attività solare e vulcanica è migliore che tra lo spettro della temperature dell’aria e gli altri due.

Ad una fase di prolungata massima della temperatura dell’aria corrisponde una fase di massima attività solare e minima attività vulcanica. Questa dinamica è in accordo con la spiegazione che i gas e le polveri vulcaniche causano una diminuzione della temperatura dell’aria. A causa del minore contenuto di polvere durante la minima attività vulcanica la temperatura è più alta. Essendo inoltre previsto l’aumento dell’attività vulcanica nei prossimi decenni, ci aspettiamo a seguire una piccola diminuzione della temperatura. Ciò in parte compensare il rapido aumento della temperatura che è dovuto a fattori antropici.

CONCLUSIONI

La stretta somiglianza tra l’andamento dell’attività solare e l’attività vulcanica nel lungo termine su scala suggerisce due differenti possibili conseguenze:

a) L’attività solare regola l’attività vulcanica della Terra nel lungo termine. L’attività vulcanica è generalmente maggiore nei periodi di minima attività solare e viceversa. Tuttavia, il meccanismo di questa forzatura non è conosciuto. Forse l’attività geomagnetica ?, media influenze solari (purtroppo, la serie di questi dati sono troppo brevi). Se saranno confermate in futuro, l’ influenze dell’attività solare sul clima potremmo considerate come essere mediate dall’attività vulcanica, creando una catena: Attività solare – (attività geomagnetica) – attività vulcanica e cambiamenti climatici. Dirette influenze dell’attività solare sul clima non sono ovviamente da escludere. Ma è difficile distinguere quale parte di questi cambiamenti è mediata da l’attività vulcanica e quale parte è diretta influenza solare. Sarebbe anche necessario spiegare perché questa catena non lavora nel breve termine.

b) La correlazione, nel corso del lungo termine tra l’attività solare e l’attività vulcanica è casuale ed è pronunciata solo negli ultimi secoli. Nel ungo termine i naturali cambiamenti climatici sarebbero causati da i soli cambiamenti nel lungo termine dell’attività vulcanica. Il ruolo dell’attività solare sarebbe in questo caso solo apparente. L’andamento similare registrato nel corso degli ultimi cinque secoli sarebbe solo accidentale. Tuttavia, alcune piccole dirette influenze solari sul clima non sarebbero da escludere. Quindi, ci si può aspettare nella breve scala temporale, alcune somiglianze.

Un particolare ringraziamento al nostro “webmaster Alessio” che mi ha dato una grossa mano. Realizzando un piccolo stratagemma software che mi aiutato nella compilazione, traduzione di questa ricerca.

Fonte:

http://articles.adsabs.harvard.edu/cgi-bin/nph-iarticle_query?bibcode=2003ESASP.535..393S&db_key=AST&page_ind=0&plate_select=NO&data_type=GIF&type=SCREEN_GIF&classic=YES

Michele

 

 

 

 

UN NUOVO MODELLO CLIMATICO ALLA BASE DELLA PEG: PARTE I ( Concetti Base di Fisica dell’Atmosfera)

Un saluto a voi, popolo di NIA.
In questo mio articolo ho intenzione di spiegarvi cosa è realmente accaduto durante la PEG e dunque, cosa ci sia alla base dell’ormai famosissimo cambiamento climatico che ha interesso, dal XV al XIX sec., l’emisfero nord terrestre, con particolare riferimento al nostro amato vecchio Continente. In altre parole, cercherò di spiegarvi in modo più scientifico possibile le modalità con cui la bassa attività solare modula l’atmosfera terrestre e, di conseguenza, la storia meteorologica mondiale (con particolare riferimento al nord emisfero). Per far questo introdurrò un nuovo modello climatico per certi aspetti innovativo ed inedito.
Non nascondo che si è trattato di un grande lavoro che mi ha impegnato moltissimo. Infatti, al fine di ottenere una completa comprensione, sono stato “costretto” a dover decifrare prima, e a studiare poi, numerose ricerche scientifiche condotte nell’ultimo decennio da svariate università e centri di ricerca mondiale. La nuova scienza sta infatti intraprendendo una strada del tutto nuova, abbandonando quelle vecchie credenze che ci hanno accompagnato sin ad oggi. Finalmente la scienza sta riuscendo a spiegarci cosa è realmente accaduto in Europa a livello meteorologico nella seconda metà del secondo millennio.
I temi che verranno toccati saranno molteplici, ed in alcuni casi anche complessi. Per tale ragione ho deciso di spezzare l’articolo in diverse parti e di utilizzare un linguaggio più semplice possibile. Difatti, al fine di ottenere la massima comprensione e di rendere digeribili a tutti anche i concetti più difficili, mi vedrò costretto ad utilizzare in alcuni casi un lessico semplicistico e poco tecnico, con il rischio tal volta di banalizzare e ridicolizzare fenomeni fisici altamente complessi ed importanti. Mi scuso quindi sin da subito con i più preparati che dovranno assistere inermi al mio modo brutale di trattare certi argomenti che richiederebbero tutt’altro gergo ed attenzione.
La sola cosa che vi chiedo e di guardare l’opera nel complesso, in quanto tutti gli aspetti sono perfettamente correlati l’un l’altro e pertanto inscindibili. Si tratta infatti di un grande mosaico, in cui ogni tassello, oltre ad essere indispensabile, ha il suo posto ben preciso.
Come detto l’Articolo verrà spezzato in più parti, precisamente in sei parti. Nella Parte I (la presente) verranno esposti dei concetti base di fisica dell’atmosfera, mentre nella Parte II verrà esaminata l’importanza che le onde di Rossby hanno sul clima dell’emisfero boreale. Nelle Parti III e IV verranno illustrate le modalità con cui la bassa attività solare è in grado di influenzare il clima invernale alle medie latitudini nell’emisfero boreale. Infine nelle ultime Parti V e VI, sulla base di quanto imparato nelle precedenti parti, tenteremo di ricostruire il meccanismo che, innescatosi alla fine del Medioevo, ha portato nei secoli a venire un progressivo raffreddamento dell’emisfero nord (Europa in particolare). In particolare nell’ultima Parte saranno presentate una serie di prove storico/scientifiche a dimostrazione di quanto esposto nella precedente Parte V.
Prima di iniziare il nostro lungo percorso, consentitemi di fare un grosso ringraziamento ad una grande persona, nonché utente NIA, senza la quale non sarei mai riuscito a portare a termine il presente lavoro. Sto parlando di Andrea Zamboni, il quale, con infinita pazienza, cordialità e passione, ha tradotto dall’inglese all’italiano le innumerevoli ricerche scientifiche da me inviate. Inoltre, grazie alla sua ottima preparazione in materia, ha potuto aiutarmi nel risolvere alcuni nodi spinosi. Infine ci tengo a sottolineare che alcuni pezzi dell’articolo sono farina del suo sacco in quanto scritti da lui stesso.
Come già anticipato dunque, oggi ci limiteremo a spiegare in maniera estremamente semplicistica e veloce alcuni concetti base nel campo della fisica dell’atmosfera, in modo tale che tutti possiate seguirmi più agevolmente nelle fasi successive.

L’atmosfera è una gigantesca macchina termica che ha la funzione di rimuovere dalla fascia equatoriale il calore solare in surplus, per poi trasferirlo verso le calotte polari onde ripianare il sistematico deficit energetico di tali regioni. Il motore di questa macchina è ovviamente il Sole, senza i cui raggi i moti atmosferici verrebbero a cessare in appena 50-60 giorni. La circolazione generale dell’atmosfera è dunque la diretta conseguenza della diversa intensità con cui il Sole riscalda le basse e le alte latitudini. E in effetti il bilancio energetico al suolo su base annuale tra la radiazione solare assorbita e la radiazione persa per irraggiamento nell’infrarosso, mostra un surplus di calore all’Equatore e un deficit ai poli. Ora, se tale disomogeneità non venisse prima o poi rimossa, la temperatura all’Equatore dovrebbe aumentare senza sosta, anno dopo anno, mentre quella ai poli dovrebbe essere in costante diminuzione. Ovviamente non è così, in quanto nell’atmosfera esiste un meccanismo mediante il quale il surplus di calore equatoriale viene trasportato verso più alte latitudini, onde appianare il deficit energetico polare. In effetti la ridistribuzione del calore a scala planetaria è affidata per quasi l’90% alla circolazione generale dell’atmosfera e per il restante 10% alle correnti oceaniche.
Partendo da tale presupposto, Hadley nel 1735 propose il primo modello per descrivere la circolazione generale.
In tale modello si suppone, per semplicità, che la Terra sia priva di rotazione e che abbia superficie omogenea, così da poter trascurare il diverso riscaldamento stagionale tra oceani e continenti.
Sulla colonna d’aria equatoriale il riscaldamento, dovuto al surplus di calore, provoca un moto ascendente all’interno della colonna stessa, mentre il progressivo raffreddamento da deficit calorico sulla corrispondente colonna d’aria polare aumenta la densità dell’aria, instaurando così moti discendenti. Nella porzione troposferica superiore della colonna d’aria equatoriale, le correnti ascendenti determinano, per apporto d’aria dagli strati sottostanti, un aumento della pressione atmosferica (perché aumenta il peso della colonna d’aria avente la sua base nella media troposfera), con conseguente formazione di un’alta pressione rispetto alle zone circostanti. Al contrario nella parte superiore della colonna d’aria posta a latitudini polari, la sottrazione d’aria provocata dalle correnti discendenti favorisce la formazione di una bassa pressione rispetto alle aree circostanti. L’equilibrio tra le due colonne si è così spezzato, perché alle quote superiori le masse d’aria verranno sospinte dall’alta pressione verso la bassa pressione, ossia dall’Equatore verso i poli. Ma al livello del suolo, tale fuoriuscita orizzontale di aria dalla colonna equatoriale determina, rispetto alle zone circostanti, una bassa pressione al suolo alla base della colonna, perché è diminuito il peso della colonna d’aria sovrastante. Viceversa l’afflusso di aria equatoriale sulla colonna polare dà luogo al suolo a un’alta pressione rispetto alle zone circostanti, essendo aumentato il peso totale che la colonna d’aria esercita sulla sua base al suolo.
Di conseguenza in prossimità del suolo, le masse d’aria saranno sospinte dai poli verso l’Equatore e quindi tra alte e basse latitudini si instaura una megacella convettiva chiusa, denominata cella di Hadley. Tale cella permetterebbe di spiegare gli scambi di calore tra Equatore e poli.
Il modello di Hadley, pur rendendo conto della presenza effettiva della fascia di bassa pressione al suolo all’Equatore e dell’alta pressione ai poli, è palesemente inadeguato per descrivere la circolazione atmosferica osservata a scala planetaria e appena descritta.
In effetti, tale modello non riesce a spiegare alcune importanti caratteristiche, come la fascia di alta pressione subtropicale a 30° e quella di bassa pressione intorno a 60°. Evidentemente l’ipotesi che la circolazione dell’atmosfera sia regolata solo dallo squilibrio energetico tra poli ed Equatore non è pienamente valida. L’incongruenza nasce dalla presenza della forza deviante di Coriolis, che nel modello a una megacella non veniva presa in considerazione. Infatti, la forza di Coriolis è una forza deviante dovuta alla rotazione della Terra, la quale crea una deviazione verso la destra del moto nell’emisfero nord e verso la sinistra in quello sud. Introducendo l’effetto di deviazione delle correnti orizzontali da parte della forza di Coriolis, si deduce che, ad esempio nell’emisfero nord, a qualsiasi latitudine le correnti della medio-alta troposfera, dirette dall’Equatore verso il polo, tenderanno ad acquistare una forte componente occidentale, mentre quelle di ritorno nella bassa troposfera dovranno avere una componente orientale. A livello globale, il modello che ne deriva è una struttura a tre celle, come rappresentato nelle seguenti figure:

Sulla verticale dell’Equatore esistono, come previsto dal modello di Hadley, le correnti ascendenti di aria calda che, dopo aver raggiunto le alte quote, si dirigono poi verso nord, ma la cella di Hadley si interrompe intorno a 30° di latitudine perché la progressiva deviazione verso destra (nell’emisfero nord) imposta dalla forza di Coriolis, fa sì che, già intorno a 30° di latitudine, le correnti in quota, inizialmente dirette verso Nord, siano in realtà ormai allineate quasi da ovest verso est, interrompendo in tal modo anche il loro viaggio verso il Polo.
Ciò provoca, però, intorno a tale fascia di latitudini, un accumulo delle masse d’aria equatoriali, la cui “unica” via di uscita è il deflusso verso il basso fino al suolo, per poi ritornare verso l’Equatore come Alisei. Ecco perché nella fascia subtropicale l’atmosfera è animata permanentemente da correnti discendenti, le quali provocano, per subsidenza, il riscaldamento e l’essiccamento della colonna d’aria nonché la formazione di anticicloni permanenti. Questo spiega anche perché in tale fascia si trovino le regioni più aride del pianeta.
Tra 30° e 60°di latitudine (tali limiti sono indicativi in quanto tendono ovviamente a variare di stagione in stagione), dove le differenze termiche nord-sud sono più intense, la circolazione media meridionale è di verso opposto a quello previsto, secondo lo schema di Hadley, da una circolazione di tipo termico.
Infatti, in tale cella, denominata cella di Ferrel, l’aria si solleva sulla regione più fredda intorno a 60°, per poi ridiscendere nella regione più calda intorno a 30° di latitudine. Infatti, parte dell’aria divergente alla superficie vicino alla latitudine di 30° N si muove verso il polo ed è deviata ad est per l’effetto Coriolis formando i venti prevalenti occidentali. A circa 60° N, l’aria risale, si raffredda, si condensa e forma nuvole e precipitazioni. Parte dell’aria che risale ritorna verso i tropici dove scende nuovamente per chiudere la seconda cella. In tal modo, ai tropici la pressione si mantiene permanentemente alta.
Per completare la descrizione delle cellule di circolazione evidenziate nelle precedenti figure, si ponga l’attenzione sulla cella a nord del 60° parallelo. L’esistenza di cellule di questo genere non è sicura. Tuttavia l’osservazione mostra che sulle calotte polari in media prevalgono anticicloni termici. L aria fredda che diverge da tali anticicloni, dirigendosi verso le latitudini inferiori, devia verso ovest per Coriolis e va a convergere con quella più calda proveniente dalle medie latitudini e trasportata da correnti occidentali. Si determinano in questo modo condizioni di forte gradiente termico e di intensa baroclinicità, caratteristici dei sistemi frontali, sui quali si sviluppano i cicloni extratropicali. È in questa zona di confine tra le due celle (quella Polare e quella di Ferrel) che i venti occidentali (westerlies), nel loro moto verso i poli, incontrano i freddi venti polari e, a causa dell’interazione fra masse d’aria calda e le masse d’aria fredda, si origina una fascia di perturbazioni che è nota come fronte polare. Nello specifico, tale fascia di perturbazioni extratropicali è strettamente correlata alla Corrente a Getto (Jet Stream), che nient’altro è che un flusso d’aria di sezione relativamente piccola, che fluisce velocemente da est verso ovest e che si forma nell’atmosfera terrestre alla quota di circa 10-11 km dalla superficie, appena sotto la tropopausa, ai confini tra masse le due masse d’aria adiacenti aventi significative differenze di temperatura.
Per comprendere meglio la natura di dette correnti atmosferiche (jet stream) occorre ricordare che, a scala emisferica, il gradiente termico orizzontale nord- sud, assume valori molto intensi proprio in concomitanza della “linea” di separazione tra le due masse d’aria fortemente diverse che giace come detto intorno ai 60° di latitudine (più bassa in inverno). Nello specifico, nella parte settentrionale di tale linea, ovvero nella parte di aria fredda polare, a causa della maggiore densità atmosferica, la pressione diminuisce con la quota molto più rapidamente di quanto non accada nell’adiacente colonna d’aria occupata da aria molto più calda (appartenente alla cella di Ferrel). Ciò fa si che, tra le opposte parti del fronte, si generi una differenza orizzontale crescente nella pressione atmosferica , con un valore massimo raggiunto proprio ai limiti della troposfera (tropopausa ). Pertanto nell’alta atmosfera ed intorno ai 60° di latitudine, sotto la spinta di tali dislivelli barici, i venti occidentali divengono molto più intensi dando luogo alla cosiddetta corrente a getto polare (jet stream).

La modalità con cui la corrente a getto “produce”le fasce perturbate responsabili del maltempo alle medie-alte latitudini, è strettamente correlata ai concetti di convergenza e divergenza delle masse d’aria.
A tal proposito si immagini una colonna d’aria verticale, che vada dal suolo fino alla tropopausa (che si trova in media attorno ai 9-11 km di altezza alla nostra latitudine). Dentro questa colonna ci sarà una certa quantità di aria, che con la quota cambierà di densità, di temperatura, di velocità di spostamento orizzontale.
Ora, se si fa passare una Corrente a Getto alle alte quote, si andrà inevitabilmente a togliere massa d’aria dalla cima della colonna (divergenza). A quel punto il “buco” d’aria dovrà essere colmato in qualche modo. Ma, poichè dall’alto non può arrivare aria (a causa del “tappo” invalicabile della tropopausa), dovrà per forza arrivare aria dal basso, cioè far salire aria dagli strati inferiori (eventualmente dal suolo).
Ciò significa che gran parte dell’aria dagli strati bassi si muoverà verso quelli alti della troposfera, causando una convergenza al suolo e, dunque, la formazione di una bassa pressione “oceanica”.
Se con il prosieguo dell’azione della Corrente a Getto, la quantità d’aria in arrivo dal basso non sarà sufficiente a colmare il buco, allora la pressione continuerà a diminuire nei bassi strati con il passare del tempo, altrimenti (come accade nella maggior parte dei casi) dopo un primo brusco abbassamento la pressione si assesterà. Stesso discorso, alla rovescia, lo si deve fare per le alte pressioni: quando c’è forte convergenza in quota (ad esempio sul bordo meridionale di una corrente a getto, dove il vento all’improvviso si placa) mentre al suolo c’è una zona di relativa alta pressione (divergenza di massa d’aria relativamente debole), allora l’anticiclone al suolo, o comunque alle quote più basse, tenderà a rinforzarsi, in quanto l’aria in eccesso alle alte quote verrà schiacciata forzatamente verso il basso, facendo appunto aumentare la pressione (questo sul bordo meridionale dello jet-stream).
La corrente a getto, la cui posizione cambia di giorno in giorno all’interno della fascia occupata dalle correnti occidentali, ha dunque una notevole importanza per la genesi delle depressioni mobili. In realtà, a causa della presenza di terre emerse, la fascia di basse pressioni intorno al 60° nord si riduce, nella realtà, a due sole depressioni permanenti note con i nomi di “Ciclone d’Islanda” e di “Ciclone delle Aleutine”. La loro posizione, anche se fluttuante come già detto in precedenza, è caratterizzata da un minimo depressionario sull’Oceano Atlantico Settentrionale ed un altro sull’Oceano Pacifico Settentrionale, in prossimità del Circolo Polare Artico. Il Ciclone d’Islanda in particolare ricopre un ruolo particolare nelle vicende atmosferiche che interessano il continente europeo, perchè è il luogo in cui si ha la genesi di tutte le perturbazioni che poi si muovono verso le medie latitudini del continente. Da quanto appena spiegato in merito all’origine delle depressioni extratropicali in seno alla Corrente a Getto, emerge che il bordo meridionale della corrente a getto sia delimitato dagli anticicloni oceanico: è’ il caso dell’Anticiclone del Pacifico settentrionale e dell’anticiclone delle Azzorre nel vicino Atlantico. Durante l’inverno boreale tutte e tre le celle sin qui descritte tendono a traslare verso sud, mentre d’estate si assiste ad un inversa traslazione verso nord. In particolare lo Jet Stream, che in estate è posizionato attorno ai 60°-65° di latitudine, in inverno si trova fino ai 45°-50°.
Il modello climatico sin qui descritto, indurrebbe a pensare ad un’atmosfera divisa a comparti stagni, in cui ogni regione è sottoposta sempre e solo allo stesso clima (ad eccezione delle variazioni di latitudine stagionale al quale è soggetto lo Jet Stream). Infatti, se le correnti occidentali non deviassero mai dal loro percorso lungo i paralleli, non si potrebbe mai attuare lo scambio di calore tra l’aria calda equatoriale e l’aria fredda polare (o meglio sarebbe troppo esiguo), cosicché la temperatura salirebbe progressivamente sulla fascia equatoriale e diminuirebbe sulle calotte polari.
L’incremento progressivo del contrasto termico Equatore-poli porterebbe a sua volta a una graduale intensificazione delle correnti occidentali, fino a raggiungere 300 km/h dopo circa 3 mesi, ed inoltre verrebbe a determinarsi un maggiore dislivello barico fra la fascia di bassa pressione attorno ai 45°-60° e fra la cintura di alta pressione sottostante.
In realtà via via che aumenta il contrasto termico tra alte e basse latitudini, le correnti occidentali divengono sempre più veloci, fino al punto che, a causa delle forzate e improvvise deviazioni di percorso introdotte dalle catene montuose e dall’alternarsi di oceani e continenti, iniziano a oscillare lungo i meridiani, così come capita a una corda di violino quando viene pizzicata. Questa instabilità genera grandi moti ondulatori sul piano orizzontale (onde planetarie o onde lunghe di Rossby). Il crescere dell’ampiezza delle onde fa penetrare sempre più le masse di aria calda tropicale verso le regioni polari e le masse di aria fredda verso le regioni equatoriali determinando in tal modo, fra le zone polari e quelle tropicali, uno scambio termico a grandissima scala che attenua il contrasto determinato dalla diseguale distribuzione della radiazione solare. Le seguenti due immagini illustrano il passaggio dalla situazione “fittizia” senza scambi meridiani, a quella che vede la corrente a getto contraddistinta da una andamento ondulato (sinusoidale).

Le ondulazioni (onde di Rossby), una volta innescatesi, tendono a divenire via via più ampie, fino a raggiungere alternativamente le zone equatoriali e polari. A questo punto le singole onde, divenute ormai molto allungate nel verso dei meridiani, tendono a rompersi nella parte terminale (cut-off), isolando vortici a circolazione oraria, pieni di aria calda (anticicloni di blocco) alle alte latitudini, e vortici pieni di aria fredda (gocce fredde) a circolazione antioraria alle basse latitudini. Con questo processo si realizza un riscaldamento delle zone polari e un raffreddamento di quelle equatoriali. Lungo il tratto ascendente delle ondulazioni tendono a formarsi onde più corte (onde di Bjerknes) dalla cui evoluzione prendono poi origine i fronti, tipici sistemi responsabili a loro volta del maltempo che investe contemporaneamente vaste aree delle medie latitudini.
In parole povere le onde di Rossby sono marcate ondulazioni della corrente a getto grazie alle quali si realizzano intensi scambi meridiani tra diverse le diverse celle. Dette ondulazioni sono responsabili della maggior parte dei fenomeni perturbati che investono l’Europa occidentale, nonché delle discese gelide alle nostre latitudini. Detto in modo semplicistico, le onde di Rossby sono (talvolta) associate agli anticicloni di blocco lungo i quali scorre aria più fredda di estrazione artica. Quello delle onde di Rossby è comunque un fenomeno di estrema importanza, di maggiore interesse soprattutto per le vicende meteorologiche del nord emisfero.
Per ora ci fermeremo qui. Nella Parte successiva dell’articolo si parlerà ancora delle onde di Rossby e dell’importanza che hanno nell’ambito del clima dell’emisfero boreale (con particolare riferimento a quello europeo).

Riccardo