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Il clima, se lo conosci non ti uccide

In questi giorni di freddo intenso al nord e maltempo al sud, impazzano gli articoli di giornali e gli interventi di “esperti” che ricorrono al solito schema del Riscaldamento globale (Global warming). Ma vediamo come stanno davvero le cose.

Temperature e precipitazioni: L’anomalia dell’inverno 2016-2017

L’inverno 2016-2017 è stato fin qui segnato da una sensibile carenza di precipitazioni al Nord, cui sono corrisposte precipitazioni abbondanti al centro-sud, spesso in forma nevosa, il tutto accompagnato da temperature che a partire da gennaio si sono collocate su valori decisamente inferiori alla norma su tutta l’area italiana.

Limitandoci a quanto accade in Lombardia, ho riportato in tabella i dieci bimestri dicembre-gennaio meno piovosi della serie storica di Milano (dal 1764 al 2000 ho utilizzato i dati di Milano Brera mentre dal 2001 ho fatto ricorso a dati misurati direttamente da me). Come si vede, il bimestre dicembre 2016 – gennaio 2017 è al momento il meno piovoso in assoluto, seguito a ruota da 1873-74, 1883-84, 1835-36 e 1980-81. Tuttavia questa classifica non è ancora definitiva in quanto le previsioni indicano la possibilità di modesti quantitativi di precipitazione per il 28 gennaio (1-2 millimetri di pioggia su Milano) e quantitativi più consistenti dal pomeriggio del 31 gennaio, allorché è atteso l’ingresso sulla nostra area di una robusta saccatura atlantica che dovrebbe apportare precipitazioni abbondanti soprattutto per l’1 febbraio.

A onor di cronaca ricordo poi che su Milano il 2016 ha presentato una piovosità lievemente superiore alla norma (1040 mm contro una media trentennale 1981-2010 di 976 mm), frutto della piovosità abbondante di febbraio, maggio, giugno, ottobre e novembre.

Parlando poi di quanto accade in Lombardia, per la quale si è già da più parti parlato di siccità, mi limito solo a segnalare che:

1. non si può parlare di siccità in termini agronomici poiché in inverno le colture sono in riposo vegetativo e dunque hanno necessità idriche modestissime

2. la norma climatica prevede che il minimo precipitativo dell’anno a Nord del Po si registri proprio fra dicembre e gennaio, per cui l’auspicio è che il trimestre febbraio-aprile, che specie dopo la metà di febbraio è di norma segnato da precipitazioni abbondanti, consenta di riassorbire l’anomalia negativa manifestatasi in questi due mesi.

Cambiamento climatico ed eventi estremi

Dobbiamo a questo punto domandaci se le anomalie precipitative dell’inverno 2016-2017 siano in qualche modo causate dal fenomeno del Global Warming, e cioè dall’aumento delle temperature medie in superficie cui stiamo assistendo dalla fine della Piccola Era Glaciale e che per il periodo 1850-2015 è stimabile in +1,3°C a livello europeo e +0,85°C a livello globale (di cui +0.69°C nel XX secolo). Su questo argomento i media si lanciano spesso in elucubrazioni che tendono ad associare al Global Warming qualsiasi anomalia (ondate di caldo, ondate di freddo, fasi siccitose, fasi a piovosità eccessiva, ecc.). Si deve essere molto prudenti nello stabilire nessi causali di questo tipo, vuoi perché il Global Warming è un fenomeno globale mentre noi ragioniamo in genere di fenomeni molto più locali (o meglio “a mesoscala” in termini meteorologici, come lo sono una siccità padano-alpina o le nevicate sul centro Italia), vuoi perché i risultati delle ricerche scientifiche sono tutt’altro che concordi in tal senso, tant’è vero che i ricercatori negli ultimi anni hanno ad esempio messo in luce che (in parentesi metto i lavori scientifici da cui emergono queste evidenze):

– la frequenza degli eventi alluvionali in Europa è stata sensibilmente più bassa durante le fasi calde (es: optimum romano, optimum medioevale) che durante quelle fredde (es: piccola era glaciale) (Wirth et al., 2013; Glaser et al., 2010).

– nel XX secolo a livello globale una larghissima parte delle stazioni meteorologiche (oltre il 90%) non manifesta tendenze all’incremento delle precipitazioni intense (Westra et al., 2013). Preciso che tali analisi sono state condotte su dati giornalieri in quanto i dati orari sono in gran parte di durata troppo breve e di qualità troppo scadente per poterci lavorare.

– a livello globale il rischio di siccità non ha manifestato variazioni di rilievo negli ultimi 60 anni come ci dimostra ad esempio un lavoro uscito su Nature nel 2012 a firma di Justin Sheffield e altri e dall’emblematico titolo “Little change in global drought over the past 60 years”.

Antiche cronache

Per restituirci un poco di senso della realtà, consiglio la lettura di alcuni brani tratti da cronache più o meno antiche che evidenziano, spesso con tono accorato, i gravi problemi che i nostri antenati vissero in tempi non sospetti di Global Warming.

TIRANO 1619  «Il 30 ottobre: …Il raccolto dell’uva che si è fatto in questi giorni in generale fu scarso ma il peggio è che nei luoghi più caldi e nelle migliori situazioni non si è rinvenuto un grappolo maturo. La costiera di sopra S. Gervaso non presentò che uve, se non in uno stato, quale solitamente si osserva nel mese di Agosto, cioè senza avere ombra di tintura. Il vino dell’anno scorso si paga l. 214 alla soma…».
(D. Zoia, Vite e vino in Valtellina e Valchiavenna – La risorsa di una valle alpina, Sondrio, 2004).

CLUSONE 1815-1816 «Le due estati degli anni 1815-1816 furono cattivissime, fredde, burrascose […] così che nelle nostre valli […] fu un raccolto così scarso che non vi è memoria di simile. Le famiglie, quasi tutte, sono senza grani e senza soldi e di cento famiglie, ottanta vanno questuando, ma con poco utile perché in giornata sono pochissime le famiglie che possono fare limosine. Si introducono anco nei nostri paesi  in questi due anni, li pomi di terra, ossia patate, ma in poca quantità e la maggior parte furono derubate in tempo immaturo senza profitto” e poi “[nel 1815] la primavera fu tardiva per la gran neve e terminò di scoprirsi la campagna solo alla metà di aprile e li frumenti erano tutti, o quasi tutti morti. L’estate fu sempre fredda e piovosa e si raccolse quel poco frumento che era rimasto, solo in agosto. L’anno 1816 fu freddo e di grandiose piogge, con danni grandiosi su fiumi e torrenti».
(A.M. Pedrocchi, 2013. Ol feròs. Giovan Maria Pedrocchi, un borghese bergamasco tra ‘700 e ‘800, Centro culturale Baradello, Clusone, 191 pp.)

TOSCANA, 1765: Il freddo «fra le ore 2 e 4 della mattina del 14 aprile 1765 in momenti bruciò nelle pianure della Toscana gli Occhi delle viti, dei Peschi dei Fichi e dei Noci…», tanto che «da molti anni in qua abbiamo perso la bussola e non si riconoscono più le stagioni… abbiamo avuta la primavera nell’inverno, l’inverno nella primavera, la primavera nell’estate e l’estate è iniziata a mezzo settembre». Insomma «l’ordine antico delle stagioni pare che vada pervertendosi, e qui in Italia è voce comune, che i mezzi tempi non sono più».
Giovanni Targioni Tozzetti, 1767. Cronica meteorologica della Toscana per il tratto degli ultimi sei Secoli relativa principalmente all’Agricoltura (Alimurgia, pt. III).

MEAUX (Francia), 1788: «Nel 1788 non c’è stato inverno, la primavera non è stata favorevole alle colture, ha fatto freddo, la segale non è stata buona, il grano è stato abbastanza buono ma il caldo eccessivo ha disseccato i chicchi, cosicché il raccolto di grano era molto scarso….; il 13 luglio c’è stata un’ondata di grandine che, cominciata dall’altra parte di Parigi, ha attraversato tutta la Francia fino alla Picardia e ha fatto grossi danni; la grandine pesava 8 libbre e ha falciato grano e alberi al suo passaggio; si estendeva su una fascia larga due leghe e lunga 50…..; invece la vendemmia è stata buonissima e i vini eccellenti. L’uva è stata raccolta a fine settembre; il vino valeva 25 lire dopo la vendemmia e il grano 24 lire dopo il raccolto.
Dal diario di un viticoltore dei dintorni di Meaux (fonte: Emmanuel Le Roy Ladurie, 2011. Les Fluctuations du climat de l’an mil à aujourd’hui, avec Daniel Rousseau et Anouchka Vasak, Fayard, 332 pages).

TOSCANA, 1590: «Trovandosi la Toscana afflitta da grandissima Carestia, e non essendo potuti ottenere Grani dalla Sicilia, dal Levante, dalla Barberia, state le male Ricolte, che erano state ancora in quei Paesi soliti essere Granaio dell’Italia, il serenissimo Granduca Ferdinando I, con somma prudenza riflettè, che le medesime Cause Meteorologiche, dovevano aver cagionato una copiosissima Ricolta nei paesi più settentrionali di noi. Perciò si voltò alle più remote Provincie verso il Baltico, allora non molto praticate, e spedì per le poste a Danzica Riccardo Riccardi Gentiluomo fiorentino, ricchissimo e principalissimo Mercante, per incettar Grani e Biade, ed in questa maniera, da niun’altro prima immaginata, gli riuscì di metter l’abbondanza nella Toscana».
Giovanni Targioni Tozzetti, 1767. Cronica meteorologica della Toscana per il tratto degli ultimi sei Secoli relativa principalmente all’Agricoltura (Alimurgia, pt. III).

Quale morale

Da queste cronache emerge on evidenza il fatto che l’età dell’oro non è mai esistita e che le anomalie termiche e pluviometriche affliggono da sempre i nostri simili. Emerge inoltre che determinante per evitare gravi danni a cose e persone è da sempre la previdenza (idonee scorte di cibo ed energia, mezzi operativi in buono stato di manutenzione, ecc.) e la capacità di auto-attivazione delle comunità locali (che oggi potremmo chiamare principio di sussidiarietà o “aiutati che il ciel t’aiuta”).

C’è poi da considerare un aspetto di cultura generale su cui da anni mi capita di insistere ma con risultati all’apparenza scarsi, almeno a giudicare da quanto viene costantemente riproposto sui grandi media: a Est dell’Italia c’è la Siberia che nella stagione invernale è il “polo del freddo” del nostro emisfero, ospitando le masse d’aria più gelide in assoluto. In tali condizioni, che si ripetono tutti gli inverni, è sufficiente che un anticiclone si piazzi sul Centro-Nord Europa in idonea posizione per far si che l’Italia sia investita dall’aria siberiana con ondate di freddo i cui casi più estremi negli ultimi 100 anni sono stati nel febbraio 1929, nel febbraio 1956, nel gennaio 1985 e nel febbraio 2012 (in media un caso ogni 25 anni). Per questo, prima ancora di ragionare di cambiamento climatico aderendo a slogan ottusi del tipo “farà sempre più caldo”, occorrerebbe prima di tutto ragionare del nostro clima e di come esso si comporta, e questo ad iniziare dalle scuole.

E smettiamola per favore di dire che “il clima è impazzito”. È questo infatti un luogo comune falso e che purtroppo frulla nelle teste dei nostri concittadini da oltre 2000 anni, come ci dimostra il fatto che di esso ebbe a suo tempo a lamentarsi il grande agronomo romano Lucio Moderato Columella (Cadice, 4-70 d.C.) nell’introduzione al suo De re rustica: “Io odo spesso gli uomini principali di Roma lagnarsi, chi della sterilità dei campi, chi dell’intemperie dell’aria, nociva alle biade da lungo tempo in qua… Quanto a me, Publio Silvino, tengo tutte queste ragioni per lontanissime dalla verità”.

Il clima va conosciuto, perché se lo conosci non ti uccide.

Fonte : http://www.lanuovabq.it/it/articoli-il-clima-se-lo-conosci-non-ti-uccide-18741.htm

Da El Nino a El Nino … nessun riscaldamento globale

La Terra ha sperimentato recentemente due super eventi El Nino : nel 1997/1998 e nel 2015/2016. Dopo tutto questo ci si aspettava che il 2016 doveva essere l’anno più caldo da quando si registrano le temperature satellitari dal 1979. Tuttavia, l’incremento è stato di soli 0,02 °C nel corso del 1998. Questo non è statisticamente significativo secondo il dottor Roy Spencer, analizzando i dati del sistema satellitare UAH . (Il margine di errore è di 0,1 ° C, molto maggiore della differenza tra gli anni El Nino.) Il grafico sopra mostra i risultati UAH. Un’analisi satellitare separata dal Remote Sensing Systems (RSS) è giunta alla stessa conclusione.

I satelliti misurano la temperatura della troposfera inferiore, la nostra porzione di atmosfera. Queste misure forniscono un quadro più realistico della temperatura globale di quanto non facciano misure di superficie. Essenzialmente, la temperatura globale ora è la stessa come era circa 18 anni fa.

Il precedente El Nino ha avuto un forte crollo, seguito da un forte raffreddamento con l’evento della La Nina. La Nina tra il 2016/2017 sembra aver avuto inizio a metà del dicembre 2016, ed è quindi logico aspettarsi un raffreddamento durante la prima metà del 2017, con l’attuale El Nino che dovrebbe essere debole.

I media possono ancora annunciare il 2016 come l’anno più caldo di sempre. Per qualche prospettiva su che vediamo una prospettiva più a lungo.

Una cosa che i media non possono menzionare è che le nostre emissioni di anidride carbonica sembrano aver avuto alcun effetto sulla temperatura globale. Questo è stato recentemente notato da l’australiana Jo Nova nel suo articolo “A partire dal 2000 gli esseri umani hanno emesso il 30% della totale CO2, ma non c’è nulla da mostrare per questo.” C’è stata una pausa di 18 anni nel riscaldamento globale.

Se la CO2 si suppone che sia la causa principale del riscaldamento globale, perché la grande emissione di CO2 non ha avuto un grande effetto ? Secondo il Dipartimento per l’energia “, dal 1751 circa 337 miliardi di tonnellate di carbonio sono stati rilasciati nell’atmosfera dal consumo di combustibili fossili e la produzione di cemento. La metà di queste emissioni sono verificate dal 1970, e il 30% di queste si sono verificate durante l’evento El Nino record del 1997/1998 . Non vi è alcuna indicazione che tutta questa CO2  sta producendo un riscaldamento globale.

Sia l’america del nord che l’europa stanno vivendo un freddo record. L’Oceano Atlantico del Nord si  sta rapidamente raffreddando a partire dalla metà degli anni 2000. ( Fonte ) Inoltre, l’attività solare è ora ad un punto basso e molti scienziati ritengono che il prossimo ciclo sarà ancora debole. I periodi di cicli solari deboli sono associati a periodi di raffreddamento globale.

Sembra che qualsiasi presunto effetto di riscaldamento globale dovuto alla CO2 potrà essere sopraffatto dalle variazioni naturali del clima.

 

Fonte : https://wryheat.wordpress.com/2017/01/17/el-nino-to-el-nino-no-net-global-warming/

Dopo 37 anni torna la neve sul deserto del Sahara

In una zona algerina del deserto del Sahara, per la seconda volta nella storia, sono scesi i fiocchi di neve. Questa volta, però, per una giornata intera  

Roma, 21 dicembre 2016 – L’atmosfera natalizia è arrivata anche sulle dune del deserto del Sahara. In una zona nei pressi della cittadina di Aïn Sefra (Algeria), infatti, è scesa la prima neve dopo ben 37 anni. Il risultato è stato un suggestivo effetto ottico creato dal contrasto della neve sulla sabbia rossastra.

PRECIPITANO LE TEMPERATURE
Sull’Algeria si è abbattuto un ciclone afro-mediterraneo che ha portato con sé un’aria artica. La temperatura nelle zone più basse della catena montuosa dell’Atlante, che raramente scende sotto i 20 gradi, è quindi precipitata sotto lo zero, provocando perturbazioni nevose che hanno imbiancato le sabbie rosse del deserto. L’area più colpita è stata quella attorno ad Aïn Sefra, cittadina di 54mila abitanti a circa 1000 metri sopra il livello del mare.

UNA GIORNATA DI NEVE NEL DESERTO
La prima nevicata della storia in questa zona è avvenuta il 19 febbraio 1979, quando i fiocchi sono scesi solamente per mezz’ora. Ieri, invece, la neve ha ricoperto il deserto del Sahara sia di giorno che di notte, regalando uno spettacolo insolito durante le prime ore del mattino di oggi. Il ciclone afro-mediterraneo in questione è diretto verso l’Italia

Fonte : http://www.quotidiano.net/magazine/viaggi/sahara-neve-1.2769097

Il climatologo. Franco Prodi: un richiamo a lavorare liberi

Contro il degrado ambientale serve grande impegno…

prodi_53575078«Mi definisco una persona non con la testa fra le nuvole, ma una persone con la testa nelle nubi » dice Franco Prodi, «perché se parliamo di scienza parliamo di nubi, non nuvole, e a quelle posso dire di aver dedicato una vita da ricercatore: la formazione delle precipitazioni, il ruolo delle particelle d’aerosol, perché le nubi fanno da spazzini dell’atmosfera con dei meccanismi bellissimi che andrebbero spiegati…». Classe 1941, membro di una nidiata d’eccellenza, quella dei nove fratelli Prodi, di cui Romano ha avuto la fama maggiore ma gli altri hanno ottenuto riconoscimenti non meno prestigiosi nei loro ambiti, Franco è uno dei massimi studiosi italiani, al Cnr, di climatologia e in particolare una delle voci autorevoli a livello mondiale sulla grandine. «Tutto è nato molto presto – racconta – mi ero laureato in fisica e mi ero appassionato alla struttura della materia. Durante il servizio militare ho conosciuto la meteorologia: sono stato sottotenente del genio aeronautico al Monte Cimone, sull’Appennino modenese. Da lì ho iniziato a studiare la grandine come se fosse un materiale. E ho scoperto che il chicco poteva essere una sorta di sensore, portava “registrata” la sua storia dentro il temporale». Prodi si è sentito ovviamente interpellato dal discorso del Papa. Giusto sabato scorso ha coordinato il convegno «Cambiamenti climatici. Cause naturali e antropiche. I protagonisti della ricerca» che si è tenuto a Faenza, promosso dalla Società Torricelliana di Scienze e Lettere. «È stato importante il richiamo del Pontefice al tema della biodiversità – commenta –, il numero di specie viventi che si sono estinte e che continuano a estinguersi è pesante. Il problema ecologico riguarda anche come le diverse specie interagiscono fra loro per un particolare “transito” che investe tutta la biosfera: il flusso di fotoni solari, attraverso la fotosintesi, genera tutte le molecole di natura più complessa, che passando dagli erbivori ai carnivori finiscono poi nel mondo minerale.

Questa transizione assicura anche un certo bilanciamento climatico: la biosfera non è irrilevante nel sistema climatico, anzi». Prodi coglie con entusiasmo l’appello del Papa agli scienziati «liberi da interessi politici, economici o ideologici » perché assumano una «leadership» nell’elaborazione di soluzioni in ambito ecologico, rispetto a una politica condizionata da interessi finanziari o di potere spicciolo. «Sono parole di grande lucidità – dice lo scienziato emiliano – che riconoscono e danno lustro al nostro ruolo. C’è bisogno appunto di un grande impegno della scienza sul degrado ambientale: penso a questioni come i metalli pesanti negli oceani, i fiumi non più balneabili, l’inquinamento scriteriato dei terreni… La questione invece della connessione fra l’innalzamento del Co2 nell’atmosfera, che è un fatto, e il riscaldamento climatico è per lo meno controversa. Qui la scienza, appunto, deve lavorare veramente libera da interessi e pressioni politiche. Non bisogna pensare che “la scienza” sia l’Ipcc (Intergovernmental panel on climate change ndr), un organismo rispettabilissimo, ma che nasce da una domanda dei governi sul futuro del pianeta. L’Ipcc elabora scenari, modelli a partire dai dati che sono oggi a nostra disposizione. Ma restano scenari del tutto ipotetici, come dimostra per esempio la forbice dell’aumento previsto delle temperature del pianeta a fine secolo, da più 1 a più 7 gradi. Una forbice troppo ampia.

Il punto, in realtà, è che sui mutamenti climatici non siamo ancora in grado di distinguere il peso dell’elemento antropico, dell’uomo, dai fattori prettamente naturali. Per questo la scienza deve procedere con serietà nelle sedi deputate, che sono i laboratori, le riviste scientifiche accreditate. Ed è sempre un cammino travagliato. Ci vorranno diverse decadi, penso, prima di arrivare a condizioni che ci permettano di avere delle previsioni accurate». E su quanto sappiamo delle dinamiche del clima vale, conclude Prodi, lo spazio temporale su cui oggi possiamo fare previsioni meteo attendibili: «Dieci, dodici giorni, dopo di che è come se non sapessimo nulla. Si passa a congetture statistiche e stagionali».

Fonte : https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/un-richiamo-a-lavorare-liberi

I dati, i dubbi e gli eccessi sul cambiamento climatico

È ragionevole che, sia pure a titolo precauzionale, vengano prese misure
anche drastiche contro il global warming. È invece irrazionale dar retta a chi lo ritiene un campo delle certezze assolute

Un nuovo uragano di irragionevolezza rischia di abbattersi sul mondo in coincidenza con l’apertura — oggi a Marrakech — della Conferenza sui cambiamenti climatici. Intendiamoci: è del tutto ragionevole che, sia pure a titolo precauzionale, vengano prese misure anche drastiche per combattere il global warming. È invece irrazionale dar retta ai sostenitori della tesi che questo sia un campo delle certezze assolute (tra loro molti attori cinematografici, spiccano per spirito militante Leonardo DiCaprio e Arnold Schwarzenegger) . Ed è ignobile accodarsi al linciaggio di chi muove legittime obiezioni all’assunto che riconduce interamente all’uomo il surriscaldamento del pianeta.

In ogni caso, in riferimento a quelli che non hanno dubbi sull’origine antropica del riscaldamento, sono degni di considerazione i dati su cui invita a riflettere Thomas Piketty. Il basso livello di emissioni dell’Europa si spiega in parte con il fatto che noi subappaltiamo massicciamente all’estero, in particolare in Cina, la produzione dei beni industriali ed elettronici inquinanti destinati al nostro consumo. Sarebbe molto più sensato, sostiene lo studioso, ripartire le emissioni in funzione del Paese di consumo finale piuttosto che di quello di produzione. Constateremmo in questo modo che le emissioni europee schizzano in su del 40% (quelle nordamericane del 13%) mentre quelle cinesi scendono del 25 per cento.

Tenuto conto che i cinesi sono 1,4 miliardi poco meno del triplo dell’Europa (500 milioni quando ancora era inclusa la Gran Bretagna) e oltre quattro volte più del Nord America (350 milioni) dovremmo riflettere sul fatto che i cinesi emettono attualmente, per persona, l’equivalente di 6 tonnellate di anidride carbonica l’anno (più o meno in linea con la media mondiale) contro le 13 tonnellate europee e le oltre 22 nordamericane.

I Paesi ricchi continuano a rappresentare la stragrande maggioranza del fronte degli inquinatori e non possono chiedere alla Cina (accantonato ogni discorso sull’inquinamento che qui cadrebbe a sproposito) di farsi carico di una responsabilità superiore a quella che le spetta. La metà del pianeta che inquina meno — 3,5 miliardi di esseri umani dislocati principalmente in Africa, Asia meridionale e Sudest asiatico — emette meno di 2 tonnellate per persona ed è responsabili di appena il 15 per cento delle emissioni complessive. All’altra estremità della scala, l’1 per cento che inquina di più, settanta milioni di individui (il 73 per cento dei quali risiede tra gli Stati Uniti, il Canada e il nostro continente) è responsabile di circa il 15 per cento delle emissioni complessive. Settanta milioni di individui inquinano quanto 3,5 miliardi di persone. Osservazioni interessanti, che meritano di essere discusse.

Non si capisce però perché tale discussione debba essere imbarbarita da una certa dose di fanatismo. Perché il leader dei laburisti inglesi, Jeremy Corbyn, deve quasi scusarsi di avere un fratello maggiore, Piers, fisico e meteorologo, il quale, sulla base di evidenze scientifiche (anch’esse meritevoli d’essere prese in esame), sostiene che il riscaldamento globale non sia dovuto ai guasti provocati dal genere umano o dalla industrializzazione sregolata e trovi piuttosto spiegazione nel sole? Perché è passato quasi sotto silenzio il licenziamento su due piedi di Philippe Verdier, per un ventennio «Monsieur Météo» di France 2 , reo d’aver dato alle stampe «Climat Investigation»un libro in cui si relativizzavano le conseguenze del global warming? È normale che lo abbiano buttato fuori dall’emittente televisiva solo per aver messo in evidenza «alcune connessioni opache tra scienziati, politici, lobbisti e ong ambientaliste»? «Siamo ostaggi di uno scandalo planetario … una macchina da guerra che fa soldi mantenendoci in uno stato di ansia», sosteneva Verdier. Può darsi che esagerasse, che avesse torto. Ma è il licenziamento il modo giusto di cimentarsi con le sue tesi?

Perché poi (quasi) nessuno ha fiatato quando la presidente della Società italiana di fisica, Luisa Cifarelli, fu aggredita per aver tolto il logo della società da lei presieduta dal documento di dodici associazioni italiane che, in vista della Conferenza sul clima di Parigi, affermavano essere «inequivocabile» l’influenza umana sul sistema climatico? Avrebbe voluto, la Cifarelli, che il termine «inequivocabile» fosse sostituito con «verosimile» o «probabile» . La nostra, diceva, è un’associazione di fisici abituati a considerare leggi della scienza «regolate da equazioni». Le verità scientifiche, sosteneva, «non possono basarsi sul consenso generalizzato mescolando scienza e politica, come sta avvenendo in questo caso … Avrei solo voluto qualche cautela in più». Sensato. E invece la Cifarelli fu lapidata.

Il clima poi ha una sua storia molto particolare. Tra il 21 e il 50 d.C. si ebbero temperature superiori a quelle di oggi, tanto che fu possibile importare in Inghilterra la coltivazione della vite. Intorno all’anno mille il riscaldamento continentale consentì ai vichinghi di colonizzare la Groenlandia (che fu così chiamata proprio perché era diventata «gruene», verde) e l’America del Nord. Dopo l’anno mille, come ha ben raccontato Emmanuel Le Roy Ladurie, si sono alternate epoche di riscaldamento e di glaciazione senza che l’uomo avesse alcun potere di influenzare questi cambiamenti. Nel ventesimo secolo la temperatura è salita tra il 1910 e il 1940, è scesa poi fino alla metà degli anni Settanta (a causa della Seconda guerra mondiale?), ha ripreso a crescere a partire dal 1975 ma si è fermata una seconda volta alle soglie del nuovo millennio (per effetto delle politiche ecologiste?). Tutti temi da studiare, da approfondire. Se ne può discutere?

Se la risposta è sì non si può cedere in presenza di chi si sente detentore di una qualche verità. Come l’ ex vicepresidente Usa nonché premio Nobel, Al Gore. Un suo documentario, «An Inconvenient Truth», (premiato con l’ Oscar) si è imposto come la Bibbia della lotta al surriscaldamento . Il governo inglese ne ha addirittura imposto la proiezione in tremilacinquecento istituti secondari. Ma una Corte di giustizia britannica ha stabilito che si tratta di un film «politico» e «allarmista», talché la proiezione dovrebbe avvenire in presenza di esperti in grado di evidenziare le affermazioni prive di riscontri scientifici. Di queste affermazioni senza riscontro ne sono state individuate nove tra cui quella degli «orsi polari annegati in conseguenza dello scioglimento dei ghiacci». La Corte l’ha smontata, sulla base di una documentazione (questa sì inconfutabile) da cui si evinceva che gli orsi affogati erano non più di quattro, tutti a seguito di una tempesta. I sostenitori dell’origine antropica del global warming a quel punto hanno obiettato che anche la tempesta poteva essere stata originata dal riscaldamento . Il giudice Michael Burton ( pur essendo tutt’altro che un negazionista in materia di effetto serra) ha reagito con un sorriso. Prendiamo esempio da lui.

Fonte : http://www.corriere.it/cultura/16_novembre_07/i-dati-dubbi-eccessi-d4eb9f16-a457-11e6-9261-ffaafc24ed7d.shtml