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Aspettare prima di trarre conclusioni, ma fino a quando?

Qui su NIA è una delle frasi preferite, sicuramente quella che in questi 2 anni abbiamo detto più volte.

Ma su una cosa non abbiamo mai chiarito, fino a quando dovremo aspettare?

Bisogna subito dire che se noi non abbiamo mai detto un limite è perchè esso non c’è, dipende tutto da come si comporterà il sole nei prossimi mesi, sappiamo bene come anche gli esperti si sono ritrovati a posticipare sempre più l’inizio del Ciclo 24, noi quindi ci siamo adattati spostando in avanti il termine ipotetico del periodo di attesa.

Il Ciclo 24 è partito parecchi mesi fa e ci aveva dato l’impressione di poter chiudere la questione minimo e di analizzare la risalita verso il massimo, terminando quindi le attese per la ripartenza, visto che essa, spesso lineare e costante non crea un interessamento di tipo evolutivo ma solo di tipo quantitativo.

Come invece ben sappiamo ci troviamo ancora in una fase di stallo, il SF dopo aver superato gli 80 è andato calando per un bel po’ di tempo e ancora adesso ci troviamo sotto gli 80, valore che da sempre qui su NIA avevamo definito come segno di attività solare non più bassa, e la risalita ci pare ben lontana da poter essere definita, ci tocca quindi aspettare ancora e come tutti neanche noi sappiamo fino a quando.

Proprio per questi motivi ho deciso di scrivere qualche riga su questa questione, da fuori potrebbe sembrare quasi una presa in giro e non lo è di certo, ovviamo tutti i dubbi e chiariamo il concetto:

Il Minimo solare tutt’ora non può dirsi concluso al 100%, abbiamo definito la patenza del Ciclo 24 ( e quindi fine del minimo ) con il superamento continuo del SF del valore di 80, aggiungendoci poi un aumento di tale valore continuo.

La fase di risalita è quella più breve in un ciclo solare, dura intorno ai 4 anni, ma può durare anche meno, per questo quindi rappresenta una crescita costante e continuativa dell’attività solare, non rappresentando motivo di interesse, se non quando ci si ritrova alla fine del suo percorso e si deve analizzare quale sarà l’intensità del massimo, sarà allora che partirà il nuovo “periodo di attesa”

Bisogna però dire che questo Ciclo 24 ha tutta l’aria di essere un ciclo debole e molto particolare, la sua risalita potrebbe quindi essere atipica e mostrare continuamente periodi di discesa anche in questa fase, arrivando quindi ipoteticamente ad unire le 2 “fasi di attesa” rendendole praticamente infinite.

A noi tocca, e sembra uno scherzo detto adesso, solo aspettare, perchè sarà solo il Sole a decidere quando finirà l’attesa.

FABIO

C14

Il C14 è un isotopo del carbonio.

I’isotopo principale del carbonio è il C12. Il suo nucleo è composto da 6 protoni e 6 neutroni. Poi c’è il C13 con 6 protoni e 7 neutroni nel nucleo. C12 e C13 sono stabili e si trovano in natura in un rapporto di 98,9% C12 e 1,1% C13.

Il C14 è un isotopo del carbonio con 6 protoni e 8 neutroni nel nucleo. Non è stabile. Si trasforma in azoto 14. Nel suo nucleo uno dei neutroni, che ovviamente è di troppo, si trasforma in un protone. Il nucleo che nasce, cioè quello del N14 (azoto 14) è composto da 7 protoni e 7 neutroni. La trasformazione del neutrone in un protone avviene con l’emissione di un elettrone e di un antineutrino. Il C14 decade direttamente nello stato fondamentale del N14. Questo ha la conseguenza che questo decadimento non è accompagnato da un’emissione di raggi gamma. Il decadimento con l’emissione di un elettrone e un antineutrino si chiama decadimento beta meno.

Da dove viene il C14?

In 5568 anni metà dei nuclei di C14 si si trasformano in N14. La nostra terra è vecchia circa 4,5 miliardi di anni. Gli elementi che compongono la nostra terra sono nati in una supernova poco prima. Del C14 di allora non c’è neanche più una traccia. Eppure si trova in concentrazioni che vanno da circa 1 parte su un milione di miliardi di C12 fino a circa 3 parti su mille miliardi.

Ci sono meccanismi che creano il C14. Il meccanismo principale si trova nell’atmosfera in altitudini da 9 a 15 km. Raggi cosmico urtano nuclei dell’atmosfera. L’energia d’urto può essere molto alta. Cioè molto più alta dell’energia di legame dei nuclei. I nuclei colpiti si disintegrano (“spallation”), i componenti volani in giro. Tra questi ci sono neutroni. Neutroni colpiscono nuclei di azoto 14. Dal nucleo di azoto 14 vola via un protone. Così il nucleo di azoto 14 è diventato un nucleo carbonio 14.

Se la radiazione cosmica è costante, troviamo nell’atmosfera una concentrazione costante di C14. Il carbonio 14 si ossida e diventa parte dell’anidride carbonica dell’atmosfera, che è la materia prima per la fotosintesi. La piante la assorbono e la trasformano in una varietà di sostanze organiche. Queste sono la base per la vita di tutti gli essere viventi. Tutti gli esseri viventi sono caratterizzati da una concentrazione di carbonio 14 uguale (incirca) a quella dell’atmosfera.

Dopo la morte non c’è più scambio con l’anidride carbonica dell’atmosfera. La concentrazione di carbonio 14 è costante durante la vita e diminuisce dopo la morte. Misurare la concentrazione del carbonio 14 serve a determinare il momento che un organismo ha smesso di vivere. Willard Frank Libby ha preso il premio Nobel nel 1960 per questo metodo.

I problemi

Il metodo C14 per la determinazione dell’età di oggetti di origine organica si basa sull’assunzione che il contenuto di carbonio 14 nell’atmosfera, quindi nelle piante viventi e quindi negli animali che si nutrono dalle piante sia costante. Non è vero.

Problema 1: I test nucleari

Intorno all’anno 1960 nell’atmosfera terrestre sono stati eseguiti test di bombe nucleari. Questi hanno prodotto un notevole numero di neutroni. Questi neutroni hanno reagito con nuclei di azoto 14 e li hanno trasformati in nuclei di carbonio 14. Il contenuto di carbonio 14 nell’atmosfera è raddoppiato.

Il grafico mostra che la concentrazione di C14 nell’atmosfera dal 1955 al 1963 – 1965 è raddoppiato.

1962: Accordo USA – Unione Sovietica a non eseguire più test nucleari nell’atmosfera. I picchi di concentrazione di carbonio 14 sono ritardati rispetto alla cessazione degli esperimenti. Ovviamente a causa di un ritardo nella distribuzione sul globo intero. Significa però che localmente le concentrazioni erano più alte.

La curva mostra deviazioni da un andamento esponenziale probabilmente a cause di esplosioni nucleari nell’atmosfera da parte della Francia nel 1974 e da parte della Cina nel 1980. Ma forse erano quantitativamente insignificanti rispetto alle 2044 esplosioni precedenti.

Il contenuto di carbonio 14 nell’atmosfera, che si trova integralmente nell’anidride carbonica, decade con una tempistica che ha niente a che fare con il decadimento radioattivo del carbonio 14. La diminuzione della concentrazione dell’anidride carbonica nell’atmosfera è causata dalla fotosintesi delle piante e dalla solubilizzazione nell’acqua.

Nei testi di climatologia che parlano dell’effetto serra causato dall’anidride carbonica si trovano valori sull’eliminazione dell’anidride carbonica dall’atmosfera estremamente discrepanti. Vanno da 10 a 100 anni di emivita. L’immissione artificiale di carbonio 14 nell’atmosfera tramite esplosioni nucleari, ha fornito i dati necessari per la determinazione della permanenza dell’anidride carbonica nell’atmosfera.

Risultato 1:

L’anidride carbonica nell’atmosfera ha un’emivita di 20 anni. L’incertezza di questo valore è dell’ordine di grandezza di un anno.

Risultato 2:

La formazione dell’equilibrio del contenuto di anidride carbonica tra l’emisfero nord e l’emisfero sud richiede circa due anni.

Risultato 3:

Il metodo C14 fa riferimento a BP (Before Present, si intende prima del 1950). Per campioni dopo il 1950 il metodo non potrà essere usato per diecine di migliaia di anni. I valore diventano ambigui.

Problema 2: La variazione dei raggi cosmici

Il campo magnetico del sole fa una parziale deviazione dei raggi cosmici. Quando il campo magnetico solare è debole, la terra è esposta di più ai raggi cosmici. L’aumento dei raggi cosmici fa aumentare la concentrazione del carbonio 14 nell’atmosfera.

Il grafico è rovescio. Sull’ordinata i valori più alti si trovano in basso. Il valore storicamente più alto (prima degli esperimenti nucleari dell’uomo) si trova alla fine del minimo di Maunder. L’aumento del circa 2% non corrisponde all’aumento dell’intensità della radiazione cosmica. Il motivo: La radiazione cosmica ad energia altissima non viene deviata dal campo magnetico solare. Ma è quella che produce più neutroni, che sono la causa della nascita del carbonio 14. Per gli acceleratori vale la regola che i neutroni vengono prodotti in misura di un neutrone ogni 25 MeV di energia del proiettile incidente.

La variazione di concentrazione del carbonio 14 causata dalla variazione della radiazione cosmica è modesta ed è possibile correggerla. Con l’aiuto di altri metodi di datazione è stata costruita una curva per la correzione dei dati:

Problema 3: La variazione del contenuto di C14 nelle piante

Le piante assorbono l’anidride carbonica dall’atmosfera, ma sono selettive per il carbonio 14 in maniera disuguale. Le bestie sono selettive nel mangiare le piante. Conseguenza: Il contenuto di carbonio 14 negli esseri viventi corrisponde al contenuto di C14 nell’anidride carbonica nell’atmosfera solo con approssimazione. Questo allarga le tolleranze nella determinazione dell’età con il metodo C14.

Problema 4: Il carbonio 14 che non proviene dalla vita

Rocce su base silice non sono mai state vive. Rocce calcaree, carbone fossile o petrolio sono nati da depositi di esseri viventi diecine o centinaia di anni fa. Tutti questi materiali non dovrebbero contenere carbonio 14. Eppure il carbonio 14, in concentrazione minima, è presente.

L’origine del carbonio 14 in questi materiali non può essere nell’anidride carbonica dell’atmosfera. Ci sono altre reazioni nucleari che l’hanno creato:

  • Radiazione cosmica non fermata dall’atmosfera
  • Fissione spontanea dell’uranio 238, dell’uranio 235 e del torio 232. Dopo ogni fissione nascono neutroni che possono trasformare azoto 14 in carbonio 14.
  • Bombardamento di elementi leggeri con particelle alfa. Le sorgenti di neutroni più classiche nei laboratori sono fatte da radio e berillio.

Nuclei che fanno decadimenti alfa sono presenti in natura: Uranio 238, uranio 235, torio 232 e le catene di decadimenti che nascono da questi.

Come determinare l’età di un oggetto con il C14

Se il contenuto di carbonio 14 nella materia vivente ha un rapporto fisso con il carbonio 12, e se dopo la vita il rapporto tra le concentrazioni di C14 e C12 diminuisce in maniera esponenziale (emivita del carbonio 14: 5568 anni), basta determinare questo rapporto per sapere quando un materiale ha smesso di partecipare al metabolismo della vita.

In Wikipedia c’era la notizia: Si usa un contatore Geiger e si misura la radioattività di una sostanza e si calcola l’età. Qualcuno diceva anche appoggio un contatore Geiger sulle pagine di un libro e dico l’età del libo. Sbagliato, così non va proprio.

Il metodo radioattivo

Nella trasformazione del nucleo del carbonio 14 in un nucleo di azoto 14 si libera un’energia di 667,474 keV. La trasformazione, un decadimento beta meno, avviene con l’emissione di un elettrone e un antineutrino. Per la creazione dell’elettrone servono 510,999 keV. Il resto dell’energia, 156,475 keV, si divide in energia cinetica dell’elettrone e dell’antineutrino. La divisione è casuale, cioè l’elettrone può muoversi con un’energia cinetica che va da zero a 156,475 keV. L’energia media degli elettroni è 49,47 keV. A queste energie gli elettroni non penetrano un bel niente (1,5 mm in aria). In materiali come l’alluminio fanno percorsi dell’ordine di grandezza del micron. Non è possibile fare finestre per i contatori che facciano passare questi elettroni. Con un normale contatore Geiger si vede niente.

La radioattività dei campioni è bassa. Un campione di carbonio del 1950, appena uscito dal ciclo della vita, ha una radioattività del carbonio 14 di 14 decadimenti al minuto per grammo. Un campione di materiale vecchio, al limite del metodo, è circa mille volte meno radioattivo.

Per vedere qualcosa ci vogliono campioni grandi, per materiale recente qualche grammo. Per materiale vecchio di più. Il problema con i campioni è che gli elettroni del decadimento beta non escono dal campione. Si fermano prima.

Per vedere qualcosa occorre mettere il campione dentro il contatore, in distribuzione molecolare. Si usano due tipi di contatore: uno, riempito di gas con un filo elettrico al centro, usato come “contatore proporzionale” (un contatore Geiger fa la stessa altezza di impulso per ogni energia di particella, in un contatore proporzionale l’impulso elettrico è proporzionale all’energia della particella), l’altro riempito con uno scintillatore liquido, che produce lampi di luce proporzionali all’energia delle particelle. Questi lampi di luce microscopici vengono percepiti da opportuni sensori di luce, per esempio da fotomoltiplicatori.

Gli elettroni che sono sotto la soglia (in questo caso 156,475 keV) non sono distinguibili da elettroni che vengono da altri decadimenti nucleari. Questo rende necessario lavorare con strumentazione e in ambienti con bassissima attività di fondo. In reazioni che producono anche raggi gamma distinguere le reazioni è molto più facile: I raggi gamma sono monoenergetici e un sensore ad alta risoluzione li distingue benissimo. Ma il decadimento beta del carbonio 14 avviene senza emissione successiva di raggi gamma.

Il metodo spettrometria di massa

Il metodo radioattivo è stato usato per la determinazione dell’età dei materiali nei primi decenni . Dopo è stato sostituito. Invece di contare i nuclei che decadono, misurando gli elettroni prodotti, si contano tutti i nuclei di carbonio 14 prima che facciano un decadimento radioattivo. Il metodo è la spettroscopia di massa. Il carbonio va portato alla forma di gas e ionizzato. Gli ioni di carbonio vanno accelerati con un campo elettrico. Il raggio di carbonio poi va in un magnete. Il campo magnetico curva le traiettorie. Nuclei con una massa maggiore fanno un raggio di curvatura maggiore. Così si dividono i nuclei di C12 da quelli di C14 e si contano. Per materiale fresco il rapporto è uno su mille miliardi. Il limite del metodo è un po’ prima di uno su un milione di miliardi.

Per il metodo radioattivo ci vogliono campioni di qualche grammo, per la spettroscopia di massa basta qualche milligrammo.

Elmar Pfletschinger

Il Minimo Solare è terminato……oppure no? (PRIMA PARTE)

Premessa

L’articolo cerca di riepilogare gli elementi oggettivi (per quanto possibile) evidenziati nel corso dei mesi di ripresa dell’attività dopo lo scorso agosto 2009, terminato, come noto, interamente “spotless”.

Non affronta volutamente questioni più controverse, concernenti il comportamento della dinamo solare, i buchi coronali e gli allineamenti planetari. Queste potranno e, anzi, credo saranno oggetto del dibattito successivo all’articolo, soprattutto da parte dei forumisti più preparati su questi argomenti.

Introduzione

Circa 7 mesi fa, il Sole reduce da un intero mese senza macchie (agosto), con tutti gli indici di attività al minimo, dunque in piena quiescenza. Allora tutti ci chiedevamo quando il Sole avrebbe ripreso la sua attività e come, ovvero se in modo rapido e brusco, oppure lento e graduale.

Ebbene, da allora abbiamo assistito ad alcune importanti novità: sono ricomparse un certo numero di macchie, prima di modesta dimensione, poi sempre più grandi e durature; inoltre, alcuni parametri dell’attività solare sono cresciuti in modo notevole, parallelamente con lo sviluppo di macchie sempre più grandi e frequenti.

Dunque il Sole è in ripresa? Si tratta di una ripresa impetuosa o lenta ? E, considerando il suo comportamento ciclico, per quando possiamo attenderci il prossimo massimo di attività ? E si tratterà di massimo forte, come quelli immediatamente precedenti, o debole, ad esempio come quelli ottocenteschi? E quanto ? E, ancora una volta, quali saranno, o sono già, le implicazioni climatiche di questo comportamento ?

Per provare a rispondere a tutte queste domande, occorre esaminare gli elementi che suggeriscono una ripresa dell’attività solare e quelli che invece lasciano spazio a qualche perplessità. Infine, diamo un’occhiata ad eventuali implicazioni climatiche, anche se per ora solo ipotizzabili, e proviamo a trarre qualche conclusione.

La ripresa: le sue caratteristiche

  1. La numerosità, la durata ed la dimensione delle macchie apparse da Settembre ad oggi, non sembrano lasciare spazio a dubbi: il minimo sta terminando ed il Sole ha iniziato il percorso che lo porterà al prossimo massimo (Fig. 1). Le macchie, nel corso di questi ultimi mesi, si sono susseguite con pochi intervalli “spotless”, con numerosità, e dimensioni crescenti (si vedano in proposito le rubriche sull’attività solare degli ultimi mesi del 2009 e dei primi mesi del 2010), durature e dotate di una notevole attività (i cosiddetti “flare” o brillamenti), tali insomma da non dare adito a possibili interpretazioni circa l’evidente fase di uscita dal profondo minimo nel quale il Sole si è trovato per tre anni e mezzo.

Fig. 1 il grafico prospettico che descrive la possibile evoluzione del ciclo 24. La linea spezzata a sinistra rappresenta la misura dell’andamento medio mensile delle macchie solari, la linea blu è la media rispetto ai punti della spezzata. La linea rossa sulla destra rappresenta l’ipotesi di evoluzione futura del ciclo.

2. Inoltre, alle macchie si sono accompagnati un buon numero di brillamenti (o “flare”), alcuni di intensità rilevante (classe M e persino X, cioè tra le più elevate nella scala di misurazione), anche rispetto a quelli osservati nel corso del massimo precedente (Fig. 2 sotto).

  1. Fig. 2 il gruppo di macchie classificato come NOAA 1045 ha prodotto un brillamento (flare) notevole, di classe alta (M, in una scala che comprende A, B, C, M ed X ed in cui la distanza tra ciascuna lettera è pari ad un ordine di grandezza; l’intensità è espressa in watt/m2)

3. Anche il solar flux (radiazione alla lunghezza d‘onda di 10,7 cm) è cresciuto progressivamente, al crescere delle macchie, da minimi pari a 66-67 fino a punte di oltre 90. La sua media è invece cresciuta dal valore di 69 di Agosto 2009 fino ad oltre 78,5 di Gennaio 2010 e 83,5 di Febbraio. (Fig. 3)

Fig. 3il grafico descrive l’andamento del solar flux nel corso del 2009 e dei primi due mesi del 2010. Risulta evidente la ripresa da settembre 2009.

Gli elementi dubbi

Il primo elemento, diciamo così, “dubbio” riguarda proprio le nuove macchie, ovvero il loro campo magnetico. In un articolo apparso su NIA l’anno scorso (Coelum 131) si era descritta la teoria degli studiosi Livingston e Penn, basata sulle osservazioni del campo magnetico delle macchie effettuate dai primi anni 90 fino a Febbraio 2009: le macchie presentavano un campo magnetico in progressiva riduzione, grosso modo lineare (Fig. 4). Tale riduzione, secondo i due studiosi, se proseguisse ancora per alcuni anni, presumibilmente comporterebbe la pressoché totale scomparsa delle macchie verso il 2015 circa. Ebbene, le macchie apparse da Settembre all’inizio di Gennaio oggi paiono confermare la teoria di Livingston e Penn (si veda in proposito il sito del ricercatore indipendente Leif Svalgaard: http://www.leif.org/research/Livingston%20and%20Penn.png). Rimane il dubbio circa le conseguenze di una eventuale futura scomparsa delle macchie, anche se il sospetto di un conseguente ingresso del Sole in un prolungato periodo di quiescenza appare senz’altro legittimo.

Fig. 4 il progressivo decremento dell’intensità del campo magnetico delle macchie, osservato da Livingston e Penn dal 1990 fino a Febbraio 2009 non si è arrestato nemmeno con la ripresa dell’attività solare, in corso da Settembre 2009. La linea decrescente (le misure sono state effettuate fino a Gennaio 2010) rappresenta una media delle osservazioni compiute dai primi anni 90 fino ad oggi.

Un altro elemento che suscita qualche perplessità è costituito dalla comparsa a novembre, nel giro di qualche giorno, di due regioni attive a polarità magnetica invertita rispetto a quella tipica delle regioni appartenenti al ciclo 24. Una di queste è stata classificata come NOAA 1030 ed è apparsa nell’emisfero settentrionale. L’altra invece, comparsa brevemente e debolmente nell’emisfero meridionale, non ha ricevuto alcuna classificazione. Entrambe hanno prodotto piccole macchie. (Fig. 5). Una terza regione attiva a polarità invertita, la NOAA 1047, con una piccola macchia al suo interno, è comparsa nell’emisfero meridionale l’8 febbraio pochi gradi a sud dell’equatore solare.

David Hathaway, noto studioso NASA dell’attività solare, nel luglio 2006 commentò la comparsa di una macchia corrispondente ad una regione a polarità invertita come il probabile annuncio dell’imminente inizio di un nuovo ciclo solare (allora però il 23 stava terminando e si attendeva l’inizio del ciclo successivo, il 24 appunto).

Ora qual è il significato di queste tre regioni attive a polarità invertita? Si tratta di semplici “residui” del vecchio ciclo 23, ormai ufficialmente terminato, comparsi nuovamente dopo mesi di assenza ? Qualche studioso ha di recente stimato come “fisiologico” il 3% circa di macchie a polarità invertita, in fase ascendente verso un massimo. Un numero limitato di regioni attive a polarità inverta era in effetti comparso in nei primi anni del ciclo 23. Però quelle viste negli ultimi mesi non sono un po’ troppe, per costituire una quantità “fisiologica” ?

Fig. 5nella prima immagine, il magnetogramma SOHO, in basso vicino al bordo sinistro dell’immagine è visibile la regione attiva a polarità invertita comparsa l’8 febbraio. Nella seconda immagine, il cosiddetto “continuum”, nella medesima posizione è visibile la piccola macchia corrispondente.

(fine prima parte)

FABIO 2

Le macchie solari nella STORIA (+ NOWCASTING DOMENICALE)

Il fenomeno delle macchie solari che oggi osserviamo e seguiamo quotidianamente, non é certo un fenomeno recente. Sempre il Sole ha avuto queste manifestazioni che oggi ancora cerchiamo di capire a fondo anche se molti passi certamente sono stati fatti. Ma come vedevano il Sole le antiche culture?

Gli antichi greci credevano che il Sole fosse il carro del dio Helios guidato attraverso il cielo da quattro cavalli.

Per gli antichi popoli mesoamericani, Maya e Incas, il Sole era un dio, e veniva osservato accuratamente registrando il cambiamento che il Sole subiva durante l´arco dell´anno, creando in tal modo dei calendari molto dettagliati e precisi. Peró secondo gli archeoastronomi non vi sono evidenze che questi popoli abbiano osservato anche le macchie solari.

La piramide Atzeca del Sole

Sebbene quindi non ci sono evidenze delle osservazioni da parte di Maya e Incas, il mito della creazione Atzeca narra che un dio oscuro ma coraggioso con il viso “butterato” si sia sacrificato nel fuoco diventando il Sole. Questo suggerisce fortemente che avevano visto macchie scure sulla faccia del Sole.

Il coraggioso eroe atzeco dalla faccia butterata che sacrificandosi crea il Sole.

Non é per nulla sorprendente che la maggior parte delle culture antiche abbiano venerato il Sole come un Dio. Il Sole é sempre stata una forza potentissima che influisce su noi uomini e sulla Terra. Il Sole ci dá calore e luce ed ha il potere di far crescere le piante.

Una immagine del Dio SOLE

Dopo che i primi europei arrivarono sulle Ande, i sacerdoti Gesuiti tornando in Europa riferirono che quei popoli credevano che era il Sole che avesse il potere di far crescere le cose, anziché il Dio cristiano!

I popoli andini non furono i soli ad adorare il dio Sole, qualsiasi civiltá si é sempre rivolta nelle sue prime fasi a quel disco che infonde luce e calore (antichi Egizi). Ed era necessario studiarlo se si volevano evitare errori nella coltivazione agricola. E quel dio era molto potente ed occorreva mantenerlo tranquillo con preghiere, offerte e devozione… non é cambiata molto la religione da quei tempi antichi.

Non ci sono molti documenti su macchie solari in quelle epoche o non sono mai esistiti o furono distrutti dagli invasori. Solo in Cina giá nell´anno 165 a.c. gli astronomi cominciarono a registrare le loro osservazioni sulle macchie solari e sui cicli.

ftp://ftp.ngdc.noaa.gov/STP/SOLAR_DATA/SUNSPOT_NUMBERS/ANCIENT_DATA/Early_Reports

Ci sono anche dei riferimenti su macchie solari da parte dei filosofi greci del 4° secolo A.C. ma nessuno di loro poteva spiegare quello che stava vedendo.

Questo é il piú antico disegno di macchie solari su un documento del mondo occidentale

Le culture successive furono fortemente influenzate poi dal pensiero aristotelico che aveva dichiarato che il Sole e il cielo erano la perfezione ideale. Fu cosí che i primi astronomi europei guardando il Sole rimasero perplessi non potendosi spiegare che la perfezione della creazione cristiana del Dio perfetto e onnipotente, presentasse delle macchie!

Prima dell´invenzione del telescopio il Sole poteva essere osservato solo in particolari condizioni di nebbia o foschia o al tramonto. Solo dopo che gli olandesi nel 1608 cominciarono a lavorare il vetro in forma concava e convessa che i misteri del cielo cominciarono a essere svelati.

Certamente i primi osservatori rimasero stupiti vedendo le macchie sul Sole che “doveva” essere invece perfettamente puro.

Storicamente furono 4 astronomi (l´olandese Johan Goldsmith noto meglio come Johannes Fabricius, Galileo Galilei, il tedesco Christopher Scheiner e l´inglese Thomas Herriot) che quasi contemporaneamente nel 1611 videro le macchie solari e tutti disegnarono a mano le macchie che stavano osservando. Questi disegni furono il primo passo per la comprensione delle macchie solari.

Ma gli astronomi non erano in accordo su quello che stavano vedendo, cosí Galileo scrisse che le macchie erano parte della superficie solare, mentre il Gesuita Scheiner non ammettendo l´imperfezione dell´astro scriveva che quelle che si vedevano non erano altro che le ombre di pianeti o satelliti in orbita attorno al Sole.

Disegno di sunspot fatti da Scheiner

Galileo, che probabilmente era il meno impigliato con la religione, continuó ad osservare quelle macchie per diverso tempo, e si accorse che le macchie avvicinandosi al bordo del sole si rimpicciolivano compattandosi, cosa che poteva succedere solo se quelle macchie erano sulle superficie e non ombre proiettate e osservó grazie alle macchie come il Sole girasse su se stesso!

Galileo e tutti gli altri fecero le prime scoperte e per nostra fortuna le fecero poco prima del minimo di Maunder!

Oggi possediamo telescopi potentissimi, camere digitali, computer, satelliti, telescopi in orbita, radar, antenne, studiamo il Sole in tutte le sue manifestazioni, ma il mistero delle macchie solari ancora non é stato svelato al 100%.

SAND-RIO

Cosa si intende per "Recinto di Carrington"

Come interagiscono tre differenti campi magnetici globali (GMF) e possono influenzare la Dynamo solare con inibizione/esaltazione dell’estensione e del numero di AR?

A questa domanda il compianto Prof. Timo Niroma provò a dare una risposta con un approccio puramente statistico, analizzando la disposizione relativa Sole-Giove nei passati cicli solari e cercando di trovare un nesso di causalità tra cicli deboli e posizione del Super gigante gassoso, Giove appunto.
Ne venne fuori una interessante teoria che prese il nome di “teoria delle risonanze orbitali”, teoria ripresa anche dal Prof. Semi

http://semi.gurroa.cz/Astro/Orbital_Resonance_and_Solar_Cycles.pdf

http://arxiv.org/abs/0903.5009

Dove si cerca di trovare un nesso di causalità supportato da grandezze misurabili come posizione del centro di massa del Sistema Solare e posizione relativa ed assoluta dei vari pianeti dello stesso in funzione del cicli solari.
Ora è sotto gli occhi di tutti il fenomeno soprannominato “recinto di Carrington” e, in termini pratici, l’influenza che questo ha sulla dimensione delle SunSpot e dell’annessa attività magnetica come Flare X-Ray e optical Flares.

La situazione attuale delle zone in questione è:

In linea con le previsioni originali del Prof. Hathaway che piazzavano il Solar-Max nei primi mesi del 2010, potrebbero essersi verificate alcune circostanze che, agendo in modo sinergico, hanno inibito il Ciclo24 fino a portarlo al suo possibile collasso magnetico! Fenomeni interni alla normale variazione dell’attività magnetica solare che, insieme ad elementi esterni ad esso come allineamenti planetari e ingresso del Sistema Solare in quella zona della Galassia nota come il Piano dell’eclittica galattica o centro Galattico. Andiamo ad analizzarle nel dettaglio:
1) Nel 2000 la sonda Ulysses misura un decremento del GMF stellare stimato essere del 30%, questa diminuzione si è verificata proprio mentre la Dynamo solare iniziava a generare le Polar-Faculae di Ciclo24;
2) La debole componente magnetica inerente al Ciclo24 si è trovata a fare i conti fin sul nascere (Luglio 2006) con un assetto dei Plasma-Streamers della corona solare “Pro-Ciclo-Dispari”, questo si è tradotto in un SC24 che ha fatto una fatica estrema a partire e a decollare;
3) I nastri trasportatori solari, quelli che regolano l’alternanza dei cicli Solari e che hanno permesso di validare empiricamente alcune leggi come la legge di Joy, hanno subito un rallentamento medio di oltre il 60%.
Tutti questi elementi che sono oramai dei dati di fatto stanno lavorando in modo sinergico, tutti nella medesima direzione!

Qualche Utente del Forum domandò:”Ma è possibile che il Prof. Hathaway non si sia accorto della relazione tra risonanze orbitali e forza-debolezza dei cicli solari?”.

La risposta è semplice, probabilmente tutti i più illustri astrofisici si sono accorti di ciò ma la Fisica è quella Scienza che si impegna a razionalizzare con solide equazioni i fenomeni che producono variazioni delle grandezze osservabili misurabili!

Volendo anche valutare con un approccio puramente teorico il problema dell’interazione dei GMF planetari con quello solare ci si imbatte in un ostacolo quasi insormontabile: l’estrema complessità delle interazioni tra campi elettromagnetici prodotti dai GMF planetari, uniti alla notevole potenza di calcolo richiesta per il trattamento di un sistema siffatto!

Quello che possiamo fare è continuare ad osservare il comportamento delle AR durante l’approccio al “recinto di Carrington”.

ALE