Archivio mensile:Agosto 2015

Un nuovo modello riesce a determinare la temperature di cinque pianeti del sistema solare

Un nuovo ed importante documento, pubblicato sulla rivista scientifica Advances Space Research, stabilisce che la temperatura della superficie terrestre (come pure le temperature superficiali di altri cinque pianeti rocciosi del nostro sistema solare) possono essere determinati con grande precisione (R2 = 0.9999 e un piccolo errore pari a σ=0.0078) unicamente sulla base di due variabili: 1) la pressione atmosferica superficiale 2) l’irraggiamento solare dell’atmosfera superiore. Tutto questo, senza alcuna considerazione di eventuali concentrazioni di gas serra o ‘forcing radiativo’ da gas a effetto serra.

La carta : Modello emergente per prevedere la temperatura media superficiale di pianeti rocciosi con atmosfere diverse, di Den Volokin e Lark Rellez

doi:10.1016/j.asr.2015.08.006

Riassunto

La temperatura globale media annua, in prossimità della superficie (GMAT) di un corpo planetario è l’espressione dell’energia cinetica disponibile nel sistema climatico e un parametro critico che determina l’abitabilità del pianeta. Studi precedenti hanno fatto affidamento su modelli meccanicistici basati sulla teoria di stimare GMATs di corpi distanti come i pianeti extrasolari. Questo approccio si basa spesso su parametrizzazioni di processi fisici importanti (come la convezione verticale e la formazione delle nuvole) che richiedono misure dettagliate per simulare con successo le condizioni termiche superficiali in ambienti atmosferici e radiativi diversi. In questo studio, vi presentiamo un diverso approccio statistico, per lo sviluppo di un modello universale GMAT, che non richiede aggiustamenti empirici specifici per il pianeta. Il nostro metodo si basa su analisi dimensionale (DA) dei dati osservati dal sistema solare. DA fornisce una tecnica oggettiva per la costruzione dello stato in questione e il forzamento delle variabili, assicurando l’omogeneità dimensionale del modello finale. Anche se ampiamente utilizzato in alcune aree della scienza fisica per ricavare modelli da dati empirici, DA è uno strumento analitico raramente impiegato in astronomia e scienza planetaria. Noi applichiamo la metodologia DA di un insieme di dati ben vincolati, di sei corpi celesti che rappresentano diversi ambienti fisici del sistema solare, cioè Venere, la Terra, la Luna, Marte, Titano (una luna di Saturno), e Tritone (una luna di Nettuno). Dodici futuri rapporti (modelli) suggeriti da DA sono indagati tramite un’analisi di regressione non lineare che coinvolge prodotti adimensionali compresi l’irraggiamento solare, i gas serra parziali, la pressione / densità e la totale pressione atmosferica / densità come variabili di forzatura, e due rapporti di temperatura come variabili dipendenti. Un modello di regressione non-lineare si trova a sovraperformare statisticamente il resto con un ampio margine. La nostra analisi ha rivelato che GMATs di pianeti rocciosi possono essere previsti con precisione su una vasta gamma di condizioni atmosferiche e dei regimi radiativi utilizzando solo due variabili : l’irraggiamento solare dell’atmosfera superiore e la pressione atmosferica superficie complessiva. Il nuovo modello presenta caratteristiche di un emergente macro rapporto termodinamico, che merita ulteriori indagini ed eventualmente una interpretazione teorica.

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Dipendenza della relativa valorizzazione termica atmosferica (Ts / Tna) sulla pressione media superficiale dell’aria, secondo l’equazione (10a) derivata dai dati che rappresentano una vasta gamma di ambienti planetari del Sistema Solare. La luna di Saturno, Titano sono stati esclusi dall’analisi di regressione che porta a l’eq. (10a). Le barre di idicazione degli errore di alcuni corpi non sono chiaramente visibili a causa della loro ridotte dimensioni in relazione alla scala degli assi.

Dalle conclusioni :

“….Sulla base di criteri statistico, inclusa la precisione numerica, la robustezza, l’omogeneità dimensionale e un ampio ambito ambientale di validità, il modello finale (Eq.(10)) sembra descrivere delle emergenti proprietà termodinamiche delle atmosfere planetarie finora non conosciute alla scienza. Il potenziale significato fisico di questa nuova relazione empirica è ulteriormente supportato dalla sua somiglianza con la curva della temperatura adiabatica secca, descritta dalla formula di Poisson …. Queste caratteristiche del nuovo modello, necessitano un esame più approfondito per determinare i plausibili meccanismi fisici coinvolti. Per esempio, la forma matematica dell’eq. (10a) suggerisce che l’atmosferica amplificazione della pressione, ottenuta attraverso la forza dell’energia ricevuta dal sole, crea un miglioramento termico, responsabile di mantenere la superficie terrestre 90,4 K più calda di quanto sarebbe in assenza di atmosfera….”

Il documento : http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0273117715005712
Fonte : http://hockeyschtick.blogspot.it/2015/08/new-paper-confirms-gravito-thermal.html

 

Michele

Un perfetto strumento per lo studio sismico: l’elefante

Il titolo di questo articolo potrebbe sembrare una battuta, anche di cattivo gusto, ma in realtà è basato su un vero e proprio fondamento scientifico. Da parecchi anni viene studiata la capacità comunicativa degli elefanti, numerose pubblicazioni hanno accertato che questi grandi mammiferi riescono a comunicare  fra loro a distanze anche superiori a 50 km. Come ci riescono? E questo cosa c’entra con i terremoti? Questa connessione è balzata all’occhio degli scienziati dopo il grande terremoto di Sumatra del 2004, il cui tsunami causò più di 230.000 morti. Tutte vittime umane, poiché gli elefanti si misero in salvo in tempo dalla devastante onda di maremoto. Come ci riuscirono?

Registrazione acustica e sismica di un vocalizzo di elefante asiatico, (O’Connell et al., 2000)

L’immagine sopra mostra una registrazione, acustica e sismica, di un vocalizzo di un tipico elefante asiatico. Si può notare come la frequenza fondamentale si attesti su valori inferiori a 20 Hz, quindi un valore basso. Queste particolari emissioni a bassa frequenza, si uniscono con il suolo generando un tipo di onde molto utilizzato nello studio sismico: le onde di Rayleigh. Tali onde rientrano nel campo delle onde superficiali e sono generate, nel caso di un terremoto, dalla riflessione delle onde di volume P e S nel del terreno. Una particella investita da un’onda di Rayleigh si muove in piani verticali contenenti la direzione di propagazione dell’onda, seguendo un movimento ellittico retrogrado.  Quindi gli elefanti comunicano grazie alle onde sismiche, che possono ovviamente produrre anche sfruttando il loro peso con il calpestio, come mostra l’immagine seguente.

Differenze fra onde provocate nel suolo tra umano ed elefante, (O’Connel & Rodwell, 2007)

Non a caso gli elefanti molte volte per avvertire i loro simili, o per estranei, fingono delle cariche sbattendo con violenza i loro piedi sul suolo. La comunicazione attraverso onde sismiche inoltre è molto più stabile, perché non è influenzata da componenti esterne atmosferiche come ad esempio il vento e la temperatura. Ma come riescono gli elefanti a percepire le informazioni? Come codificano queste onde che viaggiano attraverso il suolo? Noi umani studiamo le onde sismiche attraverso i sismografi e sismometri nel caso di terremoti, oppure attraverso i geofoni nel caso in cui si stia eseguendo una prospezione geofisica volta a investigare le proprietà del sottosuolo, come mostra la seguente immagine.

Esempio di acquisizione di profilo geofisico (immagine da www.enviroscan.com) 

Utilizziamo perciò degli strumenti molto sofisticati che ci aiutano a comprendere la dinamica delle onde che si propagano nel suolo, ma tutto ciò, probabilmente, non sarà mai sofisticato come la zampa d’elefante! Le grandi zampe degli elefanti sono dei rilevatori naturali di onde sismiche eccellenti!  L’anatomia della zampa dell’elefante mostra come due recettori sensoriali, corpuscoli di Pacini e corpuscoli di Meissner, siano di fondamentale importanza per il grande mammifero.

Recettori sensoriali nella zampa dell’elefante (O’Connel & Rodwell, 2007)

Studi recenti hanno dimostrato come i corpuscoli di Pacini negli elefanti (foto seguente), siano sensibili a frequenze molto più basse rispetto agli stessi recettori nel corpo umano. Gli elefanti quindi si ritrovano con due recettori, Pacini e Meissner, in grado di analizzare un ampio range di frequenze, soprattutto le basse frequenze ed essere quindi in grado di “leggere” le onde di Rayleigh.

Immagine al microscopio di una zampa di elefante. Il punto P rappresenta i corpuscoli di Pacini (Rasmussen & Munger, 1996)

Una grande differenza con gli strumenti umani è data dal fatto che l’elefante non è “fisso”: possiede quattro zampe e quindi quattro sensori che l’animale orienta a suo piacimento, a seconda di dove voglia dirigere la sua attenzione. La conseguenza logica di questo è che la risoluzione spaziale dell’elefante sia molto maggiore di un normale strumento da noi utilizzato. Inoltre alcune pubblicazioni hanno sottolineato come questo “sensore” naturale degli elefanti sia in grado di risolvere i moti browniani, qualità che nessun rilevatore di manifattura umana possiede. In conclusione si può affermare che questi grandi mammiferi possiedono naturalmente un ottimo strumento per lo studio e l’analisi delle onde sismiche. Nel 2004, nel Sud-Est asiatico gli elefanti percepirono l’arrivo delle onde di Rayleigh generate dal terremoto molto prima dell’arrivo dello tsunami e si sono messi in salvo scappando verso l’interno e avvisando i loro simili sempre attraverso le onde di Rayleigh. Scapparono verso l’entroterra, in direzione opposta all’arrivo delle onde sismiche prima e del maremoto poi, perchè avevano percepito una minaccia proveniente da tale direzione. In poche parole per lo studio sui terremoti, dobbiamo riuscire a costruire una zampa di elefante artificiale perfettamente identica a quelle naturali, oppure convincere qualche elefantino ad iscriversi ad un corso di laurea in geofisica ed aiutarci con il loro sapere.

Giulio Torri

Riferimenti Bibliografici:

– Garstang, M. (2004) Long – distance, low-frequency elephant communication. J. Comp Physiol A 190:791-805ù

– Makous JC, Friedman RM, Vierck CJ. A Critical band filter in touch. J Neurosci 1995;15:2808–2818

– O’Connell‑Rodwell, C. E. Keeping an “ear” to the ground: seismic communication in elephants. Physiology (Bethesda) 22, 287–294 (2007).

– O’Connell-Rodwell, C. E., B. Arnason, and L. A. Hart. 2000. Exploring the possibility of low-frequency seismic communication in elephants and other large mammals. American Zoologist 40: 1154–1155.

– Rasmussen, L. E. L. & Munger, B. L. 1996. The sensorineural specializations of the trunk tip (finger) of the Asian elephant, Elephos maximus. Anatomical Record, 246, 127 – 134.

 

Fonte : http://www.unimeteo.org/2013/08/01/un-perfetto-strumento-per-lo-studio-sismico-lelefante/

La Rivoluzione? Nasce col caldo

È un caso se la presa della Bastiglia segue il surriscaldamento del 1788? Gli incroci tra storia e clima, parla Le Roy Ladurie

«Anche le barricate sono state inventate nel 1588, dopo un’estate molto torrida che provocò una carestia… Certi eventi dipendono pure dall’influsso del meteo»

È cominciata ieri, l’estate, e come sempre l’argomento d’obbligo è il clima che farà. Ci troveremo di fronte a un agosto torrido e secco come quello dell’anno scorso, oppure i condizionatori (già affannosamente accaparrati nei grandi magazzini) resteranno a riposo per le piogge torrenziali? Ci saranno black-out per eccesso di consumi d’energia elettrica, oppure dovremo rinunciare alla tintarella per colpa delle nubi a Ferragosto? Invece di chiederlo a un meteorologo, stavolta giriamo le domande a uno storico: Emmanuel Le Roy Ladurie, l’inventore della storia del clima.

Anzitutto, professore: l’estate 2003 è stata davvero unica nella storia?

«La somiglianza con la situazione atmosferica dell’estate infuocata del 1719 è impressionante. Anche allora, come nel 2003, la canicola si concentrava nella Valle della Loira. Cambia solo la dimensione del fenomeno: ci furono 450.000 decessi in più, soprattutto a causa della dissenteria che colpì neonati e bambini. Il caldo, benefico per le coltivazioni, diventa malefico quando si accompagna all’aridità, creando situazioni di forte calo del livello dei corsi d’acqua e conseguente concentrazione degli agenti inquinanti. Il clima uccide d’inverno attraverso i polmoni, ma d’estate attraverso l’intestino. Andando indietro nel tempo, il XIII secolo, definito “piccolo optimum medievale”, è stato costellato di numerose estati calde che per molti aspetti ricordano quelle attuali. Più generalmente, a partire dal XIV secolo si contano, secondo la griglia dello scienziato olandese Van Engelen, 12 estati classificate sotto l’indice massimo 9, “estremamente caldo”, nove delle quali si collocano nei cinque secoli della “piccola era glaciale” e tre nella fase del riscaldamento contemporaneo che arriva al 2000, segnatamente il 1859, il 1868 e il 1994. Pertanto il 2003 non è affatto unico nella storia. Che è costellata di periodi di canicola».

In particolare, il 1420 resta negli annali…

«Quell’anno le vendemmie a Digione cominciarono il 25 agosto! Un’estate paragonabile al 2003. Con la differenza che i miseri raccolti di grano portarono, l’inverno e la primavera successivi, a una carestia devastante aggravata da un’epidemia opportunista. A Parigi i bambini gridavano: “Muoio di fame, muoio sui letamai”, sui quali potevano scaldarsi».

Non è piuttosto il freddo a uccidere?

«Nelle nostre regioni temperate (più a sud il discorso sarebbe diverso), le peggiori tragedie sono dovute al grande freddo, e più ancora alle annate malsane, molto umide. Ci furono il terribile inverno 1709 (il peggiore degli ultimi 500 anni), la gigantesca carestia “di pioggia” 1693-1694. Bilancio: 1,3 milioni di decessi in più. L’equivalente, in due anni, dell’ecatombe del 1914-1918…».

Con un notevole impatto demografico…

«Il caso citato del 1420 è illuminante. L’abbinata carestia-epidemia svolse un ruolo importante nella spirale demografica discendente avviata nel secolo precedente: dei 20 milioni d’anime del 1328, in Francia ne restano appena 10 milioni nel 1440. Certamente il Paese fu dissanguato anche dalla Guerra dei cent’anni, dalla terribile epidemia di peste polmonare del 1348, eccetera. Molto più tardi, le quattro stagioni fredde del 1740 fanno segnare un incremento della mortalità del 15% in Europa, che raggiunge però il 40% in Irlanda, il 57% in Finlandia… Per quanto in maniera molto meno drammatica, anche i matrimoni ne risentono. A causa del pessimismo dei fidanzati in tempo di crisi, calano del 6% nel 1740, del 9% nel 1741, rispetto agli anni dal 1735 al 1739 (intanto in Finlandia precipitano del 22% e poi del 25%). Ma il tempo perso verrà recuperato: più 8% nel 1743 e nel 1744! Anche le nascite prendono brutti colpi: da meno 6% a meno 8% negli anni dal 1940 al 1943».

Quali indizi consentono di capire che tempo faceva nel passato?

«Abbiamo a disposizione rilevazioni termometriche, da maneggiare con prudenza, a partire dalla fine del XVII secolo. Ma abb iamo anche tutta una serie di indicatori che fanno da termometro: lo stato dei ghiacciai, le rilevazioni delle inondazioni, i resoconti sull’aridità, le date dei raccolti e delle vendemmie, i dati di eventi ripetuti, i racconti dei curati e, determinante, l’andamento del prezzo del grano. Fin dall’inizio del XIV secolo, abbiamo a disposizione la curva annua dei prezzi di Douai. A partire dal 1523 si conosce il prezzo giornaliero del grano a Parigi. Ebbene, i prezzi salgono appena si ha la percezione di cattivi raccolti a primavera, si flettono dopo. A partire dalla metà del XVIII secolo, il clima uccide meno. L’anno senza estate del 1816, imputabile a un velo di polvere che avvolse il pianeta in seguito alla più grande eruzione vulcanica che si conosca (il vulcano indonesiano Tambora passò da 4300 a 2800 metri in poche ore, tanto fu straordinaria l’esplosione), causò “solo” 20.000 morti. Le carestie diventano meno gravi grazie ai progressi agricoli. Mentre in precedenza prevaleva l’immobilismo, a partire da Luigi XI, e soprattutto con Luigi XIV, lo Stato tenta di prendere in mano la situazione, importa grano dal Baltico, dalla Russia. Vengono organizzati “ristoranti del cuore”, eccetera. Si assiste in quel periodo a una polarizzazione del clima. La gente scende nelle strade, si solleva contro lo Stato approvvigionatore i cui sforzi sono giudicati insufficienti. La questione degli approvvigionamenti diventa un motivo fortissimo di contestazione».

Sta dicendo che il clima svolge un ruolo nei grandi avvenimenti storici?

«Le barricate sono state inventate nel 1588, dopo la carestia dell’estate del 1587. Il surriscaldamento del 1788 (i chicchi di grano avvizzirono) porterà a tumulti per la sussistenza l’inverno successivo. Nell’estate 1789 il pane raggiunge il prezzo più alto di tutto il XVIII secolo. Certamente il clima non è responsabile della Rivoluzione francese, ma ha creato un’atmosfera di scontento. Più recentemente, la crisi viticola del 1907 (la so vrapproduzione provoca la caduta dei prezzi) condurrà alla rivolta dei viticoltori del Sud. Nasce in questo periodo la lobby agricola. Io non difendo una causalità del clima, a priori. Ma bisogna riconoscere che il clima ha svolto, per certi grandi eventi, un ruolo causale o concomitante. Rivendico una sorta di materialismo di storico per riportare concretezza in una storia che viene troppo spesso situata nella stratosfera delle idee pure».

(per gentile concessione del quotidiano «La Croix»; traduzione di Anna Maria Brogi)

Note:

Tra i maggiori storici francesi, Emmanuel Le Roy Ladurie (nella foto) è stato il primo a parlare di «storia del clima». Autore (insieme a molti altri scritti) di una fondamentale Histoire du climat depuis l’an mil datata 1967 (traduzione italiana Tempo di festa, tempo di carestia. Storia del clima dall’anno Mille, Einaudi), ha appena pubblicato in Francia il primo tomo della monumentale Histoire humaine et comparée du climat en Occident. Canicules et glaciers XIII-XVIII siècles (Fayard, pagine 740, 25 euro). Il suo successo maggiore è stato «Storia di un paese: Montaillou» (Rizzoli 1977), in cui si narrano le vicende di un villaggio cataro occitano dal 1294 al 1324 grazie a una fonte speciale: il registro inquisitoriale di Jacques Fournier, futuro papa Benedetto XII.

 

Fonte : http://www.peacelink.it/ecologia/a/5630.html

Ancora alluvioni lampo in Toscana

L’estate inizia a mostare i primi timidi segnali di flessione e gli eventi meteo estremi sono ancora protagonisti in Toscana. Oramai è una continua alternanza fra alta Toscana (Garfagnana-Versilia) e/o Maremma.  Infatti, anche in quest’ultima occasione, l’area regionale coinvolta è la Maremma.

La zona più colpita dal maltempo è quella di Monteroni d’Arbia-Monticiano in provincia di Siena. Area, dove sono caduti dalla mezzanotte quasi 200 millimetri di pioggia.  Pioggia che ha portato allo straripamento dell’Arbia, torrente che ha allagato la località di Monteroni. Di seguito allego i report pluviometrici della zona interessata e relativi livelli idrometrici dell’Ombrone e dell’Arbia.

Monteroni

Buonconvento

CUM12

Andamenti pluviometrici e idrometrici ripresi dal servizio idrologico della regione Toscana : http://www.sir.toscana.it/index.php?IDS=191&IDSS=731 ; http://www.sir.toscana.it/index.php?IDS=191&IDSS=751

— Aggiornamento delle ore 21:45 —

Realizzato animazione delle precipitazioni cumulate nelle ultime 21h. in Toscana con step delle cumulate di 3h. Questa semplicistica animazione mostra chiaramente come sia estremamente difficile fare una minima previsione sulle quelle piccole aree locali (interne alle varie provincie) dove si possono verificare questi impulsivi eventi alluvionali.

cumulata

L’immagine sotto riportata mostra (alla sinistra), la previsione della criticità rilasciata dalla regione Toscana per la corrente giornata di Lunedì e (alla destra) cumulata delle precipitazioni sul territorio toscano nelle ultime 24h.

Report Toscana

– Post in continuo aggiornamento –

Michele

“Obama sui cambiamenti climatici ha torto marcio”, dice il Nobel (obamiano) per la Fisica Giaever

“Il global warming è diventato una nuova religione, non se ne può discutere, è una verità incontrovertibile, è come una Chiesa”

“Scusami mr President, ma hai torto, completamente torto”. Ivar Giaever, premio Nobel per la Fisica nel 1973, ce l’ha con Barack Obama e con le sue posizioni sul riscaldamento globale (o cambiamento climatico), in particolare con il discorso sullo stato dell’Unione di gennaio in cui Obama diceva che “nessuna sfida rappresenta un rischio maggiore per le future generazioni del cambiamento climatico”. Giaever l’ha definita “un’affermazione ridicola”. Il fisico norvegese non è un’estremista della destra oscurantista, anzi nel 2008 era stato uno dei 70 premi Nobel che aveva pubblicamente appoggiato la corsa del giovane senatore dell’Illinois alla Casa Bianca: “Il paese ha un urgente bisogno di un leader visionario, siamo convinti che Barack Obama sia quel tipo di leader”, c’era scritto in quell’appello. “Obama ha detto che il 2014 è stato l’anno più caldo di sempre. Ma non è vero”, dice dopo sette anni dopo il Nobel, mostrando come negli ultimi vent’anni la temperatura sia rimasta praticamente costante e come negli ultimi 100 anni sia aumentata di meno di un grado.

Il palcoscenico del suo discorso, dal titolo “Global warming revisited”, è stato il prestigioso “Lindau Nobel Laureates Meeting”, in Germania, dove si confrontano le più importanti personalità del mondo scientifico e dove è intervenuto anche chi la pensa in maniera opposta come Brian Schmidt, un altro Nobel per la fisica. Giaever afferma di essere rimasto inorridito dal modo in cui si parla del tema: “Il global warming è diventato una nuova religione, non se ne può discutere, è una verità incontrovertibile, è come una Chiesa”. Viene considerato eretico chiunque osi scostarsi dall’allarmismo riguardo all’aumento delle temperature, lo scioglimento dei ghiacciai, la desertificazione, l’innalzamento dei mari e l’aumento dei fenomeni climatici estremi.

E’ vero che come diceva un altro Nobel per la Fisica, il danese Niels Bohr, “è difficile fare previsioni, soprattutto per il futuro”, ma quasi tutti gli annunci di catastrofi naturali dovute al riscaldamento globale per colpa dell’uomo sono stati enormemente esagerati. A partire proprio dall’Ipcc (il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico dell’Onu) e dall’ex vicepresidente democratico americano e ambientalista pop Al Gore, vincitori nel 2007 del Nobel per la pace per l’impegno nel diffondere la conoscenza sui cambiamenti climatici, che ad esempio avevano previsto per il 2035 lo scioglimento dei ghiacciai dell’Himalaya, la scomparsa di parte dell’Olanda sotto il livello del mare e lo scioglimento dei ghiacciai artici entro il 2014, tutte cose mai accadute. E questa discrepanza tra le previsioni apocalittiche e ciò ceh poi è realmente accaduto è evidente per gran parte dei modelli climatici che, come ha evidenziato l’ambientalista Bjorn Lomborg, negli ultimi 30 anni hanno sovrastimato l’aumento delle temperature per una percentuale tra il 70 e il 300 per cento. “I fatti ci dicono che negli ultimi 100 anni la temperatura è salita di 0,8 gradi e tutto nel mondo è migliorato – ha detto nel suo discorso Giaever –. Come si fa a dire che tutto sta peggiorando? Viviamo più a lungo, abbiamo una salute migliore e tutto va meglio. Ma se la temperatura sale di altri 0,8 gradi immagino che moriremo tutti”.

“Non riesco a capire perché tutti i governi in Europa siano preoccupati del global warming, dev’essere una questione politica”, ha detto il Nobel norvegese, aggiungendo che il riscaldamento globale è essenzialmente “un non problema”. E quanto agli effetti sui paesi più poveri e in via di sviluppo, ha affermato che il loro più grande problema non è il cambiamento climatico, ma la povertà: “Le persone che attraversano il Mediterraneo non scappano dal global warming, fuggono dalla povertà. Se vogliamo aiutare l’Africa, dobbiamo aiutare le persone a uscire dalla povertà, non cercare di costruire pannelli solari e pale eoliche. Stiamo sprecando soldi con queste cose invece di aiutare le persone. L’energia a basso costo è ciò che ci ha fatto diventare ricchi e ora improvvisamente la gente non ne vuole più”.

Fonte : http://www.ilfoglio.it/cronache/2015/07/09/obama-sui-cambiamenti-climatici-ha-torto-marcio-dice-il-nobel-obamiano-per-la-fisica-giaever___1-v-130670-rubriche_c301.htm