Archivio mensile:Ottobre 2012

UN NUOVO MODELLO CLIMATICO ALLA BASE DELLA PEG: PARTE VI

Un saluto a voi, popolo di NIA.
Come già anticipato, nella presente Parte cercheremo di individuare assieme i fenomeni che portarono al raffreddamento climatico dell’emisfero boreale noto come Piccola Era Glaciale. In altre parole, sulla base di quanto finora imparato in merito alle più importanti dinamica atmosferiche a scala emisferica, tenteremo di rintracciare quel meccanismo avviato e promosso dalla bassa attività solare ed in grado di apportare nel lungo termine considerevoli modifiche all’atmosfera terrestre.
Tuttavia, prima di procedere con l’analisi consentitemi di mostrarvi una cosa molto interessante, che mi servirà per ricollegarmi direttamente a quanto detto nei precedenti appuntamenti.
Qui di seguito riporto le immagini relative all’andamento dell’indice NAM nelle tre passate stagioni invernali (compresa quella attuale):

Stagione 2009-2010:

Stagione 2010-2011:

Stagione 2011-2012:

Brevemente, Il NAM costituisce un pattern di variabilità climatica a scala emisferica, che descrive lungo il profilo verticale atmosferico (dalla troposfera alla stratosfera), l’andamento dell’intero Vortice Polare (VP). I colori “caldi” corrispondono ad un VP debole (valori negativi del NAM), mentre i colori “freddi” individuano un VP estremamente compatto, freddo e contraddistinto da elevate velocità zonali (valori positivi del NAM). Dalle immagini si vede chiaramente come, l’andamento del VP alle basse quote (Vortice Polare Troposferico) riflette perfettamente l’andamento del Vortice Polare Stratosferico (VPS).
Senza entrare troppo nel dettaglio, ricorderete come nella stagione invernale 2009-2010 si registrarono valori negativi dell’indice AO da record per via di UN VPT ridotto a brandelli per l’intera stagione. La conseguenza fu quella di avere un inverno estremamente dinamico, nevoso e freddo sull’Europa come non si vedeva da anni. L’indice NAM risultò fortemente negativo dall’inizio alla fine della stagione invernale.
Per chi si ricorda, l’inverno 2010-2011 ebbe una doppia faccia, nel senso che nella prima sua fase (fine novembre-metà gennaio), il gelo e la neve fecero da padroni in Europa (addirittura si parla di uno dei mesi di dicembre più freddi di sempre), mentre la seconda parte risultò estremamente statica e mite. Notate dalla carta come l’andamento dell’indice NAM rifletta questa situazione.
L’inverno attuale, neanche a dirlo, ha avuto un andamento simile ma opposto. Anche in quest’ultimo caso l’indice NAM riflette alla lettera detto andamento.
Tutto questo per ribadire ancora una volta un concetto fondamentale, che ancora non tutti hanno bene in mente:
anche se non tutti gli eventi di gelo in Europa sono correlate a forti eventi di Stratwarming, il Vortice Polare Stratosferico (VPS) gioca sempre un ruolo fondamentale. In altri termini, le vicende della stratosfera polare (temperature e velocità dei venti zonali), anche in assenza di fenomeni eclatanti, hanno sempre una valenza cruciale nelle dinamiche meteo invernali. Infatti, come è stato più volte ribadito, in presenza di elevate velocità zonali stratosferiche (VPS compatto), le onde di Rossby non si propagano e non riescono ad acquisire quelle grandi ampiezze e lunghezze tipiche delle onde stazionarie e retrograde. Pertanto né il freddo da nord, né il gelo da est arriveranno mai in presenza di un Vortice Polare Stratosferico compatto (colori blu nel grafico NAM). Infine anche la figura dell’anticiclone termico russo siberiano è strettamente correlata alla debolezza del Vortice Polare Stratosferico.
Nei precedenti appuntamenti abbiamo visto come l’attività solare gioca un ruolo chiave nell’ambito delle dinamiche stratosferiche polari, regolando la circolazione atmosferica nell’ambito delle regioni equatoriali. Infatti, l’attività solare è in grado di modulare l’intensità della circolazione meridiana stratosferica nota come Brewer Dobson Circulation (BDC) e di interferire nell’intensità e nelle caratteristiche dell’attività convettiva equatoriale. Questi due fattori sono quelli in grado di regolare le caratteristiche del VPS (temperature e velocità dei venti). Nello specifico abbiamo visto come la bassa attività solare sia responsabile di un anomalo rafforzamento della BDC, nonché di un rinvigorimento dell’attività convettiva equatoriale. Entrambi le circostanze favoriscono un VPS (VP in generale) fortemente disaggregato con frequenti episodi gelidi per l’Europa (medie latitudini in generale).
Infine abbiamo osservato come, questo legame non sia del tutto lineare, in quanto influenzato dall’andamento della QBO e del ciclo ENSO. A quest’ultimo proposito rimando alla lettura delle ultime due Parti:

Parte IV:

http://daltonsminima.altervista.org/?p=17306

Parte V:

http://daltonsminima.altervista.org/?p=18000

Procediamo ora con il discorso.
Iniziamo ad osservare come la stratosfera polare artica abbia subito per tutto il XX Sec. un progressivo ed inesorabile raffreddamento. Le cause di questo andamento sono da rintracciare essenzialmente in due fenomeni che sono risultati concomitanti nel suddetto secolo:

1) forte incremento dell’attività solare;
2) immissioni di sostanze inquinanti antropogeniche quali i clorofluorocarburi (CFC).

Infatti come è stato spiegato nella precedente Parte III, l’aumento dell’attività solare è responsabile nel lungo termine di una diminuzione dell’intensità media della Brewer Dobson Circulation (BDC), con conseguente isolamento e raffreddamento medio del Vortice Polare Stratosferico (VPS). Come si è visto inoltre tale circostanza comporta una perdita media di ozono nello stesso VPS. A sua volta l’immissione in atmosfera dei CFC ha aumentato notevolmente la velocità del processo di raffreddamento della stratosfera polare.
I clorofluorocarburi (CFC) sono composti organici semplici in cui tutti gli atomi di idrogeno sono stati sostituiti dagli alogeni cloro e fluoro. La radiazione ultravioletta altamente energetica proveniente dal sole è assorbita dall’ozono stratosferico e, di conseguenza, non penetra nella troposfera. Questo significa che la luce ultravioletta che raggiunge la superficie terrestre, è troppo debole per distruggere i CFC ivi presenti. Tuttavia, siccome i CFC hanno un’emivita atmosferica così lunga, delle quantità significative riescono a raggiungere la stratosfera dove la radiazione ultravioletta è abbastanza forte da scinderli nei radicali cloro e fluoro che sono molto reattivi. Questi radicali sono in grado di distruggere l’ozono. Questo processo, tuttavia, non porta necessariamente ad una forte deplezione dell’ozono perché i radicali cloro (i principali responsabili per la rimozione dell’ozono) subiscono anche altre reazioni che dipendono dalle condizione meteorologiche. Sebbene infatti l’ozono stratosferico sia rimosso dalla reazione con radicali cloro e fluoro a tutte le latitudini, il buco dell’ozono si forma solo ai poli. La spiegazione del perché di questo fenomeno è molto semplice. La decomposizione dei CFC crea radicali di monossido di cloro (CIO). Questi possono reagire con il biossido di azoto (NO2) per formare nitrato di cloro (CIONO2) o con il monossido di azoto (NO) e con il metano (CH4) per formare l’acido cloridrico (HCI) e acido nitrico (HNO3). Sia HCI che CIONO2 non reagiscono con l’ozono ma sono composti piuttosto stabili e rimuovono il cloro dai cicli di distruzione dell’ozono. Tuttavia, se le temperature nella stratosfera polare artica raggiungono temperature molto basse (VPS molto isolato), l’acido nitrico e l’acqua formano le nuvole di ghiaccio stratosferico. Sulla superficie del ghiaccio, l’acido cloridrico e CIONO2 reagiscono tra di loro per dare l’acido nitrico e cloro molecolare (CI2). Il cloro molecolare (CI2) è una molecola stabile che non reagisce con l’ozono. Tuttavia, è facilmente distrutta dalla radiazione ultravioletta (in arrivo nella fase finale dell’inverno boreale) proveniente dal sole per formare due radicali cloro che possono in seguito attaccare e distruggere l’ozono. Durante l’inverno, nella stratosfera polare possono essere prodotti livelli elevati di cloro molecolare (Cl2). Solo nella fase finale dell’inverno, il sole riappare e la radiazione solare ultravioletta aumenta. Questa radiazione ultravioletta scinde il Cl2 in radicali cloro, che distruggono poi l’ozono con conseguente formazione del buco nell’ozono.
Da ciò si capisce come le sostanze derivanti dall’azione inquinante umana (CFC), diventano efficace nell’azione di depauperamento di ozono stratosferico, solo in presenza di particolari condizioni atmosferiche. In particolar modo i CFC entrano in azione solo in presenza di un VPS estremamente isolato e freddo. Quest’ultima circostanza, come abbiamo visto, è favorita nel lungo periodo da una continua ed intensa attività solare. Entrambi i fenomeni “vanno dunque a braccetto”, nel senso che, anche se completamente indipendenti dal punto di vista delle cause, risultano complementari nel produrre ed accentuare lo stesso effetto. Inoltre, alla riduzione di ozono apportata dalle sostanze inquinanti va aggiunta quella “naturale” associata all’indebolimento della stessa BDC. Infatti ricordiamo che una delle principali funzioni della BDC è quella di trasportare, durante l’inverno, l’ozono stratosferico dalle zone in qui viene prodotto (equatore) ai poli. Infine, la riduzione di ozono stratosferico contribuisce ulteriormente al raffreddamento della stratosfera polare. Infatti, all’arrivo della radiazione solare sul polo nell’ultima parte dell’inverno, l’ozono presente assorbe la maggior parte della radiazione solare ultravioletta e la restituisce sotto forma di calore. Ciò favorisce intensi fenomeni di stratwarming e porta ad un Final Warming stratosferico “anticipato”(l’aggettivo “anticipato” qualifica l’evento in relazione all’andamento del fenomeno nell’epoca moderna, pertanto sarebbe stato più giusto utilizzare l’accezione “normale”) . La riduzione dell’ozono stratosferico polare tende dunque ad inibire il regolare riscaldamento della stratosfera a fine inverno ed a ritardare di molto il Final Warming. Quest’ultimo fattore, come è stato ampiamente dimostrato, comporta poi delle ripercussioni negative (in ambito meteorologico) nella seguente primavera e prima parte d’estate alle medie latitudini.
Pertanto siamo al cospetto di un fenomeno estremamente efficace, in quanto la riduzione di ozono stratosferico è causato dal raffreddamento della stratosfera polare ma a sua volta contribuisce a raffreddare la stessa.
Il meccanismo sin qui spiegato dimostra, infine, perché la problematica del “buco dell’ozono” riguarda più da vicino il polo sud. Infatti, la particolare configurazione geografica ed orografica che contraddistingue l’emisfero meridionale, rende molto difficile la formazione di onde di Rosbby particolarmente lunghe ed ampie (e dunque energetiche) in grado di penetrare nella stratosfera. Ciò rende quasi impossibile il verificarsi di fenomeni di stratwarming, rendendo praticamente inefficiente l’azione della BDC. Infatti, anche se la BDC portasse ad un innalzamento della temperatura al di sopra dell’equilibrio radiativo del VPS antartico (rallentandolo), l’impossibilità del verificarsi anche dei più blandi fenomeni di stratwarming, porterebbe la stratosfera stessa a raggiungere nuovamente l’equilibrio radiativo locale (-80 °C circa). Ciò porta ogni anno alla formazione di un VPS estremamente compatto e freddo sull’antartico, facilitando di molto il lavoro di distruzione di ozono ad opera dei CFC.
Per riassumere, questo complesso fenomeno, associato all’elevata attività solare e velocizzato dalle emissioni di sostanze inquinanti di origine antropica, ha portato nel secolo scorso (soprattutto seconda metà) ad un progressivo raffreddamento della stratosfera polare artica. Di seguito vi riporto un bellissimo grafico in cui è rappresentato tale fenomeno, con riferimento al ventennio che intercorre tra gli anni 80’ ed il 2000.

Dal grafico si evince come il processo sia stato regolare e senza alcuna interruzione. Inoltre notate come la linea blu (quantità di ozono nella stratosfera polare antartica) segua da molto vicino la linea rossa (temperature nel VPS), anche nelle oscillazioni inerenti al brevissimo termine. Questo dimostra come i due fenomeni sono strettamente correlati da un legame di causa effetto “multiplo” (nel senso che il singolo fenomeno è sia causa dell’altro, sia conseguenza).
Tale situazione ha portato nel corso dei vari decenni ad avere un VPS sempre più compatto ed isolato, con conseguente contrazione e compattazione dell’intera struttura del VP (anche a quote troposferiche). A tal proposito vi riporto di seguito un grafico in cui è tracciato l’andamento medio dell’indice AO invernale nel corso degli ultimi 60 anni (penso che tutti voi sappiate che l’indice AO misura il grado di compattezza del Vortice Polare e che valori bassi indicano un VP vulnerabile e dunque in grado di scendere a latitudini più basse).

In questo caso la linea blu rappresenta l’oscillazione annua del valore medio dell’AO invernale, mentre le linee rosse rappresentano le medie nel singolo decennio dei valori dell’AO stesso. Come si può facilmente osservare, il processo di raffreddamento/isolamento del VPS è coinciso con un graduale aumento della compattezza/contrazione del VP (aumento AO). Il record massimo dell’AO è stato raggiunto negli anni 90, con un valore medio pari a 0.41. Proprio negli anni 90 è stato toccato il record di bassa temperatura nella stratosfera polare artica.
Infatti nell’ultimo decennio (soprattutto ultimi 5 anni) il fenomeno di raffreddamento della stratosfera polare si è assestato, mostrando anzi un andamento di controtendenza. Alla luce di quanto ci siamo sin qui detti, mi sembra retorico sottolineare che la causa di tale circostanza si debba ricercare nel brusco calo dell’attività solare (Minimo di Eddy). Anche l’andamento dell’indice AO ha mostrato una controtendenza ed il valore medio del decennio si è assestato intorno a -0.34.

Esaminato nel dettaglio l’epoca moderna, andiamo ancora indietro nel tempo e cerchiamo di ricostruire assieme cosa accadeva durante la Piccola Era Glaciale (PEG).
Iniziamo ovviamente con il dire che il periodo antecedente al 1900 (dalla fine dell’epoca Medievale in poi) fù contraddistinto da uno stato generale di bassa attività solare. Ovviamente la stessa attività solare, in tutti quei secoli, ha avuto un andamento altalenante, ma mediamente ed a livello di trend si può asserire con certezza che essa sia stata molto bassa per tutti quei secoli. Al contrario, nel periodo ancora precedente (Medioevo) l’attività solare si adagiava su livelli molto elevati. Non sto qui ad elencare le conseguenze che si ebbero a livello climatico, in particolare nell’emisfero boreale alle medie latitudini, perché ritengo le conosciate tutti. Quello che mi interessa invece è cercare di individuare quel meccanismo che si è innescato con il mutamento dell’attività della nostra stella e che si è poi evoluto nel tempo, arrivando a toccare il culmine tra la seconda metà del 1700 e la prima metà del 1800 e che ha portato molte zone dell’emisfero settentrionale (Europa in primis) a vivere condizioni di freddo anomalo.
Abbiamo sin qui visto le modalità con cui l’attività solare riesce a modulare l’intensità dei vortici atmosferici polari, con particolare riferimento al Vortice Polare Stratosferico (e dunque all’intero Vortice Polare).
Nel caso specifico, nel corso dei secoli medievali (IX-XIII sec.), l’incessante alta attività solare è stata certamente causa di un processo di raffreddamento medio del VPS con conseguente rafforzamento/restringimento dell’intero VP. In un simile contesto gli scambi meridiani tra polo e medie latitudini erano fortemente inibiti e l’Europa occidentale si trovava spesso protetta, anche in pieno inverno, dall’anticiclone oceanico, la cui distensione lungo i paralleli era certamente favorita da una forte ed ininterrotta circolazione westerly. Se una simile situazione (figlia dell’alta attività solare) si protrae nel corso dei secoli, il risultato è certamente quello di avere un estremizzazione dell’andamento climatico pocanzi descritto ed una conseguente riduzione delle precipitazioni alle medie latitudini. La riduzione delle precipitazioni nevose, connessa al progressivo rafforzamento/contrazione del VP e dunque alla riduzione delle oscillazioni della corrente a getto polare, ha poi favorito un lento ma progressivo ritiro della copertura nevosa primaverile e dei ghiacci dalle medio-alte latitudini. Quest’ultimo fattore è poi connesso alla riduzione dell’effetto albedo, con conseguente aumento delle temperature in tutto l’emisfero nord (principalmente medie latitudini).

Alla fine di tale periodo, il repentino stravolgimento del regime dell’attività solare, ha cominciato ad apportare netti cambiamenti nella consistenza dei Vortici Polari, portando così ad un radicale mutamento dell’intera circolazione atmosferica alle medie latitudini. Il progressivo aumento delle temperature stratosferiche polari è coinciso con un incremento della debolezza dell’intero Vortice Polare. È chiaro che in caso di bassa attività solare duratura per svariati secoli, le conseguenze risultano tangibili su buona parte dell’emisfero boreale e possono divenire anche pesanti. Un simile processo culmina infatti con il decentramento totale del VP ed un espansione dei lobi gelidi ad esso connesso anche a basse latitudini. Nel caso specifico (PEG), l’espansione dello vortice polare ha causato nel tempo un incremento delle precipitazioni (in particolare nevose) alle medie latitudini, aumentando così la copertura nevosa dell’intero emisfero nord. L’incremento dell’effetto albedo derivante da simili circostanze ha prodotto poi un apprezzabile calo termico alle medie latitudini. La straordinaria debolezza del VP,già in fase autunnale, favoriva inoltre la precoce discesa di colate artiche portando alla prematura (rispetto ad oggi) formazione di un potente anticiclone termico russo siberiano. L’estensione della spessa copertura nevosa anche in zone più occidentali (Russia più occidentale) , ancora una volta dovuta ad un VP debole ed espanso, comportava un espansione (formazione anche in zone più occidentali) dello stesso hp termico siberiano. Durante l’inverno, l’incredibile debolezza/lentezza del VPS (in generale VP) favoriva la formazione di onde ampie e lunghe con conseguente blocco della circolazione occidentale ed attivazione di moti retrogradi da est sull’Europa occidentale. Le altissime (rispetto a quelle attuali) temperature nel VPS e la suddetta facilità di formazione di onde planetarie lunghe con ed ampie favoriva inoltre la formazione di numerosissimi e violenti stratwarming, con conseguente formazione di anticicloni caldi in sede artica in grado di attivare una circolazione oraria e sospingere sul comparto europeo correnti gelide connesse o a lobi freddi di diretta estrazione polare.. Inoltre, come sopra detto, l’eccezionale copertura che si palesava sul comparto russo già in autunno (a causa di un VP estremamente vulnerabile e maggiormente proteso a medie latitudini già nelle fasi iniziali dell’inverno) favoriva una formazione più occidentale (nel senso che era più esteso) dell’hp termico russo-siberiano. Pertanto le suddette circolazioni retrograde invernali attivate in seguito alla frequente formazione di onde particolarmente lunga (in grado di bloccare in maniera stazionaria la circolazione occidentale oceanica), potevano portare lo stesso hp russo-siberiano a lambire l’Europa (e non una sua propaggine dinamica).

È chiaro che alla base di tutto vi fosse un netto cambiamento di circolazione indotto nel Vortice Polare Atmosferico dalla lunga fase di bassa attività solare.
Abbiamo visto, nelle precedenti parti, come la bassa attività solare riesca a modulare (disturbare) il VPS con “l’ausilio” di due fenomeni: QBO ed ENSO. Cerchiamo di comprendere il loro andamento durante la PEG e verificare se questo fosse favorevole all’attivazione e all’accentuazione delle dinamiche sopra descritte.
Iniziamo con l’osservare che, in un contesto di attività solare “costantemente” bassa per svariati secoli, anche il classico andamento della QBO (quello che conosciamo oggi con fase di 28) sarebbe in grado di favorire importanti cambiamenti nella circolazione atmosferica invernale boreale. Di fatti in media un anno ogni due si sarebbero create condizioni ottimale per avere un VP particolarmente disturbato e propenso a discendere verso le medie latitudini. Praticamente durante la PEG un anno ogni due (con frequenza quindi dello 0,5) si venivano ad instaurare condizioni favorevolissime ad eventi eclatanti di gelo sull’ Europa, le “stesse” condizioni che nell’epoca moderna si verificano di mediamente una volta ogni vent’ anni.
Sempre riguardo alla QBO, recenti sudi stanno cercando di individuare una correlazione di causa-effetto tra attività solare ed andamento dei venti stratosferici equatoriali (QBO). Tra questi ricordiamo quelli condotti da Soukharev dell’ “Institut für Meteorologie, Freie Universitat Berlin” e Hood del “Lunar and Planetary Laboratory, The University of Arizona” e quelli pubblicati da Salby e Callaghan dell’ “University of Colorado”. In entrambi i casi i ricercatori hanno tentato di trovare una correlazione tra andamento della QBO e minimo-massimo solare nell’ambito però del classico ciclo solare undecennale. Il risultato è stato quello di osservare come la lunghezza del ciclo della QBO tenda ad allungarsi durante il minimo solare e ad accorciarsi durante il massimo, specificando tuttavia che i pochi dati a disposizione (campione di dati troppo breve) non consentono di trarre conclusioni certe e definitive..
Tuttavia, come anzi detto, tali ricerche sono state condotte con lo scopo di ricercare una correlazione tra QBO ed attività solare nell’ambito del consono ciclo undecennale. In altre parole si è cercato di capire come si comporta la QBO durante la fase di minimo del ciclo undecennale e come varia il suo andamento in concomitanza del massimo. Questo per dire che i ricercatori non si sono preoccupati di ricercare l’esistenza di un eventuale legame tra attività solare e QBO nel lungo termine, ovvero a livello di trend. Io nel mio piccolo ho tentato di farlo. In poche parole ho cercato di rispondere alla seguente domanda: esiste un legame di causa effetto tra andamento medio di attività solare ed andamento della QBO nel lungo termine?
Ebbene sulla base dei dati a disposizione inerenti alla QBO a 30 hpa ho potuto constatare come, 60 anni caratterizzati mediamente da un elevata attività solare (dal 1950 al 2007), hanno comportato un cambiamento sull’andamento medio della QBO. In particolare sono riuscito a costruire un grafico in cui si evince un trend della QBO davvero interessante: mediamente la durata complessiva della QBO negativa (linea gialla) si è andata lentamente ma progressivamente riducendo, mentre, la durata complessiva media della QBO positiva (linea viola) ha subito un processo di lenta e graduale crescita.

Ciò lascia presupporre che, nel lunghissimo termine, possa esistere un legame di causa effetto tra attività solare ed andamento medio delle fasi della QBO. Tale legame può riassumersi nel seguente modo:

 lunghi periodi interessati mediamente da un intensa attività solare comportano una diminuzione della durata media della fase orientale della QBO (QBO-) ed un aumento dell’opposta fase occidentale (QBO+);

 lunghi periodi caratterizzati da un’attività solare mediamente debole, portano ad un aumento della durata media della QBO negativa ed una diminuzione dell’opposta fase positiva.

Un legame di questo tipo ha un estrema importanza. Infatti l’aumento della durata media della QBO negativa comporta un aumento del tempo in cui l’attività solare riesce ad essere estremamente efficace nel modulare il clima (soprattutto nell’emisfero boreale). In altre parole, è possibile che al culmine della PEG, la durata complessiva delle fasi negative della QBO fosse discretamente superiore a quella delle opposte fasi positive, determinando un ulteriore aumento degli anni favorevoli al verificarsi di fenomeni di freddo anomalo alle medie latitudini boreali, Europa in particolare. Vale a dire che la frequenza dello 0,5, associata al famoso “un anno favorevole ogni due”, poteva essere in realtà superata (ad esempio due anni buoni ogni tre). Le ripercussioni climatiche di tale presunto legame, sarebbero per le medie latitudini a dir poco clamorose.
Come fatto per la QBO, nelle prossime Parti cercheremo di ricostruire l’andamento dell’altro fenomeno che in un contesto di bassa attività solare ha grande capacità di modulare le caratteristiche del VP: il ciclo ENSO. Verranno inoltre illustrati degli studi in grado di mettere in relazione l’andamento della QBO con lo stesso ciclo ENSO. Infine, come già anticipato in fase di presentazione dell’articolo, saranno fornite una serie di prove di carattere storico e scientifico a dimostrazione di quanto esposto.

Riccardo

Rubrica Sole Settembre 2012

Introduzione

Dopo mesi di attività non particolarmente intensa, contrassegnata dalla regolare alternanza di periodi moderatamente attivi e fasi di “stanca” con valori degl’indici di riferimento da pieno minimo, il Ciclo 24 sembra davvero essere giunto ad una svolta: per la prima volta la progressione del SSN (fonte SIDC) ha fatto segnare per Marzo 2012 un valore inferiore rispetto a quello del mese precedente, ovvero 66,8 contro 66,9; se questa tendenza dovesse essere confermata nei mesi a venire, il massimo relativo raggiunto nel mese di febbraio scorso diverrebbe un serio candidato al massimo assoluto di questo ciclo. E’ una possibilità reale, in quanto i quattro mesi di più intensa attività fino ad ora (Settembre-Dicembre 2011) scompariranno progressivamente dalla media mobile che determina il SSN (smoothed sunspot number), indicatore principale dello stato del ciclo. In assenza di nuove prossime impennate dell’attività, questo comporterebbe la conferma del declino del SSN. Ciò indicherebbe l’avvio del declino del ciclo e dunque la conclusione della (o forse meglio di questa) fase di massimo.

Per onor di cronaca va rimarcato che il conteggio del NIA’s risulta ancora (seppur di poco e con la dovuta prudenza dato che i conteggi definitivi degli ultimi tre mesi non sono ancora disponibili!) in fase di crescita ma per la Scienza ufficiale il conteggio valido è e rimane quello del SIDC.

Non bisogna però sottovalutare la possibilità che, piuttosto che il massimo assoluto, ci si trovi davanti ad “uno” dei potenziali massimi, più o meno come accadde per cicli deboli del passato (tipo il ciclo 12 o il ciclo 14) e che quindi l’attività solare possa in futuro essere caratterizzata da fasi più intense, tali da far risalire il valore del SSN e fasi di relativo riposo, dove il suddetto valore ritornerebbe a scendere verso un nuovo minimo.

Ci ripetiamo ma di certo il ciclo 24 si conferma come “fuori dagli schemi” rispetto a quelli immediatamente precedenti, checché ne dicano taluni autorevoli personaggi del mondo scientifico. Questo ciclo davvero non vuole farci annoiare, fornendoci sempre nuovi elementi per i quali sorprenderci e sui quali discutere.

Ci preme sottolineare che il “fuori dagli schemi” è sempre e comunque da intendersi in modo relativo, a causa della limitata conoscenza di cui disponiamo circa il comportamento del Sole. Questa dipende anche e soprattutto dal brevissimo intervallo di tempo (50-60 anni), rispetto alla vita del Sole (5 miliardi di anni!), durante il quale la nostra stella è stata oggetto di osservazioni e di studi, da Terra e tramite satelliti, con gli strumenti più sofisticati oggi a disposizione.

Come descriveremo di seguito, il mese di settembre sta pienamente confermando il carattere del ciclo 24 come “fuori dagli schemi”.

 

 

Questo grafico, basato sulle medie mensili delle aree del disco solare coperte da sunspot (in rosso la smoothed) è abbastanza eloquente: l’attuale ciclo 24 per ora non riesce a tenere nemmeno il passo dei deboli cicli di fine ‘800 – primi ‘900.

In dettaglio, settembre ha ricalcato l’andamento del mese precedente ovvero si sono avute due distinte fasi “attive” ad inizio e fine mese mentre la fase centrale è stata caratterizzata da un nuovo minimo relativo. Copione rispettato, verrebbe da dire, in quanto l’attività è sempre più contrassegnata da oscillazioni regolari con valore del solar flux compreso tra 90/100 e 140/150: una sorta di “battito”. Il valore medio mensile di solar flux appunto, è leggermente risalito rispetto al mese scorso e si è posizionato a 124,7, ma comunque ben lontano dal 142 di luglio e dal 150 di novembre, finora massimo mensile. Il sunspot number ha registrato invece un ulteriore ma contenuto calo rispetto ad Agosto, attestandosi a 61,5 dall’originario 63,1. Si tratta del valore più basso degli ultimi cinque mesi.  L’andamento dei prossimi mesi, perlomeno fino a Febbraio è, a nostro modesto avviso, da monitorare con attenzione, per verificare se vi sarà o meno una ripresa di attività.

 

 

 

I valori del NIA’s di luglio (42,6), agosto (35,3) e settembre 2012 (34,4) sono provvisori e in attesa di validazione.

L’andamento di tali curve naturalmente esclude un eventuale secondo massimo del ciclo 24, non improbabile stante la previsione NASA (massimo nella prima metà del 2013) e la relativa precocità del primo massimo (Novembre 2011) rispetto al minimo del 2008.

 

 

 

Solar flux

Il solar flux testimonia in modo eloquente le difficoltà che il ciclo 24 incontra nella sua progressione, anche se la distanza media dai cicli precedenti non è più in aumento, segno che ormai, anche il ciclo 24, sono tutti in prossimità del massimo.

Dal grafico risulta ancor più evidente negli ultimi mesi la netta suddivisione dell’attività solare in due distinte fasi, spinta e riposo, la prima con valori relativamente elevati di Solar Flux e Sn, la seconda con detti indici più vicini a valori da minimo che da massimo.

 

 

In termini generali, il grafico conferma la peculiarità del ciclo 24, rispetto a quelli immediatamente precedenti: è un ciclo “pigro”, con le “marce lunghe”, è l’unico degli ultimi 6 cicli (dal ciclo 19, cioè da quando si misura il solar flux) che non sia ancora riuscito a raggiungere la soglia (di picco) di 200, ampiamente superata da tutti quelli precedenti. Inoltre, si nota chiaramente la brusca frenata dopo il massimo, per ora relativo, comunque tutt’altro che eccezionale nonché il tentativo di “ripresa” negli ultimi mesi.

Più in dettaglio, nell’ultimo mese il valore medio del flusso “aggiustato” (ore 20) è stata pari a 124,70 (contro 118,75 di agosto) mentre la “forbice” tra il valore minimo e quello massimo è rimasta compresa tra 97,7 valore non certo da massimo (ore 17 del 16/09) e 150,8 (ore 23 del 1/09). Nell’ultima decade (dal 20 al 30 compresi) la media è stata pari a 132,56 (valori delle ore 20) a testimonianza del picco di attività dell’ultima parte del mese. Si osserva quindi un’estrema variabilità di questo indice, dettata forse dall’avvenuta inversione magnetica dell’emisfero nord.

 

Altri diagrammi

Il cosiddetto “butterfly diagram”, per quanto ancora incompleto nella rappresentazione del ciclo 24 è eloquente: http://solarscience.msfc.nasa.gov/images/bfly.gif

 

 

Il ciclo 24 risulta paragonabile ai cicli più deboli, perlomeno dal 1880 in poi, in termini di numerosità delle macchie, in rapporto alla loro estensione (in sostanza la colorazione del grafico “a farfalla”). Risulta addirittura inferiore a tutti i cicli rappresentati, in termini di estensione delle macchie (ultimo grafico in basso).

Per quanto concerne lo stato di avanzamento dell’inversione dei poli solari (o, per meglio dire, il tentativo di inversione), l’ultimo dato disponibile (19 settembre) su http://wso.stanford.edu/Polar.html#latest evidenzia un valore “filtrato” per l’Emisfero Nord pari a +1, un po’ ridimensionato rispetto alla precedente rilevazione di +3. Dunque il cambio di polarità dell’emisfero Nord sembrerebbe essere avvenuto, sebbene a fatica. Per l’Emisfero Sud, invece, il percorso sembra essere ancora molto lungo, infatti i valori a settembre segnano una graduale discesa, dunque tuttora una notevole distanza dalla “neutralità” (+32). Questo per ora rende improbabile un’inversione in tempi relativamente brevi anche per questo emisfero. Storicamente, negli ultimi 30 anni, le inversioni sono avvenute a distanza di pochi mesi o al massimo di poco più di un anno. Ma, come testimoniato al link precedente, in nessun caso un emisfero si era trovato così distante dall’inversione e in progressione antitetica, mentre l’altro l’aveva appena effettuata, tant’è che la media dei due emisferi, pur in progressiva diminuzione, rimane tuttora abbastanza distante dalla neutralità.

Per una più immediata comprensione dello stato di avanzamento del fenomeno, si vedano i seguenti grafici, tratti dal sito di Leif Svalgaard: http://www.leif.org/research/WSO-Polar-Fields-since-2003.png , andamento dei due emisferi dal 2003 e http://www.leif.org/research/Solar-Polar-Fields-1966-now.png , andamento complessivo dal 1966.

 

 

 

 

Per ulteriori informazioni in merito, si veda anche l’articolo http://solar-b.nao.ac.jp/news/120419PressRelease/index_e.shtml.

Le ultime immagini “Stereo Behind”, segnalano una possibile ripresa di attività nelle prossime settimane: si nota un certo numero di regioni attive, quasi due “trenini”, uno per ciascun emisfero. E, un po’ a sorpresa, l’emisfero Nord sembra essere al momento essere quello con il “trenino” più lungo. Complessivamente si notano diverse regioni attive, in entrambi gli emisferi, che si apprestano a comparire nell’emisfero solare visibile dalla Terra. Tuttavia, almeno finora, tali regioni hanno prodotto solo macchie piuttosto piccole. Risulta sempre valida quindi la regola che occorre attendere ancora qualche mese per poter avere un quadro complessivo della situazione solare. Perlomeno occorre attendere l’inizio del 2013, quando secondo le previsioni NASA si raggiungerebbe il massimo del ciclo. E’ soprattutto essenziale comprendere se e quando vi sarà spazio per ulteriori massimi, prima del fisiologico declino del ciclo. L’estrema debolezza e variabilità di questo ciclo non lasciano ancora spazio ad interpretazioni univoche.


Conclusioni

Questo ciclo aveva fornito una parvenza di “normalità” lo scorso autunno, quando la progressione era parsa netta e, per la prima volta dal minimo, continua per qualche mese consecutivo. Gennaio ed in particolare Febbraio hanno fatto segnare un crollo difficilmente pronosticabile che ha di fatto minato l’ipotesi di un proseguimento “normale”, anche se contraddistinto da un debolezza di fondo, di questo ciclo 24. Il recente massimo di luglio, pur inaspettato, ha avuto il carattere di episodio isolato, come quello di novembre 2011 e dunque non ha modificato il quadro complessivo. Settembre, come Agosto si è confermato come periodo interlocutorio, senza “acuti”, pur con la novità del primo lieve calo del SSN. Ciò avvalora ancor di più la possibilità che i due massimi trascorsi possano persino essere quelli assoluti del ciclo. Certo, non si può escludere ve ne sia qualche altro nei prossimi mesi o nel 2013, come indicato nelle previsioni NASA. La modesta attività degli ultimi mesi, tra i due massimi e da luglio in poi, è ben poca cosa se confrontata con quanto accadeva al Sole negli approcci al massimo dei passati cicli e non è in grado di sovvertire quanto sopra scritto. Solo in caso di una forte ripresa nei prossimi mesi si potrebbe riaprire il discorso circa la natura del ciclo 24. Attualmente sembra essere in corso una fase di  riequilibrio tra i due emisferi solari, dopo qualche mese di “spinta” più decisa da parte dell’emisfero Sud. Si tratta però di un riequilibrio al ribasso, almeno per ora. Che cosa ci riserverà il ciclo nei prossimi mesi? Vedremo nuovi massimi, oppure la situazione resterà relativamente stazionaria, ad esempio fino all’inversione da parte dell’emisfero meridionale?

Restate sintonizzati per i prossimi aggiornamenti!

 

Apuano 70 e FabioDue

Ghiacci Marini Antartici – Situazione Settembre 2012

State pur certi che nessuno vi darà notizie sui Ghiacci Antartici finché saranno in buona salute, soprattutto se viene segnato il nuovo massimo di estensione.

NB: le anomalie sono lo scostamento percentuale dalla media, quindi durante il massimo presentano la minima oscillazione.

 

 

Estensione:

 

 

Anomalia Concentrazione:

 

 

Area:

 

 

Trend Anomalia Estensione:

 

 

Curiosità:

Rispetto a 10 anni fa abbiamo 1.2milioni di kmq di estensione in più e 1.2 in più di area.

Rispetto a 20 anni fa abbiamo 1.0milioni di kmq di estensione in più e 1.2 in più di area.

Rispetto a 30 anni fa abbiamo 0.8milioni di kmq di estensione in più e 0.8 in più di area.

 

 

FBO

 

Un pò di movimento…ma nulla di che!

Continua il dormiveglia del Sole, nonostante cari amici di NIA siamo proprio nel suo massimo.

la media del SN Sidc della prima decade di ottobre si attesta a 13.4, lo scorso mese la prima decade chiuse a 26.6, praticamente il doppio!

Per trovare un valore di prima decade così basso, bisogna scomodare aprile 2012, che dei mesi del 2012 è quello che ha chiuso col secondo SN più basso dopo l’inarrivabile febbraio.

Ma attenzione perchè ci aspetta una seconda parte di ottobre più movimentata:

Facile quindi che si recuperi buona parte della scarsa attività che ha contarddistinto la prima decade del mese corrente. La novità degli ultimi giorni, ben visibile anche dal behind, sembra essere la “resurrezione” dell’emisfero nord che potrebbe anche superare il SN di quello sud in questo mese, cosa che non accadeva da tempo ormai, cioè da quando l’emisfero meridionale aveva accelerato, facendo registrare anche il suo secondo massimo relativo del ciclo solare 24 in quei di luglio.

Secondo i miei calcoli, nonostante l’accelerata imminente, il SN finale di ottobre, salvo sorprese imponderabili dell’ultimo momento, si dovrebbe comunque attestare intorno ai valori medi degli ultimi mesi, e cioè intorno a 60!

Così fosse, secondo la formula del SSN per decretare il mese del massimo solare, la media mobile scenderebbe ancora rispetto l’ultimo risultato dello scorso settembre, rafforzando così l’idea che il massimo solare almeno convenzionalmente possa davvero essere il mese di febbraio 2012 con 66.9.

http://daltonsminima.altervista.org/?page_id=3523

Prepariamoci dunque a qualche mitragliata solare nei prossimi giorni, ma poi il tutto ancora una volta sembrerebbe tornare nel range della normalità, insomma continua l’altalena del nostro Sole, con periodi di 15-20 giorni di moderata attività alternati ad altrettanti periodi di bassa attività…così’ facendo, il ciclo solare 24 continua a non decollare, ma ricordatevi che questo sarà un lungo ciclo, lo spartiacque che ci porterà direttamente verso qualcosa di ancora più profondo, che troverà il suo culmine nei prossimi decenni!

Stay tuned with NIA, Simon

UN NUOVO MODELLO CLIMATICO ALLA BASE DELLA PEG: PARTE V

Un saluto a voi, popolo di NIA.
Come già anticipato al termine della precedente Parte IV, nella presente Parte ci occuperemo dello studio di un altro fenomeno chiave nelle dinamiche degli inverni europei: il ciclo ENSO. Ovviamente una trattazione completa sul ciclo ENSO e sulle conseguenze che esso ha sul clima terrestre mi porterebbe a dilungarmi in maniera eccessiva. Pertanto, ricollegandoci al discorso sin qui svolto e tenendo in mente l’obbiettivo primario di ricercare un nuovo modello climatico incentrato sulla variabile solare a lungo termine, svilupperemo la trattazione in maniera particolare. Nello specifico cercheremo di individuare i cambiamenti indotti nella stratosfera polare (e di conseguenza nella più sottostante troposfera) dal ciclo ENSO, in accordo con la con il ciclo solare e con il regime dei venti stratosferici equatoriali (QBO).
Onde evitare incomprensioni, preciso sin da subito che il senso ultimo del ragionamento emergerà solo leggendo le prossime Parti e dunque al termine dell’articolo. Raccomando inoltre a chi non l’avesse ancora fatto di leggere le precedenti Parti per avere una chiara visione dei concetti sin qui esposti e soprattutto per non perdere il filo del discorso (ricordo che l’articolo è una lunga dimostrazione). Per ora non posso che augurarvi una buona lettura.

Ciclo ENSO : El Nino Southern Oscillation è un oscillazione periodica riferita alle temperature delle acque del Pacifico nell’ambito della fascia equatoriale. Una corretta descrizione del fenomeno mi poterebbe a dilungarmi eccessivamente, dunque mi limiterò a descrivere solo alcuni degli aspetti più importanti che lo caratterizzano.
Come ben tutti sanno l’oscillazione ENSO è connessa a due fenomeni opposti: El Nino e la Nina. Il primo riguarda un anomalo riscaldamento delle acque dell’oceano Pacifico, che ricordiamo essere l’oceano di gran lunga più vasto del mondo. Il secondo invece corrisponde all’opposto raffreddamento delle acque dell’oceano stesso.
Tuttavia non tutti sanno che l’oscillazione ENSO è associata esclusivamente al regime di venti tropicali-equatoriali connessi alla circolazione di Walker e non al maggiore o minore riscaldamento del Pacifico indotto da agenti esterni. La circolazione di Walker in particolare, è una particolare circolazione connessa alla cella convettiva inerente il Pacifico che, a differenza della cella convettiva di Hadley (vedi Parte I), ha direttrice ovest-est e non nord-sud. All’interno di questa cella, l’aria sale nel ramo occidentale dove sono presenti acque calde (che comprendente l’Indonesia e le Filippine), si sposta in quota verso est e ridiscende sul ramo orientale dove le acque sono molto più fredde (zona prossima alle coste del Perù, Ecuador e Cile settentrionale). Sul ramo ascendente, dove le acque sono molto calde, si sviluppa un’intensa attività convettiva che favorisce lo sviluppo di intense precipitazioni sull’Indonesia (e zone limitrofe) e nord Australia. L’aria discendente sul pacifico orientale risulta invece estremamente secca. In questo caso il fenomeno di subsidenza porta alla formazione di un’alta pressione perenne. Ciò spiega perché le coste pacifiche del Perù, Ecuador e nord Cile nonché le isole Galàpagos sono soggette ad un clima estremamente siccitoso (in queste zone sono presenti estesi deserti costieri, come il deserto Sechura in Perù).

La circolazione si richiude grazie ai venti al suolo che spirano da est verso ovest, che nient’altro sono che gli alisei (trade winds). Proprio gli alisei, spirando sul livello del mare, raschiano la superficie del Pacifico provocando un accumulo delle acque superficiali sui settori più occidentali del pacifico ed innescando fenomeni di upwelling. La risalita d’acqua fredda dagli strati profondi verso quelli superficiali raffredda le acque del Pacifico (a partire dal pacifico orientale), mentre l’acqua “accumulata” sui bordi più occidentali del Pacifico (Indonesia) tende a riscaldarsi portando alla formazione di una estesa piscina di acqua calda (West Pacific Warm Pool). Al di sopra di questa piscina calda si genera un intensa attività convettiva, che come sopra detto favorisce lo sviluppo di un clima eccezionalmente umido nelle zone occidentali del Pacifico (Indonesia, Filippine, Micronesia, Nord-Australia ecc..). Al contrario, sulle fredde acque del Pacifico oientale il clima si presenta estremamente secco. In queste ultime zone inoltre, a causa della forte azione di raschiamento esercitata dagli alisei e dei conseguenti moti di upwelling, lo spessore del Termoclino si presenta estremamente ridotto (poche decine di metri). Sul versante opposto invece, a causa dell’ingente accumulo di acque calde, lo spessore del Termoclino raggiunge dimensioni considerevoli.

E’chiaro dunque che gli episodi di Nina sono associati ad un rafforzamento della circolazione di Walker. In questo caso infatti un intensa attività degli alisei favorisce un maggior raschiamento della superficie dell’oceano Pacifico, portando ad diminuzione delle SST su tutto il Pacifico. Al contempo si registra una riduzione dell’estensione della West Pacific Warm Pool (di qui in avanti WPWP) con conseguente soppressione semi-totale dell’attività convettiva equatoriale. In questi frangenti, oltre ad incrementare il dislivello barico-termico tra Pacifico orientale e Pacifico Occidentale (indice SOI), si registra un aumento del dislivello dell’altezza della superficie marina. Infatti, a causa dell’accumulo delle acque calde nell’area circoscritta dell’estremo Ovest Pacifico, in questa zona il livello del mare è decisamente più alto rispetto all’est-Pacifico (anche di 60 cm). Infine si registra un estremizzazione della differenza di Termoclino tra le due sponde del Pacifico.
Al contrario, il fenomeno opposto del Nino corrisponde ad una soppressione totale della circolazione di Walker. Anche in questo caso il fenomeno è comportato da un’alterazione della ventilazione al suolo. Infatti, quando ciclicamente si verifica un indebolimento degli alisei, il volume di acqua calda in precedenza accumulata sull’ovest Pacifico (WPWP) si riversa su tutto l’oceano. Ciò comporta un riscaldamento di tutto l’oceano con soppressione totale degli alisei (in quanto viene a mancare il gradiente barico orizzontale). Al contempo, l’attività convettiva equatoriale tende aumentare vertiginosamente (in quanto abbraccia quasi tutto il Pacifico) ed i moti ascensionali che causano le precipitazioni interessano il Pacifico in quasi tutto il suo sviluppo. Al contempo, fenomeni di subsidenza (discesa di aria) interessano le zone di Indonesia ed Australia da una parte ed Amazzonia dall’altra. In queste aree, la formazione di anomali anticicloni, comporta condizioni di siccità, mentre le aree notoriamente aride del Pacifico orientale sono interessate da abbondanti precipitazioni (Equador, Perù, Nord Cile, Isole Galapacos ecc..). E’ per questo motivo che il fenomeno del Nino è accompagnato da bassissimi valori dell’indice SOI.

Venendo a ciò che è di nostro interesse, il ciclo ENSO ha una capacità notevole di influenzare le caratteristiche della stratosfera polare invernale (in accordo con il segnale relativo all’attività solare). In particolar modo, durante le fasi di ENSO+ (Nino), aumenta notevolmente l’area del Pacifico interessata dalla convenzione profonda. Dunque, se si verifica un episodio di Nino in concomitanza con la fase negativa della QBO ed in un contesto di bassa attività solare si verifica un incremento straordinario delle quantità di vapore che, attraverso la tropopausa equatoriale, penetrano nella soprastante stratosfera. Infatti, in base a quanto visto la scorsa volta, nelle fasi di bassa attività solare la QBO negativa è associata ad un anomalo innalzamento della tropopausa equatoriale, producendo un aumento considerevole dell’attività convettive nelle regioni del Pacifico già di per sé occupate dalla convenzione profonda (non solo) ed un forte aumento della velocità di trasporto verso l’alto (stratosfera) dell’aria umida ricca di vapor acqueo. A sua volta El Nino, con la soppressione totale della circolazione di Walker, incrementa non di poco l’area interessata dalla convenzione profonda. In tali condizioni si osserverebbe un anomala (fuori dal comune) quantità di vapore attraversare la troposfera equatoriale e penetrare dunque in stratosfera. L’eccessivo aumento della forza della BDC che ne andrebbe scaturire avrebbe poi conseguenze “devastanti” sul VPS e dunque sull’intero VP.

Sono numerosissimi gli studi sul legame tra ciclo ENSO e Vortice Polare Stratosferico. Tra questi ricordiamo quelli condotti da Labitzke – Van Loon, Baldwin – O’Sullivan, Hamilton e Sassi. In tutti i casi è emerso come il VPS tenda ad essere più disturbato e pertanto più caldo e debole durante gli inverni interessati da condizioni di ENSO + (El Nino). Infatti durante le fasi di ENSO+ le onde planetarie sono in numero maggiore e risultano soprattutto più ampie e quindi in grado di sfondare in molte più occasioni nella stratosfera polare, variando la sua temperatura e la sua composizione chimica. Nello specifico è stato osservato come in presenza del Nino sia favorita una maggiore ampiezza delle onde planetarie più lunghe (wave 1), aumentando così l’efficacia dei forcing tropo-stratosferici (aumento stratwarming). A tal proposito i Prof. Masakazu Taguchi e Dennis Hartman del “Department of Atmospheric Sciences, University of Washington” nella loro ricerca “) “Increased Occurrence of Stratospheric Sudden Warmings during El Niño as Simulated by WACCM”, hanno stabilito che fenomeni di stratwarming nella stratosfera polare invernale hanno il doppio delle possibilità di verificarsi durante gli episodi di El Nino.
Come segnalato dagli autori stessi, in tutte le suddette ricerche, il problema è stato quello di scindere l’effetto prodotto dal Nino sulla stratosfera invernale dagli effetti associati ad altri fenomeni in grado di disturbare egualmente il VPS invernale (QBO, attività solare, eruzioni vulcaniche ecc..). Alcuni, come Charles D. Camp e Ka-Kit Tung del “Department of Applied Mathematics, University of Washington”, hanno tentato di quantificare l’effetto che el Nino ha sulla stratosfera polare. Questi infatti, analizzando i dati di temperatura stratosferica NCEP 1959-2005, hanno scoperto che l’anomalia termica indotta dal Nino è quantificata attorno ai 4 gradi Kelvin.
Quello di assegnare un peso alla capacità di ciascun fenomeno (QBO, ENSO, attività solare) di alterare il Vortice Polare resta comunque un intento molto arduo nonché, a mio avviso, di poco senso. Infatti in assenza di bassa attività, sia la QBO negativa che el Nino perdono notevolmente efficacia nel riuscire disturbare il Vortice Polare invernale. Inoltre come verrà meglio chiarito in seguito, i tre fenomeni sono da considerare strettamente legati ed interagenti tra loro nell’intento di decifrare periodi storici eccezionali dal punto di vista climatico (quale fù la PEG). In qualche modo sono da ritenere “tre facce della stessa medaglia” (questo discorso verrà chiarito nei prossimi appuntamenti).
Volendo comunque stabilire una sorta di ordine gerarchico tra detti fenomeni, integrando l’inferenza statistica (adottata nell’ambito di queste ricerche) con la fisica del problema, si può certamente concludere che, nell’ambito dei periodi caratterizzati da bassa attività solare e per ciò che concerne le dinamiche prettamente invernali, la QBO negativa abbia una maggiore importanza rispetto al segno del ciclo ENSO. Infatti, salvo episodi eclatanti di Nina (in grado di limitare fortemente le aree del Pacifico favorevoli allo sviluppo dell’ attività convettiva), la QBO negativa negli anni di modesta attività solare è in grado da sola di “attivare” quei meccanismi che portano il Vortice Polare ad essere maggiormente disturbato/rallentato (innalzamento e raffreddamento troposfera equatoriale, aumento aria umida attraversante la troposfera equatoriale, rafforzamento BDC). In altre parole, se in condizioni ordinarie di ENSO -(neutrale/negativo), la QBO- insieme alla bassa attività solare è comunque in grado di apportare ingenti stravolgimenti alla circolazione invernale alle medie latitudini, non è vero il viceversa. Infatti, sempre in un contesto di bassa attività solare, in condizioni normali di ENSO+ (neutrale/positivo), la QBO+ può comunque implicare un eccessivo indebolimento della BDC con conseguente rafforzamento del VPS. Ribadisco tuttavia che si tratta di un discorso sensato solo nell’ottica di caratterizzare (prevedere) una singola stagione invernale poiché, nel contesto di lunghissimi periodi (secoli) di bassa attività solare, i due fenomeni (ENSO+ e QBO-) risultano strettamente correlati tra loro, sia nelle cause che nelle conseguenze. Personalmente mi piace definirli come “figli dello stesso meccanismo”.

È chiaro che, come già sopra detto, se si verifica un episodio di Nino in concomitanza con la fase negativa della QBO ed in un contesto di bassa attività solare, la fortissima (anomala) attività convettiva in sede Pacifica porterebbe ad un vigoroso incremento della velocità e della potenza della BDC ed il VPS sarebbe soggetto a continui e feroci riscaldamenti. La particolare e duratura debolezza del VPS coinvolgerebbe agevolmente l’intera struttura del VP e ciò porterebbe a registrare per l’intero inverno valori estremamente negativi dell’indice AO.
Al contrario, negli di bassa attività solare in cui si verificano condizioni di QBO+ ed ENSO–l’attività convettiva viene fortemente inibita, per due motivi:
1) In un contesto di bassa attività solare, la QBO + comporta un abbassamento nonché un riscaldamento della tropopausa equatoriale inibendo l’intensità e la velocità di trasporto del vapore acqueo dalla troposfera alla stratosfera equatoriale;
2) In presenza di intensa Nina diminuisce l’area Pacifica interessata dalla convenzione profonda (relegata in questo caso a zone circoscritte del Pacifico occidentale).
In una simile circostanza si verifica una drastica frenata della BDC con conseguente raffreddamento ed isolamento del VPS (vedi l’anno in corso). Negli inverni dominati da tale quadro tele-connettivo il VPS si presenta quindi eccezionalmente freddo, forte ed interessato da veloci venti zonali. Come visto in precedenza, salvo eventi eccezionali (affetti da bassissima probabilità), anche la troposfera alle medie latitudini risulterebbe completamente bloccata (tipico pattern da AO++). Non mi dilungo a spiegare le nocive conseguenze che tale configurazione ha sul clima autunno-invernale europeo (anche perché le abbiamo vissute da poco e le stiamo sperimentando tutt’ora).
Questa particolare situazione è stata anche oggetto di studio in una ricerca condotta dai professori Charles D. Camp e Ka-Kit Tung del “Department of Applied Mathematics, University of Washington”. Questi infatti, tra le altre cose, attraverso ricerche statistiche hanno concluso che negli anni di minimo solare, QBO positiva ed ENSO- il Vorice Polare Stratosferico riceve il “minor disturbo possibile” e le probabilità che si verifichino fenomeni di Stratwarming tendono a zero.
In questi frangenti inoltre, a causa del blocco quasi totale della BDC e dell’assenza di Stratwarming, si verificano bassissimi afflussi di ozono nella stratosfera polare. Inoltre, per via delle bassissime temperature che si registrano in essa, aumenta notevolmente la capacità delle sostanze inquinanti antropogeniche di distruggere il poco ozono presente. Ciò porta al verificarsi di fenomeni improvvisi di “buco dell’ozono” anche sul polo nord, portando i fedelissimi dell’AGW a gridare alla catastrofe (questo concetto verrà meglio approfondito nella prossima Parte VI).
Poichè negli ultimi due inverni si sono verificate le situazioni opposte sin qui descritte, ho la possibilità di farvi comprendere a livello visivo la teoria che vi ho sin quì esposta. Infatti sono riuscito a reperire una video-sequenza che mostra il quantitativo di ozono stratosferico presente sul polo nord durante gli inverni 2010 e 2011 (esclusi i mesi di dicembre). A tal proposito ricordo che l’inverno 2010 è stato contraddistinto da QBO- ed ENSO+, mentre nell’ultimo inverno (2011) si sono avuti QBO+ ed ENSO-. In entrambi i casi l’attività solare si è mantenuta su valori molto bassi.

Avrete sicuramente notato la differenza lampante tra i due anni. In particolare, nell’ultimo inverno, lo sfavorevolissimo quadro tele connettivo, ha portato ad eccezionale isolamento del VPS che per diversi mesi è risultato inscalfito da qualsiasi tentativo di forcing troposferico (espansione delle Onde di Rossby). Ciò ha portato alla formazione di un anomalo buco dell’Ozono di cui si parla ancora in questi giorni. Sempre in riferimento all’ultimo inverno, avrete notato come il quantitativo di ozono sul polo era maggiore ad inizio gennaio che a febbraio-marzo. Questo è un fatto straordinario se si pensa che, causa i frequenti stratwarming che di norma con l’arrivo della radiazione solare interessano l’ultima parte dell’inverno, i quantitativi maggiori di ozono si hanno sempre alla fine della stagione fredda. Questa cosa può essere spiegata semplicemente considerando che la QBO va letta con qualche mese di ritardo (circa 4 mesi). Pertanto, poichè nel 2010 la QBO a 50 hpa è passata in campo positivo solo a metà settembre, per tutto dicembre 2010 e metà gennaio 2011 si è beneficiato del Pattern QBO- /bassa attività solare, che come visto è in grado di rendere efficace la BDC con tutte le conseguenze del caso (VPS/VP deboli e buono contenuto di ozono nella stratosfera polare). Non è un caso che per tutto dicembre 2010, fino a metà gennaio 2011gli indici AO e NAO si sono tenuti su livelli bassissimi. Nella fase successiva dell’inverno invece, la QBO+, favorita dall’azione della Nina, ha iniziato a dare i suoi effetti negativi portando l’intera struttura del VP ad essere estremamente compatta (AO ++).
Nell’inverno 2009-2010 invece, la concomitanza tra QBO- ed ENSO+ ha dato vita ad una situazione a dir poco eccezionale nell’ambito del Vortice Polare. La stratosfera polare ha ricevuto per tutti i mesi invernali grossi apporti di ozono e l’intera struttura del VP è stata continuamente sfaldata (in questo inverno si sono registrati i valori negativi record dell’indice AO).

La foto dal satellite immortala lo scenario “apocalittico”che vede il Regno Unito completamente sommersodal ghiaccio e dalla neve durante l’inverno 2009-2010.

Restando in tema, voglio infine presentarvi la ricerca forse più significativa in questo campo. Intitolata “Effect of QBO and ENSO on the Solar Cycle Modulation of Winter North Atlantic Oscillation” e pubblicata nel 2007 dal Prof. Yuhji Kuroda del “Meteorological Research Institute di Tsukuba”, detta ricerca analizza in comportamento dell’indice NAO in relazione alla bassa attività solare. Nello specifico Kuroda sostiene che, con QBO Occidentale e La Nina, la NAO Index, divenendo un pattern locale, ha meno influenza sulle dinamiche Emisferiche a larga scala e non ha ripercussioni forti sulla Stratosfera.
Al contrario, in anni caratterizzati da QBO Orientale e El Nino, il NAO Index ha ripercussioni in modo marcato sull’intero Emisfero Nord nonché sull’intera stratosfera polare.
Se si pensa che l’indice NAO quando assume valori negativi in inverno è segno dell’anomalo stazionamento di un anticiclone caldo nei pressi del Vortice Polare (Islanda), alla luce di quanto sin qui detto si comprendono le ragioni del Prof. Kuroda. Infatti in presenza di minimo solare, QBO- ed ENSO+ il VPS si presenta estremamente rallentato ed in queste condizioni l’onda anticiclonica associata al Pattern NAO- ha molte più probabilità di approfondirsi e penetrare nella stratosfera polare (onda stazionaria) gettando le basi per la formazione di eventi importanti aventi ripercussioni marcate su tutto l’emisfero nord. Al contrario, negli anni con minimo solare,QBO+ ed ENSO- , l’onda difficilmente potrà approfondirsi ed i fenomeni ad essa associati risulteranno limitati sia spazialmente che temporalmente.
Come detto la ricerca è stata pubblicata nel 2007 e pertanto il Professor Kuroda ha dovuto attendere appena un paio d’anni per verificare a pieno la bontà dei suoi studi.
Finisce qui la Parte V. Dalla prossima Parte cercheremo di capire quali configurazioni tele-connettive dominavano nella PEG. In altre parole, alla luce di quanto imparato sino ad ora e servendoci di numerose ricerche scientifiche nonchè di svariati documenti storici, cercheremo di inquadrare il meccanismo responsabile del raffreddamento delle medie latitudini boreali (Europa in particolare) che, iniziato alla fine dell’epoca medioevale, arrivò al culmine nella prima metà del 1800.

Riccardo