Archivi giornalieri: 16 Aprile 2012

Ao index di Kjai

Cari lettori di NIA,

questo articolo parte da una interessante osservazione fatta non dal sottoscritto (magari!) ma da Roy Spencer, nell’articolo http://www.drroyspencer.com/2012/03/could-arctic-sea-ice-decline-be-caused-by-the-arctic-oscillation/.

L’osservazione in questione è che lo stato dei ghiacci artici, che su NIA viene monitorato da Fabio Nintendo, pare seguire abbastanza bene uno dei principali indici climatici, cioè la cosiddetta Arctic Oscillation (AO, http://en.wikipedia.org/wiki/Arctic_oscillation).

Innanzitutto è necessario chiarire cos’è l’AO. Wikipedia ci dice che:

L’Oscillazione Artica (AO), detta anche “modo anulare nordico” o “modo anulare dell’emisfero nord”, è un indice che mostra qual è l’andamento dominante delle variazioni di pressione atmosferica a livello del mare che avvengono a nord della latitudine 20Nord. Cioè ci dice se la pressione a nord del 20° parallelo è maggiore o minore del valore medio. L’indice AO non è caratterizzato da particolari periodicità (dicono loro!). Però, quando l’indice AO è positivo nell’artico, c’è un valore negativo centrato tra i 37 e i 45° Nord, e viceversa.

I climatologi, secondo wikipedia, credono che l’indice AO sia collegato all’andamento del tempo atmosferico in località anche lontane molte migliaia di chilometri, incluse molte delle principali zone popolate di Europa e Nord America. Il grado di penetrazione dell’aria artica alle medie latitudini è infatti legato all’indice AO. Quando l’indice AO è positivo, c’è bassa pressione nella regione polare, e l’aria fredda resta localizzata là. Quando l’indice AO è negativo, c’è alta pressione nella regione polare, e maggiore movimento di aria gelida verso le medie latitudini.

Il disegno seguente, sempre da wikipedia, rappresenta questo fenomeno. Come notate c’entrano anche le correnti a getto (Jet Stream), che sono quelle che nel caso di AO positiva isolano l’aria fredda al polo e nel caso di AO negativa diventano più irregolari, permettendo le discese di aria fredda alle medie latitudini.

Ricordo che l’indice AO non è un indice predittivo bensì descrittivo; questo significa che descrive una situazione climatica, ma non indica una causa diretta tra il tempo atmosferico in una certa località e il valore dell’indice stesso.

Tuttavia la statistica ci dice che c’è un’elevata correlazione tra il tempo atmosferico in certe località e in certi periodi dell’anno e alcuni degli indici. Quindi, per fare un esempio, se AO è negativo, è assai più probabile che ci siano discese di aria fredda alle medie latitudini. Non certo, ma più probabile. Non si può predire il tempo atmosferico sapendo l’indice AO, ma si può ipotizzare una tendenza.

Nel 2002 è stato pubblicato questo lavoro http://www.drroyspencer.com/wp-content/uploads/Response-of-Sea-Ice-to-the-Arctic-Oscillation-2002-J-Climate.pdf nel Journal of Climate, intitolato “Risposta del ghiaccio marino all’Oscillazione Artica”. Gli autori (uno dei quali, Mike Wallace, fu uno dei co-scopritori dell’AO) suggeriscono che il fatto che il cambiamento della configurazione dei venti, che segue l’indice AO, ha contribuito al declino dei ghiacci artici dalla decade 1979-1988 a quella 1989-1998.

Poiché il ghiaccio marino si muove seguendo il vento, come si può vedere per esempio da questo video (http://www.youtube.com/watch?v=5Y93VEqMP3g), le variazioni della pressione al livello del mare possono portare alla scomparsa dei ghiacci o ad una loro estesa formazione in varie zone dell’Oceano Artico. Gli autori suggeriscono che i venti modifichino il movimento dei ghiacci e la temperatura superficiale sull’Artico, e che le condizioni del ghiaccio artico durante l’inverno si ripercuotano sulla situazione dell’anno successivo, modificando i flussi di calore durante la primavera, la quantità di acque libere durante l’estate e il calore liberato dalla solidificazione dell’acqua durante il seguente autunno. Dunque da un anno all’altro c’è un effetto di memoria, e quando ci sono molti inverni di fila con pressione alta (o bassa), questo può influire sulla copertura di ghiaccio marino su una scala di tempo anche decennale. Il ghiaccio nel tempo può diventare più esteso e più spesso, oppure meno esteso e più sottile.

Nel periodo 1979-1998 gli autori suggeriscono un assottigliamento progressivo dei ghiacci, e in tutto questo conta l’effetto non dell’AO in una singola stagione ma l’effetto cumulativo. Se per molti anni l’indice AO resta prevalentemente con lo stesso segno, allora gli effetti iniziano a farsi sentire. Partendo da queste considerazioni Roy Spencer ci suggerisce che con un certo trattamento dei dati si possano osservare delle variazioni di lungo corso dell’indice AO.

Mi spiego: ecco il grafico dell’indice AO puro per i mesi invernali dell’emisfero nord (media dei valori di dicembre-gennaio-febbraio).

Se è vero che si notano zone con indice AO maggiore e zona con indice AO minore, è anche vero che non è proprio evidente un andamento particolare. Ma se sommiamo opportunamente tutti i valori del grafico uno con l’altro ecco che compare un andamento molto più chiaro:

Qui è chiarissimo come fino al 1935 l’indice AO cumulativo invernale aveva un andamento positivo, mentre dal 1935 al 1970 l’andamento era negativo e dal 1989 al 2009 di nuovo positivo.  Anche se questo valore cumulativo non è esattamente la stessa cosa dell’indice AO, esso rappresenta bene la tendenza che questo indice ha avuto negli anni passati.

Una piccola nota però sul trattamento dati. Rispetto al grafico proposto da Spencer ho fatto un paio di modifiche, e vorrei spiegare di che si tratta. I dati grezzi sono recuperabili qui: http://www.drroyspencer.com/wp-content/uploads/AO-monthly-1899-2002.xls

Se sommiamo i dati puri dell’indice AO invernale non otteniamo il grafico di sopra (che è la linea rossa di questo grafico) né il grafico di Spencer (linea verde) ma la linea blu.

La linea blu non ci dice moltissimo, ma bisogna tenere conto che l’indice AO medio è leggermente negativo, dunque l’indice cumulativo ha un trend decrescente. Per togliere il trend decrescente dalla curva bisogna usare non il dato puro dell’AO ma la differenza tra l’AO e il suo valor medio.

Solo che a seconda del periodo su cui facciamo la media otteniamo curve diverse! La curva rossa è mediata tra il 1935 e il 2012. La curva verde è mediata tra il 1900 e il 2012. Io ho preferito usare la curva rossa, secondo l’ipotesi che i ghiacci artici stiano riprendendosi e che quindi negli ultimi anni ci sia stato un minimo. Spencer ha usato l’intero campione di dati che aveva, cioè la curva verde. Nessuno dei due metodi è quello giusto, l’essenziale è però sapere che tramite la media stiamo forzando un andamento di lungo termine, e che questo può influire sull’interpretazione che il lettore dà ai dati. Nella curva verde la discesa sembra più ripida, nella curva rossa sembrano più ripide le salite. Non c’è un metodo giusto e uno sbagliato, tutto sta nell’avere molta cautela nel valutare i trend, basta un giochino matematico fatto con excel  e la percezione dei dati può cambiare di molto! 🙂

Dunque, con le dovute cautele, da questi grafici possiamo cercare di trarre delle conclusioni.  Se ricordate, AO negativo significa alta pressione al polo, e aumento dei ghiacci. AO positivo significa bassa pressione al polo, e riduzione dei ghiacci.

L’osservazione tramite satellite dei ghiacci artici iniziò nel 1979, dopo un lungo periodo di AO negativo. Dopo qualche anno, intorno al 1989, l’AO iniziò ad aumentare, e tale aumento è stato osservato fino ai giorni nostri. Per essere più precisi, dal 2000 al 2005 l’AO pareva di nuovo stabile, mentre dal 2006 al 2009 è stato di nuovo positivo. Nel 2010 un AO ampiamente negativo ha permesso di recuperare fino a circa il livello del 2000.

Ma allora il problema potrebbe essere che noi abbiamo iniziato ad osservare l’estensione dei ghiacci tramite satellite proprio nel momento in cui la copertura di ghiacci era massima! Questo potrebbe spiegare il declino osservato negli ultimi decenni (vedere i trend qui: http://daltonsminima.altervista.org/?p=18196 per dicembre; http://daltonsminima.altervista.org/?p=19059 per gennaio; http://daltonsminima.altervista.org/?p=19615 per febbraio) senza dover fare intervenire alcun intervento umano. Se quella osservata nel grafico qui sopra fosse un’oscillazione normale, con periodo di quasi un secolo (cioè quasi un secolo tra due minimi o due massimi successivi) allora sarebbe del tutto normale. E quindi niente effetto della CO2 antropogenica…

E’ davvero così? Roy Spencer afferma che anche negli anni 1920 si parlava di ghiaccio marino in declino, temperature record, ghiacciai in scomparsa, e negli anni si arrivava proprio da alcuni decenni di indice AO mediamente positivo. Proprio come adesso. E tutto questo, ovviamente, ben prima che l’uomo potesse aver influenzato il clima in maniera significativa.

Personalmente, non mi piace fare ipotesi su dati parziali, perché non permettono di trarre conclusioni definitive. E purtroppo, parlando di clima i dati sono sempre parziali. Questo spinge a suggerire di usare molto equilibrio nel commentare questi dati, tuttavia mi pare si possa concludere che:

– sul breve periodo (un centinaio di anni), la teoria che l’estensione dei ghiacci artici segua un ciclo sembra abbastanza fondata, visti i risultati del lavoro pubblicato su Journal of Climate e la stretta correlazione tra AO e stato dei ghiacci;

– sul trend di lungo periodo invece non possiamo dire nulla, perché non abbiamo abbastanza dati. Non c’è nessuna ragione per cui non possa esserci un trend di riduzione complessiva dei ghiacci, legato al “riscaldamento globale antropogenico”, sovrapposto all’oscillazione secolare legata all’AO. O viceversa un aumento complessivo legato a qualche altra ragione. Il grafico qui sotto mostra proprio questo: la curva viola indica un trend di lunghissimo periodo di riduzione dei ghiacci, la curva rossa ghiacci stabili, la curva verde un aumento dei ghiacci sul lunghissimo periodo. E questo trend dipende solo ed esclusivamente dal periodo sul quale è stata fatta la media, che è una decisione “matematica” e assolutamente arbitraria. Per fare le cose bene avremmo bisogno di alcune centinaia di anni di dati. Che non abbiamo…

Che fare dunque? Sicuramente delle informazioni le abbiamo: la circolazione dei venti modifica la formazione dei ghiacci artici, e i venti paiono cambiare con cicli di alcuni decenni. Nei prossimi anni pare saggio monitorare l’indice AO e lo stato dei ghiacci artici. Se la correlazione tra queste due grandezze venisse confermata, sarebbe un’ulteriore conferma che esistono cicli di lunga durata che regolano il clima terrestre, in particolare in questo caso la quantità di ghiacci artici. Forse i ghiacci polari si sciolgono (e riformano) anche senza aiuti umani, seguendo invece le variazioni multi-decennali degli andamenti prevalenti dei venti. Non sappiamo se questo è l’unico effetto, certo che attribuire al “riscaldamento globale antropogenico” lo scioglimento dei ghiacci osservato negli ultimi decenni pare, allo stato attuale delle conoscenze, una grossa forzatura.

Kjai