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Sorpresa: i ghiacciai veneti crescono in estensione

Un’indagine di una società privata che contraddice le teorie sull’effetto serra e sul riscaldamento globale. Ma il dato riguarda solo le superifici, non i volumi

Il ghiacciaio della Marmolada

BELLUNO. I ghiacciai delle Dolomiti venete sono aumentati in estensione, dal 2009 al 2014, di oltre 100 ettari. Sono i risultati emersi dal telerilevamento aereo effettuato dalla società Helica di Amaro sui ghiacciai dolomitici, per incarico dell’Arpa Veneto, del Dipartimento regionale per la Sicurezza del Territorio e del Centro Valanghe di Arabba.

Il rilievo è stato eseguito lo scorso settembre dall’azienda carnica con tecnica «Lidar» (Light Detection and Ranging), in grado di produrre analisi tridimensionali utili alla determinazione dei bilanci di massa, delle variazioni delle fronti e dei mutamenti areali dei ghiacciai. Per ora sono noti i dati relativi alle estensioni, e non per volumi.

I risultati del monitoraggio saranno integrati nel catasto ghiacciai sovraregionale, istituito nell’ambito delle attività del progetto «3PClim», Past, Present and Perspective Climate of Tirol, Südtirol-Alto Adige and Veneto (programma Interreg IV Italia-Austria) che per lo studio e il monitoraggio dei ghiacciai vedono il Centro Valanghe di Arabba ricoprire il ruolo di Lead Partner. Christian Peloso, manager di Helica, si dice «soddisfatto della valenza dei dati raccolti per Arpa Veneto, i cui risultati tracciano per così dire la nuova ‘mappà del catasto dei ghiacciai ed evidenziano come, almeno a livello locale, ci sia una cambiamento nei tendenziali climatici».

 

Fonte : http://corrierealpi.gelocal.it/belluno/cronaca/2015/02/19/news/sorpresa-crescono-i-ghiacciai-veneti-in-estensione-1.10897365

Bilancio di massa 2013/14: un po’ di tregua per i ghiacciai valdostani

L’andamento stagionale dei ghiacciai monitorati in Valle d’Aosta non ha mostrato grosse perdite in termini di fusione di neve e ghiaccio nel periodo 2013/14: si tratta però, almeno per ora, di un anno isolato all’interno di un trend di forti perdite che ha caratterizzato l’ultimo periodo

Sono stati recentemente pubblicati i risultati delle campagne glaciologiche condotte nella stagione 2013/14 sul territorio valdostano da parte di ARPA Valle d’Aosta, Fondazione Montagna sicura e Parco Nazione Gran Paradiso, con il coordinamento della struttura organizzativa attività geologiche dell’assessorato regionale alla difesa del suolo.

I risultati delle osservazioni e misure effettuate sui ghiacciai valdostani nel 2014 sono stati analizzati e sintetizzati nel corso della riunione annuale, tenutasi nel mesi di dicembre, della Cabina di Regia dei Ghiacciai Valdostani, cellula di coordinamento tra tutti gli enti che si occupano a vario titolo dei ghiacciai del territorio regionale. La riunione è stata anche occasione per definire le sinergie da attivare per la programmazione e l’effettuazione delle attività glaciologiche.

“Tra le misure effettuate – illustra una nota dell’Assessorato – quella che meglio riflette l’andamento stagionale ed i suoi effetti sui ghiacciai è il bilancio di massa. Questa misura esprime, nell’arco di un anno idrologico (ottobre-ottobre), la differenza tra gli accumuli che un ghiacciaio riceve in termini di precipitazioni nevose e le perdite in termini di fusione di neve e ghiaccio.
Il bilancio si calcola a partire da almeno due misure annuali, rispettivamente effettuate in tarda primavera-inizio estate e inizio autunno. Viene di solito espresso in termini di mm di equivalente in acqua (Water Equivalent – w. eq), immaginando cioè gli accumuli e le perdite come distribuiti in una “tavola d’acqua” su tutta la superficie del ghiacciaio. In Valle d’Aosta vengono effettuati bilanci di massa su alcuni ghiacciai, distribuiti nei diversi gruppi montuosi, a cura di ARPA Valle d’Aosta, Fondazione Montagna sicura e Parco Nazionale Gran Paradiso; di seguito si riportano i risultati della campagne svolte su alcuni ghiacciai rappresentativi.

Per quanto riguarda il Ghiacciaio di Timorion, piccolo ghiacciaio (circa 0,5 Kmq) collocato fra 3.100 e 3.450 m di quota lungo lo spartiacque fra la Valsavarenche e la Valnontey nel gruppo del Gran Paradiso, le misure del 6 giugno hanno evidenziato un accumulo pari a 984 mm di acqua equivalente determinato da un manto nevoso con spessore medio di 250 cm e densità variabili fra 374 e 410 kg/mc. La fusione del ghiaccio (ablazione) complessiva (2 ottobre 2014) è stata pari a 1.140 mm di w.eq. di cui poco più del 20% (256 mm w.eq.) è legato alla fusione di ghiaccio nel settore frontale del ghiacciaio, mentre la restante parte è costituita dalla fusione nivale. Il bilancio netto specifico si attesta quindi sui -156 mm di w.eq. Rispetto ai 14 anni di serie storica la stagione 2013/2014 si pone come la meno “pesante” per il ghiacciaio, a parte i due anni di bilancio positivo del periodo 2000-2002.

Da un punto di vista più generale la stagione appena trascorsa rappresenta la 6a stagione più abbondante di precipitazioni nevose, non certo eccezionali in termini di quantità totale, mentre quella estiva è al 3° posto della serie in termini di intensità di ablazione. Pertanto il bilancio “appena” negativo è da attribuirsi soprattutto ad un’estate complessivamente non troppo penalizzante per i ghiacciai valdostani di alta quota e con esposizione prevalentemente settentrionale. L’arretramento frontale, misurato da caposaldo, ha visto una ulteriore regressione dell’apparato di 2 m rispetto alla misura dello scorso 2013.

Gli altri ghiacciai valdostani oggetto di monitoraggio hanno avuto un comportamento analogo, con variazioni locali da attribuire alle specificità di ogni singolo apparato:
– il Ghiacciaio del Rutor (La Thuile), il più grande tra i ghiacciai monitorati, con una superficie di circa 8 km2, presenta un bilancio in sostanziale pareggio, con un accumulo totale di 1.490 mm w.eq. e una perdita complessiva (neve + ghiaccio) di -1.460 mm w.eq, La serie storica del Ghiacciaio del Rutor, misurato dalla stagione 2004/05, mostra bilanci fortemente negativi fino al 2010/11, mentre i tre anni successivi presentano un bilancio in sostanziale pareggio. Dall’inizio della serie, il bilancio di massa cumulato ammonta a -7.8 m w.eq.
– Il Ghiacciaio di Gran Vallon (Cogne), misurato dal 2011/12, presenta un bilancio netto leggermente positivo, pari a + 480 mm w.eq., legato al permanere della copertura nevosa fino a fine settembre grazie all’andamento meteorologico della stagione estiva.
– Sul Ghiacciaio della Tsanteleina (Rhêmes-Notre-Dame), le misure dell’anno idrologico 2013/14 indicano un bilancio leggermente negativo, pari a -260 mm w.eq.. La quota dell’innevamento residuo si trova a circa 3100 m slm.
– Per il Ghiacciaio del Grand Etret (Valsavarenche), monitorato fin dal 1999, il bilancio 2013-2014 è risultato moderatamente negativo con -0,57 m w.eq. Il totale cumulato dal 1999 al 2014 è pari a -12,571 m w.eq. La serie storica presenta bilanci costantemente negativi dal 2000, ad eccezione dell’anno idrologico 2009-2009. Dal 2010 i bilanci, pur rimanendo negativi, sono meno “pesanti” del decennio precedente. Il ghiacciaio ha perso in 15 anni circa 14,5 metri di spessore.

“L’anno 2013-14 non ha comportato perdite elevate per i ghiacciai valdostani – dichiara l’Assessore regionale Mauro Baccega, – grazie soprattutto alla stagione estiva particolarmente fresca. Si tratta tuttavia, per ora, di un anno isolato all’interno di un trend di forti perdite che ha caratterizzato gli ultimi anni. Come per tutti i fenomeni legati al clima, occorre ragionare su periodi di osservazione medio-lunghi e non valutare in senso assoluto i dati di un singolo anno”.
Complessivamente, l’anno idrologico 2013-14, soprattutto grazie ad una stagione estiva relativamente fresca e ricca di precipitazioni, non ha comportato grosse perdite per i ghiacciai valdostani monitorati, che chiudono il loro bilancio con perdite limitate o in pareggio.

La diminuzione di superficie e di lunghezza dei ghiacciai, che viene storicamente valutata tramite la misura della posizione delle fronte, non riflette l’andamento della stagione in corso, ma quello di un periodo di diversi anni precedente. Pertanto anche quest’anno le misure effettuate, in massima parte dagli operatori del Comitato Glaciologico italiano, su diversi ghiacciai del territorio, fanno registrare un arretramento della posizione delle fronti variabile a secondo delle situazioni locali da alcuni metri fino a decine di metri (Lavassey -10.80 m; Or. di Morion -12 m; Grand Etret -19 m; Thoula -77 m, variazione media rispetto al 2010). Appare ormai inarrestabile il disfacimento delle grandi lingue vallive dei ghiacciai di Pré de Bar, Grande di Verra, Lys e sensibili modificazioni morfologiche ha subìto la fronte del lobo sinistro del Ghiacciaio del Miage in conseguenza dell’intenso evento alluvionale del 26 agosto 2014.

Fonte:http://www.ilgiornaledellaprotezionecivile.it/index.html?pg=1&idart=14665&idcat=3

Clima: anno positivo per ghiacciai grazie a precipitazioni

L’ultimo anno idrologico – iniziato il 1 ottobre 2013 e conclusosi il 30 settembre scorso – ha fatto registrare in Alto Adige un clima favorevole al glacialismo, con un conseguente bilancio positivo delle variazioni di massa dei ghiacciai. È stata la seconda stagione con il maggior accumulo di neve degli ultimi trent’anni, osserva l’Ufficio idrografico provinciale.
“Lo scorso inverno è stato piuttosto mite – ricorda il direttore della Ripartizione Protezione antincendi e civile, Hanspeter Staffler – ma le prevalenti correnti sudoccidentali hanno portato precipitazioni eccezionali sull’arco alpino meridionale. È seguita poi un’estate relativamente fresca con frequenti nevicate, anzitutto al di sopra dei 3000 m di quota”.
Su tutti i ghiacciai monitorati dall’Ufficio idrografico provinciale é stato così misurato il secondo bilancio invernale più consistente dall’inizio delle campagne glaciologiche, nella stagione 1983/84. Solo nell’anno idrologico 2000/01 si era registrato un accumulo nivale ancora superiore. I risultati finali mostrano bilanci di massa da leggermente positivi (Ghiacciaio di Malavalle, Vedretta occidentale di Ries) a moderatamente positivi (Ghiacciaio di Fontana Bianca, Vedretta Lunga). Nella maggior parte dei casi il 2013/14 ha fatto segnare il bilancio di massa più positivo di tutta la serie di misure.
Come spiega Roberto Dinale dell’Ufficio idrografico, “quest’anno é proseguito il trend delineatosi l’anno scorso. La Vedretta occidentale di Ries aveva peraltro chiuso il 2012/13 con un risultato ancor più positivo. Bilanci di massa negativi sono stati invece misurati sui ghiacciai con limite superiore a quote relativamente basse, come la Vedretta Pendente, e sono stati osservati nella parte nord-occidentale dell’Alto Adige”. Le fronti glaciali sono peraltro ancora una volta arretrate in modo significativo, in primo luogo perchè in corrispondenza delle stesse le precipitazioni estive sono cadute prevalentemente sotto forma di pioggia, che non ha garantito un sufficiente afflusso di nuovo ghiaccio.

Fonte : http://www.ansa.it/trentino/notizie/qualitaaltoadige/2014/11/21/clima-anno-positivo-per-ghiacciai-grazie-a-precipitazioni_bbba2363-0c58-42ea-ac94-c9493cd80e10.html

Un meteorologo tedesco afferma ….

“….I dati provenienti dalle Alpi, mostrano un chiaro raffreddamento da due, tre decenni ….”

Dati valutati da un meteorologo tedesco mostrano inequivocabilmente che le Alpi si stanno raffreddando nel corso degli ultimi 20 anni e forse molto più a lungo, ed in alcuni luoghi, massicciamente, grossolanamente e contraddicendo tutte le affermazioni forti, proiezioni, modelli e scenari fatti in precedenza dagli scienziati del riscaldamento globale .

Il meteorologo tedesco Dominik Jung ha analizzato alcuni dati provenienti dalle Alpi ed  ha concluso in lingua tedesca sul Huffington Post :

“…. Siamo ovviamente molto lontano da inverni più miti. La tendenza in realtà si sta muovendo nella direzione opposta! ….. “

Alcuni luoghi hanno visto un “raffreddamento massiccio”

Dominik Jung ha analizzato i dati provenienti da uno studio condotto dal Zentralanstalt für Meteorologie und Geodynamik (ZAMG), il servizio meteorologico statale austriaco, dati, che vanno indietro di 20 anni o più. Jung scrive inoltre che anche altre quattro stazioni ad alta quota, delle Alpi, sono state valutate: Zugspitze in Germania, Schmittenhöhe in Austria, Sonnblick in Austria e Säntis in Svizzera. Ad esempio, gli ultimi due inverni a Kitzbühel (nota località sciistica) sono in realtà i più freddi degli ultimi 20 anni .

Il risultato:

“……Tutte le analisi hanno dato lo stesso risultato sorprendente: gli inverni, nelle Alpi, negli ultimi decenni, sono diventate significativamente più fredde, i dati lo mostrano ….”

Jung scrive che i dati sono stati ricavati da lunghe serie, 20-30 anni e sono stati esaminati, come proprio i climatologi richiedono sempre. Jung informa poi i lettori, che ha chiesto agli esperti meteorologici austriaci sul posto, cosa ne pensassero dei risultati. Secondo Jung, la reazione è stata un silenzio di tomba indotto da shock, o tentativi di minimizzare i risultati.

La scienza umiliata

Jung ipotizza che la ragione per cui i meteorologi e i climatologi non vogliono sentir parlare di risultati opposti, è perché “non si adatta con la loro visione del mondo.”

Dopo tutto, solo pochi anni fa, erano tutti sicuri, circa le loro previsioni di inverni senza neve e che lo sci, sarebbe stato praticabile e disponibile solo ad elevate altitudini.

La scienza non poteva essere umiliata in misura maggiore.

Verso la fine del suo saggio sul Huffington Post, Jung commenta, riportando testuali parole : “il riscaldamento climatico è diventato una religione. Gli appartenenti ad essa non tollerano nuove scoperte “, anche quelle che derivano da osservazioni e misure solide. Il meteorologo Jung, conclude affermando che è scandaloso che le autorità competenti stanno semplicemente ignorando questi risultati.

 

Fonte : http://notrickszone.com/2013/11/22/austrian-meteorologists-stupefied-into-silence-data-from-alps-show-marked-cooling-over-last-2-3-decades/

Michele

Storia del Clima Europeo con riferimento a quello Valdostano (Ultima Parte) di Andrè Roveyaz

La cronologia del clima europeo e le testimonianze sul territorio valdostano

Fra il 5000 e il 1400 a.C. il nostro clima era caratterizzato da una temperatura di almeno 4 °C superiore all’attuale.

Questo periodo, il più caldo degli ultimi 8.000 anni, viene designato con il termine scientifico di optimum climatico assoluto del Post-glaciale.

In montagna, i limiti climatici del bosco, del pascolo, delle nevi persistenti, con temperature annue di almeno 4°C superiori alle attuali si innalzano di quasi 700 metri. Nella nostra regione in quel lontano periodo il bosco saliva almeno fino ai 2600 metri di altitudine, il pascolo si portava attorno ai 3200 metri sul livello del mare e il limite delle nevi persistenti addirittura a 3600-3700. Il grande ghiacciaio del Ruitor che domina la conca di La Thuile, allora non esisteva perché la quota massima delle creste rocciose che delimitano il suo circo è inferiore a quella che in quel lontano periodo aveva il limite delle nevi perenni e pertanto l’innevamento del territorio doveva essere solo stagionale. Il bacino però era occupato da un lago in cui vegetavano piante palustri che con il tempo si trasformarono in torba. Alcuni millenni più tardi, nel 1500 a.C. si instaurò un clima freddo; l’innevamento del circo divenne perenne e si formò il grande ghiacciaio che ricoprì la torbiera. Dal 1975 parte di questa torba viene spinta a valle dal movimento del ghiacciaio dando così modo ai ricercatori di raccoglierne campioni e di studiarli. La datazione al radiocarbonio, fatta per conto del Politecnico di Torino, ha rilevato un’età assoluta di 6.500 anni per gli strati più antichi; di 3500 per quelli più recenti, confermando in pieno il quadro climatico che emerge da indagini fatte in altri luoghi e con altre metodologie. Questo periodo corrisponde alle età umane del Neolitico e dell’eneolitico.

Nella torba del Ruitor, che sappiamo essersi originata ad una quota largamente superiore ai 2500 metri, vi è una alta percentuale di pollini fossili di varie conifere ma anche di latifoglie fra cui il tiglio. La loro presenza indica che presso quel lago, attualmente coperto dal ghiacciaio, fino a 3500 anni fa giungeva il bosco. È evidente che la montagna offriva allora un ambiente assai più accogliente di quello che conosciamo oggi. Si spiega così come l’uomo neolitico abbia potuto risalire la valli alpine con grande facilità, insediarsi in alta quota, frequentare gli alti valichi dello spartiacque e formare quelle comunità culturali fra i due opposti versanti delle Alpi sempre meglio documentate dai reperti che vengono alla luce.

In territorio valdostano sono da ascrivere a questo periodo numerosi ritrovamenti. Molti siti archeologici sono collocati ad altitudini superiori ai 1000 metri, disseminati nei territori comunali di Saint-Pierre, Saint-Nicolas, Arvier, Villeneuve, Quart, Nus, Monjovet, Challant-Saint-Victor, la Magdaleine, Champorcher e altri ancora. Il più importante di questi siti è la necropoli di Saint-Martin-de-Corléans, alla periferia occidentale di Aosta, un insieme di monumenti megalitici fra i più insigni d’Italia. La datazione assoluta al radiocarbonio rivela per i livelli più antichi un’età che risale al 3070 a.C. La sua grande somiglianza con la necropoli coeva di Saint-Leonard, presso Sion è ritenuta una importante testimonianza della comunanza culturale, in età neolitica, fra le genti degli opposti versanti delle Alpi Pennine e quindi della fruizione per lunghi periodi annuali del valico del Gran San Bernardo.

Fra il 1400 e il 300 a.C. il clima diventa molto freddo.

La torbiera del Ruitor viene ricoperta dal ghiacciaio già nel 1500 a.C. e nei secoli seguenti il peggioramento climatico si fa sempre più grave culminando fra il 900 e il 300 a.C. Ne sono particolarmente colpite le popolazioni dell’Europa Orientale che vivono in un ambiente a clima continentale non mitigato dagli influssi dell’Oceano Atlantico o del Mare Mediterraneo. Proprio in quel periodo (Età del Ferro) hanno luogo le migrazioni dei popoli indoeuropei provenienti dalla pianura Sarmatica. Fra gli altri migranti vi sono i Celti che fra il 900 e il 300 a.C. si diffondono in tutta l’Europa Occidentale. La celtizzazione della Valle d’Aosta avviene probabilmente dopo il V sec. a.C.

Dal 300 a.C. il clima prende a migliorare: è l’Optimum dell’età Romana che si protrarrà per ben sette secoli. Il primo ad approfittare della nuova situazione fu Annibale che nel 218 a.C., quando ancora i romani ritenevano inaccessibili la Alpi, le valicò con un esercito di più di 25.000 uomini.

Foto 3: L’arco d’Augusto all’ingresso dlla città di Aosta risalente al 25 a.C.

Dopo l’impresa del Cartaginese Roma comprese che la Catena Alpina non poteva più essere considerate una barriera difensiva; la sicurezza del suo territorio doveva essere tutelata dal controllo dei paesi transalpini che avrebbero dovuto fungere da antemurali. Nella concezione dei Romani, grazie al nuovo Optimum climatico che assicurava la transitabilità dei passi alpini quasi per tutto l’anno, le Alpi si trasformarono da barriera in cerniera, furono dotate di grandi vie di comunicazione e per quasi cinquecento anni, sotto il controllo della Città Eterna esplicarono la funzione di trait d’union fra il Mediterraneo e l’ Europa Centro-settentrionale.

A servizio e a guardia dei traffici transalpini, nel 25 a.C. venne fondata la città di Augusta Praetoria sul crocevia fra la Strada consolare delle Gallie già da tempo costruita per raggiungere la città di Ludgudum (Lione) attraverso l’Alpis Graia (valico del Piccolo, San Bernardo) e la via che si dirigeva verso l’Europa centro-settentrionale attraverso il Summus Poenninum (valico del Gran San Bernardo). Grazie alla propizia situazione climatica che favoriva il flusso dei traffici, l’importanza che Aosta assunse nei secoli dell’Impero Romano divenne assai maggiore di quella che essa ha attualmente. I viaggiatori che risalivano la Strada consolare delle Galli venivano accolti nella vivace e ricca città dai signorili archi della triplice Porta Pretoria, suo centro degli affari e cuore economico e politico era il mercato, il grandioso Foro giunto quasi intatto fino a noi; nel tessuto urbano il ricco Complesso termale, il monumentale Teatro che pare potesse accogliere più di 5000 spettatori, l’ampio Anfiteatro offrivano il modo di coltivare gli interessi culturali e il tempo libero.

Fra il 400 e il 750 d.C. si registra un notevole raffreddamento del clima. La transitabilità dei passi alpini divenne assai precaria, legata alla sola stagione estiva.

I popoli dell’Europa orientale e settentrionale a causa della variazione climatica fredda, videro diminuire drasticamente la produzione agraria delle loro terre e molte tribù furono costrette a migrare verso le regioni Mediterranee meno colpite dai rigori del clima grazie alla loro posizione geografica.

Sono le invasioni barbariche, quelle tumultuose migrazioni dei popoli germanici che nell’alto medioevo travolsero la potenza dell’Impero Romano.

La valle d’Aosta conobbe nel 489 l’incursione dei Burgundi, qualche anno dopo fu la volta degli Ostrogoti, poi dei Longobardi. Nel 575 la regione valdostana entrò a far parte del regno dei Franchi e da allora restò nella loro area politico-culturale.

Dopo il 750 il clima migliora rapidamente e si instaura l’Optimum dell’età feudale.

Foto 4: Il castello di Fénis costruito intorno al 1100

L’innevamento dei valichi alpini ritorna assai breve e si apre il periodo d’oro dei traffici fra le Repubbliche Marinare delle coste mediterranee e i grandi centri delle Fiere transalpine (Ginevra, Lione, Borgogna, Fiandre, Champagne).

È il periodo del Sacro Romano Impero e della organizzazione feudale dell’Europa. Sulle Alpi, prendono vita numerosi stati di valico istituiti a controllo e a servizio delle vie transalpine, arterie vitali della grande unità politica. Fra di essi vi è quello dei Conti di Savoia il cui fulcro fu per secoli la Valle d’Aosta con i passi del Piccolo e del Grande San Bernardo.

Il limite climatico delle colture cerealicole si spinge fino all’altitudine di 2300 m. Lo conferma la presenza di settori attrezzati per la trebbiatura del grano in fienili di dimore dell’alta valle di Ayas e di Valgrisenche poste a quell’altitudine, ora diventate stagionali ma costruite nei tempi in cui lassù si poteva abitare tutto l’anno.

Riguardo allo stato dei ghiacciai l’Abbé Henry, noto ricercatore tanto in campo storico quanto in campo naturalistico, scrive in una sua relazione; “Entre le 1300 e le 1600 les glaciers devaient être très petits et réduits à leur minimum… Sa découle d’un grand nombre de documents tels que les Reconnaissances de l’époque ou le mot glacies est introuvable. Une autre preuve que les glaciers étaient alors très petits et très recules c’est que les passages par les cols élevés de montagne étaient alors très faciles et très fréquentés: on allai communément, on faisait passer vaches et mulets de Prarayé à Evolène par le Col Collon (3130 m), de Zermatt à Evoléne par le Col d’Hérens (3480 m); de Valtournenche à Zermatt par le Col de Saint-Théodule (3380 m).

Il Colle del Teodulo – oggi centro di uno dei più prestigiosi comprensori sciistici – nel Basso Medioevo fu a tutti gli effetti un itinerario “ Europeo” sulla via transalpina che univa il porto di Genova con quello di Amsterda. Tutte le carte geografiche del ‘500 e del ‘600, comprese quelle del grande cartografo olandese Mercatore, rappresentano il “Mons Silvius” – tale era il suo nome in latino – e il villaggio di Ayas, suo principale centro di servizi. In quelle redatte nei paesi d’oltralpe compare la dizione: “Krëmertal”, ovvero “Valle dei mercanti” posta fra i toponimi di Ayas e del valico del Teodulo.

Il controllo delle strade che dalla valle della Dora salivano al colle del Teodulo, era esercitato dagli Challant, la più prestigiosa famiglia nobiliare valdostana che proprio da quel traffico traeva la sua ricchezza e la sua rinomanza a livello europeo.

In questo periodo caldo dai traffici assai vivaci, prese origine la millenaria fiera di Sant’Orso che tutt’ora si celebra il 31 gennaio nel cuore dell’inverno, una stagione che pare ben poco propizia ad un gran concorso di gente, soprattutto in passato quando non esistevano i mezzi spazzaneve. Il più antico documento che riguarda questa rassegna risale al 1305 ma pare che allora essa già fosse secolare, era esclusivamente dedicata agli attrezzi agricoli e si svolgeva nei tre giorni che precedevano la festa di Sant’Orso e nei tre che la seguivano. Questa grande fiera invernaleè una testimonianza della mitezza che doveva caratterizzare la stagione fredda durante gli otto secoli dell’Optimum climatico del basso medioevo.

Fra il 1550 e il 1850 ha luogo la più grave crisi climatica del tempi storici denominata dagli specialisti il Pessimum climatico della Piccola Età Glaciale.

Essa provocò un abbassamento di almeno 500 metri dei limiti climatici delle colture, del bosco, del pascolo e delle nevi persistenti determinando un lungo innevamento annuo dei valichi e addirittura la glacializzazione dei più elevati e insieme la perdita di una grande quantità di terre coltivabili. Venendo a mancare contemporaneamente i proventi legati ai traffici transalpini e quelli delle più elevate terre agricole, il periodo della Piccola età glaciale fu per le valli alpine un‘epoca di estrema povertà.

In valle d’Aosta il contraccolpo fu durissimo: da ganglio dei traffici europei la Regione si trasformò in cellula chiusa in se stessa; le attività economiche si ridussero ad una agricoltura volta esclusivamente all’autosussi-stenza e tanto misera che viene definita dagli studiosi francesi “de acharnement”; la popolazione, poverissima e denutrita, venne falcidiata dalla peste e da malattie endemiche, molte delle quali riconducibili alla malnutrizione e alle grandi fatiche che in tali condizioni ambientali i lavori agricoli richiedevano.

Le condizioni del clima determinarono, nel corso della Piccola età Glaciale, la più imponente crescita volumetrica, areale e lineare dei ghiacciai verificatasi negli ultimi due millenni. Ne sono testimoni sul terreno, gli apparati morenici formati da questa gigantesca espansione; lo studio di questi ultimi ha permesso di ricostruire i profili delle aree che vennero glacializzate in quei freddissimi trecento anni. In base a queste indagini i tecnici dell’Assessorato al Territorio, Ambiente ed Opere pubbliche, stimano che nei primi decenni del XIX° secolo i ghiacciai valdostani si estendessero su circa 330 kmq, vale a dire su più del 10% del territorio regionale.

Dopo la metà del secolo XIX inizia il riscaldamento climatico tuttora in corso.

La fine della piccola età glaciale è segnata da una improvvisa forte diminuzione delle precipitazioni e da un sensibil innalzamento delle temperature: all’osservatorio meteorologico del Gran San Bernardo nei vent’anni successivi al 1856 le precipitazioni annue risultano meno di 1600 mm e l’altezza della neve caduta di 870 cm nei confronti di medie di lungo periodo assai più elevate; le temperature medie annue che fino al 1860 erano state attorno ai -1,9 °C si innalzano bruscamente a -1,5 °C.

Questo stato di cose causa una sensibile riduzione di volume dei ghiacciai ed un considerevole raccorciamento delle lingue vallive. Fra il 1862 e il 1882 il ghiacciaio del Lys al Monte Rosa perde ben 950 metri di lunghezza; la Brenva, fra il 1846 e il 1878, circa 1000 m­etri, il Pré de Bard fra il 1856 e il 1882, 750 metri e nello stesso periodo il Lex Blanche, circa 800.

Si tratta di una situazione, molto simile a quella che stiamo vivendo in questi anni, che perdurò quasi un ventennio. Da allora, come mostra la tabella conclusiva, si alternarono fasi di clima fresco favorevoli al glacialismo e fasi di clima più caldo avverse ad esso.

Esaminando il comportamento dei i ghiacciai valdostani dagli inizi del XIX° secolo quando culminava la massima espansione storica, al 2005, data dell’ultimo volo aerofotogrammetrico, si constata che questo lungo arco di tempo è stato ritmato da undici fasi, caratterizzate alternativamente da contrazioni ed espansioni degli apparati glaciali.

Nessuna delle espansioni però raggiunse la misura di quelle verificatesi durante la Piccola età Glaciale; quasi tutte quelle posteriori al 1860 hanno prodotto volumi di ghiaccio dalla massa inferiore a quella perduta nella precedente contrazione per cui gli apparati hanno subìto attraverso il tempo una notevole riduzione planimetrica, areale e volumetrica. Dall’indagine svolta dei tecnici della Cabina di regia dei ghiacciai sui fotogrammi del volo aerofotogrammetrico 2005 risulta che l’attuale estensione dei ghiacciai valdostani è pari a 135 kmq, il che corrisponde al 40% dell’estensione massima che l’area glacializzata aveva assunto nella Piccola età Glaciale. Bisogna tenere presente che circa il 20% di questa copertura venne asportata dalla fusione avvenuta fra il 1860 e il 1882, quando in Italia l’industrializzazione era appena agli inizi e pertanto la variazione calda di quei decenni non era certo imputabile all’opera dell’uomo.

La fase di clima “caldo” che stiamo vivendo non è una novità dell’ultimo ventennio; si tratta di processo modulare in atto dalla seconda metà del 1800 e simile a quelli che hanno avuto luogo nei secoli dell’optimum dell’età feudale o in quelli dell’età romana. Pare quindi logico pensare che, pur in presenza di alterazioni di origine antropica, l’attuale riscaldamento globale faccia parte dell’alternanza ciclica di fasi calde e fasi fredde che da sempre caratterizza la storia del clima.

Fine

André Roveyaz