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Campi Flegrei: otto studi in 5 anni confermano i rischi di eruzione

Lo scienziato Chiodini avverte: «Serve subito un consulto internazionale»

Otto studi negli ultimi cinque anni. Tutti condotti da esperti vulcanologi e pubblicati su prestigiose riviste scientifiche internazionali. Tutti e otto delineano uno scenario allarmante nei Campi Flegrei, tecnicamente definito «unreast», cioé di agitazione nel sottosuolo profondo. La maggioranza della comunità scientifica non ha dubbi: l’evoluzione della situazione nella caldera flegrea è preoccupante e gli indizi dell’avvio di un processo che potrebbe portare ad un’eruzione ci sono tutti. Così, la ricerca pubblicato l’altro giorno dalla rivista Nature, titolo «Approccio progressivo all’eruzione nella caldera Campi Flegrei nel Sud Italia» (Christopher Kilburn, Giuseppe De Natale e Stefano Carlino), appare l’ennesima conferma di un quadro di instabilità nelle viscere del sottosuolo flegreo.

Lo studio del 2012

Per inquadrare l’evoluzione degli ultimi anni è sufficiente riportare i titoli dei precedenti studi a partire da quello più vecchio datato 2012, condotto da Giuseppe Chiodini e altri. Titolo: «Segnali precursori di una nuova agitazione vulcanica ai Campi Flegrei». Due anni dopo, nel 2014, arriva il lavoro di Amoruso, Crescentini e altri ricercatori annuncia: «Indizi per i sommovimenti della caldera tra il 2011 e il 2013»; è il primo studio che ipotizza l’origine magmatica del sollevamento del suolo. Segue nel 2015 lo studio di Chiodini, Vandemeulebourck e altri intitolato «Evidenza di processi termici che innescano i sommovimenti», cioé analizzando la composizione dei fluidi delle fumarole si evidenzia un processo di riscaldamento del sistema vulcanico.

La pressione del magma

A seguire, sempre nel 2015, la ricerca di D’Auria, Pepe e altri «Iniezione di magma sotto l’area urbana di Napoli», dove viene ipotizzata l’esistenza di un serbatoio di magma a circa tre chilometri di profondità nelle acque di Pozzuoli. E ancora, nello stesso anno, a cura di Di Luccio, Pino e altri «Sismicità di strutture preesistenti, processi idrotermali e valutazione dei rischi». Nel 2016 si arriva a «Magma verso la pressione critica, disordini vulcanici verso uno stato critico» (Chiodini, Paonita e altri). Infine, il penultimo dei mesi scorsi (De Siena, Amoruso e altri) in cui si applica una nuova tecnica di ricerca che evidenzia una anomalia in profondità nella zona di massima deformazione dei Campi Flegrei, forse causata da un serbatoio magmatico.

L’esperto

Per concludere con l’allarmante «Approccio progressivo all’eruzione nei Campi Flegrei» su Nature dell’altro ieri. Giovanni Chiodini è uno degli scienziati italiani che ha studiato per più tempo l’area. Non ha dubbi: «Premesso che la vulcanologia non è una scienza esatta, non si può ignorare che questi studi indicano tutti la stessa direzione: cioé che la caldera sta evolvendo verso uno stato di pericolo». Per Chiodini, che lo ripete da tempo, è necessario «approfondire le ricerche coinvolgendo un team internazionale di scienziati». Insomma, portare qui il meglio della scienza da tutto il mondo per capire meglio confrontandosi.

Fonte : http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/cronaca/17_maggio_17/campi-flegrei-otto-studi-5-anni-confermano-rischi-eruzione-d62ddfa8-3ac3-11e7-bafb-475a74ae9997.shtml

Post-verità, rumors e terremoti

La «Post-verità» (Post-Truth, in inglese) secondo gli Oxford Dictionaries è la parola dell’anno 2016. Oggi la gente è più influenzabile dalle emozioni che dalla realtà, e sempre più spesso nel divulgare le notizie la verità viene considerata una questione di secondaria importanza. Questa è la “post-verità”. Anche se il concetto di post-verità esiste da oltre un decennio, l’Oxford Dictionaries ha rilevato un picco di frequenza nel 2016 riferito principalmente a due avvenimenti: la campagna per il referendum dell’UE nel Regno Unito e durante le elezioni presidenziali degli Stati Uniti.

L’argomento è di grande attualità per l’informazione e la comunicazione, come testimoniato dal grande interesse dell’opinione pubblica, degli addetti ai lavori e degli editori dei mezzi di comunicazione di massa. Molte sono state le iniziative annunciate per contenere il fenomeno della post-verità. Tra le più rilevanti la dichiarazione del fondatore di Facebook, Mark Zuckenberg, che ha detto di voler combattere le false notizie (fake-news), ma ha anche ammesso che combatterle e verificarle è un compito molto difficile e arduo. Identificare la verità – come i filosofi ci hanno insegnato – è sempre molto difficile. Anche se – ha aggiunto Zuckenberg – non dovrebbe essere particolarmente difficile verificare se il Papa ha promosso l’elezione di Trump o se Hillary Clinton ha acquistato delle armi o una casa alle Maldive.

Anche in Italia la questione è stata ripresa da molte persone influenti e in modo convinto e deciso dalla Presidente della Camera, Laura Boldrini, la quale ha lanciato l’iniziativa Basta Bufale (www.bastabufale.it), dove si ribadisce che essere informati correttamente è un diritto. Il titolo è già di per sé uno slogan imperativo: basta bufale, per fermare il pericolo che si individua nella cosiddetta disinformazione che si produce in modo virale sul web e sui social networks.

Manifesto del Fact-Checking Day del 2 Aprile 2017

I Rumors

Anche se, come ricordato, il termine post-verità esiste da circa un decennio, la ricerca della correttezza delle informazioni, la lotta contro le false notizie, le voci e le leggende metropolitane esiste da sempre. I Romani usavano il termine latino rumor (rumor, rumoris) per definire le voci, le dicerie, la fama e la pubblica opinione. Ma già il pensiero greco antico, da Aristotele, a Platone, a Tucidide lamentava i rischi delle false informazioni nell’influenzare l’opinione della gente. I Romani avevano addirittura una divinità dedicata ai rumors: la dea Fama, rappresentata come una donna alata, sempre in movimento, che diffondeva notizie buone e cattive, senza che fosse possibile distinguere quelle vere da quelle false. Per avvicinarci ai giorni nostri e ai primi studi scientifici sui rumors è utile ricordare la distinzione fatta da Carl Gustav Jung (psicoanalista contemporaneo di Sigmun Freud). Jung distingue semplicemente, ma magistralmente, i rumors in due grandi categorie: rumors ordinari (ordinary) e rumors visionari (visionary). Mentre i primi hanno un ciclo di vita breve, nascono, si diffondo e si estinguono in un tempo che va da qualche mese a qualche anno; i secondi sono i rumors che esistono fin dai tempi più remoti e che non si estinguono mai. I rumors visionari si rinnovano e si riproducono in molte varianti e sostanzialmente hanno a che fare con la fine del mondo e del genere umano e sono pressoché eterni. Fatalmente molti dei rumors legati ai terremoti, alle eruzioni vulcaniche e alle catastrofi naturali, ma più in generale alle Scienze della Terra, appartengono di diritto alla categoria dei rumors visionari.

 

La guerra dei mondi

Se proviamo a prendere in considerazione una dimensione temporale più alla nostra portata, e quindi i rumors ordinari, è utile ricordare che sono proprio questi ad avere un impatto più forte sulla comunicazione e sull’opinione pubblica. Uno dei rumors più celebri della storia recente, e che diede un importante input agli studi sociali sull’argomento, si generò in America il 30 ottobre del 1938. Durante la trasmissione del dramma radiofonico “La guerra dei mondi” trasmesso dagli studi Columbia Broadcasting System (CBS) negli U.S.A. – e interpretato da un allora giovanissimo Orson Welles – molti ascoltatori radiofonici, non rendendosi conto che si trattava di una finzione, credettero che stesse realmente accadendo lo sbarco di alieni ostili sulla Terra. Il programma divenne suo malgrado enormemente famoso proprio per aver scatenato il panico descrivendo un’invasione aliena. E a nulla valsero gli avvisi inviati prima e dopo il programma. Orson Welles così descrisse il clamore che la sua interpretazione aveva provocato: “La dimensione della reazione fu incredibile. Sei minuti dopo essere andati in onda, le case si erano svuotate e le chiese si erano riempite, da Nashville a Minneapolis le persone gridavano e si stracciavano le vesti per la strada. Mentre stavamo distruggendo il New Jersey, cominciammo a comprendere che avevamo sottostimato l’estensione della vena di follia della nostra America”.

Prima pagina del New York Times del 31 Ottobre 1938

Il falso terremoto dell’11 maggio 2011

Ai nostri giorni, con lo sviluppo dei mass media, del web e dei social networks, i rumors hanno enormemente aumentato la loro capacità di diffusione e di “travestimento” e sono praticamente ovunque. Un esempio di qualche anno fa, e che quasi sicuramente molti romani ricordano, ha riguardato le voci di un presunto terremoto a Roma l’11 Maggio 2011. La previsione fu attribuita a Raffaele Bendandi, un sismologo autodidatta, che godette di una certa notorietà sotto il regime fascista, che riteneva di essere in grado di prevedere i terremoti. Senza entrare nel merito degli studi di Bendandi e del suo valore scientifico, in realtà, la stessa associazione “la Bendandiana”, che studia il pensiero dello studioso faentino, ha dichiarato che non esisteva alcuna previsione fatta da Bendandi relativa ad un terremoto a Roma l’11 Maggio 2011. Probabilmente tale voce era nata in modo completamente infondato, associando la data dell’11 Maggio 2011 ad una presunta previsione di Bendandi con riferimento al calendario dei Maya, interpretando in modo errato dei suoi appunti, andati poi distrutti in un incendio.

 

Le cliniche dei rumors

L’iniziativa scientificamente più rilevante, per quanto riguarda lo studio sociale dei rumors, fu realizzata in America ai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Nel 1940, alla vigilia dell’entrata in guerra (gli U.S.A. entrarono in guerra l’8 Dicembre 1941), il governo americano era molto preoccupato per il diffondersi delle false notizie e dei rumors relativi al conflitto. In particolare la preoccupazione del governo riguardava la coesione sociale del popolo americano e le false notizie che riguardavano i giapponesi-americani accusati ingiustamente, dopo l’attacco giapponese alla base navale di Pearl Harbour (avvenuto il 7 Dicembre 1941), di essere spie in territorio americano. Per questi motivi il governo mobilitò tutte le università di studi sociali, il Ministero della Difesa e istituì una apposita task force che doveva occuparsi di comunicazione istituzionale. La task force e le università di studi sociali lanciarono una iniziativa innovativa che chiamarono “Rumor Clinic”. Le cliniche dei rumors (ne furono istituite alcune decine sul territorio americano) avevano il compito di raccogliere le voci che circolavano e di trasmetterle al coordinamento interuniversitario, coordinato da Gordon Allport e Leo Postman, due eminenti psicologi sociali dell’Università di Harvard. La tecnica messa in campo per contrastare i rumors ritenuti più pericolosi, in particolare quelli che rischiavano di minare la coesione sociale del popolo americano che si apprestava ad entrare in guerra, consisteva nell’analizzare i dati raccolti dalle cliniche dei rumors su tutto il territorio nazionale. I rumors venivano catalogati, ordinati secondo la loro “forza” (la forza del rumor venne poi teorizzata da Allport e Postman nel libro Psychology of Rumors pubblicato nel 1947) e discussi all’interno di un comitato di esperti, che aveva soprattutto il compito di trovare una strategia per contrastare il rumor, raccogliendo i fatti reali che potessero contrastarlo e screditarlo agli occhi dell’opinione pubblica. Alla fine di questo processo di catalogazione e di contrasto, la domenica, sul Boston Herald veniva pubblicato il rumor più rilevante della settimana, al quale il giornale dedicava un’intera colonna in prima pagina. Il rumor veniva riportato integralmente e sotto la voce erano elencati i fatti (facts) e le prove che lo screditavano.

La Rumor Clinic presso il Boston Herald

L’esperienza delle Rumor Clinic durò per circa due anni e coinvolse oltre alle università alcune agenzie governative e lo stesso Ministero della Difesa. Dopo i loro studi sui rumors durante la Seconda Guerra Mondiale, nel 1947, Allport e Postman pubblicarono The Psychology of Rumor, studio considerato da molti una pietra miliare della psicologia sociale, in quanto esempio di una scienza venuta dalle università per diventare una scienza che si occupa della realtà. Nel loro libro Allport e Postman definiscono i rumors come proposizioni di fede su argomenti specifici (o attuali) che passano da persona a persona, di solito di bocca in bocca, senza alcuna prova della loro verità. Anche se le voci sono di solito comunicate da persona a persona, i media hanno un ruolo fondamentale nella loro diffusione. Per i due autori le caratteristiche fondamentali dei rumors sono:

  • la loro divulgazione, cioè sono trasmessi per passaparola e vengono amplificati dai giornali e dai media;
  • il loro contenuto, che riguarda notizie di grande importanza e interesse per il pubblico, a differenza del gossip e dei pettegolezzi che, al contrario, sono banali e riguardano solo poche persone;
  • la rilevanza attribuita all’ascolto: i rumors si diffondono nella comunità perché rispondono a delle profonde esigenze emotive delle persone.

Allport e Postman sostennero anche l’idea che i rumors potessero rispondere ad uno stato di incertezza attraverso la produzione di una risposta e che questo potesse avere un effetto catartico sulla comunità.

In conclusione possiamo affermare che lo studio dei rumors è un fenomeno sociale che riveste una notevole importanza per chi si occupa di informazione e di comunicazione. Il BLOG INGVterremoti ha deciso di occuparsene e di lanciare una raccolta di rumors che riguardano i recenti terremoti dell’Italia centrale del 2016 – 2017.

Si può partecipare alla raccolta dei rumors rispondendo alle domande del questionario al seguente link: Questionario Rumors.

A cura di Massimo Crescimbene e Federica La Longa (INGV – Roma1)


Riferimenti bibliografici

Allport, G., and L. Postman (1947). The Psychology of Rumor, New York, Henry Holt.

Jung, C.G. (1959). A Visionary Rumour, Journal of Analytical Psychology, 4 (1), 5-19; available online, doi: 10.1111/j.1465-5922.1959.00005.x.

Nostro C. , A. Amato, G. Cultrera, L. Margheriti, G. Selvaggi, L. Arcoraci, E. Casarotti, R. Di Stefano, S. Cerrato, 11 maggio Team, 11 maggio 2011: il terremoto previsto e l’Open Day all’INGV. Quaderno di Geofisica, n. 98, 2012.

 

Fonte : https://ingvterremoti.wordpress.com/2017/05/10/post-verita-rumors-e-terremoti/?utm_source=dlvr.it&utm_medium=facebook&utm_campaign=andrea%20borg

L’algoritmo che prevede i terremoti in laboratorio

L’intelligenza artificiale per “ascoltare” i terremoti. “Prevede quelli in laboratorio”

 Grazie al “machine learnign”, l’algoritmo riesce a fare previsioni accurate di quando accadrà la prossima scossa. Ha funzionato su dei modelli di faglie in fase di test al Los Alamos National Laboratory del New Mexico, un modello da ancora da verificare su vere scosse sismiche. Doglioni (Ingv): “Approccio che merita attenzione. Importante investire nella ricerca sui precursori”
Gli scienziati hanno insegnato a una macchina ad “ascoltare” i terremoti generati in laboratorio. E l’intelligenza artificiale ha imparato così bene da riuscire a prevederli. Per ora si tratta, va evidenziato, solo di esperimenti su faglie artificiali, simulazioni. Nessuna vera scossa è stata finora presa in esame. La scoperta (o l’invenzione) dei ricercatori potrebbe però aprire la strada all’utilizzo sempre più efficace del “machine learning” anche in questo settore.

La “previsione” dei terremoti, è noto, non è possibile. Non ancora. Quello che finora si è fatto è studiare la probabilità che un evento si manifesti studiando la sequenza di sismi registrata nel corso del tempo. Ma le registrazioni scientifiche riguardano un periodo molto breve della storia, sono utili per fare prevenzione in una regione soggetta a forti scosse, non a prevedere gli eventi.

Uno degli esempi più noti è quello della faglia di Sant’Andrea, in California. I sismi più violenti si sono verificati nel 1857, 1881, 1901, 1922, 1934 e 1966. Con una cadenza di circa 22 anni. Si attendeva una nuova forte scossa tra il 1988 e il 1993. Arrivò con 11 anni di ritardo, nel 2004, con una magnitudo di 6.0.

Allora la chiave per poter dare l’allarme con sufficiente anticipo ma soprattutto con grande precisione va cercata nei cosiddetti “precursori”: “Sono quei segnali che la terra ci dà e dobbiamo imparare a riconoscere – spiega Carlo Doglioni, presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia – fenomeni transienti che se non sono associati ad altri eventi naturali o legati al clima, possono essere legati a modificazioni del campo di stress dentro la crosta”. E, un domani, potranno dirci quando avviene una scossa.

Il fatto reale contro la probabilità statistica: una specie di “sacro Graal” per i sismologi. Ma nonostante da decenni si studino fenomeni come le emissioni di radon, variazioni di onde elettromagnetiche, formazioni nuvolose e capacità predittive degli animali, nulla finora ha aiutato gli scienziati a fare previsioni accurate.

Quello che hanno fatto Bertrand Rouet-Leduc, del Los Alamos National Laboratory, in New Mexico, e i suoi colleghi è stato creare terremoti in laboratorio con una faglia artificiale che riproduce le caratteristiche fisiche di quelle che stanno sotto i nostri piedi. Un “sandwich” di rocce e materiale friabile. E poi hanno registrato il suono, scricchiolii e sfregamenti, generato anche solo dalla pressione che aumenta: “A volte la semplice messa in pressione può determinare onde acustiche, anche senza dislocazione – sottolinea Doglioni – i minatori mi raccontavano di sentire scricchiolare la roccia prima del cosiddetto colpo di tetto. Prima cioè del crollo della volta”.

La domanda alla quale il team di Rouet-Leduc cercava risposta era: questi suoni contengono uno schema che può essere interpretato, un qualsiasi segnale premonitore? La risposta, positiva, è venuta dall’algoritmo dell’intelligenza artificiale.

Ascoltando le onde acustiche la macchina alla quale hanno dato in pasto i dati è infatti riuscita a trovare la chiave, come decifrando un codice che sfuggiva agli scienziati, e a prevedere le scosse (che avvenivano senza regolarità) prima che si manifestassero.

“L’analisi fatta grazie all’apprendimento della macchina suggerisce che il sistema emette una piccola ma crescente quantità di energia durante tutto il ciclo di stress – scrivono gli scienziati nello studio – prima di rilasciare all’improvviso l’energia accumulata quando si verifica lo scivolamento”. Il tempo di occorrenza variava di volta in volta ma il computer era sempre in grado di dire in anticipo quando. Ora non resta che metterlo alla prova su veri terremoti in aree dove le scosse sono più frequenti.

I risultati sono incoraggianti ma, sottolineano i ricercatori, le condizioni dei test sono differenti da quelle reali. Per esempio per quanto riguarda la magnitudo (che in laboratorio è superiore a quella di un terremoto reale) e di temperatura delle rocce sottoposte a stress: “Qualsiasi modello analogico ha dei limiti – conclude Doglioni – ma questo approccio merita attenzione. Sia nell’applicazione dell’intelligenza artificiale in questo settore, sia nella ricerca sui precursori, sulla quale occorrerebbe investire di più”.

Fonte : http://www.6aprile.it/conoscere-i-terremoti/articoli-tecnici/2017/03/29/lalgoritmo-che-prevede-i-terremoti-in-laboratorio.html

La Civiltà Minoica scomparve probabilmente a causa di uno tsunami generato dall’esplosione del vulcano Santorini

A generare l’onda di tsunami alta 9 metri che nel 1628 a.C. attraversò il Mediterraneo, portando forse alla fine della civiltà Minoica, fu la caduta in mare dell’enorme flusso di detriti generati dall’esplosione del vulcano di Santorini. E’ uno dei diversi dati che emergono dalla ricostruzione di una delle più devastanti eruzione di sempre effettuata da Paraskevi Nomikou, dell’università di Atene, e pubblicata su Nature Communications. Considerata una delle più grandi catastrofi della storia umana, l’eruzione del vulcano di Santorini (o Thera) portò all’espulsione di un’enorme quantità di materiali, stimata fra 30 e 80 chilometri cubi di polveri e rocce, pari almeno al volume di un disco dello spessore di 100 metri e del diametro di 20 chilometri, circa 10 volte maggiore a quello dell’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. Testimonianze archeologiche indicano che l’eruzione fu accompagnata da un potente tsunami, con onde di 9 metri che devastarono molte isole del Mediterraneo contribuendo anche al crollo della civiltà Minoica sull’isola di Creta. Analizzando i fondali di Santorini i ricercatori greci hanno ricostruito le dinamiche dell’eruzione e in particolare i meccanismi che generarono lo tsunami. Studi precedenti avevano suggerito che a generare l’onda fu il crollo della caldera, il ‘buco’ che si forma al centro dei vulcani dopo lo svuotamento della camera magmatica che si trova nel sottosuolo. Ma i nuovi dati indicano che a generare l’onda fu invece fu dovuto alla rapida caduta di materiali espulsi dal vulcano (mentre la caldera non era direttamente collegata al mare). Una dinamica simile a quella avvenuta con l’eruzione del Krakatoa, nel 1883, il cui tsunami provocò 35.000 morti. Lo studio offre dettagli importanti per capire meglio i pericoli nascosti in fenomeni di cui è difficile prevedere gli effetti.

Fonte : http://geoscienze.blogspot.it/2016/11/la-distruzione-della-civilta-minoica-fu.html#more

Misteriose esplosioni in mare al largo di Montecristo, stop alla navigazione

Getti di acqua, gas e fango alti fino a dieci metri

Campo nell’Elba (Livorno), 20 marzo 2017 – Misteriose esplosioni in mezzo al mare. È quanto è avvenuto nei giorni scorsi nelle acque di Montecristo. Nei giorni scorsi vi sono stati alcuni fenomeni riconducibili a un’attività geologica sottomarina al largo tra Montecristo, Pianosa e la Corsica. Sono stati alcuni pescatori a notare nella zona emissioni gassose, miste ad acqua in mezzo al mare.

Il Dipartimento di protezione civile ha immediatamente segnalato l’evento alla capitaneria di porto elbana che sabato «ha emesso un’ordinanza per impedire, in via cautelativa e precauzionale, la navigazione nella zona». I fenomeni infatti potrebbero rivelarsi pericolosi e in attesa di ulteriori indagini specifiche da parte dei soggetti deputati per garantire la sicurezza della navigazione, è stata vietata qualsiasi attività marittima, di superficie e subacquea nella zona di mare che ha un raggio di 500 metri dalle coordinate dove si è verificato il fenomeno.

I pescatori di campo nell’Elba ( Livorno) che hanno assistito al fenomeno e che si trovavano a poche decine di metri di distanza da esso riferiscono di «avere sentito una fragorosa esplosione» e di avere visto alzarsi «per alcuni metri un getto d’acqua nera, fango, gas e detriti».

Fonte : http://www.lanazione.it/livorno/cronaca/montecristo-esplosioni-mare-1.2980425