Archivio mensile:Settembre 2012

Ghiacci Marini Artici – Situazione Agosto 2012

Segnalo che per questo mese sostituisco Fabio Nintendo come redattore della rubrica, a causa di suoi impegni improrogabili.

Agosto (dal giorno 24) segna il minimo storico di estensione, inferiore al record precedente del settembre 2007, anche a causa dell’andamento dell’Indice AO, spesso negativo in estate.

 

 

L’AO come si vede è stato decisamente negativo nella prima metà di giugno, in parte della prima metà di luglio e ancora attorno a Ferragosto.

Agosto ha visto una continua netta riduzione dei ghiacci, ben al di sotto dell’andamento del 2007, già molto negativo rispetto alla media trentennale, come peraltro preannunciato dal numero precedente della rubrica.

I grafici seguenti parlano da soli: il notevole sottomedia evidenziato dal primo grafico (estensione), le forti anomalie negative (in blu) del secondo grafico (anomalie concentrazione), l’impressionante ridotta estensione illustrata dal terzo grafico (concentrazione e area), la tendenza al ribasso del quarto grafico (trend trentennale), che continua a sembrare inarrestabile.

 

 

Estensione:

 

 

 

Anomalia Concentrazione:

 

 

 

Area: 

 

 

 

Trend Anomalia Estensione: 

 

 

Curiosità:

Rispetto a 10 anni fa abbiamo 1.8 milioni di kmq di estensione in meno e 1.7 in meno di area.

Rispetto a 20 anni fa abbiamo 3.2 milioni di kmq di estensione in meno e 2.8 in meno di area.

Rispetto a 30 anni fa abbiamo 3.6milioni di kmq di estensione in meno e 2.4 in meno di area.

 

FabioDue

UN NUOVO MODELLO CLIMATICO ALLA BASE DELLA PEG: PARTE III

Un saluto a voi, popolo di NIA.
Insieme agli amministratori del blog abbiamo deciso di ripubblicare le parti più salienti di questo mio lungo articolo, in attesa dell’uscita delle ultime inedite. Infatti, visto il tempo che è passato dall’ultima pubblicazione e vista la complessità dell’articolo, è stato deciso di comune accordo che sarebbe stato meglio riproporre almeno le parti più significative. Questo per consentirvi di ricordare i concetti appresi e di riprendere il filo logico. Le varie parti verranno pubblicate con una cadenza media di una a settimana.
Inoltre vi comunico già da ora che, ultimata la pubblicazione di tutte le parti di questo pezzo, ne uscirà a ruota uno nuovo in cui verranno ulteriormente approfonditi i meccanismi con cui la bassa attività solare influenza l’andamento delle stagioni invernali (e non solo). In quest’occasione verranno anche trattate alcune tematiche molto sentite (es: differenza tra Nino est-Nino ovest) e si prenderà spunto per fare delle riflessioni in merito al prossimo inverno.
Non mi resta che augurarvi una buona lettura.

Al fine della precedente parte ci eravamo lasciati con un interrogativo. Nello specifico ci eravamo chiesti quali situazioni e quali fenomeni possono favorire particolari configurazioni bariche, associate allo sviluppo di singolari onde di Rossby (stazionarie e retrograde) ed in grado di apportare ondate di freddo e di gelo sul continente europeo. A tale quesito cercheremo di rispondere in questa Parte dell’articolo. In generale cercheremo di capire quali sono i fenomeni che portano ad un consistente aumento della frequenza di eventi meteo “estremi” sul nostro vecchio continente.
Ritorniamo momentaneamente sul discorso delle onde di Rossby. Avevamo visto come le ondate di freddo e di gelo sull’Europa occidentale risultano strettamente legate allo sviluppo di particolari onde planetarie: onde stazionarie ed onde retrograde. Entrambi le onde sono onde straordinariamente lunghe nonché ampie, dove per ampiezza si intende lo sviluppo dell’onda in senso meridiano. Al riguardo è bene inoltre ricordare che quelle planetarie sono onde inerziali trasversali, ossia riferite al volume e non alla sola superficie della massa d’aria. Pertanto, nella fase di sviluppo le onde di Rossby non si propagano solo nel piano (ovvero longitudinalmente ed in senso meridiano), bensì anche in altezza. Pertanto le onde ampie e lunghe risulteranno molto sviluppate anche in altezza.
Tuttavia, alle medio-alte latitudini l’altezza della troposfera è abbastanza limititata (intorno ai 9 km). Pertanto, un onda di Rossby che tende a svilupparsi ampiamente in senso meridiano, alle alte latitudini troverà in altezza un “tappo” che tende a limitare il suo sviluppo verso l’alto e dunque il suo sviluppo in generale. Questo tappo è rappresentato proprio dalla tropopausa, che come detto alle alte latitudini è situata molto in basso. Oltre la tropopausa è situato il Vortice Polare Stratosferico (VPS), che caratterizzato nella stagione invernale da intensi venti occidentali. Maggiore è l’intensità (velocità) di tali venti e più grande risulterà la resistenza offerta dal “tappo” della tropopausa.
Quindi affinchè vada in porto la propagazione dell’onda, è necessario che tali venti stratosferici non risultino essere eccessivamente forti. Infatti, le onde non si propagano in presenza di elevate velocità zonali che procedendo con la quota divengano superiori ad un valore definito Velocità critica di Rossby. Oltre tale valore si ha il wave Breaking, ovvero l’ondulazione diviene evanescente. Infatti se le velocità zonali stratosferiche sulle zone polari sono troppo elevate, l’onda non riesce più a propagarsi verso l’alto ed al tempo stesso non riesce ad assumere elevate ampiezze e lunghezze divenendo in breve tempo evanescente. In altri termini, solo in presenza di venti zonali stratosferici abbastanza deboli si verificano, in genere, le condizioni ideali per la formazione di onde lunghe ed ampie e dunque di onde stazionarie e retrograde.

Le figure sopra riportate rappresentano i vettori dell’Ep-flux (Elliassen and Palm flux), che misurano il trasporto di “energia” che avviene dalla troposfera alla stratosfera, sia in termini dinamici (momento) che termodinamici (calore). L’EP-flux può essere visto come una misura della capacità dell’onda planetaria di propagarsi verso l’alto (e dunque di propagarsi in generale). Se i vettori (freccie) sono divergenti al limite della tropopausa, vorrà dire che siamo in condizioni di flusso zonale stratosferico tirato e che l’onda planetaria non riesce a propagarsi (ultimi 2 pannelli). Al contrario, vettori verticali convergenti oltre le quote stratosferiche, indicano che la propagazione dell’onda è “andata in porto” (primi pannelli).
La dinamica sin qui descritta è anche quella alla base dello sviluppo dei fenomeni di stratwarming.
Non ritengo questa la sede appropriata per approfondire nel dettaglio le dinamiche legate alla formazione e all’espansione degli stratwarming. Diciamo solo che detti fenomeni si originano a partire dall’espansione verso l’alto delle onde platenarie più energetiche. Quando l’onda raggiunge la stratosfera si “infrange” rallentando il VPS e “depositando” in esso una circolazione easterly. Dove l’ondulazione viene assorbita, infatti, si ha trasferimento di moto e l’onda può essere dissipata. Da ciò scaturisce la produzione di calore (attraverso l’attrito) ed il trasporto di quantità di moto. Quest’ultimo fattore fa sì che nel VPS, le normali correnti zonali, vengano sostituite dagli esterlies (circolazione da est verso ovest). L’effetto degli stratwarming è dunque di rallentare prima e di distruggere poi il Vortice Polare Stratosferico (inversione di circolazione da westerly ad esterly). Ci sono ovviamente diversi tipi di stratwarming. Diciamo solo che i più potenti ed efficaci sono in grado di distruggere completamente il VPS, con inversione dei venti da occidentali ad orientali fino a latitudini prossime ai 60° N, oltre che provocare intensi e repentini riscaldamenti stratosferici (anche 60° C in pochi giorni). Tali tipi di warming portano alla rottura ed allo split del vortice ciclonico stratosferico, che viene momentaneamente rimpiazzato da un anticiclone. Nella maggior parte dei casi inoltri, tali potenti warming stratosferici, sono in grado di istaurare una circolazione inversa a quella del Vortice Polare, non solo nella stratosfera, ma anche in tutta la troposfera sottostante, in quanto le particolari dinamiche innescatesi in stratosfera vengono trasferite alla sottostante troposfera. Infatti, alcuni giorni dopo, la cella anticiclonica stratosferica originata dall’intenso warming, si può ritrovare con simili caratteristiche a livelli troposferici polari, portando anche il vortice polare troposferico (VPT) ad essere letteralmente distrutto. In tali situazioni estreme dunque, l’anticiclone propaga la propria circolazione oraria (esterly) dalla stratosfera alla bassa troposfera nell’arco di 5-10 giorni, fino a sostituire, sulla verticale del polo, il VP a tutte le quote e quindi invertendo il verso della circolazione atmosferica polare (da ciclonica con venti dai quadranti occidentali, ad anticiclonica con venti dai quadranti orientali). Siccome il VP in condizioni normali ha in genere una forma ellittica (perché compresso tra l’anticiclone freddo canadese e l’anticiclone freddo siberiano), nella nuova situazione viene invece a trovarsi schiacciato tra il nuovo anticiclone polare e l’anticiclone freddo periferico siberiano, cosicchè viene spezzato in due lobi e costretto a riposizionarsi ai bordi del circolo (split del Vortice Polare). Anche l’anticiclone polare tende a sua volta a dividersi in due distinti centri, sempre interni al circolo polare: uno in genere su Alaska/Siberia orientale ed un altro su Nord Scandinavia/Russia. In definitiva la configurazione finale indotta da un violento SW è in genere quella formata da due possenti anticicloni caldi a tutte le quote sul polo e due altrettanto profondi centri depressionari colmi di aria gelida a tutte le quote, posti in genere uno sul nord-est del Canada e un altro sulla Siberia.


La figura evidenzia la configurazione di un potente Stratwarming: due anticicloni a tutte le quote sul polo e due centri ciclonici freddi, posti in genere+ uno sul nord-est del Canada e un altro sulla Siberia.

Detti split del VPT causano a loro volta il blocco delle correnti occidentali. Infatti con l’innesco della rotazione oraria anticiclonica anche nei piani più bassi, tutta la circolazione polare vedrà invertito il suo senso di rotazione (da Est verso Ovest), provocando un moto retrogrado dei lobi del VPT precedentemente formati. Nell’ambito europeo, una simile situazione può attivare un moto retrogrado del lobo freddo asiatico, che progressivamente comincia a muoversi verso la Russia europea ed il Baltico, lambendo e talvolta investendo con gelide correnti l’Europa occidentale. Tali situazioni danno luogo a periodi di freddo intenso ed estremo sull’Europa occidentale (Italia inclusa) della durata di molti giorni.
Tali eventi estremi, denominati dalla comunità scientifica ESEs (Extreme Stratospheric Events), si verificano in media una volta ogni 5-10 anni. Come vedremo tuttavia, la bassa attività solare è in grado di aumentare non di poco la loro frequenza.
È ovvio che non tutte le invasioni fredde in Europa sono collegate ai fenomeni di Stratwarming. Tuttavia la loro presenza aumenta di molto le probabilità che le gelide correnti artiche e siberiane si spingano sin sulle zone più occidentali d’Europa. A tal proposito è bene ricordare che gli eventi di gelo più eclatanti che hanno coinvolto l’Europa nell’epoca moderna sono stati quasi tutti dovuti a fenomeni di Stratwarming. Ad esempio alla fine del dicembre 1984 fu registrato sul polo nord, a 42 km di altezza, un riscaldamento di circa 70 °C in appena 5 giorni. Tra gli ultimi giorni del dicembre 1962 ed i primi giorni del gennaio 1963, sempre a 42km sopra il Polo Nord, la temperatura era salita di oltre 60°C in pochi giorni. Oltre che gli eventi leggendari del 63 e dell’85, fenomeni di stratwarming causarono altri eventi storici sul vecchio continente, come ad esempio marzo 1987, febbraio 1991 ecc..


La figura mostra la situazione meteo sull’intero emisfero nord svariar iati giorni dopo il violento stratwarming del dicembre 1984.

Alla luce di quanto sin qui analizzato mi preme sottolineare un fattore che ritengo cruciale per le dinamiche meteorologiche degli inverni europei: anche se non tutti gli eventi di gelo in Europa sono correlate ad eventi di Stratwarming, il Vortice Polare Stratosferico (VPS) gioca sempre un ruolo fondamentale. In altri termini, le vicende della stratosfera polare, anche in assenza di fenomeni eclatanti, hanno sempre una valenza cruciale nelle dinamiche meteo invernali. Infatti come si è detto prima, in presenza di elevate velocità zonali stratosferiche, le onde di Rossby non si propagano eccessivamente e non riescono ad acquisire quelle grandi ampiezze tipiche delle onde stazionarie e retrograde.
Detto in termini poco tecnici, il VPS riflette le sue caratteristiche nell’ambito dell’intero Vortice Polare (dunque a quote inferiori a quelle stratosferiche). Se il VPS è estremamente compatto e caratterizzato dunque da venti ciclonici occidentali molto forti, l’intera struttura del VP risulterà molto compatta e poco propensa alle oscillazioni meridiane (e viceversa).
Una situazione di questo tipo è quella che ci ha penalizzato nel cuore dell’inverno appena trascorso (da metà gennaio in avanti). Infatti, a fronte di un VPS eccezionalmente “veloce” e compatto, anche il VP alle quote troposferiche si è mostrato molto solido (AO sempre nettamente positivo). Chi, come me, ha seguito le vicende meteorologiche da vicino, ricorderà che da quel periodo in avanti il VP è risultato inattaccabile da ogni azione meridiana anticiclonica. Questo semplicemente perché le velocità zonali stratosferiche erano elevatissime ed ogni tentativo di approfondimento delle onde planetarie si dissolveva come neve al sole. In altre parole, in virtù di un VPS estremamente solido e “veloce”, ogni ondulazione meridiana diveniva evanescente in quanto non c’erano le condizioni necessarie per la formazione di onde lunghe ed ampie a carattere stazionario, le uniche in grado di bloccare la circolazione occidentale per più giorni e consentire le discese gelide. Ricorderete sicuramente come i modelli più volte erano propensi nel prevedere colate molto fredde che poi venivano regolarmente ridimensionate se non annullate completamente, a fronte di un hp oceanico eccessivamente invadente. Infatti, in quelle condizioni, riuscivano a formarsi solo onde corte e scarsamente ampie, che sono anche le più veloci. Ecco che in brevissimo tempo veniva ripristinata la consueta circolazione zonale e le correnti fredde riuscivano a mala pena a sfiorare il nostro paese.
Ora, quello che sta emergendo da innumerevoli studi scientifici condotti negli ultimi anni, è che la bassa attività solare sia in grado di apportare sostanziali modifiche al VPS, che ricordiamo essere il vortice atmosferico per eccellenza. Il passo che faremo ora sarà quello di capire come il sole (o meglio il numero di macchie solari) possa influenzare l’andamento del Vortice Polare Stratosferico.
Tra gli studi più significativi condotti in questo campo voglio ricordare quelli realizzati da Baldwin and Dunkerton della “Northwest Research Associates”, dalla Professoressa Karin Labitzke della “FU Berlin University” e dai Professori Salby e Callaghan dell’ “University of Colorado, USA”. Nelle loro ricerche i sopracitati ricercatori (non solo loro) hanno messo in evidenza coma l’attività solare sia in grado di alterare la composizione dell’aria e le modalità di circolazione atmosferica nell’ambito del VPS (con riferimento soprattutto a quello boreale). Nello specifico l’attività solare ha importanti ripercussioni su una particolare circolazione stratosferica chiamata Brewer Dobson Circulation (BDC).
La BDC, così chiamata per i suoi scopritori Brewer e Dobson, è una lenta circolazione emisferica agente a quote stratosferiche e disposta lungo i meridiani. Tale circolazione è responsabile del movimento di particelle d’aria dalle regioni equatoriali sino alle regioni polari ed maggiormente attiva nell’emisfero nord. In particolare detta circolazione è caratterizzata da moti ascendenti nelle regioni equatoriali e da moti discendenti nelle zone extratropicali (soprattutto polari). La BDC è molto importante perché influenza enormemente la chimica dell’atmosfera grazie al trasporto verticale e meridionale delle specie chimiche, tra cui l’ozono. Infatti la parte sommitale della stratosfera tropicale è la principale sorgente dell’ozono stratosferico, a causa dell’abbondanza di fotoni ad alta energia (per il maggior irradiamento solare) necessari per la fotolisi dell’ossigeno (reazione che porta alla formazione dell’ozono stratosferico). Al contrario, durante l’inverno per mancanza totale di radiazione solare, la stratosfera polare dovrebbe essere completamente priva di questo gas. In realtà, grazie alla BDC, aria ricca di ozono viene portata dalle regioni tropicali a quelle polari durante la stagione autunno-invernale (come detto polo nord in primis). La BDC fornisce così un motore fotochimico aumentando la concentrazione complessiva di ozono nella stratosfera polare durante l’inverno.
La seguente figura ritrae lo schema di funzionamento della Brewer Dobson Circulation (freccia tratteggiata). Si noti la differenza di altitudine tra troposfera tropicale e troposfera polare. Come si vedrà più avanti (prossima Parte), tale differenza di quota dipende molto dall’attività solare e gioca un ruolo fondamentale per le sorti del VPS .

Come detto la BDC non altera solo la composizione chimica della stratosfera polare, ma agisce anche da un punto di vista dinamico, alterando la temperatura e l’andamento circolatorio del VPS stesso. Per farvi capire questo fenomeno permettetemi di spiegarvi in grandi linee il funzionamento di questo affascinante tipo di circolazione.
La tropopausa è la più fredda regione della stratosfera e della troposfera equatoriale. Questo perché l’aria in ascesa all’equatore raffredda adiabaticamente a causa dell’espansione e ciò spinge le temperature della parte bassa della stratosfera equatoriale b\en al di sotto della temperatura di equilibrio locale. Non a caso, proprio l’osservato andamento medio zonale della temperatura, portò Brewer alla conclusione che l’aria stratosferica extratropicale doveva essere passata attraverso lo strato della tropopausa equatoriale. Solo questo fattore poteva spiegare infatti il basso tenore di vapore osservato nella miscela d’aria nella stratosfera equatoriale (solo nello strato della tropopausa equatoriale può avvenire il fenomeno della deidratazione attraverso il processo di “freeze dryng”). Ora, l’aria proveniente dalla stratosfera equatoriale e discendente sulle regioni polari è sottoposta al processo inverso di compressione adiabatica che la porta a riscaldarsi. Tale processo fa salire le temperature all’interno del VPS di alcune decine di gradi sopra la temperatura di equilibrio radiativo locale.
Inoltre, la maggiore quantità di ozono contribuisce non poco al riscaldamento della stratosfera polare nella seconda parte dell’inverno. Infatti, all’arrivo della prima radiazione solare sul polo, l’ozono presente assorbe la maggior parte della radiazione solare ultravioletta e la restituisce sotto forma di calore. Pertanto un elevata concentrazione di ozono può essere ritenuta un ulteriore causa di riscaldamento stratosferico e dunque di rottura dell’equilibrio radiativo locale.
In ultimo, la BDC è in grado di rimuovere le sostanze immesse in stratosfera dall’attività umana in grado di distruggere l’ozono (in base a quanto vedremo in seguito è questo di un fattore di notevole importanza).

Tornando al nostro discorso, l’attività di ricerca condotta negli ultimi anni da innumerevoli centri scientifici universitari, ha messo in evidenza come la bassa attività solare sia in grado di accelerare e rafforzare la Brewer Dobson Circulation. Per quanto si è visto, un rafforzamento della BDC implica un riscaldamento ed un indebolimento del VPS, rendendolo molto più vulnerabile all’azione forzante troposferica associata allo sviluppo delle onde di Rossby. Ciò rende l’intera struttura del VP più debole ed aumenta in maniera eclatante la probabilità che si sviluppino a latitudini medio-alte onde estremamente lunghe ed ampie (stazionarie e retrograde). Una situazione di questo tipo situazione porta inoltre il VPS ad essere molto più soggetto a fenomeni di stratwarming.
Purtroppo la correlazione sopra descritta non è così semplice e lineare. Infatti la bassa attività solare diviene estremamente efficace nel modulare la BDC e quindi le caratteristiche del vortice atmosferico qual’ è il Vortice Polare, solo in presenza di alcune condizioni esterne. Detta in altri termini, la capacità del sole di modulare l’intensità del VP e dunque le caratteristiche del clima alle medio-basse latitudini boreali, dipende fortemente da due fenomeni: la Quasi Biennal Oscillation ed il ciclo ENSO.
Nella successiva Parte IV tenteremo di approfondire questo discorso.

Riccardo

C’era una volta a 500 e a 850 hPa …

Ave popolo di NIA.

In questo breve articolo  vorrei proporvi un analisi dell’andamento nel tempo della temperatura a 850 hpa e del geopotenziale a 500 hPa. Forse ricorderete il mio ultimo (e unico)  articolo pubblicato su NIA (http://daltonsminima.altervista.org/?p=21833), nel quale furono prese in esame le mappe di wetterzentrale.
Da quell’analisi emerse una distinta qualità di informazioni in esse racchiuse per anni pre e post 1950 (circa).
Riparto da quelle  mappe  per cercare di rispondere in primis  ad una curiosa domanda emersa in alcuni post proprio su questo blog: “ma un tempo, a parità di isoterma, faceva più fresco al suolo rispetto all’odierno ?”.
Se questa è la prima domanda, un’altra quasi naturalmente correlata è inerente all’andamento del geopotenziale.
Su questa faccenda probabilmente avrete già letto altri articoli, visto che già altri siti (es. Meteogiornale) hanno già trattato l’argomento.
Si intende che, data la sostanziale unica fonte dati a mia disposizione, l’operazione che mi accingo a sottoporre alla vostra attenzione risulta delicata.
Per questo, nell’intendo di ridurre l’aleatorietà, utilizzerò le sole mappe a partire dal 1950 e nel capitolo che segue vi propongo un’analisi della qualità del parco dati da cui discenderanno i capitoli successivi.
In verità il capitolo in questione (il numero 1), seppur a mio avviso di grande importanza, potrebbe risultare tedioso.
In virtù di ciò, sappiate che potrete passare ai capitoli successivi leggendo le  sole ultime quattro righe in esso riportate.

Chiudo questa  introduzione  ringraziando ancora una volta Riccardo per avermi pazientemente seguito come referee.

 

1) Caratteristiche  dei dati

Ritengo, come già sottolineato,  questo capitolo davvero importante, poiché, date le contenute variazioni dei due parametri atmosferici che andremo ad analizzare, viene qui dimostrato come i dati di base risultino  affidabili e stabili nel corso del tempo.
Capirete che ciò rappresenta una condizione chiave per la validità dell’intero castello d’argomentazioni proposto.
L’analisi del campione l’ho pensata per indici di posizione, dispersione e forma.
Di questi ne darò poi una mia interpretazione e spero cha altri contributi vengano proprio da voi.
Per annoiarvi il meno possibile proporrò una serie di grafici che meglio ci aiuteranno ad interpretare il tutto.
Senza dilungarmi oltre,  parto dagli indici di posizione.


Si evidenzia (senza sorpresa) che essendo la media, la moda e la mediana tra loro piuttosto coincidenti, le distribuzioni mensili possono essere rappresentate da una curva Gaussiana. Valutiamo ora l’asimmetria delle distribuzioni.

Mentre per la temperatura la simmetria è sostanzialmente ben conservata, per ciò che riguarda il geopotenziale si nota una moderata deriva verso sinistra.A questo punto vale la pena capire il grado di dispersione dei dati.

E’ innegabile che esiste un certo grado di dispersione. Specialmente nel campo termico. Ma valutiamo meglio il peso delle code.

In ambedue i casi (temperatura e geopotenziale) si tratta di distribuzioni tendenzialmente  platicurtiche, ossia con picco più arrotondato (rispetto alla distribuzione normale) e code non troppo significative. Con un ultimo sforzo valutiamo quanto la media tenda a rappresentare il campioni, ossia calcoliamo il coefficiente di variazione.

Dunque rimanendo sotto 0.5 in ambedue i casi (geopotenziale e temperatura) questa è ben rappresentativa del campione.
Per il geopotenziale possiamo dire che si tratta di una rappresentazione quasi perfetta. Per quanto sin qui visto, possiamo concludere, come appena detto,  che il dato medio è sufficentemente garante del campione da cui è ottenuto e che, nel corso degli anni, non è si evidenziano derive particolari nei dati.
Dunque stiamo parlando di un parco dati sostanzialmente “stabile”.
Teniamo bene a mente ciò che sin qui è stato messo in luce, poiché tornerà utile nelle prossime trattazioni.

 

2) Il geopotenziale

L’analisi del geopotenziale è stata piuttosto semplice.
Una volta recuperati i dati dalle mappe, ho dato vita al grafico che segue (valori medi annuali del periodo estivo) e da subito è emersa la tendenza all’umento nel corso degli anni.

Ma per rendere l’andamento ancor più di semplice lettura, ho aggregato i dati per decennio (dunque nel grafico, ad esempio, 1950 indica il periodo tra il 1950 e 1959).
Vengono inoltre evidenziati i valori medi ed anche le barre d’errore.

 

3) La temperatura

La trattazione di questo parametro è stata più complicata rispetto al geopotenziale.
Nel primo paragrafo abbiamo apprezzato  come, nel campo termico, la dispersione  fosse  presente e dunque i risultati hanno risentito di quel problema.
Inoltre la variabilità interannuale  non ha semplificato le cose, poiché ogni estate ha un po’ le sue caratteristiche.
Per cercare di dare un senso a questa ricerca, ho tentato di incrociare il parco d’informazioni a 850 hPa derivante da Telemappa, coi dati rilevati al suolo dall’Osservatorio Geofisico di Modena.
In buona sostanza, e con un po’ di pazienza, ho analizzato i mesi estivi ( dal 1950 al 2006) con analoga temperatura media  al suolo e di essi ho calcolato il valor medio dell’isoterma a 850 hpa (nonché il suo scarto quadratico medio).
Il compromesso tra intervallo termico considerato, in relazione  alla numerosità del campione, ha dato vita ad un insieme di 11 mesi nell’intervallo di temperatura media mensile al suolo  compreso tra 25.7 e 26.2 °C. Il risultato è il grafico che segue :

Non soddisfatto di quanto ottenuto, ho provato a battere un’altra strada.
Ho cercato di capire quale fosse lo scarto termico tra 850 hPa ed il suolo, selezionando i mesi estivi con medesima media rilevata (sempre al suolo).
La segmentazione delle temperature ( al suolo)  l’ho fatta  per decimo di grado  tra i 24.5 e i 29.4°C. Una volta ottenuti i valori sui singoli mesi, ne ho poi computato la media sulla decade in cui questi si presentavano (logica analoga a quella espressa per il geopotenziale; es. 1950 significa dal 1950 al 1959).
Il risultato può essere sintetizzatizato  nella tabellina e nel grafico seguenti.

 

Apparentemente questo risultato è più nitido rispetto al precedente, ossia alla valutazione diretta degli 850 hPa, ma in verità l’aumento di scarto termico non è sufficiente per fugare chiaramente il dubbio introdotto dalla dispersione presente a 850 hPa.

 

4) Conclusioni

Mentre sul geopotenziale ho pochi dubbi (e si potrebbe  tentare anche una grossolana quantificazione), per ciò che riguarda la temperatura il risultato rimane più  fumoso. Tuttavia la risposta alla domanda iniziale, ossia se a parità di isoterma a 850 hPa oggi faccia più caldo di un tempo, non inverosimilmente può essere affermativa. I motivi di questo aumentato scarto termico tra il suolo e 850 hPa possono essere svariati: tra questi ricordiamo il processo di urbanizzazione, l’aumento degli inquinanti gas serra (almeno nella loro frazione più  pesante), nonché l’incremento del geopotenziale a 500 hPa. Pur non essendo possibile definirne l’entità, è credibile che la frazione più significativa del riscaldamento supposto derivi proprio dall’aumento del geopotenziale. Pertanto, seppur con  l’incertezza del caso, è ragionevole supporre che tutto ciò ora acquisisca una sua oggettività, uscendo finalmente dal mondo delle favole.

 

Grazie per l’attenzione.


A.R.A. – Associazione Reggiana di Astronomia
www.astroara.org
Zambo – Settembre 2012

Effetti delle variazioni dell’attività geomagnetica sullo stato fisiologico e psicologico, su soggetti funzionalmente sani : alcuni risultati di studi in Azerbaijan

Si sente più spesso parlare, da fonti, la cui attendibilità scientifica è tutta da dimostrare, che la nostra stella, nello specifico, attraverso le sue dinamiche più conosciute, vedi le tempeste geomagnetica, rivesta un importante ruolo nelle modifiche o principali alterazioni delle funzioni biologiche umane.

Dei cambiamenti nel regno vegetale e animale, alterato dalle modifiche alla circolazione atmosferica, ne sentiamo sempre più spesso parlare, tutti i giorni.  Ma che cosa sappiamo, dei veri propri effetti magnetici e/o particellari su l’organismo animale o umano ? Personalmente poco, fino a pochi giorni fa, quando le mie ricerche non mi conducono a questa ricerca scientifica, pubblicata nel 2007.

Advances in Space Research Volume 40, Issue 12, 2007, Pages 1941–1951

http://dx.doi.org/10.1016/j.asr.2007.02.099

Osservatorio Astrofisico di Shamakhy (shao), accademia nazionale delle scienze Azerbaijan, 10, Istiglaliyyat Street, Presidium dell’Accademia, Baku AZ-1001, e Istituto di Fisiologia AIGarayev, accademia nazionale delle scienze, 2, SharifZadeh Street, Baku AZ-1100, Repubblica dell’Azerbaigian
Elchin S. Babayev & Aysel A. Allahverdiyeva

 

Riassunto

Ci sono collaborativi e interdisciplinare studi meteo spaziali dell’accademia nazionale delle scienze in Azerbaigian, redatti con la finalità di rivelare possibili effetti solari, geomagnetici e la variabilità dei raggi cosmici su sistemi tecnologici, biologici ed ecologici. Questo articolo descrive alcuni risultati, degli studi sperimentali dell’influenza dei cambiamenti periodici e aperiodici dell’attività geomagnetica sul cervello umano, la salute umana e lo stato psico-emotivo. Esso copre anche le conclusioni di studi sulla influenza di violenti eventi solari e gravi tempeste geomagnetiche del ciclo solare 23 sui sistemi, nella posizione delle medie latitudini. E’ sperimentalmente dimostrato che deboli e moderate tempeste geomagnetiche non causano variazioni significative su l’attività bioelettrica del cervello ed esercitano solo una stimolante influenza, mentre gravi disturbi di condizioni geomagnetiche causano effetti negativi, disintegrando seriamente le funzionalità cerebrale  (seriously disintegrate brain’s functionality), attivando processi di frenatura e amplificando lo sfondo emotivo negativo di un individuo. Si è concluso che disturbi geomagnetici influenzano principalmente sfere emotive e vegetative degli esseri umani, mentre le caratteristiche di personalità, che riflettono le proprietà non subiscono variazioni significative.

Alcune immagini riprese dalla carta:

 

Fig. 1. Esempio di ampiezza dell’elettroencefalogramma, EEG durante relative condizioni geomagnetiche silenziose

 

Fig. 2. Esempio di ampiezza dell’elettroencefalogramma EEG durante le severe tempeste geomagnetiche.

Fig. 5. Cambiamenti dell’indice di equilibrio vegetativo per i diversi livelli di attività geomagnetica.

Fonte : http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0273117707009404

 

Consiglio la lettura dell’intero contenuto della carta (o altre carte), utilizzando la risorsa di SCI-HUB recentemente segnalataci da un nostro utente :

http://sci-hub.org/

E’ sufficiente inserire il codice DOI, riportato ad inizio articolo, nella finestra centrale nel link sopra riportato.

 

Michele

Rubrica Sole Agosto 2012

Introduzione

Il ciclo attualmente in corso, sembra da un po’ di tempo entrato in una fase di “stallo”: brevi fiammate alternate a brevi pause. Nessun nuovo massimo, nessun lungo periodo di attività particolarmente bassa. Le macchie non sono molto numerose e risultano in grande maggioranza di piccola dimensione. C’è da chiedersi se questo ciclo stia preparando qualcosa, ad esempio una potente accelerazione nei prossimi mesi, un po’ come fece all’inizio del 2011, dopo un’estate ed un autunno non memorabili, oppure se continuerà così fino all’inversione dell’emisfero sud, per poi declinare gradualmente.

Di certo il ciclo 24 si conferma come “fuori dagli schemi” rispetto a quelli immediatamente precedenti, checché ne dicano taluni autorevoli personaggi del mondo scientifico. Questo ciclo davvero non vuole farci annoiare, fornendoci sempre nuovi elementi per i quali sorprenderci e sui quali discutere.

Ci preme sottolineare che il “fuori dagli schemi” è sempre e comunque da intendersi in modo relativo, a causa della limitata conoscenza di cui disponiamo circa il comportamento del Sole. Questa dipende anche e soprattutto dal brevissimo intervallo di tempo (50-60 anni), rispetto alla vita del Sole (5 miliardi di anni!), durante il quale la nostra stella è stata oggetto di osservazioni e di studi, da Terra e tramite satelliti, con gli strumenti più sofisticati oggi a disposizione.

Come descriveremo di seguito, il mese di agosto sta pienamente confermando il carattere del ciclo 24 come “fuori dagli schemi”.

Questo grafico, basato sulle medie mensili delle aree del disco solare coperte da sunspot (in rosso la smoothed) è abbastanza eloquente: l’attuale ciclo 24 per ora non riesce a tenere nemmeno il passo dei deboli cicli di fine ‘800 – primi ‘900.

In dettaglio, Agosto è iniziato con un modesto picco di attività, già in corso a fine luglio, poi presto declinato fino ad un minimo relativo a metà mese. Quindi il mese è terminato con l’attività nuovamente in contenuta crescita. Comunque, come detto all’inizio del capitolo, agosto non ha fatto segnare alcun minimo o massimo di attività degni di nota. Per questo, il valore medio mensile di solar flux è calato nettamente rispetto a luglio e si è posizionato a 118, ben lontano dal 142 di luglio e dal 150 di novembre, finora massimo mensile. Il sunspot number ha registrato un calo contenuto, da 66,5 a 63,1. Si tratta comunque del valore più basso degli ultimi quattro mesi. Invece, il numero di macchie è cresciuto molto rispetto a luglio, da 23 a 36. Tuttavia, la loro dimensione è risultata piuttosto modesta. L’andamento dei prossimi mesi, perlomeno fino a Febbraio è, a nostro modesto avviso, da monitorare con attenzione: infatti i quattro mesi di più intensa attività (Settembre-Dicembre 2011) scompariranno progressivamente dalla media mobile che determina il SSN (smoothed sunspot number), indicatore principale dello stato del ciclo. In assenza di nuove impennate dell’attività, questo comporterebbe l’avvio del declino del SSN, che indicherebbe l’avvio del declino del ciclo e dunque la conclusione della fase di massimo.

 I valori del NIA’s di luglio (42,6) e agosto (35,3) 2012 sono provvisori e in attesa di validazione.

Solar flux

Il solar flux testimonia in modo eloquente le difficoltà che il ciclo 24 incontra nella sua progressione, anche se la distanza media dai cicli precedenti non è più in aumento, segno che ormai, anche il ciclo 24, sono tutti in prossimità del massimo.

Dal grafico risulta ancor più evidente negli ultimi mesi la netta suddivisione dell’attività solare in due distinte fasi, “spinta” e “riposo”, la prima con valori relativamente elevati di Solar Flux e SN, la seconda con detti indici più vicini a valori da minimo che da massimo.

In termini generali, il grafico conferma la peculiarità del ciclo 24, rispetto a quelli immediatamente precedenti: è un ciclo “pigro”, con le “marce lunghe”, è l’unico degli ultimi 6 cicli (dal ciclo 19, cioè da quando si misura il solar flux) che non sia ancora riuscito a raggiungere la soglia (di picco) di 200, ampiamente superata da tutti quelli precedenti. Inoltre, si nota chiaramente la brusca frenata dopo il massimo, per ora relativo, comunque tutt’altro che eccezionale nonché il tentativo di “ripresa” negli ultimi mesi.

Più in dettaglio, nell’ultimo mese il valore medio del flusso “aggiustato” (ore 20) è stata pari a 118,75 (contro 142,31 di luglio) mentre la “forbice” tra il valore minimo e quello massimo mensile è rimasta compresa tra 96,4 valore non certo da massimo (ore 20 del 21/08) e 154,6 (ore 20 del 1/08). Nell’ultima decade (dal 20 al 30 compresi) la media è stata pari ad appena 108,9 (valori delle ore 20) ma con valori in graduale crescita. Si osserva quindi un’estrema variabilità di questo indice, dettata forse dall’avvenuta inversione magnetica dell’emisfero nord.

Altri diagrammi

Il cosiddetto “butterfly diagram”, per quanto ancora incompleto nella rappresentazione del ciclo 24 è eloquente: http://solarscience.msfc.nasa.gov/images/bfly.gif

Il ciclo 24 risulta paragonabile ai cicli più deboli, perlomeno dal 1880 in poi, in termini di numerosità delle macchie, in rapporto alla loro estensione (in sostanza la colorazione del grafico “a farfalla”). Risulta addirittura inferiore a tutti i cicli rappresentati, in termini di estensione delle macchie (ultimo grafico in basso).

Per quanto concerne lo stato di avanzamento dell’inversione dei poli solari (o, per meglio dire, il tentativo di inversione), l’ultimo dato disponibile (10 agosto) su http://wso.stanford.edu/Polar.html#latest evidenzia un valore “filtrato” per l’Emisfero Nord pari a +3. Dunque il cambio di polarità dell’emisfero Nord sembrerebbe essere avvenuto. Per l’Emisfero Sud, invece, il percorso sembra essere ancora molto lungo, infatti i valori ad agosto segnano solo una lievissima discesa rispetto a luglio, dunque tuttora una notevole distanza dalla “neutralità”. Questo per ora  allontana sempre di più la possibilità di un’inversione in tempi relativamente brevi anche per questo emisfero. Storicamente, negli ultimi 30 anni, le inversioni sono avvenute a distanza di pochi mesi o al massimo di poco più di un anno. Ma, come testimoniato al link precedente, in nessun caso un emisfero si era trovato così distante dall’inversione e in progressione antitetica, mentre l’altro l’aveva appena effettuata, tant’è che la media dei due emisferi, pur in lenta diminuzione, rimane tuttora ben distante dalla neutralità.

Per una più immediata comprensione dello stato di avanzamento del fenomeno, si vedano i seguenti grafici, tratti dal sito di Leif Svalgaard: http://www.leif.org/research/WSO-Polar-Fields-since-2003.png , andamento dei due emisferi dal 2003 e http://www.leif.org/research/Solar-Polar-Fields-1966-now.png , andamento complessivo dal 1966.

Per ulteriori informazioni in merito, si veda anche l’articolo http://solar-b.nao.ac.jp/news/120419PressRelease/index_e.shtml.

Le ultime immagini “Stereo Behind”, confermano l’attuale fase di relativa maggiore attività da parte dell’emisfero Sud, ma testimoniano anche di una parziale ripresa dell’emisfero settentrionale. Complessivamente si notano diverse regioni attive, in entrambi gli emisferi, che si apprestano a comparire nell’emisfero solare visibile dalla Terra. Tuttavia, almeno finora, tali regioni hanno prodotto solo macchie piuttosto piccole. Risulta sempre valida quindi la regola che occorre attendere ancora qualche mese per poter avere un quadro complessivo della situazione solare. Perlomeno occorre attendere l’inizio del 2013, quando secondo le previsioni NASA si raggiungerebbe il massimo del ciclo. E’ soprattutto essenziale comprendere se e quando vi sarà spazio per ulteriori massimi, prima del fisiologico declino del ciclo. L’estrema debolezza e variabilità di questo ciclo non lasciano ancora spazio ad interpretazioni univoche.

Infine, sorprende l’assenza di qualsiasi cenno (o almeno non siamo riusciti a trovarlo) circa lo stato dell’inversione dei poli nel sito NASA generale ed in quello dedicato al monitoraggio del ciclo solare, come se il continuo ritardo dell’inversione non rappresenti un fatto anomalo e meritevole di qualche analisi e considerazione circa le possibili conseguenze.

Conclusioni

Questo ciclo aveva fornito una parvenza di “normalità” lo scorso autunno, quando la progressione era parsa netta e, per la prima volta dal minimo, continua per qualche mese consecutivo. Gennaio ed in particolare Febbraio hanno fatto segnare un crollo difficilmente pronosticabile che ha di fatto minato l’ipotesi di un proseguimento “normale”, anche se contraddistinto da un debolezza di fondo, di questo ciclo 24. Il recente massimo di luglio, pur inaspettato, ha avuto il carattere di episodio isolato, come quello di novembre e dunque non ha modificato il quadro complessivo. Agosto si è confermato come periodo interlocutorio, senza “acuti”. Ciò avvalora ancor di più la possibilità che i due massimi possano persino essere quelli assoluti del ciclo. Certo, non si può escludere ve ne sia qualche altro nei prossimi mesi o nel 2013, come indicato nelle previsioni NASA. La modesta attività degli ultimi mesi, specie tra i due massimi, è ben poca cosa se confrontata con quanto accadeva al sole negli approcci al massimo dei passati cicli e non  è in grado di sovvertire quanto sopra scritto. Solo in caso di una forte ripresa nei prossimi mesi si potrebbe riaprire il discorso circa la natura del ciclo 24. Attualmente è in corso una fase di relativo riequilibrio tra i due emisferi solari, dopo qualche mese di “spinta” più decisa da parte dell’emisfero Sud. Si tratta però di un riequilibrio al ribasso, almeno per ora. Che cosa ci riserverà il ciclo nei prossimi mesi? Vedremo nuovi massimi, oppure la situazione resterà relativamente stazionaria, ad esempio fino all’inversione da parte dell’emisfero meridionale?

Restate sintonizzati per i prossimi aggiornamenti!

FabioDue e Apuano70