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OCTOBER PATTERN INDEX (OPI): UN NUOVO INDICE ALTAMENTE PREDITTIVO PER LA STAGIONE INVERNALE

Attualmente lo strumento più impiegato nell’ambito delle previsioni stagionali è basato sul funzionamento dei modelli climatici globali (GCM). Questi, nei loro processi di calcolo, considerano prevalentemente la variabilità del ciclo ENSO. Tuttavia per le regioni lontane dai tropici (con particolare riferimento agli USA nord-orientali ed all’Europa), l’affidabilità del predictor ENSO risulta incerta e dunque ancora limitata. In virtù della scarsa prevedibilità del clima extratropicale attraverso il segnale ENSO, sono state considerate altre strade per migliorare le capacità predittive dei GCM  (previsioni stagionali) in riferimento alle latitudini extratropicali.

A tal proposito nell’ambito della stagione invernale boreale, l’Oscillazione Artica (AO) costituisce il pattern più importante in quanto in grado di influenzare direttamente l’andamento climatico in molte zone, anche distanti migliaia di chilometri dalla sede artica, e che costituiscono i centri principali di popolazione del mondo occidentale (Europa e Nord America). Ad esempio, in riferimento all’Europa centro-occidentale, l’AO mostra una correlazione elevatissima con le anomalie geopotenziali calcolate sul trimestre invernale (circa 0,86). Per quanto sin qui detto, una previsione dell’AO invernale costituisce la modalità più affidabile per avere un informazione attendibile  circa l’andamento dell’inverno su dette zone con diversi mesi di anticipo. Nella presente ricerca presentiamo un nuovo indice altamente correlato con l’AO invernale e dunque utilizzabile nella previsione della stagione invernale alle medie latitudini boreali…. Continua la lettura di OCTOBER PATTERN INDEX (OPI): UN NUOVO INDICE ALTAMENTE PREDITTIVO PER LA STAGIONE INVERNALE

Confermato l’affondo artico. E per il dopo….???? + AGGIORNAMENTO (even e Riccardo)

La prima parte di questa analisi e reperibile al seguente link :

http://daltonsminima.altervista.org/?p=24668

 

AGGIORNAMENTO (by even e Riccardo) (05/02/2013)

Vi sarete accorti che l’impianto generale descritto nell’articolo sembra ormai confermato appieno (ormai rientra nel medio termine e dunque possiamo darlo ormai per assodato. Le ripercussioni sulla nostro piccolo meraviglioso paese verranno definite di volta in volta dagli aggiornamenti modellistici (sapete bene che per quanto riguarda l’esatta direttrice della colata e dunque il posizionamento dei minimi si può parlare forse nell’ambito delle 48 ore).
In questa sede invece cerchiamo di ripetere quanto fatto la volta scorsa, gettando uno sguardo nei meandri oscuri del lunghissimo termine.
È inutile che vi ripeta (per la centesima volta) che quanto ci apprestiamo a vivere è una conseguenza diretta delle fase di condizionamento innescata in seguito al forte MMW di metà gennaio. Per tale ragione la cosa più utile da fare sicuramente quella di capire quanto possa protrarsi ancora detta fase.
Per prima cosa, al fine di consentire a tutti di comprendere la presente analisi, ritengo necessario chiarire ancora le dinamiche che si celano dietro a questo importantissimo fenomeno. Per far questo riporto in virgolettato la parte conclusiva del grande articolo scritto insieme ad Alessandro (even) e Filippo:
“Le conseguenze dei riscaldamenti stratosferici (in particolare MMW) si hanno nella fase successiva all’evento stesso. Tale fenomeno, noto come condizionamento da Eses warm, può arrivare ad assumere caratteristiche di eccezionalità nei casi più eclatanti.
Cerchiamo di capire insieme il perché di questa fenomenologia che è alla base della ben nota legge statistica di D&B. In seguito all’avvento di un forte disturbo stratosferico il vortice polare si presenta fortemente destabilizzato a partire dalle quote medio alte (abbattimento delle velocità zonali). Per quanto visto in precedenza, in un simile contesto, le onde planetarie riescono a divenire stazionarie e bloccare la normale circolazione zonale con estrema facilità (la lunghezza critica decresce fortemente al diminuire delle velocità zonali medie).
Tale situazione favorevole, che è causa delle più intense e durature ondate di freddo, può protrarsi molto a lungo in seguito ai fenomeni stratosferici più intensi. Difatti a seguito di un forte warming si genera una condizione di disquilibrio sull’intera colonna d’aria: nel tentativo di ripristino dell’equilibrio radiativo (per mancanza della radiazione solare non ancora arrivata sul polo), a partire dall’alta stratosfera inizia rapidamente un processo di raffreddamento. Il raffreddamento dell’aria è accompagnato da movimenti di affondamento, in quanto l’aria più fredda e più densa tende a scendere verso il basso . L’aria più fredda discendente si riscalda per compressione adiabatica, portando le temperature nella medio-bassa stratosfera polare a diverse decine di gradi sopra l’equilibrio radiativo locale, contribuendo a mantenere il medio-basso VP instabile per un lungo periodo di tempo. Tra l’altro, come già spiegato nel precedente articolo, tale meccanismo è strettamente correlato all’incremento dell’attività convettiva equatoriale (rafforzamento della MJO): difatti l’aria discendente nella regione polare, per conservazione della massa, deve essere bilanciato da un flusso d’aria in ascesa sulle zone tropico-equatoriali. La BDC costituisce proprio questa cella circolatoria in cui l’aria tropicale muove verso i poli per sostituire l’aria discendente ai poli”.

Fatta questa doverosa premessa, torniamo al nostro obiettivo iniziale: vogliamo provare a capire quanto potrà riuscire a protrarsi ancora la fase del condizionamento imposto dall’MMW di metà gennaio. A tale scopo facciamo riferimento ancora agli ottimi diagrammi messi a disposizione dal centro Reading:


Temperature


Velocità zonali, Flussi

Da essi si percepisce chiaramente che alle quote medie (intorno ai 30 hPa), la fase di condizionamento sia iniziata intorno al 22-23 gennaio. Questo lo si capisce da tre fattori:

• incremento delle velocità zonali a10 hPa (sintomo dell’inizio della ricostituzione del VPS anche alle quote non elevatissime);

• azzeramento dei vettori Eliassen Palm Flux (ep-flux);

• ma soprattutto l’evidente inversione termica (con le temperature a 30 hPa superiori a quelle ai 10 hPa), segno inequivocabile dell’intensa attività dei moti discendenti da riscaldamento adiabatico tra le alte e le più basse quote.

Ovviamente scendendo di quote la situazione risulta sfalsata di qualche giorno (alle quote troposferiche il condizionamento dovrebbe essersi affermato pienamente intorno alla terza settimana di gennaio, periodo che corrisponde esattamente con l’incipit della dinamica meteo che porterà l’aria artica ad invadere a lungo l’Europa).
Ora, sulla base degli stessi grafici, si vede chiaramente alle 240 ore tale situazione non accenni a cessare (con particolare riferimento sempre alla quota di 30 hPa). Una simile lettura ci consente di dire con buona certezza che, in riferimento alle quote basse, la dinamica da condizionamento post MMW proseguirà a “pieni giri” anche nel lunghissimo termine (potremmo azzardare anche per l’intero mese di febbraio). Ciò vuol dire che potremmo essere ancora molto lontani dalla ricostituzione della canonica circolazione zonale (questo non vuol dire assolutamente che l’Europa non sarà interessata da alcuna fase di matrice occidentale) e che dopo la lunga fase di matrice artica/artica- continentale la partita potrebbe non essere ancora conclusa, con ulteriori occasioni per le nevicate a bassa quota (conferma della dinamica di tipo illustrata e ribadita in diverse occasioni).
Quanto sin qui detto riguarda una tendenza molto generalizzata. Indovinare i movimenti esatti in questa fase risulta più che mai impossibile. A questo proposito, la telefonata di Alessandro (even) mi è servita per confermare a pieno la strada individuata: entrambi concordiamo nel fatto che lo snodo principale si abbia verso le 180 ore e che riguardi ancora una volta le caratteristiche e l’entità dell’onda Pacifica (in realtà con occhio particolarmente attento si nota che lo snodo si presenta già alle 120 ore):

• se l’onda Pacifica riuscisse a presentarsi più estesa e dunque stazionaria sul lato Pacifico, assisteremmo ad una situazione di blocco più duratura, con l’Europa interessata ancora a lungo da una circolazione di stampo antizonale (ovviamente via via più fredda); è questa la prospettiva su cui insiste il centro di calcolo Reading;

• nel caso in cui invece l’onda Pacifica risultasse meno stazionaria e quindi in più rapida traslazione sul settore canadese, assisteremmo ad una maggiore interferenza del getto zonale, con una più rapida cessazione dei movimenti di stampo retrogrado sull’Europa; è questa la visione del modello americano Gfs:

In entrambi i casi l’evoluzione finale vedrebbe quasi sicuramente un cedimento consistente del VPT (fase di massima espressione del post condizionamento) con conseguente discesa/discese artica/che sull’Europa dalle carattere tutte da valutare (in una prima fase certamente di natura più marittima e poi forse più continentale). La differenza principale tra la visione Gfs e quella dl Reading è unica ma fondamentale: nel caso in cui l’onda Pacifica dovesse riuscire a rimanere più stazionaria sul Pacifico, la circolazione di tipo “pseudo-continentale” riuscirebbe a protrarsi molto a lungo delegando la fase nord-atlantica/artica alla terza decade del mese (visione Reading). In questo caso il mese di febbraio potrebbe assumere connotati quasi “storici”. Nell’altro caso invece la “porta dell’est”verrebbe a chiudersi prima (10-15 febbraio) a vantaggio di una circolazione sicuramente più mite ma sempre “fredda” e perturbata. In entrambi i casi, come detto, la situazione potrebbe culminare con un cedimento totale del vortice (movimento da split) che costituirebbe l’atto finale e più eclatante (non è detto nei risvolti) del posto condizionamento da MMW.
Forse per scaramanzia o forse perché la ritengo una cosa esatta e lineare (sebbene non tutti la capiscano) voglio chiudere con la stessa frase della volta scorsa: in questa sede non possiamo che limitarci alla “semplice” illustrazione della possibile dinamica futura, mettendo in evidenza il campo dei varianti più plausibili (sia negative che positive) illustrando le relative cause. Per la valutazione dei parametri esatti (vedi punto 1 e 2) ci penseranno, a tempo debito, i modelli e le loro sofisticate strumentazioni di misura e di calcolo.

 

Riccardo

Confermato l’affondo artico. E per il dopo….???? (even e Riccardo)

Come al solito, per buttare un occhio sul lontano futuro, partiamo dal passato. Ciò ci consentirà di inquadrare meglio la dinamica in atto e dunque quella futura. L’incipit principale parte come sempre dall’onda pacifica, rimasta stazionaria molto a lungo (terza decade di gennaio). Tale situazione ha consentito un accenno di passaggio del getto sul nord America, con conseguente sviluppo di una discreta ondulazione in rotazione sull’atlantico:

Nonostante la fase di innesco non “felicissima” (per via di un asse del VP non ancora del tutto favorevole), l’onda riuscirà ad acquisire un buon grado di stazionarietà in pieno Atlantico, favorendo una discesa artica sull’Europa nella prima decade di Febbraio. Tale circostanza sarà diretta conseguenza del forte “sconquasso atmosferico” indotto dal grande MMW di gennaio: difatti, come evidenziato nel nostro recente articolo, la lunghezza critica Lc  che deve possedere un onda per divenire stazionaria risulta proporzionale alla radice quadrata della velocità media zonale. Ciò vuol dire che nella condizione attuale, che vede le velocità zonali ridotte al minimo su quasi l’intera colonna ed un inversione del gradiente di intensità zonale sino alla quota di 10 hPa, anche un onda non eccessivamente energetica è in grado di bloccare la circolazione zonale per diversi giorni (ovviamente per le spiegazioni tecniche rimando direttamente all’articolo stesso: http://www.meteoforumme.it/forum/analisi-e-previsioni-meteo/facciamo-un-po-di-chiarezza-2-dinamiche-di-interazione-tropo-stratosferiche/).

Tra l’altro, sempre a questo proposito, il temporaneo “smorzamento” della precedente wave 1  (quella che ha consentito l’attivazione dell’onda atlantica) favorirà un ulteriore progressivo innalzamento del getto in Atlantico consentendo alla wave 2 di “incontrare” strati caratterizzati da  velocità zonali via via più basse:

Tale fattore, per quanto detto, non potrà che giocare a favore di una maggiore stazionarietà ed intrusività della stessa onda atlantica.

Lo sviluppo dell’onda atlantica stazionaria con asse decisamente verticale, porterà inevitabilmente alla formazione di una discreta ondulazione anche sul settore russo:

Si tratta della famosa wave 3, che nasce sempre in seguito allo sviluppo dell’onda 2 atlantica (non è un caso che è stata battezzata con il numero “3”). Tale circostanza, come vedremo, potrà avere una valenza importante nella fase successiva.

D’intanto il nuovo passaggio di un esteso lobo del VP sul comparto asiatico, favorirà la nascita di una nuova pulsazione pacifica, che potrebbe tradursi in una nuova wave 1 discretamente stazionaria:

Innesco nuova pulsazione a partire dall’asia

Nuova onda pacifica pienamente formata e discretamente stazionaria sul Pacifico

L’affermazione di questa nuova onda sul Pacifico potrebbe indurre  una nuova spinta dinamica della wave 2, andando a supportare quella dinamica dal carattere “retroattivo” di cui abbiamo parlato tanto sul forum CMT.

In questo caso, le ripercussioni potrebbero risultare diverse: la nuova onda atlantica potrebbe trovare l’aggancio giusto con la wave 3 di cui si è parlato prima, favorendo una circolazione a direttrice nord-est/ sud-ovest sull’Europa:

La situazione potrebbe quindi sfociare con l’apertura del ponte di Weikoff e conseguente circolazione a matrice più continentale sul continente europeo.

È inutile che vi dica che ad oggi si tratta di una semplice linea di tendenza, sulla quale però abbiamo insistito a più riprese con altri “colleghi”. I dubbi sono ancora molteplici, e riguardano diversi aspetti:

1)    grado di stazionarietà della nuova onda Pacifica; è fondamentale infatti che la nuova onda risulti discretamente stazionaria non andando ad invadere eccessivamente il comparto americano. Da tale fattore dipenderà l’importanza della nuova wave 2 in via di formazione (grossomodo) alla fine della prima decade e dunque le sorti dell’intero periodo successivo;

2)    grado di approfondimento della wave 3; nel caso in cui essa non risultasse abbastanza estesa, sarebbe più probabile una nuova discesa a carattere prettamente artico-marittimo;

3)    Dal punto di vista temporale poi le incertezza si moltiplicano ulteriormente. A questo proposito non è da escludere un intermezzo atlantico zonale prima della formazione della giusta dinamica di matrice nord-orientale (fase zonale che potrebbe estendersi anche sino a metà mese).

In particolare in merito al punto (1) ci sarebbe da parlare molto. Per ora ci limitiamo a rimarcare quanto sottolineato più volte con Filippo ed Alessandro in merito ad un asse del VP “leggermente” troppo inclinato dall’inizio di questo inverno, fattore che ci ha privato della possibilità di assistere ad un inverno forse storico. Anche in questo caso si tratta dell’elemento di maggiore incertezza: come detto, un asse del VP troppo inclinato risulterebbe sfavorevole ad una discreta ripartenza dell’onda atlantica, con conseguente eccessiva ingerenza del canadese e ripartenza rapida del flusso zonale atlantico. Tuttavia, a differenza delle circostanze precedenti, possiamo contare sul forte condizionamento indotto dal forte MMW, tema centrale dell’inverno 2012-2013.

In definitiva, in questa sede non possiamo che limitarci alla “semplice” illustrazione della possibile dinamica futura, mettendo in evidenza il campo dei varianti più plausibili  (sia negative che positive) illustrando le relative cause. Per la valutazione dei parametri esatti (vedi punto 1 e 2) ci penseranno, a tempo debito, i modelli e le loro sofisticate strumentazioni di misura e di calcolo.

 

Riccardo

Facciamo un po’ di chiarezza 2: dinamiche di interazione tropo-stratosferiche

Preso atto dello stato generale di confusione che circola in merito alle dinamiche di interazione tropo-stratosferica nella stagione invernale, il nostro lavoro si propone di fare chiarezza gettando così le basi per un ampliamento delle conoscenze sulle dinamiche atmosferiche (in questo senso saranno ben accette eventuali proposte di lavoro da chiunque voglia collaborare).

Per meglio comprendere i meccanismi di propagazione d’onda planetaria è bene soffermarci e fare una breve digressione sulle leggi fisiche che descrivono le principali strutture della circolazione generale dell’atmosfera e chiarire concetti come onda di rossby e bilancio geostrofico.

La principale caratteristica di una particella d’aria nella libera atmosfera, in assenza di attriti/barriere orografiche, è rappresentata dall’avere un moto pressochè orizzontale (moti quasi piani). Questo dipende dal fatto che lo  spessore della colonna d’aria atmosferica, sia in rapporto allo sviluppo longitudinale che verticale della Terra, è molto esiguo e pertanto  la scala orizzontale dei moti è molto più grande della scala verticale. Da ciò scaturisce un’importante conseguenza ovvero che si può assumere una pressione idrostatica anche quando il fluido è in moto e quindi considerare che il gradiente di pressione orizzontale tra due punti non dipende dalla coordinata verticale. Per questa ragione, ed anche per semplificare la restituzione grafica, sulle mappe dei modelli la coordinata verticale viene espressa in coordinate isobariche (come pressione ad una certa quota) piuttosto che in termini di densità.

La causa per la quale il vento soffia sempre parallelamente alle isobare risiede nell’equilibrio geostrofico ovvero l’accelerazione che subisce una particella dovuta al gradiente di pressione tra due punti, che tenderebbe a spostarla sulla retta che li unisce, a causa della rotazione terrestre, la forza di Coriolis, proporzionale alla velocità del corpo in moto, agisce deviando la particella  verso destra senza modificarne la velocità.

 

Forza di Coriolis è pari= 2uΩsinФ

u e’ la velocità della particella di fluido considerata

Ω e’ la velocità angolare della Terra (7.29*10-5 s-1 ),

Ф è la latitudine.

In genere la grandezza [b]2ΩsinФ chiamata parametro di Coriolis viene indicata con la lettera  f.[/b]

La forza di Coriolis e’ massima al polo (Ф = 90°, sin Ф = 1) ed e’ nulla all’equatore (Ф = 0, sinФ =0).

 

La forza di pressione invece è la forza che si manifesta per effetto delle differenze di pressione che esistono nell’ambito di un fluido . La forza di pressione per unita’ di massa si esprime nel modo seguente:

Fp =  – (1/ρ). (D(p)/Dy)

Ρ è la densita del fluido

(D(p)/Dy) è la differenza di pressione tra due punti

La velocità orizzontale per la quale la forza di Coriolis bilancia esattamente la forza orizzontale di pressione, si chiama “vento geostrofico”.

Fc + Fp = 0

ovvero

2uΩsinФ =  -(1/ρ) (Dp/Dy)

[b]u = -(1/ρf) (Dp/Dy)

Da questa equazione si comprende come le velocità zonali sono strettamente legate alle variazioni di pressione e la sua componente, moti quasi piani, è parallela alle isobare.[/b]

Tuttavia la fluidodinamica ci ha sperimentalmente mostrato che i fluidi viscosi in rotazione con indotto  un gradiente termico periferia- centro di rotazione, tendono ad assumere moti ondulatori con spettri di frequenza e gradi di turbolenza dipendenti sia dal gradiente termico, sia dalla velocità angolare di rotazione. Quando a causa di una  simile  perturbazione una particella si porta a più a nord di latitudine accade che in riferimento ad essa il  parametro f di Coriolis, che risulta proporzionale al seno della latitudine, tende ad aumentare. Se f aumenta, affinchè la vorticità assoluta si conservi, deve simultaneamente verificarsi una diminuzione della vorticità relativa. In altre parole la curvatura della linea di corrente diviene anticiclonica. In maniera del tutto simmetrica, se la particella d’aria scende f diminuisce e per compensare detta diminuzione la vorticità relativa deve aumentare facendo divenire ciclonica la linea di corrente. Ciò rende possibile la formazione di un treno di onde in seno alla corrente occidentale, note come onde di Rossby.

Queste onde quindi, per effetto della variazione del gradiente termico tendono ad assumere un pattern ondulatorio. Se poi introduciamo elementi perturbatori come imponenti catene montuose trasversali alla circolazione zonale ed il continuo alternarsi di terre ed oceani, allora si può intuire come queste oscillazioni possano essere più facilmente promosse e dunque influenzare in modo importante ampie zone della superficie terrestre. Sono infatti le oscillazioni del getto connesse alle onde di Rossby che consentono all’aria polare di scendere di latitudine provocando quindi un globale trasferimento di energia dalle basse alle alte latitudini.

Arrivati a questo punto è importante focalizzare l’attenzione su alcuni aspetti fondamentali:

1)            per quanto detto, l’attività e l’importanza delle onde di Rossby tende ad aumentare con l’incremento degli elementi perturbatori in grado di innescarle. A questo proposito nell’emisfero settentrionale, in virtù della particolare dislocazione delle terre emerse e del gran numero di importanti catene montuose, è molto più frequente la formazione di grosse onde in grado di veicolare ingenti masse d’aria polare verso sud.

2)            le onde più energetiche responsabili delle discese polari più importanti e durature sono quelle stazionarie. Esse infatti, proprio in virtù della loro stazionarietà, riescono a bloccare per lungo tempo la normale circolazione westerly, favorendo movimenti meridiani o retrogradi delle masse d’aria di origine polare.

3)            le onde, per ragioni legate alla conservazione della quantità di massa, possono divenire stazionarie solo al di sopra degli oceani. Per questa ragione le onde principali sono l’onda pacifica (wave 1) e l’onda atlantica (wave 2).

I movimenti iniziali che portano ad un deciso disturbo del Vortice Polare (VP), sono legati sempre ai fenomeni di propagazione dell’onda planetaria più importante, ovvero l’onda asiatico-pacifica (wave 1). La genesi dell’onda nonché le cause che influenzano la sua attività sono state già ampiamente discusse nel  nostro precedente articolo:

http://www.meteoforumme.it/forum/analisi-e-previsioni-meteo/facciamo-un-po-di-chiarezza/

Quando si sviluppa un onda stazionaria sul pacifico (PNA+), il getto  tende ad invadere il comparto americano impattando le montagne rocciose: tale dinamica innesca una un ondulazione nel getto, che in “alcuni frangenti” nella successiva rotazione può divenire stazionaria sul comparto atlantico (NAO-), bloccando la normale circolazione zonale ed innescando una discesa d’aria polare sull’Europa. È chiaro quindi che per poter interpretare con tali movimenti, bisogna aver compreso il concetto di stazionarietà dell’onda.

A tale scopo partiamo da una formula ben nota in letteratura che consente di ricavare la lunghezza delle onde stazionarie a partire dal valore della velocità media zonale U:

V = U – K•L2                                        (1)

dove:

             V è la velocità con cui l’onda tende a traslare seguendo la normale circolazione westerly;

             U è la componente media verso ovest delle correnti occidentali (flusso zonale);

             K è il parametro di Rossby determinato dalla  seguente relazione:.

K = (ω•cosf)•(1/2•p•R2)                  (2)

In cui w è   la velocità angolare della terra (pari a 7,2685•10-5rad/s),  R = 6480 Km è il raggio terrestre e f la  latitudine  di riferimento per la quale si vuole effettuare il calcolo.

Dalla (1) si può facilmente constatare che, a parità di U, la velocità V di traslazione delle onde di Rossby decresce fortemente al crescere della loro lunghezza d’onda  e che quindi le onde corte sono più veloci di quelle lunghe. Le onde stazionarie, come dice la parola stessa, si hanno se la velocità di propagazione V è nulla (V = 0). Imponendo tale condizione  ed invertendo la formula,  si riconosce che un’onda è stazionaria se la lunghezza d’onda L assume il valore critico (lunghezza critica) dato da:

Lc = (U/K)½                                            (3)

 

Da questa si vede chiaramente che all’aumentare della velocità zonale media U aumenta la lunghezza e  dunque il livello di energia che l’onda deve possedere per risultare stazionaria.Il meccanismo di propagazione d’onda non è bidimensionale in quanto le onde si propagano sempre anche sulla verticale. Poiché durante l’inverno la struttura del Vortice Polare (VP), caratterizzata da un gradiente termico negativo e da una circolazione westerly più intensa alle quote progressivamente maggiori, si estende sino in prossimità della stratopausa, le onde più energetiche si propagano sino in alta stratosfera. Poiché come visto, le onde più energetiche sono anche le più lunghe, la propagazione verticale è strettamente correlata alla lunghezza e al numero di onde in azione (wavenumber): all’aumentare di tale parametro diminuisce infatti la media delle onde e dunque la loro capacità di divenire stazionarie e propagarsi ai livelli superiori dell’atmosfera. Viceversa, poiché la lunghezza critica dell’onda stazionaria Lc è proporzionale all’intensità  U delle correnti zonali (vedi formula 3), affinchè un onda più corta (e dunque meno energetica) riesca  a propagarsi verticalmente le velocità zonali devono essere mediamente più basse (e quindi diminuisce la velocità critica di propagazione Uc). Da ciò si capisce che il wavenamber è una mera conseguenza che descrive semplicemente il livello di disturbo che il vortice subisce e che dipende dall’attuale livello energetico delle onde e dall’intensità delle correnti zonali stesse.

Fissati questi concetti di base, possiamo andare oltre introducendo il ben noto fenomeno dello stratwarming. L’obiettivo è quello di capire la reale genesi di questo affascinante fenomeno nonché la sua reale capacità di condizionare le dinamiche atmosferiche.

Gli stratwarming altro non sono che improvvisi riscaldamenti stratosferici conseguenti ai meccanismi di propagazione ed infrangimento delle onde planetarie. Quando un’onda planetaria raggiunge la stratosfera, deposita il suo momento esterly, decelerando la corrente a getto stratosferica invernale che come detto è westerly: la deposizione di quantità di moto est nella stratosfera polare (“breaking wave”), produce per attrito l’improvviso fenomeno del riscaldamento. Da ciò si deduce che in nessun caso lo stratwarming è un fenomeno a se stante in grado di favorire episodi di gelo alle medie latitudini, ma una semplice conseguenza dell’azione intrusiva delle onde planetarie nel vortice polare invernale. Al contrario si può certamente asserire che il verificarsi degli stratwarming costituisce un passo fondamentale per le sorti dell’inverno europeo, con riferimento soprattutto alla fase più importante della stagione invernale (da metà gennaio in poi).Cerchiamo di capire insieme il perché di questa affermazione.

Durante la stagione autunnale, a causa della scomparsa della radiazione solare sul polo, anche in stratosfera tende ad invertirsi il gradiente termico e ad  instaurarsi quindi una circolazione di tipo westerly, con conseguente formazione del Vortice Polare Stratosferico. In questa fase, molto delicata, si verifica quasi sempre un certo disaccoppiamento (tale fenomeno molto importante sarà oggetto di future trattazioni) tra circolazione troposferica e circolazione stratosferica, in quanto i disturbi (che hanno origine in troposfera) non possono propagarsi sino alle quote superiori. All’inizio della stagione invernale il VP si presenta come una struttura unica, che si estende dalla troposfera sino al limite superiore della stratosfera (anche se può permanere una certa disomogeneità nelle caratteristiche fisico-termidinamiche tra le varie “sezioni” verticali). In questa fase il Vortice, soprattutto nella sua porzione medio alta,  tende ad approfondirsi raggiungendo l’apice della sua intensità. Contemporaneamente però, a partire dal comparto asiatico (hp siberiano e catena dell’Himalaya), cominciano a partire i primi disturbi che si traducono nella formazione delle prime onde ad alto livello energetico.

Queste, in un contesto  di velocità zonali molto elevate ed in via di approfondimento, non possiedono le caratteristiche (lunghezza ed energia) tali da consentire una completa  propagazione sino alle quote più elevate. Pertanto tali onde, non avendo i requisiti di stazionarietà, tendono ad infrangersi  rapidamente alle quote medio-basse e ad essere traslate molto velocemente sul settore canadese, generando i primi Canadian Warming (CW) della stagione.  Tale fenomeno si traduce successivamente in una fase DA+ che comporta un rafforzamento del getto in atlantico ed una nuova migrazione dei centri di vorticità  verso  l’Eurasia.

Il nuovo e più forte  impatto del getto (per conservazione del momento angolare) con il continente asiatico porta alla formazione di una nuova onda Pacifica, più energetica della precedente. A tal proposito il livello energetico di un onda è “proporzionale” alla veemenza con  cui il getto impatta l’elemento perturbante all’atto della sua formazione (è ovvio che in questo senso gioca un ruolo fondamentale l’estensione dello snow cover/hp siberiano da cui il famoso predictor di Cohen) .Detta dinamica si conclude quando riesce finalmente ad innescarsi un onda altamente energetica in grado di presentarsi stazionaria sul Pacifico ad ogni livello isobarico:  tale circostanza produce un riscaldamento stratosferico che in alcuni casi può raggiungere anche notevole intensità a partire dalle quote più elevate (MMW). A prescindere dalle rare ripercussioni dirette ed istantanee della dinamica che porta a detto riscaldamento (si parla di ripercussioni della dinamica e non del riscaldamento in quanto anch’esso è una mera conseguenza), essa segna sempre un passaggio fondamentale per le sorti della fase successiva della stagione. Si parla in questo caso di condizionamento da Major Warming, che nei casi più eclatanti può durare per un periodo molto lungo. Per avere un quadro completo sulla funzione degli MMW, occorre quindi analizzare nel dettaglio questi due fattori:

 

1)            genesi ed eventuali ripercussioni immediate degli MMW;

2)            condizionamento da  post-MMW.

 

1) Genesi ed eventuali ripercussioni immediate degli MMW

È ovvio che solo nei casi di MMW di tipo split si può parlare di eventuali ripercussioni sul comparto europeo. Tuttavia anche nei casi di riscaldamenti stratosferici molto intensi di tipo split, risulta molto difficile un interessamento diretto dell’Europa. Cerchiamo di capire il perché di questa affermazione. Come detto le eventuali ripercussioni “dirette” degli MMW sul continente Europeo dipendono solo ed esclusivamente dalla particolare tipologia della dinamica che innesca il riscaldamento stratosferico  stesso. Senza entrare troppo nel dettaglio, quando si hanno  particolari condizioni iniziali (si rimanda al precedente articolo), la wave 1 si presenta da subito altamente energetica ed in grado di assumere caratteristiche di forte stazionarietà nonostante l’elevata intensità delle velocità zonali.Tralasciando qualsiasi discorso in merito alle cause (già ampiamente discusse), quello si vuole sottolineare, è il grado di eccezionalità dell’evento in esame. Difatti per assumere carattere stazionario a tutte le quote in concomitanza del solstizio d’inverno (momento della stagione in cui le velocità zonali raggiungono mediamente la loro massima intensità), l’onda deve risultare altamente energetica e raggiungere dimensioni considerevoli. Per avere un idea di quanto stiamo dicendo facciamo un esempio pratico, prendendo in esame proprio l’evento stratosferico di quest’anno.

Assumiamo come riferimento il 4 gennaio 2013 (la scelta è stata obbligata dal materiale a disposizione, in quanto sarebbe stato più opportuno riferirsi a qualche giorno prima). Dal grafico Reading possiamo agevolmente risalire all’entità delle correnti zonali medie riferite ad una latitudine di 60° e ad una quota di 10hPa:

A partire da questo valore della velocità zonale (U=19.2 m/s), sfruttando la precedente relazione sulla stazionarietà dell’onda (3), possiamo ricavare la lunghezza che l’onda pacifica doveva possedere per risultare stazionaria alla quota di 10 hPa. Infatti sapendo che per la latitudine di riferimento f=60°  il parametro K di Rossby  vale 2,841•10-10 km•s, con un rapido calcolo si ricava una lunghezza d’onda L pari a ben 8224 Km. Ed ecco l’immagine che ritrae l’onda dalla quale è stato possibile verificare, dopo essere stata opportunamente scalata, la correttezza del nostro calcolo:

In questo modo appare in maniera molto chiara il livello di eccezionalità di un simile fenomeno. In un contesto di velocità zonali ancora molto elevato, l’onda, per riuscire a propagarsi sino alle quote superiori e risultare dunque stazionaria, raggiungere alle quote più elevate lunghezza importantissime (ricordiamo che le velocità zonali, per riduzione della viscosità dell’aria, aumentano all’aumentare dell’altitudine).

Ora è di fondamentale importanza sottolineare che proprio una notevole  lunghezza dell’onda  pacifica (wave 1) costituisce la genesi di un evento di tipo MMW split. Difatti, come testimoniano gli stessi vettori ep-flux,  un onda estremamente lunga impiega svariati giorni prima di iniziare a divenire convergente sul polo ed il tempo che intercorre dal momento della sua formazione sino alla sua completa intrusione risulta molto esteso. Mano mano che l’onda tende a divenire intrusiva le velocità zonali diminuiscono (per fenomeni di attrito da cui si sviluppa il calore) e l’onda stessa tende a divenire più corta.  Durante questo lungo periodo il Vortice tende progressivamente a disporsi in assetto ellittico, portando alla conseguente attivazione e propagazione dell’onda atlantica, che si genera proprio dall’ “impatto” del getto con il continente americano (montagne rocciose in particolare). Tuttavia in questa fase, poiché le velocità zonali (soprattutto alle quote medio-basse) risultano ancora molto elevate, anche l’onda atlantica per divenire ben stazionaria (presupposto fondamentale per assistere ad una lunga fase  antizonale sull’Europa),  deve risultare altamente energetica e raggiungere notevole lunghezza. Pertanto se l’asse iniziale (all’atto dell’innesco della wave 2) del basso VP risultasse anche di poco sfavorevole, l’onda atlantica non riuscirebbe ad acquisire quell’elevato  livello di energia necessario per raggiungere la completa stazionarietà in un simile contesto, ed il flusso zonale atlantico riuscirebbe a ripartire “abbastanza” rapidamente.

Da ciò scaturisce l’elevatissimo periodo di ritorno (bassissima probabilità) di un evento gelido in concomitanza di un MMW: già di per se l’MMW split è un evento molto raro (la formazione di un’onda pacifica di quella portata nella primissima fase dell’inverno non è cosa da tutti i giorni) e la probabilità che in contemporanea si inneschi una lunga fase antizonale in troposfera (legata come visto al carattere della wave 2) scende ancora di molto.

Studiando invece la  dinamica che porta ad eventi di tipo MMW displacement, si capisce chiaramente come questa  in nessun caso  possa portare a ripercussioni immediate sull’Europa. Anche in questo l’evento è conseguenza diretta dell’innesco di una wave 1 altamente energetica. La differenza principale risiede nella tempistica e nella “fase preparativa” all’evento stesso:  quando l’onda si sviluppa in una fase più avanzata della stagione in un contesto di velocità zonali più ridotte (il VP è stato già disturbato da più Canadian Warming  e/o  Upper warming), la wave 1 stazionaria presenta un’estensione (lunghezza) decisamente più ridotta rispetto al caso precedente. Per tale ragione essa tende a divenire convergente in maniera molto più rapida, non permettendo la propagazione dell’opposta onda atlantica. In questo caso l’antizonalità rimane confinata solo alle quote medio alte, dove l’onda ha una maggiore estensione ed è in grado di invertire da sola la circolazione westerly del vortice. 

Da tutto questo si capisce come non esiste alcuna propagazione di calore e circolazione esterliess dall’alto verso dal basso in quanto si parla solo di un preciso meccanismo legato alle dinamiche di propagazione e successivo infrangimento d’onda.

 

2) Condizionamento da post MMW

Le conseguenze dei riscaldamenti stratosferici (in particolare MMW) si hanno nella fase successiva all’evento stesso. Tale fenomeno, noto come condizionamento da Eses warm, può arrivare ad assumere caratteristiche di eccezionalità nei casi più eclatanti.

Cerchiamo di capire insieme il perché di questa fenomenologia che è alla base della ben nota legge statistica di D&B. In seguito all’avvento di un forte disturbo stratosferico il vortice polare si presenta fortemente destabilizzato a partire dalle quote medio alte (abbattimento delle velocità zonali). Per quanto visto in precedenza, in un simile contesto, le onde planetarie riescono a propagarsi e a divenire stazionarie con estrema facilità (la lunghezza critica decresce fortemente al diminuire delle velocità zonali medie).

Tale situazione favorevole, che è causa delle più intense e durature ondate di freddo, può protrarsi molto a lungo in seguito ai fenomeni stratosferici più intensi. Difatti a seguito di un forte warming si genera una condizione di disquilibrio sull’intera colonna d’aria: nel tentativo di ripristino dell’equilibrio radiativo (per mancanza della radiazione solare non ancora arrivata sul polo), a partire dall’alta stratosfera inizia rapidamente un processo di raffreddamento. Il raffreddamento dell’aria è accompagnato da movimenti di affondamento, in quanto l’aria più fredda e più densa tende a scendere verso il basso . L’aria più fredda discendente si riscalda per compressione adiabatica, portando le temperature nella medio-bassa stratosfera polare a diverse decine di gradi sopra l’equilibrio radiativo locale, contribuendo a mantenere il medio-basso VP instabile per un lungo periodo di tempo. Tra l’altro, come già spiegato nel precedente articolo, tale meccanismo è strettamente correlato all’incremento dell’attività convettiva equatoriale (rafforzamento della MJO):  difatti l’aria discendente nella regione polare, per conservazione della massa, deve  essere bilanciato da un flusso d’aria in ascesa sulle zone tropico-equatoriali. La BDC costituisce proprio questa cella circolatoria  in cui l’aria tropicale muove verso i poli per sostituire l’aria discendente ai poli.

Pertanto a riguardo si conclude dicendo che i warming non sono nient’altro che il risultato più estremo dell’attività delle onde planetarie che, a differenza di quanto accade nell’emisfero australe, riescono a rallentare ed in alcuni casi a bloccare la forte circolazione westerliess del vp (che riccordiamo estendersi in inverno fino all’alta stratosfera), consentendo così lo sviluppo di imponenti blocchi antizonali nella successiva fase più importante dell’inverno (metà gennaio in poi).

La trattazione sin qui svolta può trovare un buon riscontro con la situazione attuale (e futura). Difatti in un contesto di velocità zonali molto basse sull’intera colonna (fattore indotto dall’importante dinamica atmosferica di gennaio), l’onda atlantica potrà facilmente propagarsi ed assumere carattere di discreta stazionarietà  (nonostante una lunghezza non eccessiva) comportando , con estrema facilità, un lungo blocco della circolazione zonale sul settore atlantico, con conseguente fase artica sull’Europa dalle caratteristiche retroattive.

Basse velocità zonali per il forte condizionamento post-MMW

Dinamica attuale: innesco della wave 2 in seguito alla stazionarietà dell’onda pacifica

 

Riccardo, Alessandro (even), Cloover

Facciamo un po di Chiarezza…(Analisi Scientifica by Even&Riccardo)

Vi sarete accorti, in questi giorni di fermento, che negli “ambienti” della  meteo se  ne stanno vedendo di tutti i colori: sfoghi da frustrazione collettiva, maledizioni contro gli stratwarming, gente che si accapiglia per stabilire la tipologia esatta del warming. In questo stato di confusione noi crediamo che si stia perdendo un poco il bandolo della matassa: per capire ed inquadrare meglio l’evoluzione futura è molto più importante comprendere le reali dinamiche  ed i fenomeni che sono alla base di un evento “straordinario” come un MMW.
Iniziamo con il chiarire che i riscaldamenti stratosferici, ed in generale movimenti che portano ad un deciso disturbo del Vortice Polare (VP), sono legati sempre ai fenomeni di propagazione dell’onda planetaria più importante, ovvero l’onda asiatico-pacifica (wave 1). Pertanto, per comprendere a priori le potenzialità di un inverno, basta ricercare le cause che potranno favorire una buona azione della wave 1. Tralasciando i fattori sempre presenti (come ad esempio la catena montuosa dell’Himalaya) i principali fattori variabili da anno in anno che sono maggiormente in grado di guidare l’azione dell’onda sono:
1)   estensione dello snow-cover in area asiatico-siberiana: è risaputo che una copertura nevosa molto estesa su questo settore favorisce la formazione di un forte e persistente anticiclone a carattere termico. La sua presenza costituisce un ulteriore e fondamentale elemento di disturbo nei confronti del getto polare che viene portato così ad oscillare. In particolari condizioni tale oscillazione può arrivare ad approfondirsi portando alla formazione di onde planetarie in grado di propagarsi in alta stratosfera. Se l’onda poi è sufficientemente lunga tale da essere stazionaria, essa tende a stazionare a lungo sul Pacifico, comportando il rafforzamento dell’anticiclone stratosferico delle aleutine (PNA +):

Tale circostanza spiega il perché della straordinaria validità del predictor di Cohen.
I fattori che più di tutti sono in grado di modulare il precoce innevamento in area siberiana sono il ciclo ENSO e l’attività solare (vedi predictor AO sviluppato da even nel 2007) . In particolare, come dimostreremo meglio in futuro, è proprio su questo elemento che si basa la forte interazione tra bassa attività solare e clima più rigido in Europa negli anni di prolungata bassa attività solare (vedi PEG).

2)   attività solare e QBO;  l’oscillazione dell’attività solare (raggi UV), intervenendo sul  processo di produzione dell’ozono stratosferico sulle regioni tropo-equatoriali,  è in grado di alterare il regolare processo della SAO (semi-annual-oscillation),andando a modulare  il regime dei venti zonali nell’alta stratosfera-mesosfera tropicale. In particolare negli anni di bassa attività solare si registra un indebolimento della SAO, apportando delle ripercussioni sull’intera colonna d’aria:  negli anni di QBO negativa l’anomalo indebolimento della SAO tende a rafforzare e a prolungare il regime esterly della QBO (QBO negativa). Tale circostanza aiuta ad avere un medio-basso VPS mediamente meno intenso soprattutto nella prima parte dell’inverno, quando il normale processo di raffreddamento radiativo tende ad approfondire maggiormente il vortice. Tutto ciò si traduce in una riduzione dello wavenumber e dunque  in una maggiore possibilità di un approfondimento della wave 1, anche nelle primissime fasi della stagione;

All’inizio di ogni stagione invernale, contemporaneamente all’approfondimento  delle velocità zonali stratosferiche,  si sviluppano, proprio in territorio asiatico, le prime onde in grado di apportare i primi disturbi ai danni del VP. Tale circostanza, che impedisce al VP stesso di raggiungere eccessiva intensità, è strettamente correlata alla peculiare conformazione dell’emisfero boreale. In questa fase le onde non hanno caratteristiche tali da risultare stazionarie, e la situazione evolve in una loro rapida traslazione verso il settore canadese, generando i primi CW. Si tratta di un processo fisiologico che porta ad un progressivo indebolimento del VP e che può sfociare, in una fase più avanzata, in un deciso warming stratosferico. Negli anni più sfavorevoli (a livello teleconnettivo), tale processo richiede tempi molto lunghi e risulta pertanto  inevitabile la transizione in uno stato da NAM++.
Al contrario, quando si verificano le circostanze sopra citate (vedi punti 1 e 2),  già a fine novembre-inizio dicembre tende ad instaurarsi un’anomala (visto il periodo) wave 1 che porta ad un evoluzione  invernale molto diversa e ben più dinamica.  Nel cuore della PEG, quando simili configurazioni erano all’ordine del giorno,  inverni dinamici ed in molti casi gelidi si presentavano con estrema frequenza (da qui si capisce il vero significato della PEG).
Per non dilungarci eccessivamente e non perdere troppo di vista la situazione attuale, concentriamoci sulle dinamiche relative alla stagione in corso. Proprio all’inizio dell’inverno (fine novembre), in virtù di uno snow cover straordinariamente esteso, la wave 1 si è presentata da subito particolarmente energetica e discretamente stazionaria, producendo una spiccata ellitticizzazione del VP con precoce tentativo di split.

Tale circostanza, in considerazione di un quadro generale che vedeva delle velocità zonali discretamente elevate (vedi dinamica di isolamento dell’alto VPS ad inizio novembre), ha portato alla formazione di una fortissima fase DA+, gettando così le base per l’MMW che ci apprestiamo a vivere in questi giorni. Difatti, il VP, al tentativo di bilanciare il momento angolare impressogli dall’intensa fase AD+ , si è trovato ad essere spostato sull’area asiatica dove è stato costretto ad abbassarsi di molto di latitudine, impattando veementemente sul forte hp siberiano e sulla catena dell’Himalaya. Da qui è iniziata la dissipazione di energia cinetica (velocità zonali) in energia termica (attriti) con lo sviluppo di flussi via via sempre più intensi e duraturi in stratosfera.

La conseguenza diretta consiste naturalmente nello sviluppo di una poderosa onda planetaria a partire dal settore asiatico ed  in grado di divenire rapidamente stazionaria sul Pacifico (vedi prima immagine).   A livello “indiciale” detta situazione è ben testimoniata da alcuni fattori strettamente correlati con la dinamica di propagazione ed infrangimento della poderosa wave 1:

1)   inversione e rapido approfondimento della circolazione esterly nell’ambito della mesosfera equatoriale;

2)   approfondimento della MJO sui settori pacifici (zone 6 e 7).

Il grado di approfondimento dell’onda di Kelvin su tali settori è infatti strettamente correlata alla stazionarietà dell’onda pacifica (wave 1) attraverso una famosa circolazione meridiana nota come BDC (Brewer-Dobson-Circulation). Difatti,  quando un’onda stazionaria planetaria raggiunge la stratosfera, deposita il suo momento esterly, decelerando la corrente a getto stratosferica invernale che è westerly.  In queste occasioni il vortice polare rallenta e può anche essere spostato o splittato. La deposizione di quantità di moto est nella stratosfera polare e il rallentamento del getto polare è conosciuto come “breaking wave”. Tale circostanza produce per attrito il fenomeno del riscaldamento stratosferico improvviso. Il risultato è una situazione che è termodinamicamente squilibrata. A questo punto, per ripristinare l’equilibrio radiativo, a partire dall’alta stratosfera inizia rapidamente un processo di raffreddamento. Il raffreddamento dell’aria è accompagnata da movimenti di affondamento, dal momento che l’aria più fredda è più densa e affonda. E’ questo movimento che determina lo spostamento d’aria lungo i meridiani dall’equatore al polo nell’emisfero boreale in inverno. Infatti l’aria discendente nella regione polare deve essere bilanciato da un flusso di aria verso verso i poli.
Per requisiti di continuità di massa, questa aria deve venire dai tropici, e precisamente dalla troposfera tropo-equatoriale.  La BDC costituisce dunque quella cella circolazione in cui l’aria tropicale muove verso i poli per sostituire l’aria discendente ai poli. Pertanto, quando una wave 1 stazionaria penetra nella stratosfera polare depositando il suo momento esterly (e producendo un grande warming per attrito), per continuità di massa si ha una forte  impennata  della BDC con conseguente istantaneo incremento della quantità di aria entrante in  stratosfera attraverso la tropopausa equatoriale (di qui il famoso innalzamento della stessa ed aumento dlla quantità di ozono sul polo). L’improvvisa intensificazione di detti  movimenti ascendenti ai tropici portano ad un significativo incremento dell’attività convettiva sui settori centro-occidentali del pacifico, segnalata dal passaggio forte e duraturo della MJO in zona 6 e 7 e da un’ intensificazione della GWO.

Questo fenomenologia spiega due fatti fondamentali e che in pochissimi conoscono:

1)   per i requisiti di continuità di massa le wave stazionarie  in grado di propagarsi in stratosfera sono localizzate sopra i due oceani maggiori. In particolar modo la wave numero 1  (anticiclone stratosferico delle aleutine) è ovviamente collocata sull’oceano maggiore;

2)   negli inverni in cui si manifestano condizioni favorevoli allo sviluppo della wave 1 sul Pacifico è particolarmente favorita la convezione sui settori centro-occidentali. E’ per questo che in questi inverni (che coincidono quasi sempre ad inverni particolarmente freddi e/o nevosi sull’Europa) sul Pacifico si riscontrano condizioni di Nino ovest/Nina est based.
E’ ben noto infatti come l’attività della MJO riesca a modificare il termoclino del pacifico ed in letteratura proprio per tutte queste ragioni viene chiamata guida d’onda. In estate invece, quando al posto del Vortice Polare abbiamo un Anticiclone Stratosferico, la sua attività risulta molto ridotta o praticamente assente in quanto non vi può essere deposito di momento esterliess nella circolazione estiva poichè anch’essa è antizonale: ragione per la quale la BDC nella stagione estiva è notevolmente più debole.

Tornando nuovamente all’attualità, la formazione di una potente onda stazionaria sul Pacifico (la cui storia parte da almeno metà dicembre), sarà segnalata da un impennata della MJO proprio sopra i suddetti settori in seguito  al riassorbimento del warming alle quote superiori (che inizierà proprio a partire dal Pacifico):

Come nella presente situazione, quando un onda pacifica altamente stazionaria riesce a propagarsi nella prima fase dell’inverno (per via della situazione teleconnetiva di partenza;vedi punti 1 e 2 iniziali) e quindi in un contesto di velocità zonali relativamente alte, la dinamica può facilmente sfociare in uno split (l’onda non riesce e ad “annullare” rapidamente il vortice da sola e deve ricevere l’aiuto dall’opposta onda atlantica). Ribadiamo che si tratta di una situazione molto conforme a quella attuale (ed è per questo che siamo riusciti a prevedere lo split con tanto anticipo). Tuttavia l’asse iniziale del basso VP eccessivamente inclinato (GPT ancora troppo elevati sul comparto canadese a causa della precedente forte fase DA+), non potrà favorire una tempestiva partenza della wave 2 e l’MMW alle alte quote sarà quasi interamente a carico della sola wave 1 (per questo si è parlato in questi giorni di MMW displacement anzichè split).

Ma la dinamica non avrà molto a che vedere con  un displacemnt. Infatti, in virtù di un contesto che vedrà le velocità zonali ancora troppo elevate per consentire il completo spostamento ed annullamento del vortice a carico della sola onda pacifica, il VP tenderà ad assumere una configurazione sempre più ellittica, con conseguente progressiva propagazione ed espansione della wave 2. Tale dinamica potrà favorire una prima discesa a carattere artico-continentale (visto l’asse del VP ancora obliquo) sull’Europa, la cui esatta traiettoria sarà tutta da valutare.
Nella fase successiva, la completa propagazione della wave 2, insieme ad una wave 1 ancora fortemente stazionaria, indurrà una progressiva leggera rotazione d’asse del VP in senso orario. Al termine di questa fase il VP si troverà finalmente in asse per essere splittato:

Lo split non sarà ovviamente accompagnato da un forte riscaldamento stratosferico viste le velocità zonali ormai fortemente ridotte (con conseguente scarsa produzione di calore per attrito all’atto dell’infrangimento d’onda). Pertanto, sebbene per i detentori degli almanacchi meteo non si tratterà di un MMW split, per quanto sin quì detto, la dinamica è praticamente quella da split.
A livello troposferico, questa fase potrebbe essere accompagnata da una nuova discesa fredda . A questo proposito sarà importante monitorare l’esatta direttrice della colata in quanto essa potrebbe risultare troppo occidentale. In definitiva, a prescindere dell’esatta terminologia (che poco ci interessa),  possiamo dire che abbiamo a che fare con una dinamica interessante dal carattere retroattivo e dunque in grado di apportare condizioni di freddo duraturo  sull’Europa.

 

N.B.
Questa mattina Alessandro (even), sul sito “Centro Meteo Toscana” ha deciso di sostituire la parte finale dell’articolo con il commento che ho rilasciato ieri sera. Pertanto, al fine di non avere diverse versioni dello stesso pezzo, faccio anche qui su NIA la stessa cosa. Ci tengo però a ribadire che si tratta degli stessi concetti che discutemmo a suo tempo con Alessandro espressi semplicemente con un linguaggio meno tecnico.

 

Riccardo e Alessandro (even)