Archivi giornalieri: 8 Aprile 2020

Contagi e letalità, è anche una questione meteorologica

Perché in certi Paesi il contagio di Covid-19 è più diffuso che in altri? Non bastano i soli fattori sociali a spiegarlo. Uno studio del professor Nicola Scafetta – messo liberamente a disposizione dall’autore – dimostra una straordinaria somiglianza meteorologica anzitutto tra Wuhan e le province lombarde maggiormente colpite (Milano, Bergamo, Brescia). E lo stesso vale per le altre regioni che via via si aggiungono al triste elenco: freddo temperato (tra i 4 e gli 11°C), alta pressione, scarsa umidità, bassa circolazione dei venti appaiono le condizioni ideali per la diffusione e la letalità del contagio. Situazione destinata a spostarsi sempre più a Nord, fin quasi a rallentare del tutto in estate. Ma attenzione, perché in autunno ricomincia il giro, quindi non bisogna abbassare la guardia.

– IL TESTO INTEGRALE DELLO STUDIO (in Italiano) II ENGLISH (ORIGINAL)

Tanto tempo fa, nell’ormai lontano mese di febbraio, si dava quasi per scontato che l’epidemia di Covid-19 si sarebbe risolta con l’arrivo della stagione calda. Sono poi arrivate docce fredde, dall’Oms e dalla nostra virologa Ilaria Capua che hanno posto quasi del tutto fine a questa speranza: non ci sono prove che attestino come il nuovo coronavirus possa perdere slancio la prossima estate. Quindi è ancora tutto da dimostrare. Ma un nuovo studio, a firma di Nicola Scafetta (Università di Napoli Federico II) rimette al centro la temperatura. Lo studio del professore di Oceanografia e Fisica dell’atmosfera, che alleghiamo in versione integrale in formato Pdf, trova una correlazione tra tassi di diffusione e virulenza del Covid-19 e condizioni meteorologiche. Ovviamente quello delle condizioni meteorologiche è solo uno dei fattori che contribuiscono a diffusione e letalità, ma lo studio – il primo del genere – ha il merito di spiegare la prevalenza dell’epidemia in alcune regioni e, su questa base, prevedere i probabili tassi di diffusione nel prossimo futuro.

In questi mesi ci siamo posti una serie di domande: perché l’Italia e la Spagna sì, ma la Grecia no? Perché la Russia è stata quasi del tutto risparmiata, nonostante la vicinanza della Cina? Perché il virus non si diffonde altrettanto rapidamente nel Sud del mondo (Asia meridionale, Africa e America latina)? Perché l’Europa orientale e lo spazio ex sovietico sono meno colpiti?

Non solo la pandemia di Covid-19 (scoppiata fra novembre e gennaio nella Cina centrale), ma in genere tutte le malattie respiratorie, dal semplice raffreddore alla più grave polmonite, si manifestano maggiormente nella stagione invernale e passano in primavera, sia perché le condizioni meteorologiche facilitano il contagio, sia perché i nostri sistemi immunitari sono più deboli. E’ senso comune a suggerirlo e a quanto pare, la nuova malattia non fa eccezione. Ma non tutti i tipi di freddo sono il terreno ideale per la diffusione di questa epidemia: gli elementi sono anche la bassa umidità, l’alta pressione, il poco vento e un freddo temperato, dai 4°C agli 11°C. Cosa che spiegherebbe perché le steppe siberiane da una parte e le giungle tropicali dall’altra paiono aver immunizzato (non del tutto) le popolazioni che vi abitano.

Il professor Scafetta ha osservato una straordinaria somiglianza meteorologica in tutte le zone maggiormente colpite dall’epidemia, nel momento in cui colpisce più duramente. A Wuhan e nello Hubei cinese, il coronavirus si è diffuso soprattutto fra gennaio e febbraio, in Italia e Spagna soprattutto fra febbraio e marzo, mentre in Germania, Francia e Regno Unito soprattutto dal mese di marzo e negli Stati Uniti dalla fine di marzo. Questa progressione potrebbe non essere casuale, né dettata dai soli fattori sociali (maggiori collegamenti internazionali, politiche di quarantena e controllo delle dogane più o meno efficaci). “Ho mostrato – scrive Scafetta – che fra la regione di Wuhan, nella provincia dello Hubei, nella Cina centrale, e le province italiane di Milano, Brescia e Bergamo, che al momento sono le più colpite dalla pandemia di Covid-19, ci sono sorprendenti somiglianze nelle condizioni meteorologiche fra gennaio e marzo. In particolare, le condizioni meteo di Wuhan fra la fine di gennaio e febbraio, quando il contagio di Covid-19 ha colpito più gravemente la regione, è quasi identica alle condizioni meteo fra febbraio e marzo nelle province del Nord Italia”.

Questo perché, come nelle altre malattie respiratorie, “in generale possono sussistere diversi meccanismi biologici, fisici e solari che probabilmente influiscono sulla sopravvivenza stagionale del virus e sulla sua trasmissibilità per via aerea, così come influire sulla predisposizione del sistema immunitario umano”. Il freddo secco, l’alta pressione e la bassa forza dei venti sarebbero le condizioni ideali per la diffusione dell’epidemia. Quando parliamo o tossiamo “le goccioline potenzialmente portatrici del virus, rimangono più a lungo in aria perché si riducono di dimensioni”. Mentre se la temperatura fosse più alta e, soprattutto, piovesse: “l’umidità o la pioggia faciliterebbero la loro rimozione dall’aria”. Anche il sole giocherebbe il suo ruolo: “Nell’emisfero settentrionale, l’inverno è caratterizzato anche da meno ore di luce solare e di esposizione ai raggi UV, che possono avere un effetto sterilizzante”.

Mentre un ruolo solamente secondario sarebbe giocato dall’inquinamento, che è uno dei principali accusati della diffusione del morbo in aree densamente abitate e industrializzate quali Wuhan e la Pianura Padana: secondo Scafetta la concentrazione di inquinanti può facilitare la trasmissione del virus, ma è un effetto del meteo (alta pressione, poco vento, freddo secco) e non la causa. Infine, ma non da ultimo: “il tempo freddo normalmente aumenta la predisposizione delle persone agli attacchi dei virus”.

Mostrando le mappe del ciclo delle stagioni, il professore di Napoli ci spiega come è progredita l’epidemia finora, ma anche come è probabile che si evolva in futuro. Le stesse condizioni infatti si stanno ripresentando nell’Europa centro-occidentale: Germania, Francia, Regno Unito. Ed ora negli Stati Uniti, nelle aree con una situazione meteo più simile a quella dell’Europa occidentale. Nella tarda primavera tenderà a muoversi verso Nord: i prossimi che dovrebbero prepararsi sono il Canada, i Paesi scandinavi e la Russia, e anche alcune regioni fredde dell’emisfero Sud, come la Nuova Zelanda, il Cile e parte dell’Argentina. Fra giugno e luglio dovrebbe andare meglio un po’ ovunque. L’area tropicale potrebbe essere protetta più di altre, per un clima caldo tutto l’anno.

Ma attenzione, perché arriverà quasi inevitabilmente anche una seconda ondata. A partire da agosto, infatti, i cambiamenti stagionali delle temperature si invertono. In Italia il novembre è il mese che replica solitamente le condizioni climatiche di marzo e il dicembre quelle di febbraio. Mai abbassare la guardia, dunque: la bella stagione non serve a “distruggere” il virus, né a fermare l’epidemia, semmai a rallentare i contagi. Meglio sapere per tempo quando attuare le politiche di contenimento: in pratica, entro l’inizio del prossimo novembre dobbiamo farci trovare pronti.

Qui potete trovare la pagina originale del lavoro:
Scafetta, N.: A Proposal for Isotherm World Maps to Forecast the Seasonal Evolution of the SARS-CoV-2 Pandemic,
Pagina Web: https://www.preprints.org/manuscript/202004.0063/v1

Fonte : https://www.lanuovabq.it/it/contagi-e-letalita-e-anche-una-questione-meteorologica