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Fermiamo i talebani dell’ambientalismo

Come è nata la geologia? Intervista a tutto campo al luminare (cattolico) Gian Battista Vai. Da Galileo a Darwin, fino al global warming e alle trivelle

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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola – Gian Battista Vai è il direttore del Museo Geologico Cappellini di Bologna. Cioè della città in cui è nata la parola “geologia”, oltre quattrocento anni fa, nel 1603. Vai è un geologo di fama internazionale, già rappresentante nazionale presso l’Iugs (International union of geological sciences) e capo delegazione italiana all’International geological congress di Pechino 1996, Rio de Janeiro 2000, Firenze 2004 e Oslo 2008.

Professor Vai, lei è, tra i geologi, un’autorità. Ma la geologia non gode, tra le scienze, di grande prestigio mediatico.
È vero. Però la rivoluzione industriale l’hanno fatta i geologi con il carbone. Pochi pensano che quando parliamo di evoluzione, di energie (carbone, petrolio, gas), di acqua e aria, di terremoti, di riscaldamento climatico, parliamo anche di geologia.

Anche quando parliamo di evoluzione?
Certamente. Lo stesso Darwin fu anche geologo, ed è la geologia che fornisce all’evoluzione i tempi necessari. Il testo Princìpi di geologia di Charles Lyell fu, a detta di Darwin, decisivo per i suoi stessi ragionamenti.

Lei è cattolico, crede nell’evoluzione?
Certamente. Però apprezzo di più il Darwin geologo da quello biologo, nel quale non si possono non vedere cedimenti alla filosofia del tempo, con tutti i rischi che ciò comporta. Sembra impossibile separare del tutto certe affermazioni filosofiche di Darwin da considerazioni di tipo razzista, social-darwiniane. Ma ciò non riguarda il tema dell’evoluzione: bisogna distinguere il “creazionismo”, un concetto protestante legato alla rigidità letteralista, dalla “creazione”, concetto compatibile con l’evoluzione.

Ci dice qualcosa del museo che dirige?
Esso deriva, attraverso inevitabili cambiamenti, da quello fondato da Ulisse Aldovrandi nel Cinquecento. Aldovrandi è la persona che ha creato il neologismo “geologia”. Ma soprattutto è il fondatore del primo museo e della prima biblioteca, dopo quelle ellenistiche e benedettine, intesi come strumenti pubblici a uso scientifico.

I primi musei naturalistici al mondo sono nati in Italia? Concorda con l’affermazione secondo cui l’Italia è stata la “culla della scienza sperimentale”?
Rispondo sì a entrambe le domande. Qui sono nate le università. Qui è nato il mio amato Aldovrandi, la cui influenza sulla scienza italiana ed europea si è mantenuta per due secoli, visto che i suoi lavori hanno goduto della stima di Harvey, Linneo, Buffon, Diderot, Cuvier, Darwin. Qui, in Italia, è nato Galileo Galilei, riguardo al quale, però, si dicono molte inesattezze. Non solo perché se ne dimenticano i rapporti con autori passati, tra cui lo stesso Aldrovandi, ma anche perché si è cercato di farne una sorta di rivoluzionario, avversato dalla Chiesa e avversario della Chiesa. L’Italia aveva già da tempo grandi pionieri, e Galilei è un figlio della civiltà cristiana, non un suo nemico; neppure un prodigio nato dal nulla.

Secondo lei Galilei è un figlio della civiltà cristiana?
Guardi, le cito un altro di questi figli, Niccolò Stenone, beato. È considerato il padre della geologia, oltre che della prima legge della cristallografia. Stenone, danese, era un grandissimo anatomista, ma nella sua terra, protestante, gli fu rifiutata la cattedra universitaria. Venne in Italia, dove ebbe due conversioni: dall’anatomia alla geologia; dal protestantesimo al cattolicesimo. Un protestante come lui, pieno dei pregiudizi propri di quell’epoca, rimase affascinato dalla fede e dalla devozione dei discepoli diretti di Galilei, da lui frequentati e stimati, anche umanamente; ammirò la fisicità della fede latina sino a convertirsi. Dopo aver enunciato i tre princìpi della stratigrafia, Stenone si fece prete, poi divenne vescovo. La Chiesa lo ha riconosciuto beato.

Riguardo a Stenone lei ha scritto un lungo articolo sulla rivista The Geological Society of America. Mi ha colpito che parla di Stenone, ma anche dei pittori italiani del Quattrocento e del Cinquecento. Cosa c’entrano con la geologia?
In quel testo parto da Giotto. Non bisogna credere alle fesserie sul “Medioevo buio”. Il Medioevo è stato un periodo di magnificenza, di grandi intuizioni; dal Medioevo cristiano occidentale, con Giotto, nel solco di una visione del corpo e della materia diversa dallo spiritualismo orientale e bizantino, dobbiamo partire per comprendere le origini remote di un certo atteggiamento verso la corporeità, in tutti i sensi.

E Leonardo, Mantegna?
Leonardo, Mantegna, Pollaiolo, Bellini. Sono stati capaci di dipingere con precisione marmi, pietre, colline. Dai tempi di Giotto il paesaggio italiano ha stimolato la visualizzazione della geologia, prima della geologia stessa. Osservi che capacità di descrivere i dettagli nella Madonna delle cave di Mantegna o nel Battesimo di Cristo di Verrocchio, Leonardo e altri. Tenga presente che il paesaggio italiano in quei secoli aveva caratteristiche straordinarie: anzitutto l’Italia è una bella vetrina, con una geologia molto varia; inoltre, allora era tutto molto più spoglio di vegetazione, si vedevano meglio le caratteristiche geomorfologiche. Questo anche perché là dove oggi ci sono boschi che coprono, allora non c’erano perché si tagliava tutto per fare il fuoco e di conseguenza le rocce erano ben visibili.

E dopo Aldovrandi, Galilei, Stenone? Quando l’Italia ha perso importanza nel campo delle scienze?
La vulgata vuole che sia accaduto dopo il processo a Galilei. Ma non è vero. L’Italia mantiene un primato in molti campi della scienza per altri 150 anni. In campo medico la ricerca sperimentale post galileiana si sviluppa con successo con Marcello Malpighi e Giambattista Morgagni; in campo biologico è don Lazzaro Spallanzani a essere considerato, in pieno Settecento, il “Galilei della biologia”. È stato soprattutto Napoleone, con i saccheggi di chiese, castelli, musei, le sue guerre e le sue riforme a segnare il vero tracollo dell’Italia (a cui contribuì più tardi anche un Risorgimento fatto senza il popolo, e contro il popolo, dannoso soprattutto per il sud). Per esempio, per l’Emilia-Romagna Napoleone è stato un disastro: sino a quel momento c’era in questa terra un’industria della canapa e della seta fantastica. Invece lui decise che occorreva farne il granaio dell’impero. Quanto al primato nella geologia, passa agli inglesi dopo la fondazione della Società geologica di Londra, nel 1809.

Torniamo all’energia. Mi fa il nome di un geologo italiano importante in questo campo?
Vorrei citare Michele Gortani (1883-1966), mio predecessore alla guida di questo museo. Gortani fu un esimio geologo, deputato del Partito popolare nel 1913; nella Prima Guerra mondiale si distinse per essersi opposto a Cadorna, quando costui era ancora generale, e poi, a guerra finita, per l’aiuto dato ai profughi della Carnia. Nel ventennio fu antifascista, ufficiale degli alpini nella Seconda Guerra mondiale, poi democristiano, membro della Costituente, presidente della Società geologica italiana nel 1926 e nel 1947 e fondatore dell’Istituto italiano di speleologia (1903). Per quanto ci interessa ora, fu amico e consulente di Enrico Mattei, lo aiutò nello sviluppo dell’Agip e nella creazione dell’Eni, contribuendo così in modo decisivo al miracolo economico italiano del Dopoguerra. Quando Gortani parlava, il grande Mattei ascoltava.

Un suo parere sull’annosa questione del riscaldamento climatico?
Siamo di fronte a una moda. I cambiamenti climatici sono sempre esistiti. Nel Medioevo abbiamo avuto periodi piuttosto caldi, come il Duecento (si parla di optimum climatico medievale); poi periodi di maggior freddo. Pensi che la peste nera del 1347 e la peste di Milano del Seicento coincidono con periodi di raffreddamento. Il Seicento e il Settecento sono stati due secoli freddi, il che è testimoniato dal grande uso che si faceva di pellicce.

Cosa pensa del prossimo referendum sulle trivelle?
Sul referendum sono contrario perché rischio e pericolo sono minimi rispetto ai vantaggi. Se l’estrazione superficiale di fluidi a terra (acqua compresa) incrementa la subsidenza, la stessa in mare aumenta la capienza del bacino e quindi di conseguenza riduce l’ingressione del mare sulla terra ferma e l’analoga penetrazione verso terra del cuneo salino. La Cei in questo caso brilla per incoerenza e disinformazione. A Ravenna, a Gela e non solo, sostiene lavoratori e sindacati che chiedono a Eni di non vendere i petrolchimici. Poi, sostenendo di fatto i talebani dell’ambientalismo e il loro referendum, spinge e convince l’Eni ad abbandonare l’Italia. La riuscita dei “sì” sarebbe un altro vero disastro italiano.

Salvati dalla Luna

A mantenere la geodinamo attiva, e con essa il campo magnetico terrestre, contribuirebbe l’effetto dovuto all’attrazione gravitazionale esercitata dal nostro satellite. Lo suggerisce uno studio pubblicato su Earth and Planetary Science Letters da un team di ricercatori del CNRS

Senza scudo magnetico saremmo spacciati, questo si sa. È solo grazie alla magnetosfera se raggi cosmici e altre pericolose particelle cariche provenienti dallo spazio – perlopiù dal Sole – vengono in gran parte fermate. Ora, all’origine del campo magnetico terrestre è pressoché certo che vi sia la cosiddetta geodinamo: l’azione prodotta dal rapido movimento d’enormi quantità di materiale ferroso liquido nel nucleo esterno del nostro pianeta. Assai più dibattuta è invece l’origine dell’energia che ha alimentato – e continua ad alimentare – nel corso di miliardi di anni la geodinamo. Ebbene, uno studio uscito la settimana scorsa su Earth and Planetary Science Letters suggerisce che almeno parte dell’energia necessaria possa arrivare dalla Luna, e in particolare dalla deformazione del mantello indotta dagli effetti mareali.

Gli effetti gravitazionali determinati dal sistema Terra-Luna-Sole provocano la deformazione ciclica del mantello terrestre e oscillazioni nel suo asse di rotazione. Questo tensione meccanica applicata a tutto il pianeta provoca forti correnti nel nucleo esterno, costituito da una lega di ferro liquido di viscosità molto bassa. Correnti sono sufficienti a generare il campo magnetico terrestre.

Crediti: Julien Monteux e Denis Andrault

Per capire quanto quest’ipotesi possa essere condivisibile, conviene anzitutto dare un’occhiata ai numeri. Partiamo dalla temperatura. Il modello classico implica un raffreddamento di 3000 gradi, nell’arco degli ultimi 4.3 miliardi di anni di vita della Terra, della temperatura del nucleo, che sarebbe dunque passata da 6800 gradi iniziali ai 3800 attuali. Il problema sta nella vertiginosa temperatura di partenza richiesta: se le cose fossero andate davvero in questo modo, fino a quattro miliardi d’anni fa il nostro pianeta sarebbe dovuto essere completamente fuso. Eventualità che sia le analisi geochimiche condotte sulla composizione delle carbonatiti e dei basalti più antichi, da una parte, sia i modelli più aggiornati sull’evoluzione del pianeta, dall’altra, sono concordi nell’escludere.

Ma se, come lo studio guidato dai quattro ricercatori del CNRS propone, la temperatura della Terra in realtà fosse scesa non di 3000 bensì di 300 gradi – appena un decimo rispetto a quanto richiesto dal modello classico, dunque – da dove avrebbe tratto tutta l’energia necessaria, la geodinamo, per mantenersi attiva? L’ipotesi presa in considerazione da Denis Andrault e colleghi è che arrivi dalla combinazione di effetti gravitazionali come quelli di cui scrivevamo poc’anzi.

Rimanendo sempre con l’occhio puntato sui numeri, ma mettendo un istante da parte la temperatura e guardando alla potenza, gli autori dello studio calcolano che la Terra riceva in continuazione 3700 miliardi di watt dal trasferimento dell’energia gravitazionale e di rotazione prodotto dal sistema Terra-Luna-Sole. Di questi, stando alle stime, circa mille miliardi potrebbero essere disponibili – tramite l’azione di deformazione elastica del mantello, per esempio – per tenere in movimento il nucleo esterno. Cifre sufficienti a rendere conto del campo magnetico terrestre.

Un effetto, questo delle forze gravitazionali sul campo magnetico d’un pianeta, del resto già ampiamente documentato per due lune di Giove, Io ed Europa, e per un buon numero di pianeti extrasolari. Non solo. Considerando anche le irregolarità della rotazione terrestre, dell’orientamento del suo asse e dell’orbita della Luna, l’effetto combinato produrrebbe nella geodinamo fluttuazioni tali da spiegare, analizzando il loro possibile impatto sul mantello e dunque sui vulcani, gli eventi eruttivi più importanti. Insomma, concludono i quattro autori dello studio, gli effetti della Luna sulla Terra sembrano andare ben oltre le maree.

Leggi su Earth and Planetary Science Letters l’articolo “The deep Earth may not be cooling down”, di Denis Andrault, Julien Monteux, Michael Le Bars e Henri Samuel

 

Fonte : http://www.media.inaf.it/2016/04/05/salvati-dalla-luna/

Il vento

From the European Wind Atlas.
Copyright © 1989 by Risø National Laboratory,
Roskilde, Denmark. [1]

Energia primaria …. 100 %
Energia idroelettrica … 2 %
Energia eolica …………. 0.2 %

Mentre la quantità di energia solare che giunge sulla terra è calcolabile con tre moltiplicazioni ed è conosciuta con precisione, la stima del potenziale delle altre energie rinnovabili è una faccenda molto più complessa, condizionata da ipotesi e modelli. Di conseguenza alcune fonti rinnovabili si prestano a valutazioni e interpretazioni che riguardano anche la loro consistenza, e non solo l’opportunità di utilizzarla.

I venti nascono dal riscaldamento dell’atmosfera terrestre dovuto al sole.

Questo riscaldamento non è uniforme: le regioni equatoriali vengono scaldate molto di più di quelle polari, e le zone calde raggiungono una pressione maggiore di quelle fredde. Queste differenze di pressione spingono le masse d’aria dalle zone ad alta pressione verso quelle a bassa pressione. L’energia cinetica acquistata dall’aria in questi spostamenti è quella che chiamiamo energia eolica.

Essendo figlia dell’energia solare, l’energia del vento deve essere per forza minore della madre. Ma quanto minore?

Ma quanto minore? Facciamo una stima grossolana, supponendo che tra l’1 e il 2% dell’energia solare finisca nei moti convettivi dell’atmosfera. Questi moti si distribuiscono nella troposfera, che è spessa 4 o 5 km. Allora, intercettando una fascia di troposfera di ottanta metri (il diametro di una pala eolica), al massimo possiamo “catturare” il 2% di quell’1 o 2%. Siccome tutta la potenza solare che arriva sulla superficie terrestre (i venti si formano soprattutto sul mare, e si spostano) è 170 mila TW, questa stima ci porta ad un valore del potenziale eolico lordo compreso tra 35 e 70 TW.

Tabella 1) KiloWatt e Km orari.

La stima che abbiamo fatto è molto grossolana, ma non lontana dal risultato di modelli più raffinati, che concludono che il potenziale eolico totale sia compreso tra 50 e 100 TW. Nel 2005 Archer e Jacobson [2] si sono avventurati in una stima derivante da misure e non da valutazioni. Basandosi su velocità del vento misurate in tutto il mondo sono giunti ad un valore di 70 TW di potenziale eolico. Più recentemente, nel 2009, Lu et al., analizzando invece rilevamenti da satellite, hanno sostenuto che il potenziale eolico sia sensibilmente maggiore [3].

Aria di mare

Insomma, per quanto riguarda il vento, l’energia ci sarebbe. Anche non condividendo i risultati di Lu et al., nel mondo sono d’accordo che di energia eolica da utilizzare ce ne sia abbastanza. A prescindere dall’aleatorietà di questa fonte, invece il limite è un altro: l’energia eolica è energia cinetica e quindi dipende dal cubo della velocità del vento.

Guardiamo cosa ci dice la tabella 1) dell’Atlante europeo del vento [1]. Per esempio la seconda colonna: una pala eolica istallata in Scozia incontra mediamente un vento di 7-8 m/s, la stessa pala istallata nella pianura padana trova un vento da 4-5 m/s. Dal punto di vista della velocità non c’è molta differenza, ma da quello dell’energia significa che la pala scozzese produce cinque volte più energia di quella padana. Con quali conseguenze? Che l’energia eolica è una fonte rinnovabile concreta solo nelle regioni blu scure o rosse della cartina. E’ lì che ha senso piantare le pale.

Possiamo vederla anche in un altro modo, 1 kWh prodotto da una pala in Scozia costa 5 centesimi, mentre uno prodotto in Padania 25 centesimi. Dato che 1 kWh “fossile” costa 10 centesimi, che senso ha istallare pale eoliche nella pianura padana? Eppure è quello che stiamo facendo, e che gli ecologisti vorrebbero fare ancora di più.

Aria di terra terra.

Un’ultima considerazione “padana”:

– Ma i 15 centesimi di differenza chi ce li mette?
– Lo stato, con gli incentivi, anzi ce ne mette 20.
– Ma i soldi dove li prende?
– Da noi, tassando le bollette.
– E a chi li dà?
– A quelli che hanno istallato le pale.

Che cosa motiva gli ecologisti italiani? L’amore per la Terra, o qualcosa di più terra terra? La risposta, amici miei, la sa il vento.

 

 

Fonte : http://www.maxrap.it/energia/eolico.htm

L’eclissi solare parziale su Napoli

Gli effetti dell’eclissi solare parziale del 20 marzo 2015, sui parametri meteorologici nell’area urbana di Napoli (Italia)

Nicola Scafetta e Adriano Mazzarella

Osservatorio Meteorologico, Università di Napoli Federico II, DiSTAR, Naples, Italy

Riassunto

Durante la parziale eclissi solare (~ 50%) avvenuta la mattina del 20 marzo 2015, vari parametri meteorologici sono stati monitorati per studiare la loro evoluzione sopra l’area urbana di Napoli, in Italia centrale. Le condizioni sperimentali erano ottimali a causa di una situazione di cielo chiaro in tutta l’Italia, con particolare riferimento su Napoli.

L’eclissi è durata circa 2 ore tra le ore 09:25:06 (UT + 1, ora locale italiana) e 11:43:09 (ora locale italiana, UT + 1). Durante l’osservazione, la radiazione solare incidente è risultata essere diminuita di circa il 50%, al raggiungimento del picco dell’eclisse alle ore 10:32:18 (ora locale italiana, UT + 1). Al contrario, la radiazione UV è diminuita significativamente meno, circa del 25%. Questa risposta in frequenza è probabilmente dovuta alla dispersione dei raggi. Si suggerisce, che circa il 50% della radiazione UV che ha raggiunto la superficie era luce diretta e il 50% luce diffusa.

Durante l’eclissi, i valori della temperatura e l’umidità superficiale urbani sono rimasti quasi costanti invece di aumentare e diminuire, rispettivamente, come previsto dal loro ciclo giornaliero. Questo risultato è stato utilizzato per stimare l’emissività media della città di Napoli, che è risultata essere di circa f = 0,86. La velocità del vento è diminuita in modo significativo durante l’evento, mentre la pressione atmosferica è rimasta pressochè costante ed è diminuità solo dopo l’eclisse.

Infine, proponiamo un semplice metodo empirico per stimare l’approssimativo effetto di raffreddamento durante l’eclisse, che i meteorologi potrebbero utilizzare per correggere l’evoluzione del modello della temperatura nel tempo, che ignora normalmente il verificarsi di un’eclissi. La coerenza di questi risultati con la letteratura e la sua importanza sono discussi brevemente.

Immagine ripresa dal documento che riporta la traccia delle principali variabile  meteorologici registrate durante l’eclissi.

Variabili meteorologicheVariabili meteorologiche rispetto ai valori di irraggiamento solare misurati a Napoli il 20 marzo 2015. L’area colorata evidenzia il periodo 9:25-11:43 (UT + 1, ora locale), quando si è verificata l’eclisse: (A) Temperatura ; (B) Umidità; (C) Velocità del vento; (D) Pressione atmosferica

Dalle conclusioni, in riferimento alle flessione del vento registrata durante l’eclissi :

” …. Abbiamo anche osservato che la velocità superficiale del vento, che era relativamente debole, è diminuita durante l’eclisse, da circa 3,0 m/s fino a circa 1,5 m/s. Questo effetto è stato anche osservato nella maggior parte dei siti in Grecia durante la totale eclissi del 29 marzo 2006 a seguito del parziale raffreddamento e/o stabilizzazione dello strato limite atmosferico [Founda et al. 2007]. Così, probabilmente durante l’eclissi si è verificata una inversione termica moderata tra il superiore e il superficiale strato limite atmosferico e questo è stato osservato anche a Napoli confrontando la registrazione della temperatura degli osservatori a Sant’Elmo e San Marcellino…..”

Fonte : http://www.annalsofgeophysics.eu/index.php/annals/article/view/6899

La geometria dei Babilonesi per inseguire Giove

Le fondamenta del calcolo integrale potrebbero essere state gettate dagli astronomi e sacerdoti babilonesi, almeno 14 secoli prima di quanto conosciuto finora. È la novità più eclatante riportata nell’articolo sul metodo di calcolo geometrico del movimento di Giove rintracciato in antiche tavolette cuneiformi, in copertina sull’ultimo numero di Science. Media INAF ha intervistato l’autore, Mathieu Ossendrijver della Università Humboldt di Berlino

Pubblicato sull’ultimo numero della rivista Science, che vi dedica anche la copertina, uno studio che costringerà a rivedere i libri di storia. La ricerca è frutto del certosino lavoro di un unico autore, Mathieu Ossendrijver, professore di Storia della Scienza Antica alla Università Humboldt di Berlino.

Ossendrijver, che si è specializzato nella traduzione e interpretazione di tavolette d’argilla babilonesi in caratteri cuneiformi dal contenuto matematico-astronomico, ha trovato in cinque reperti databili tra il 350 e il 50 a.C. la prova che gli astronomi babilonesi prevedevano la posizione in cielo del pianeta Giove tramite sofisticati calcoli geometrici, e quindi non solo concetti aritmetici come si riteneva finora.

In altre parole, gli astronomi babilonesi per i loro calcoli non utilizzavano solo tabelle di numeri, ma anche figure geometriche. Trapezi, in particolare, e vedremo perché. Nel nuovo studio, Ossendrijver descrive “procedure trapezoidali” contenute nelle tavolette, ovvero una lista di istruzioni attraverso le quali, calcolando delle aree di una specifica figura trapezoidale, si potevano determinare le posizioni di Giove lungo l’eclittica per i successivi 60 e 120 giorni, a partire da un determinato giorno in cui il pianeta gigante faceva la sua comparsa come “stella del mattino”, appena prima dell’alba.

Ora, l’utilizzo in epoca così antica di questo tipo di calcolo basato sulle aree, in cui la geometria viene usata in senso astratto per rappresentare tempi e velocità, è stupefacente. Anche perché costringe a retrodatare l’invenzione di tale sofisticata tecnica di almeno 14 secoli! Come ha meglio spiegato lo stesso Mathieu Ossendrijver in questa intervista rilasciata a Media INAF:

Che tipo di formazione ha? Possiamo definirla un archeoastronomo?

«La mia formazione di base è in astrofisica, di cui ho anche conseguito un dottorato. Ma ho anche fatto studi orientali e sulla scrittura cuneiforme, quella che viene chiamata assiriologia, ottenendo un dottorato anche in questo campo, specificamente sull’astronomia babilonese. Mi considero uno storico della scienza antica. L’archeoastronomia è più focalizzata nel cercare la connessione tra architetture antiche e astronomia, mentre io sono più interessato ai testi storici e alla loro traduzione.»

Ci può descrivere l’importanza della sua scoperta?

«Ho lavorato sull’astronomia babilonese per diversi anni, traducendo un grande numero di tavolette contenenti istruzioni su come calcolare le posizioni dei pianeti. Queste istruzioni erano aritmetiche, si basavano cioè su operazioni numeriche. Ora, nell’articolo pubblicato da Science, descrivo tavolette che contengono anche geometria, provando che gli astronomi babilonesi non facevano i loro calcoli solo utilizzando numeri ma anche – almeno in certe occasioni – con figure geometriche. Questo fatto non era conosciuto e la sua scoperta rappresenta certamente un’importante novità, ma non è questa la parte più interessante.»

«L’aspetto più eclatante, nonché la ragione principale per cui Science ha deciso di pubblicare l’articolo, è che non abbiamo solo a che fare con la geometria, ma con un tipo veramente particolare di geometria. Un tipo di geometria di cui non si trova traccia in alcun altro luogo nell’antichità, e che troviamo per la prima volta solamente nel XIV secolo in Europa, un’infinità di tempo dopo. Si è finora ritenuto, infatti, che il tipo di geometria utilizzato in queste tavolette sia stato inventato assai più tardi, attorno al 1350 d.C. da filosofi e matematici di Oxford e Parigi. Ma ora l’abbiamo trovata nelle tavolette babilonesi!»

Che cos’è la procedura trapezoidale e perché è così importante?

«Queste tavolette ci parlano di una figura che è un tipo di trapezio: come un rettangolo, ma con un lato superiore inclinato. Questa figura è menzionata su quattro tavolette, che sono tutte danneggiate, quindi incomplete, e nessuno capiva di cosa si trattasse. Sta di fatto che i calcoli che riguardano questo trapezio sono scritti su tavolette che contengono altri calcoli, e questi altri calcoli riguardano Giove. Finora non potevamo affermare con certezza che questi calcoli trapezoidali si riferissero proprio a Giove. Ma ora è sicuro che riguardano Giove e ne descrivono il moto.»

La tavoletta cuneiforme che ha fornito la chiave per decifrare i metodi geometrici per individuare la posizione di Giove. Crediti: M. Ossendrijver / Science

«L’ho scoperto grazie a una quinta tavoletta, che nell’articolo su Science è indicata con la lettera A. Questa tavoletta descrive il moto di Giove con numeri, quindi non menziona il trapezio, ma ho scoperto trattarsi dello stesso calcolo. Descrive come la velocità di Giove, espressa in gradi al giorno (quindi, per quanti gradi si muove ogni giorno rispetto alle stelle), cambi con il tempo, e descrive diversi intervalli di tempo in cui la velocità di Giove cambia. E così il primo intervallo, che dura 60 giorni, è un intervallo in cui, secondo questa nuova tavoletta, la velocità di Giove diminuisce lentamente e linearmente, da un certo valore (che è di 12 minuti d’arco al giorno) fino a un valore inferiore. Questo è in accordo con fatti empirici. Se si osserva Giove, e si misura la sua velocità, non lo vediamo muoversi a una velocità costante, ma a volte rallenta, fa una battuta d’arresto, poi fa un movimento all’indietro, che noi chiamiamo “moto retrogrado”, e infine riprende la direzione iniziale. Sappiamo che questo è essenzialmente un effetto di proiezione, perché stiamo entrambi girando intorno al Sole, ma la Terra si muove più velocemente, cosicché una volta all’anno la Terra supera Giove. In quel periodo Giove sembra andare all’indietro, ma in realtà siamo noi che lo stiamo sorpassando. Questa è la spiegazione “moderna” del perché vediamo questa diminuzione della velocità.»

«Se volessimo tracciare questo movimento con metodi “moderni”, dovremmo tracciare un grafico in cui la velocità viene messa in relazione con il tempo, ottenendo proprio una figura trapezoidale. Ed è esattamente questo trapezio che viene menzionato nelle altre quattro tavolette, mentre nella quinta viene descritto. Quindi questa nuova tavoletta, che parla della velocità di Giove, è una chiave: è la chiave per comprendere tutte le altre tavolette, perché questo movimento, se lo rappresentiamo in maniera moderna, risulta un trapezio. Esattamente il trapezio in questione.»

«Quello che i Babilonesi stanno facendo qui è la visualizzazione del movimento attraverso un grafico tempo-velocità nello spazio. Questo metodo è molto, molto moderno. E anche inaspettato, poiché si pensava fosse stato inventato intorno al 1350, nel Medioevo. Ma ora lo abbiamo su tavolette babilonesi, dove, in aggiunta, viene calcolata l’area del trapezio. Ora, chiunque abbia delle basi di fisica o matematica sa che se si calcola l’area della curva della velocità in funzione del tempo, si ottiene la distanza percorsa dal corpo in movimento. Questo è molto moderno, trattandosi di una parte del calcolo integrale. Un tipo di calcolo che è stato compiutamente sviluppato da Newton e Leibniz nel XVII secolo, ma le cui origini si presume risalgano attorno al 1350, quando si sono cominciati a fare i grafici di velocità rispetto al tempo di corpi in movimento. Quindi, qui nella tavoletta babilonese abbiamo qualcosa di molto, molto simile a quel metodo. Un metodo che ritenevamo inventato nel XIV secolo, ma che ora sappiamo essere stato già utilizzato dai Babilonesi. Questa è la cosa sorprendente.»

Il dio babilonese Marduk

Qual era l’importanza del pianeta Giove per i Babilonesi?

«Loro calcolavano la posizione di tutti i pianeti, da Mercurio a Saturno, ma sembrano mostrare un particolare interesse per Giove. L’unica spiegazione che mi viene in mente è che questi astronomi che facevano i calcoli erano anche sacerdoti del più importante tempio di Babilonia, dove la divinità principale era Marduk , il cui pianeta simbolo era proprio Giove. Probabilmente, per gli astronomi babilonesi Giove era particolarmente importante perché pensavano fosse una manifestazione della divinità suprema di Babilonia. Naturalmente è solo un’ipotesi, perché nelle tavolette astronomiche i Babilonesi non ci hanno lasciato scritto né che Giove fosse un dio, né tantomeno la motivazioni dei loro calcoli.»

L’intervista

Per saperne di più:

 

Fonte : http://www.media.inaf.it/2016/01/28/geometria-babilonesi-giove/