Archivio mensile:Ottobre 2011

Un Sole più calmo nelle prossime settimane ?

Dopo circa 2 mesi, l’attività solare appare di nuovo in calo:

il solar flux è in graduale discesa dopo aver toccato il valore di 166 il 19 ottobre (ieri eravamo a 144), tra le AR presenti oggi solo la 1330 è degna di nota, le altre si stanno sfaldando ormai da qualche giorno, gli X-ray sono praticamente piatti, ed infine saremo anche ripetitivi ma come al solito è sempre l’emisfero nord che tira la carretta.

Diamo un’occhiata allo Stereo Behind:

sostanzialmente conferma quanto sopra esposto…Ad oggi quindi ci sono tutti gli elementi per pensare che novembre possa essere meno attivo rispetto a settembre ed ottobre, anche se non mi aspetto una nuova fase di stanca del sole, bensì un avvicinamento graduale verso il massimo solare che continuo a stimare tra la fine dell’anno ed i primi mesi del 2012…

Stay tuned, Simon

Possibile correlazione fra l’attività solare e l’attività vulcanica terrestre nel lungo termine – 1°parte – & Aggiornamenti sul forte terremoto in Turchia

 

di Jaroslav Strestik

Istituto geofisico AS CR,Bocni II 1401,141 31 Praga, Repubblica Ceca

 

 Abstract

L’attività vulcanica sulla Terra è descritta dal 1500 da uno speciale indice annuale. Questo indice è stato comparato con l’annuale numero delle macchie solari. L’attività vulcanica non mostra alcuna periodicità negli undici anni del ciclo solare. Viceversa, effettuando una media nei 21 anni si osserva una sorprendente somiglianza fra queste due serie nel tempo. L’attività vulcanica è generalmente bassa nei periodi di prolungato massimo ed alta nei periodi di prolungato minimo. C’è anche una somiglianza tra gli spettri di queste due serie nel lungo periodo. I picchi più significativi sono localizzati negli stessi periodi, di entrambe le serie (200-215 anni 100-105 anni 80-79 anni). L’influenza dell’attività vulcanica sul clima è indubitabile. Il grafico della temperatura significativa annuale segue nel lungo termine l’attività vulcanica.

Introduzione

Sono stati fatti molti tentativi per cercare di trovare una spiegare alle influenze del Sole sul clima della Terra. Nel lungo termine le correlazioni sono relativamente buone. Differenti parametri sono stati utilizzati per queste comparazioni: La periodicità dell’attività solare nel lungo termine, l’irradiazione solare,vedi ricerche:

1.Stuiver, M., Solar variability and climatic change during the current millenium,NA TURE, Vol. 286, 868-871, 1980.

2. Landcheidt T., Swinging Sun, 79-yr cycle, and climatic change,J.INTERDISC. CYCLE RES.,Vo1. 12, 3-19,1981.

3. Hodell D. A. et al., Solar forcing of drought frequency in the Maya Lowlands, SCIENCE, Vol. 292,1367-1370, 2001.

4. Crowley T. J , Causes of climate change over the past 1000 years, SCIENCE, Vol. 289, 270-277,2000.

e la lunghezza dei cicli solari, vedi ricerche:

5. Friis-Christensen E, and Lassen K., Length of the solar cycle: an indicator of solar activity closely associated with climate, SCIENCE, Vol. 254, 698-700, 1991.

6. Kelly P. M. and Wigley T. M. L., Solar cycle length, greenhouse forcing and global climate, NATURE, Vol.360, 328-330, 1992.

7. Lassen K. and Friis-Christensen E., Variability of the solar cycle length during the past five centuries and the apparent association with terrestrial climate, J.ATM TERR. PHYSICS, Vol. 57, 835-845, 1995.

ma non confermata da :

8. Thejll P and Lassen K., Solar forcing of the Northern hemisphere land air temperature: New data,J. ATM SOLAR-TERR PHYSICS, Vol. 62, 1207-1213,2000

In una scala di tempi brevi la correlazione è scarsa perchè il grafico del ciclo undecennale presente delle variazioni pronunciate. A tutt’oggi Il problema è irrisolto perchè le variazioni dell’attività solare nel lungo termine hanno una risposta che le variazioni climatiche non hanno. Quindi alcuni dubbi circa l’esistenza del “solar forcing” possono sussistere. Infatti il “solar forcing” non è l’unico fattore esterno che può influire sul clima terrestre. C’è un’indubitabile collegamento fra il contenuto dei gas e le polveri nell’atmosfera e i cambiamenti climatici, vedi le ricerche:

9. Kelly, P M. et al., The spatial response of the climate system to explosive volcanic eruptions, INT J CLIAMTOLOGY Vol. 16, 537-550, 1996.

10. Stenni B, et al., Eight centuries of volcanic signal and climate change at Talos Dome (East Antarctica), J.GEOPHYS. RES (D9}, art. No.4076, May 2002.

Una parte di questi contenuti ha un’origine antropica, crescente nei tempi recenti e un’altra parte proviene da sorgenti naturali. L’ eruzioni vulcaniche sono le più importanti sorgenti naturali. L’ eruzioni vulcaniche trasferiscono una grande quantità di polveri e gas nell’atmosfera (specialmente nell’alta atmosfera) e influenzano il clima sulla Terra per più tempo.

Dopo una grande eruzione vulcanica è stata osservata una drastica riduzione della temperatura, di una durata che va da 1 a 3 anni. Nella scala a lungo termine e nei periodi nei quali vi verificano più spesso le eruzioni e stato osservato un prolungamento della temperatura minima nell’aria. Alcuni autori hanno cercato di combinare le influenze solari e vulcaniche con il recente riscaldamento e sono arrivati a dei risultati relativamente buoni.

11. Scluierder S. 1-1, and Mass C., Volcanic dust, sunspots and temperature trends, SCIENCE, Vol. 190,741-746, 1975

12. Marrn M. E. et al., Global-scale temperature patterns and climate forcing over the past six centuries,NATURE, Vol. 392, 779-787, 1998.

Tuttavia, l’attività solare e l’attività vulcanica non sembrano essere quantitativamente indipendenti come sottolineato in queste ricerche:

13. Schonwiese C.-D., Der zmtltrapogene Spuxengas-ejnfluss auf das globale Klima, BERiCHTE DES INST FUR METEOR UND GEOPHIYSIK DER UNIV. FRANKFURT/MAIN. Nr. 76, 1988.

14. Stathers R. B., Volcanic eruptions and solar activity, J GEOPHYS. REST, Vol. 94, 17371-17381,1989

Ci sono alcune periodicità simili, nel lungo termine, in entrambe le serie temporali. Questo porta a delle difficoltà nel distinguere il reale contributo tra le influenze solare e le influenze vulcaniche. La correlazione fra i cambiamenti climatici e una di queste attività porta automaticamente a non azzerare le correlazione con l’altra attività. Nel breve termine la somiglianza tra attività solare e l’attività vulcanica non è buona. In questo articolo ci limiteremo alla ricerca di correlazioni nel lungo termine.

Trattamento dei dati

Il “sunspot number” è stato introdotto da Wolf e calcolato da lui dal 1849 per ogni giorno. Prima, nel passato (1749) , il calcolo era significativo mensilmente,.dal 1500 al 1610 significativo annualmente. Letfus ha suggerito una revisione del valore dei dati annuali che vanno dal 1500 al 1700, usando un metodo di interpolazione.

16. Letfus V., Solax activity in the sixteenth and seventeenth centuries (a revision), SOLAR PHYSICS Vol. 145, 377-388, 1993.

L’accuratezza nel determinate il “sunspot number” generalmente diminuisce andando nel passato.

L’imprecisione è importante nel breve periodo di tempo : La posizione del minimo e massimo solare devono differire di solo +/-1 anno. Un valore superiore è considerato un errore significativo. Ma nel lungo periodo questi dati possono viceversa essere ritenuti soddisfacenti. Il “sunspot number” sono quindi disponibili dal 1500 al 2002.

Invece ,l’attività vulcanica può essere descritta da diversi indici.

17. Cress A.. and Schonwiese C.-D, Vulkanische Einflusse auf die bodennahe and stratosphariche Lufttemperatur der Erde, BERJCHTE DES INST. FUR METEOR UND GEOPHYSIK DER UNIV. FRANKFURT/MAIN, Nr. 82, 1990.

Queste indici sono stati calcolati da osservazioni indirette. In questo lavoro è stato considerato il solo indice di acidità (AI). Il valore di questo indice dipende dal grado di acidità degli “aereosols” contenuti negli strati di ghiaccio in Groenlandia. Questi “aereosols” aumentano con l’ emissioni di SO2, quando vengono espulsi durante l’ eruzioni vulcaniche e ricadono al suolo durante le precipitazioni, nel tempo. Ci sono altri indice “AI” che vengono modificati e sono l’indice “AI1” e l’indice “AI2”. Entrambi gli indici tengono soltanto conto degli “aereosols” rilasciati localmente in determinate latitudini geografiche selezionate. Anche se i cambiamenti di quest’ultimi indici non differiscono molto dall’indice “AI”, quest’ultimi non saranno trattati in questa analisi. Altri indici potrebbero essere presi in considerazione, come l’indice “DVI” (indice delle polveri), ma quest’ultimo non risulta essere significativo perchè si discosta da zero solo ed esclusivamente in occasione delle grandi eruzioni vulcaniche. Tutti questi indici sono disponibili dal 1500 al 1972.

Risultati

La maggiore variazione pronunciata del “sunspot number” si trova nel ciclo undecennale, che crea una serie di cicli undecennali. La lunghezze ed in particolare l’altezza di ogni individuale ciclo varia considerevolmente. Questi regolari cambiamenti possono essere visti nella figura sotto riportati. Questi cambiamenti nel lungo termine sono distinguibili maggiormente eseguendo delle medie sui valori originali usati. Per il calcolo di queste medie è stato utilizzato l’intervallo di tempo di 21 anni, in maniera tale da sopprime le variazioni presenti negli 11 anni.

In basso il numero delle macchie solari “sunspot number” durante i passati 5 secoli. In alto la media del numero delle macchie solari “sunspot number” utilizzando come media l’intervallo di tempo di 21 anni della serie.

 Non c’è (oppure e molto debole) la periodicità degli undici anni nell’indice dell’attività vulcanica. L’ elaborazioni mostrano delle variazioni non periodiche nel breve intervallo di tempo. Alcune volte, dopo le grandi eruzioni vengono raggiunti dei valori elevati, ma solo per uno o due anni. E’ necessario quindi una regolarizzazione dei dati. Sono state quindi applicate delle medie, con un’ intervallo di tempo simile a quello delle macchie solari. Dopo aver eseguito questa procedura, le variazioni e la periodicità sono chiaramente visibili. Queste variazioni, sia per l’attività solare che per quella vulcanica sono chiaramente visibili nella figura sotto riportata.

In basso l’andamento mediato delle macchie solari “sunspot number” , in alto l’andamento dell’indice vulcanico “AI”

Colpisce subito la chiara somiglianza fra le due curve. Risulta evidente che ad una prolungata fase di massima attività solare corrisponde una prolungata fase di scarsa attività vulcanica e viceversa. Questa regolarità e più pronunciata negli ultimi tre secoli, probabilmente per qualche incertezza nel determinare i valori accurati di questi indici nel 16° e 17° secolo. Il coefficiente di correlazione fra queste due grandezze è pari a -0,38 per i dati senza media sarebbe soltanto -0,07 a causa della mancanza di periodicità undecennale nei dati vulcanici.

Nella seconda parte l’autore approfondirà l’analisi della correlazione utilizzando degli opportuni strumenti d’analisi.

Michele

 

Una Nina storica? Forse sì, forse no.

Cos’è la Nina

Da mesi, ormai, nel forum Meteo ricorre una parola: Nina. Forse non è un nome familiare a tutti: si tratta in sostanza di un’anomalia negativa di temperatura che ricorre nell’Oceano Pacifico equatoriale, appena al largo delle coste del Sudamerica, per migliaia di chilometri verso ovest, fino quasi alle coste dell’Australia e della Nuova Guinea. La seguente analisi delle anomalie di temperatura rispetto ad un periodo di riferimento, scelto opportunamente (10 anni almeno), spiega di che cosa si tratti in termini fisici:

 

 

 

Il suo opposto è il Nino, anomalia positiva. Ma ne parleremo quando si verificherà nuovamente, di solito Nino e Nina si alternano, spesso con periodicità circa annuale. Talvolta però (3 volte negli ultimi 60 anni), la periodicità cambia sostanzialmente: ad esempio, ad una Nina può seguire un’altra Nina e magari persino altre due. È proprio quello che si sta verificando ora: la Nina precedente si è conclusa la scorsa primavera e, dopo qualche mese di sostanziale neutralità, è iniziato un altro evento di Nina. In pratica, si può considerare quello in corso come un unico evento, con una breve pausa nel mezzo (primavera-estate 2011), che ha avuto inizio a Maggio 2010 e non si è ancora concluso. Questa è una ragione per cui di questa Nina si parla molto, ma non è l’unica, ce ne sono almeno altre due. Tutte e tre la rendono davvero “speciale”. La prima risiede nella sua intensità. Infatti, si osservi questo grafico:

 

 

L’unità di misura in ordinata è il MEI (Multivariate Enso Index), basato, dice letteralmente il NOAA (l’ente governativo americano di studi oceanici e climatologia) “on the six main observed variables over the tropical Pacific. These six variables are: sea-level pressure (P), zonal (U) and meridional (V) components of the surface wind, sea surface temperature (S), surface air temperature (A), and total cloudiness fraction of the sky (C)” Insomma, non si tratta semplicemente di temperatura, ma di un indice composito, i cui valori tuttavia (curiosamente) non si discostano poi molto dai valori di temperatura.

Il grafico testimonia la forza di questa Nina, rappresentata dall’ultima striscia blu sulla destra. E’ forte tanto quanto quella del 1975 e, almeno finora, poco meno quella del 1955. Ma sembra volerne condividere la durata: quei due eventi durarono ciascuno poco meno di tre anni. Il primo rappresentò in buona misura un cambiamento climatico: dopo gli anni Trenta e Quaranta, relativamente miti, negli anni cinquanta e Sessanta del Ventesimo secolo ci fu un calo delle temperature medie, accompagnato da una maggiore frequenza di inverni rigidi, anche in Europa. Quella Nina ne rappresentò una “spia” e in parte una causa. La Nina del 1975, invece, parve rappresentare il termine di quel periodo: da allora le temperature medie globali ripresero a salire.

 

Nina, PDO e sue peculiarità

Ecco, la Nina attuale è importante perché, forse, rappresenta una nuova svolta, come quella degli anni Cinquanta. Essa è stata accompagnata da un cambio di segno (da + a -) di un altro indice importante, la PDO, analoga come effetti alla Nina (raffredda anch’essa) ma operante su scale temporali ben diverse. Descrivere in dettaglio la PDO non è oggetto di questo articolo; comunque, è la coppia rosso-azzurra sopra la Nina, nell’Oceano Pacifico, nella prima figura. Tuttavia, riporto una frase significativa, riguardante la relazione tra ENSO (ovvero Nina/Nino) e PDO: “….the PDO has a modulating effect on the climate patterns resulting from ENSO. The climate signal of El Niño is likely to be stronger when the PDO is highly positive; conversely the climate signal of La Niña will be stronger when the PDO is highly negative. This does not mean that the PDO physically controls ENSO, but rather that the resulting climate patterns interact with each other.” Insomma, gli effetti della Nina attuale, nonché di quelle future, saranno probabilmente più intensi poiché la PDO è divenuta negativa qualche tempo fa

(fonte: http://ffden-2.phys.uaf.edu/645fall2003_web.dir/Jason_Amundson/enso.htm, Università di Fairbanks, Alaska, facoltà di Fisica). Almeno, questo è quanto gli studi più recenti indicano.

Dunque ora conosciamo almeno quattro ragioni per cui questa Nina è assolutamente degna di nota:

 

1)           è composta da (almeno) due eventi di Nina consecutivi, come nel 1973-1976 e nel 1954-1957;

2)           è intensa come quella degli anni Settanta e poco meno (finora) di quella degli anni Cinquanta;

3)           il ciclo PDO condiziona il ciclo ENSO, ovvero lo modula, come studi recenti hanno evidenziato; in sintesi, in fase PDO+ gli eventi di Nino risultano più intensi; viceversa, durante una fase PDO- gli eventi di Nina risultano a loro volta più intensi;

4)           il ciclo PDO ha una durata piu’ o meno decennale, pertanto è ragionevole supporre che da oggi al 2020 si verificheranno più eventi di Nina e mediamente più intensi rispetto al recente passato, con conseguente riduzione progressiva delle temperature globali.

 

Ma c’è almeno un’altra ragione, per ora solo probabile, per la quale questa Nina potrebbe divenire “storica”: le previsioni NOAA (in passato rivelatesi le più attendibili, sebbene un po’ approssimate per eccesso) per i prossimi mesi disegnano scenari da record.

A tale proposito, si osservino i seguenti due grafici:

Il primo è il più recente modello di previsione del NOAA, il secondo è quello “storico”. Entrambi si riferiscono alla zona 3.4, il cuore dell’ENSO (della Nina, in tal caso), nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico.

La linea nera continua testimonia le anomalie effettive di temperatura, quella tratteggiata le previsioni. Le altre linee costituiscono i vari “membri” previsionali. Si tratta infatti di una “ensemble”, ovvero la linea tratteggiata in grassetto è il risultato di una “famiglia” di previsioni, ciascuna ottenuta cambiando leggermente i  parametri in gioco.

In ogni caso, entrambi i modelli testimoniano di un evento di Nina che potrebbe essere epocale.

 

Gli effetti della Nina 

Un possibile evento epocale, dunque, mai visto negli ultimi 60 anni e forse persino oltre. Roba da brividi, e letteralmente da brividi, visto che l’effetto più noto della Nina è quello di abbassare le temperature del nostro pianeta. Va bene, ma di quanto? Beh, la prima parte della Nina attuale, quella conclusa la scorsa primavera, ha ridotto le temperature di circa mezzo grado. Questa seconda parte potrebbe fare persino di più.

La Nina però ha anche effetti specifici, diversi in zone diverse del nostro pianeta: ad esempio compatta e rafforza il Vortice Polare, ma favorisce lo spostamento dell’anticiclone delle Aleutine a ridosso delle coste nordamericane dell’Oceano Pacifico, rendendo probabili discese fredde sul suo bordo orientale, in inverno. In Europa produce quello che stiamo osservando da molti mesi ormai, perlomeno dal mese di gennaio: ostinata persistenza dell’alta pressione, estrema difficoltà da parte delle perturbazioni atlantiche di aprirsi la strada verso il Mediterraneo. Dunque siccità, anche temperature sopramedia ma soprattutto forti escursioni termiche man mano che la stagione avanza e le notti si allungano. E poi, man mano che la Nina (come pare) crescerà, che cosa dovremo attenderci? L’abbiamo già visto in un articolo pubblicato qualche giorno addietro, qui: http://daltonsminima.altervista.org/?p=16413 non aggiungo altro, è già tutto scritto, sono conclusioni tratte dalla storia degli eventi di Nina dei decenni passati.

 

Per concludere, quanto detto a proposito delle previsioni NOAA sottintende che queste siano sostanzialmente corrette. L’anno scorso, come accennato prima, sovrastimarono un po l’intensità della Nina al suo massimo. Ma sarà così anche stavolta? Lo vedremo, mese dopo mese. Non perdetevi il prossimo aggiornamento!

 

Infine, un doveroso ringraziamento a Giorgio per aver rivisto attentamente l’articolo ed avermi segnalato errori e possibili miglioramenti di merito.

 

FabioDue

Situazione Solare dopo la metà di ottobre

Cari amici, ecco qui un primo riassunto della situazione solare appena varcata la metà del mese di ottobre…

praticamente i valori di attività solare intesi come SN e Solar Flux sono quasi sovrapponibili a quelli del mese di settembre, anzi ad essere precisi precisi, qualcosina sopra. Ciò conferma che la nostra stella ha quasi certamente preso la via del suo massimo, e che quindi stavolta non si trattava di una semplice fiammata come ci aveva abituato fino a pochi mesi fa. Da rimarcare ancora una volta che è l’emisfero nord a farla da padrona, anche se a dire il vero da settembre pure quello sud non è stato proprio a guardare.

Unica differenza rispetto al mese scorso, è che la dimensione e la coalescenza delle regioni solari sono apparse mediamente più blande, infatti a settembre abbiamo avuto una serie di Soalar Flare di classe M ed X che al momento sono mancate nel mese di ottobre.

Ecco come si presenta la nostra stella:

Ad essere sinceri, c’è forse qualche possibilità a guardare anche lo Stereo behind,

che tra una settimana il sole possa ricadere in una nuova fase di stanca, ma è ormai impossibile poter prevedere ciò, in quanto in questa nuova fase solare le AR possono nascere e crescere dal giorno alla notte, quindi ci andrei molto cauto.

Sono curioso infine di vedere se col resoconto mensile del Sidc di inizio novembre, il SN del sud emisfero del mese di ottobre riuscirà a superare o meno il valore di 20, cosa che non è mai risucito a fare finora. Ricordo infatti che secondo degli studi solari molto accreditati, il SN uguale o maggiore di 20 è indice che il sole alla fine riuscirà ad andare incontro alla inversione dei poli, condizione necessaria affinchè il sole non si blocchi completamente come avvenuto nell’ormai celeberrimo Minimo di Maunder.

Stai tuned, Simon

L’effetto mareale planetario sull’attività solare

Georgieva K., Semi P.A., Kirov B, Obridko V.N., Shelting B.D

1 – STIL-BAS, Sofia, Bulgaria

2 – private programmer, Prague, Czech Republic

3 – IZMIRAN, Troitsk, Russian Federation


Abstract


Nel lungo termine le variazioni dell’attività solare possono modulare l’attività geomagnetica e il clima della Terra. Per comprendere questi effetti, è necessario prima capire che cosa provoca le variazioni dell’attività solare. Alla base della attività solare/dinamo solare c’è la conversione da campo poloidale solare in campo toroidale e viceversa da campo toroidale in campo poloidale e successivamente nel prossimo ciclo solare con opposte polarità magnetiche. Un ruolo importante in questo processo è la circolazione lungo i meridiani verso i poli solari in superficie e la circolazione equatoriale alla base della zona convettiva solare. La velocità superficiale di modulazione è essenziale per la rigenerazione del campo poloidale dal campo toroidale delle macchie solari precedenti e il tasso della circolazione profonda determina la generazione del campo toroidale nel ciclo successivo. I nostri studi precedenti mostrano che la velocità della circolazione verso la superficie dei poli è determinante per l’intera catena di correlazioni. Qui mostriamo che la velocità della circolazione verso i poli in superficie è modulata dalle forze di marea dei pianeti maggiori.

La variabilità solare più importante è il ciclo di 11 anni ~ del numero di macchie solari. Ne l’ampiezza, ne la durata del ciclo delle macchie solari sono costanti. Alcuni modelli della dinamo solare, cercano di spiegare questa variabilità con l’introduzione della fluttuazione stocastica (ad esempio Charbonneau e Dikpati, 2000; Bushby e Tobias, 2007).

http://it.wikipedia.org/wiki/Segnale_stocastico

Tuttavia, i parametri del ciclo delle macchie solari sembrano variare con una certa periodicità. Questo implica che il ciclo può essere modulato da un fenomeno a lungo termine. L’esistenza dell’attività magnetica del Sole e di stelle simili al Sole, si crede che sia dovuto, alla presenza di un inviluppo convettivo in cui i moti turbolenti genererebbero un campo magnetico dipolare. Parker, E., Astrophys.J., 122, 293-314, 19

Il meccanismo responsabile per l’attività solare è la modifica della dinamo solare, da campo poloidale in campo toroidale e di nuovo in campo poloidale, con la polarità opposta. Di recente, notevoli progressi sono stati compiuti sulle teoria della dinamo solare, e soprattutto nel cosiddetto meccanismo del “nastro di trasporto” della dinamo che comprende la grande circolazione meridionale nella zona di convezione solare. Questa circolazione trasporta i resti delle coppie delle macchie solari verso i poli in superficie per formare il campo poloidale del prossimo ciclo solare, e porta il campo poloidale equatoriale alla base della zona di convezione trasformandolo in campo toroidale. Così emergono le macchie solari del ciclo successivo. I nostri studi precedenti, Georgieva K., Kirov B., Obridko V.N., Shelting B.D., Труды конф. „Солнечная и солнечно-земная физика – 2008”, СПб, ГАО РАН, с.53-56 hanno dimostrato che la velocità superficiale e la circolazione profonda determinano l’ampiezza e la durata del ciclo delle macchie solari. Questo è conferme alla teoria del “nastro di trasporto” della dinamo. La successione delle correlazioni è la seguente: maggiore è la velocità superficiale di circolazione verso i poli “Vsurf”, minore è la velocità equatoriale profonda “Vdeep” . Vedi figura n°1

La correlazione è pari a r =- 0,79 ed è statisticamente molto significativa (p = 0,002), ed è una possibile manifestazione del meccanismo Malkus-Proctor, Malkus, W. V. R., Proctor, M. R. E., J. Fl. Mech. 67, p. 417-443, 1975.

Inoltre, maggiore è la velocità della circolazione profonda equatoriale “Vdeep”, più alto è il massimo delle macchie solari successivo. Vedi figura n°2

Questa correlazione è anche molto significativa da un punto di vista statistico (r = 0,79 con p = 0,001) e indica che la dinamo solare opera in regime di diffusione dominato (diffusion-dominated regime) Yeates A. R., Nandy D., Mackay D. H., Astrophys. J., 673 (1), 544-556, 2008.

Tuttavia, non vi è alcuna correlazione tra il massimo delle macchie solari e la velocità superficiale di circolazione verso i poli “Vsurf”. Vedi figura n°3

Possiamo quindi concludere che un fattore importante per determinare l’ampiezza del ciclo delle macchie solari è la velocità della circolazione superficiale verso il polo meridionale. La domanda adesso è, quale fattore modula “Vsurf” ?

Fig.1. “Vsurf” circolazione superficiale meridionale (linea continua) e profonda circolazione meridionale “Vdeep” (linea tratteggiata). Fig.2. “Vdeep” profonda circolazione meridionale (linea tratteggiata) e massimo numero di macchie solari successivo (linea continua). Fig.3. Dipendenza della circolazione superficiale meridionale “Vsurf” e il numero massimo di macchie solari che lo precede.

La teoria dell’attività magnetica della dinamo solare spiega che l’attività magnetica funziona senza pianeti. Viceversa, se invece i pianeti hanno effetto sul Sole, allora gli effetti di marea esercitata dai pianeti sulla superficie della stella possono essere descritti dalla classica teoria di marea. La forza mareale trainante è il gradiente del campo gravitazionale dei pianeti. Nel caso più semplice di un solo pianeta in orbita sul piano equatoriale solare, il potenziale mareale generando “V” ad una distanza “r” dal centro del Sole è :


dove γ” è la costante gravitazionale, M” è la massa del pianeta, R” è la distanza tra il centro del Sole e il pianeta, e φ” è l’ eliolatitude. La marea ha delle componenti che generano una forza perpendicolare e parallela alla superficie solare.

La componente orizzontale è pari :

dove,

r” è la distanza dal centro della stella, Cartwright D.E., Tides: A Scientific History. Cambridge, University Press,1999.

La figura sotto riportata illustra (Dietrich G., Kalle K., Krauss W., Siedler G., General Oceanography, 2nd ed. John Wiley and Sons (Wiley-Interscience). 1980.), la distribuzione della componente orizzontale della forza di marea sulla superficie della stella quando la marea generata dal pianeta è circa sull’equatore, punto Z.

Nel caso del Sole con un numero di pianeti, le forze di marea dipende dalla distanza e posizione relativa dei pianeti che cambiano con il tempo. La figura sotto riportata, mostra nelle rispettive visioni, orizzontale (immagini superiori) e verticali (immagini inferiori) le forze di mareali, dalle posizioni di Mercurio (M), Venere (V), il sistema Terra-Luna (E), Giove (J), Saturno (S), e il baricentro del sistema solare (SSB), in due periodi: settembre 2005 (a sinistra) e settembre 2009 (a destra).

Per calcolare la forza delle maree dei pianeti sulla superficie solare, si usano l’effemeridi, Standish E.M., JPL planetary and lunar ephemeredes, FTP://SSD.JPL.NASA.GOV/PUB/ EPH/EXPORT , che identificano le posizioni dei pianeta in qualsiasi momento, che rientrano nel loro arco di tempo interessato, in un sistema di riferimento geocentrico ICRS . Nello specifico vengono impiegate le JPL effemeridi lunari e planetarie, versione DE406. Per prima cosa ruotiamo il sistema di riferimento in un sistema in eliocentrico. Utilizziamo tutti i 9 pianeti tra cui Plutone (come specificato nella Effemeridi, esclusi soltanto gli asteroidi ). Invece della sola Terra, utilizziamo come baricentro la massa combinata della Terra e della Luna. Sulla superficie solare, la maglia di punti sono spaziati con 5 ° e la forza di marea di ogni pianeta viene valutata in ogni punto di trama, vengono poi sommati per ottenere per ogni latitudine la media della forza di marea per la stessa latitudine. I valori giornalieri sono calcolati alla mezzanotte orario UTC e incrementi di un giorno, così anche per le medie mensili o annuali.

La figura sotto riportata, mostra che le forze di marea, sia orizzontale che verticale, variano fortemente a seconda della posizione dei pianeti. La velocità della circolazione superficiale verso il polo meridionale è modulata dalla forza delle maree meridionale ed è sempre diretta verso l’equatore e il suo effetto è quello di rallentare “Vsurf” .

La forza di marea meridionale varia periodicamente e il suo valore medio non cambia molto, vedi figura.

Tuttavia, ciò che è importante per l’intensità del ciclo solare è la sua grandezza media durante il periodo in cui la circolazione superficiale meridionale trasporta il flusso delle macchie solari dalle latitudini ai poli , cioè dal massimo delle macchie solari ( massimo dell’attività geomagnetica ) alla fase di declino delle macchie solari . Questi periodi sono contrassegnati da linee più spesse nella figura sopra riportata, che copre il periodo 1750-2005, hanno durata diversa e si manifestano con diversi sequenze della sinusoide della forza di marea. La media della forza meridionale delle maree che agiscono sulla “Vsurf” durante il trasporto verso i poli del flusso viene confrontato con il numero massimo di macchie solari del ciclo solare successivo, vedi immagine sotto riportata.

La figura mostra una buona corrispondenza tra la forza planetaria di marea (linea continua) e l’ampiezza del ciclo delle macchie solari (linea tratteggiata), con il minimo di Dalton (agli inizi del 19 ° secolo) e minimo Gleissberg (fine del 19° e all’inizio del 20° secolo), in concomitanza con le basse forze di marea durante il trasporto del flusso superficiale, e nei massimi solari nel 18 secoli 19 e 20, con i massimi nelle forze di marea durante questi periodi. Possiamo adesso quindi fare una stima approssimativa della grandezza degli effetti planetari sulle forze di marea indotte. La magnitudo calcolata della forza di marea è dell’ordine di ~ F 10-10 N / kg. L’accelerazione causata da questa forza è pari a F / ρ, dove ρ è la densità dello strato superficiale del Sole pari a ~ gr/cm3 10-5 = 10-2 kg/m3. Durante il periodo di tempo in cui c’è il trasporto del flusso verso i poli (dell’ordine di 10e8 sec.), questa accelerazione può modificare la velocità della circolazione meridionale superficie di pochi m/s. che corrispondono alle variazioni riscontrate in “Vsurf” . Come si può osservare nella figura sopra riportata, il prossimo ciclo solare 24 dovrebbe essere inferiore a quello del ciclo 23. Le previsioni sono tuttavia più difficili perché abbiamo bisogno di calcolare la forza di marea nel periodo tra il massimo successivo delle macchie solari e la successiva fase di massima e questi tempi non sono noti.

Se il prossimo massimo di macchie solari è nel 2012, la seguente attività geomagnetica massima nel 2014, il ciclo 25 sarà ancora inferiore a quello del ciclo24.Il risultato non è molto diversos e il perio dei massimi sono spostati di+ /– 1 anno.

Fonte : http://tallbloke.files.wordpress.com/2011/01/kgeorgieva-pulkovo2009-1.pdf

Michele