Archivi categoria: Misteri del Sole

Radiazioni cosmiche in aumento del 13 per cento dal 2015

Quasi una volta alla settimana, Spaceweather.com e gli studenti di Earth to Sky Calculus liberano dalla California i palloni aereostatici che raggiungono la stratosfera. Questi palloncini sono dotati di sensori che rilevano le radiazioni dei Raggi Cosmici. I raggi cosmici possono sfiorare le nuvole, attivare un fulmine e penetrare negli aeroplani. Inoltre, ci sono vari studi ( 1, 2, 3, 4) che collegano li collegano all’aumento delle aritmie cardiache e alla morte cardiaca improvvisa. Le ultime misurazioni mostrano che si sono intensificate del 13% dal 2015. Ma perché aumentano? La ragione principale è il Sole. Quando si verificano le Esplosioni di Massa Coronale (CME), queste spazzano via i raggi cosmici prima che raggiungano la Terra. Durante il Massimo Solare, i CME sono abbondanti e i raggi cosmici sono contenuti. Attualmente, il Ciclo Solare si muove verso il minimo solare, permettendo il ritorno dei raggi cosmici. Un altro motivo potrebbe essere l’indebolimento del campo magnetico della Terra, che aiuta a proteggerci dalla radiazione spaziali.

Fonte : http://geoscienze.blogspot.it/2017/05/radiazioni-cosmiche-in-aumento-del-13.html

Eliosfera: con o senza coda?

Uno studio presentato sulla rivista Nature Astronomy mette in crisi il modello secondo cui l’eliosfera, ovvero la bolla di influenza del campo magnetico solare, avrebbe una forma allungata, come la coda di una cometa. I dati indicano una forma simmetrica, dovuta probabilmente a un campo magnetico interstellare molto più intenso del previsto

Pare che il sistema solare sia circondato da un enorme campo magnetico di forma sferica dovuto alla presenza del Sole. A suggerirlo sono i dati raccolti dalla missione Cassini, dalle due sonde Voyager e dal satellite Interstellar Boundary Explorer (Ibex). I risultati sono in contraddizione con la teoria attualmente più accreditata, secondo cui la magnetosfera solare ha una forma oblunga, simile alla scia di una cometa. Il colpevole sarebbe il campo magnetico interstellare, molto più intenso di quanto previsto.

Grazie a una serie di dati provenienti dalle sonde Cassini, Voyager e Ibex, abbiamo scoperto che l’eliosfera potrebbe essere molto più arrotondata di quanto pensassimo. Questa illustrazione mostra un modello aggiornato. Crediti: Dialynas, et al.

Il Sole emette un flusso costante di particelle, chiamato vento solare, che colpisce tutto il sistema solare, arrivando fino all’orbita di Nettuno. Tale vento crea una bolla, detta eliosfera, del diametro di circa 40 miliardi di chilometri. Per oltre 50 anni il dibattito circa la forma di questa struttura ha favorito l’ipotesi di una bolla di forma allungata, con una testa arrotondata e una coda. I nuovi dati coprono un intero ciclo di attività solare (11 anni circa) e mostrano che la realtà potrebbe essere molto diversa: l’eliosfera sembra avere entrambe le estremità arrotondate, assumendo una forma quasi sferica. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Nature Astronomy.

«Al posto di una coda allungata abbiamo scoperto che l’eliosfera ha l’aspetto di una bolla, e questo a causa di un campo magnetico interstellare molto più intenso di quanto avessimo previsto», spiega Kostas Dialynas dell’Accademia di Atene, primo autore dello studio.

Oltre a esplorare Saturno e il suo sistema di anelli e satelliti, la sonda Cassini ha studiato anche il comportamento del vento solare, indagando in particolare ciò che accade alle sue estremità. Quando le particelle cariche provenienti dal Sole incontrano gli atomi di gas neutro del mezzo interstellare, lungo la vasta area di confine chiamata eliopausa, possono avvenire scambi di cariche, e alcuni atomi possono essere spinti verso il sistema solare e venire misurati da Cassini.

Molte stelle mostrano strutture a forma di coda di cometa, da cui l’idea che anche il nostro sistema solare possa essere fatto così. Dalla sinistra in alto e proseguendo in senso orario, le stelle: LLOrionis, BZ Cam e Mira. Crediti: NASA/HST/R.Casalegno/GALEX

«La sonda Cassini è stata progettata per studiare gli ioni intrappolati nella magnetosfera di Saturno», dice Tom Krimigis della Johns Hopkins University, team leader per strumenti sulle sonde Voyager e Cassini, e coautore dello studio. «Non avremmo mai pensato di poter vedere e studiare anche i confini dell’eliosfera».

Poiché le particelle che compongono il vento solare viaggiano a velocità pari a frazioni della velocità della luce, i loro tragitti dal Sole all’eliopausa richiedono anni. Con il variare del numero di particelle, ovvero con la modulazione dovuta all’attività solare, occorrono anni perché questa si rifletta nella quantità di atomi misurati da Cassini. I dati recenti hanno mostrato qualcosa di inaspettato: le particelle provenienti dalla “coda” dell’eliosfera riflettono i cambiamenti del ciclo solare in modo molto simile a quelle provenienti dalla sua “testa”.

I dati raccolti dalle missioni della Nasa Cassini, Voyager e Ibex mostrano che l’eliosfera è molto più compatta e simmetrica di quanto pensassimo. L’immagine a sinistra mostra il modello supportato dai dati, mentre quella a destra mostra il modello a coda estesa, che era stato assunto come il più valido fino ad ora. Crediti: Dialynas, et al. (a sinistra); Nasa (a destra)

«Se la coda dell’eliosfera fosse allungata come quella di una cometa, gli effetti dovuti al ciclo solare dovrebbero apparire molto più tardi», spiega Krimigis. Dato che questo non accade, ma invece le tempistiche sono piuttosto simili, significa che, in direzione della coda, l’eliopausa si trova più o meno alla stessa distanza di quanto avviene per la testa. Dunque l’eliosfera deve avere una forma molto più simmetrica del previsto.

I dati raccolti dalle sonde Voyager hanno inoltre mostrato che il campo magnetico interstellare è più intenso rispetto alle stime fornite dai modelli. Questo significa che la forma arrotondata dell’eliosfera potrebbe essere dovuta all’interazione del vento solare con questo campo magnetico, che spingerebbe l’eliopausa verso il Sole. La struttura dell’eliosfera svolge un ruolo importante nel modo in cui le particelle provenienti dallo spazio interstellare, chiamate raggi cosmici, raggiungono il sistema solare interno, arrivando fino alla Terra.

Per saperne di più:

 

Fonte : http://www.media.inaf.it/2017/04/26/eliosfera-con-o-senza-coda/

Dove spariscono gli elettroni

Uno studio mostra come durante le tempeste solari la ionosfera alterni aree ad altissima concentrazione di elettroni (le cosiddette patch) a vaste regioni dove le cariche elettriche sono del tutto e misteriosamente assenti

Sono le tempeste solari a innescare l’affascinante fenomeno dell’aurora polare. Crediti: Davide Coero Borga

È un fenomeno del tutto controintuitivo e, al momento, privo di una spiegazione. Sembra che nel corso delle tempeste solari, quando grandi quantità di plasma altamente ionizzato infrangono lo “scudo” del campo magnetico terrestre e si infilano nella ionosfera, gli elettroni presenti in atmosfera scompaiono misteriosamente in porzioni di cielo considerevoli (fra i 500 e 1000 chilometri di raggio). È quanto riporta uno studio condotto dalla Technical University di Danimarca insieme alle università di New Brunswick, il NASA Jet propulsion laboratory e l’università dell’Illinois, appena pubblicato sulla rivista Radio Science.

Quando si verifica un’eruzione sulla superficie del Sole, sappiamo che una nube di particelle elettricamente carica s’invola nello spazio in direzione Terra, dando vita a una vigorosa tempesta solare che (non tutto il male viene per nuocere) può anche innescare l’affascinante fenomeno dell’aurora boreale sulla regione artica.

La tempesta potrebbe però avere anche un forte impatto sull’efficienza dei sistemi di comunicazione e di navigazione a quelle latitudini. E per questo motivo è così importante studiare e comprendere sempre meglio questo genere di eventi.

Durante le tempeste solari, il plasma altamente ionizzato espulso dalla nostra stella riesce a penetrare la parte alta dell’atmosfera terrestre, detta ionosfera, a circa 80 chilometri dalla superficie del pianeta. Questo fenomeno si verifica principalmente ad alte latitudini, dove il campo magnetico è più sottile: particelle ed elettroni filtrano l’atmosfera anziché venire riflessi come succede normalmente. È un evento comune e che gli astrofisici hanno imparato a conoscere bene.

La notizia qui è un’altra, ovvero la misteriosa scomparsa di cariche negative da grandi regioni del cielo prossime al fenomeno. Mai registrata precedentemente.

«Abbiamo effettuato ampie misurazioni in corrispondenza di una tempesta solare che ha colpito la regione artica nel 2014: sorprendentemente, in un’area estesa fra i 500 e i 1000 chilometri situata a sud di una delle zone di sovraccarico elettrico e che gli scienziati chiamano patch, gli elettroni presenti in atmosfera sono stati misteriosamente risucchiati via, come da un potentissimo aspirapolvere», spiega Per Høeg della Technical University di Danimarca.

«Non potevamo prevedere qualcosa di simile. E anche ora che i dati ci mostrano questo bizzarro fenomeno, non abbiamo una spiegazione valida per descrivere perché sia avvenuto».

Una risposta agli interrogativi aperti va forse cercata nei processi geomagnetici che interessano il campo magnetico terrestre nella parte meno esposta all’eruzione solare, quella più distante dalla nostra stella.

«Il nostro lavoro può contribuire a rendere più sicura la navigazione nel corso delle tempeste ionosferiche che interessano la regione artica. Identificando i fattori critici che influenzano la qualità della navigazione satellitare ci consente progettare tecnologie capaci di gestire al meglio la situazione di emergenza e valutare la probabilità che si presentino», conclude Høeg.

Per saperne di più:

 

Fonte : http://www.media.inaf.it/2017/03/06/dove-spariscono-gli-elettroni/

Se il Sole frena

Grazie alle misure compiute con l’Helioseismic and Magnetic Imager della sonda Nasa SDO, un team internazionale di scienziati ha svelato il mistero del rallentamento degli strati esterni del Sole. Ne parliamo con Alessandro Bemporad, fisico solare all’Osservatorio astrofisico dell’INAF di Torino

Un team internazionale di astronomi potrebbe aver risolto un mistero che dura da almeno vent’anni: perché lo strato più esterno del Sole ruota più lentamente dell’interno? Almeno una parte della “colpa” parrebbero averla i fotoni. Lo studio, in uscita il prossimo gennaio sulla rivista Physical Review Letters, è firmato da Ian Cunnyngham, Jeff Kuhn e Isabelle Scholl dell’IFA Maui (Hawaii) insieme a Marcelo Emilio (Brasile) e Rock Bush (Stanford).

Un’immagine del Sole presa con l’Helioseismic and Magnetic Imager (HMI) a bordo della sonda NASA Solar Dynamics Observatory. HMI è uno strumento progettato per studiare le oscillazioni e il campo magnetico della fotosfera, la superficie solare. Crediti: NASA

Grazie ai dati raccolti in anni d’osservazioni condotte con l’Helioseismic and Magnetic Imager della sonda SDO (Solar Dynamics Observatory) della NASA, il team ha scoperto che la luce emessa dal Sole, la stessa radiazione che scalda la Terra, provoca un “rallentamento”. L’effetto dei “fotoni frenanti” è stato misurato nei 150 km più esterni della superficie del Sole, e gli scienziati ritengono che tale effetto sia all’opera anche nella maggior parte delle altre stelle. «L’azione sul momento angolare è lieve, ma calcolata sulla durata di vita del Sole, pari a circa 5 miliardi di anni, ha introdotto sui 35mila km più esterni un rallentamento sensibile», osserva Jeff Kuhn.

«Conoscere la velocità di rotazione all’interno del Sole e come questa velocità vari con la profondità e con la latitudine è uno dei mattoni fondamentali di ogni modello che cerchi di riprodurre il noto ciclo solare e di prevedere il comportamento della nostra stella nell’immediato futuro», spiega a Media INAF il fisico solare Alessandro Bemporad, dell’Osservatorio astrofisico dell’INAF di Torino, al quale abbiamo chiesto un commento sull’importanza di questo studio.  «Negli ultimi decenni, grazie alle misure di eliosismologia, le nostre conoscenze sulla rotazione solare hanno rivelato sempre più dettagli, molti dei quali ancora non del tutto compresi, come la scoperta di alcuni anni fa di una doppia circolazione meridiana».

«In questo lavoro i ricercatori hanno dimostrato che nell’ultimo strato subito sotto la superficie visibile del Sole, la fotosfera, si osserva una brusca diminuzione della velocità di rotazione, o velocità angolare. La cosa interessante«, sottolinea Bemporad, «è che questa diminuzione sembra essere in accordo con la diminuzione che ci si potrebbe aspettare per effetto della radiazione che viene emessa, appunto, dalla fotosfera. I fotoni infatti, pur non avendo massa, trasportano un impulso (o quantità di moto): così come la luce esercita una pressione su una qualunque superficie illuminata, allo stesso modo l’emissione di radiazione da parte di un corpo ruotante come il Sole comporta una piccola perdita di momento angolare da parte del Sole, e quindi di velocità di rotazione. Questa perdita di velocità è ordini di grandezza minore rispetto alla perdita che il Sole subisce per l’espulsione del vento solare. Tuttavia la cosa interessante è che, assumendo che il Sole abbia subito questa perdita nel corso dei suoi 4 miliardi e mezzo di anni di vita, si ottiene una differenza di velocità finale dell’ultimo strato della fotosfera in accordo con quanto misurato oggi dai ricercatori. Questo lavoro aggiunge quindi un tassello piccolo, ma comunque molto importante nella soluzione del complesso puzzle della dinamo solare».

Fonte : http://www.media.inaf.it/2016/12/13/effetto-fotoni-frenanti-sdo-sole/

Le battaglie del Sole

Un team di ricerca del New Jersey Institute of Technology ha individuato una nuova relazione tra macchie solari ed eruzioni, i fenomeni che agitano la superficie della nostra stella. I risultati su Nature Communications

La superficie del Sole non è affatto un ambiente tranquillo. E cambia in continuazione: in alcune fasi del ciclo solare, la nostra stella appare agli astronomi interamente ricoperta da puntini più scuri. Si tratta delle macchie solari, o sunspot, la cui rotazione sulla superficie del Sole è da tempo ritenuta responsabile di episodi molto violenti chiamati eruzioni solari: improvvise esplosioni (dette anche brillamenti) che causano forti radiazioni elettromagnetiche con una conseguente espulsione di particelle cariche nello spazio. In base a questa teoria, il moto delle macchie solari provoca l’energia necessaria per ‘esplodere’ sotto forma di eruzioni solari. Ma un gruppo di ricerca del New Jersey Institute of Technology (NJIT) ha individuato per la prima volta un meccanismo in un certo senso inverso: secondo gli scienziati, le eruzioni solari hanno a loro volta un importante impatto sui sunspot. In che modo ?

Aumentandone la velocità di rotazione: i ricercatori affermano che i brillamenti inducono le macchie solari a ruotare molto più velocemente di quanto normalmente si osserva prima delle eruzioni. Questi risultati, pubblicati su Nature Communications, sono stati ottenuti sulla base delle immagini ad alta risoluzione catturate da New Solar, il telescopio di 1.6 metri del NJIT.

“Pensiamo che la rotazione delle macchie solari generi l’energia magnetica rilasciata sotto forma di eruzioni – spiega Chang Liu, prima firma dell’articolo – ma allo stesso tempo abbiamo osservato che le eruzioni possono indurre le macchie a ruotare circa 10 volte più velocemente. Questo ci mostra la natura potente e magnetica dei bagliori solari”.

Questi nuovi dati aiutano anche a definire la dimensione spazio-temporale delle macchie solari, descrivendo in modo preciso la loro rotazione progressiva e non uniforme. Informazioni essenziali per l’evoluzione della fisica del Sole, quella disciplina che studia le affascinanti e movimentate ‘battaglie’ sulla superficie della nostra stella.

Fonte : http://www.asi.it/it/news/le-battaglie-del-sole