Archivi giornalieri: 26 Ottobre 2011

UN NUOVO MODELLO CLIMATICO ALLA BASE DELLA PEG: PARTE I ( Concetti Base di Fisica dell’Atmosfera)

Un saluto a voi, popolo di NIA.
In questo mio articolo ho intenzione di spiegarvi cosa è realmente accaduto durante la PEG e dunque, cosa ci sia alla base dell’ormai famosissimo cambiamento climatico che ha interesso, dal XV al XIX sec., l’emisfero nord terrestre, con particolare riferimento al nostro amato vecchio Continente. In altre parole, cercherò di spiegarvi in modo più scientifico possibile le modalità con cui la bassa attività solare modula l’atmosfera terrestre e, di conseguenza, la storia meteorologica mondiale (con particolare riferimento al nord emisfero). Per far questo introdurrò un nuovo modello climatico per certi aspetti innovativo ed inedito.
Non nascondo che si è trattato di un grande lavoro che mi ha impegnato moltissimo. Infatti, al fine di ottenere una completa comprensione, sono stato “costretto” a dover decifrare prima, e a studiare poi, numerose ricerche scientifiche condotte nell’ultimo decennio da svariate università e centri di ricerca mondiale. La nuova scienza sta infatti intraprendendo una strada del tutto nuova, abbandonando quelle vecchie credenze che ci hanno accompagnato sin ad oggi. Finalmente la scienza sta riuscendo a spiegarci cosa è realmente accaduto in Europa a livello meteorologico nella seconda metà del secondo millennio.
I temi che verranno toccati saranno molteplici, ed in alcuni casi anche complessi. Per tale ragione ho deciso di spezzare l’articolo in diverse parti e di utilizzare un linguaggio più semplice possibile. Difatti, al fine di ottenere la massima comprensione e di rendere digeribili a tutti anche i concetti più difficili, mi vedrò costretto ad utilizzare in alcuni casi un lessico semplicistico e poco tecnico, con il rischio tal volta di banalizzare e ridicolizzare fenomeni fisici altamente complessi ed importanti. Mi scuso quindi sin da subito con i più preparati che dovranno assistere inermi al mio modo brutale di trattare certi argomenti che richiederebbero tutt’altro gergo ed attenzione.
La sola cosa che vi chiedo e di guardare l’opera nel complesso, in quanto tutti gli aspetti sono perfettamente correlati l’un l’altro e pertanto inscindibili. Si tratta infatti di un grande mosaico, in cui ogni tassello, oltre ad essere indispensabile, ha il suo posto ben preciso.
Come detto l’Articolo verrà spezzato in più parti, precisamente in sei parti. Nella Parte I (la presente) verranno esposti dei concetti base di fisica dell’atmosfera, mentre nella Parte II verrà esaminata l’importanza che le onde di Rossby hanno sul clima dell’emisfero boreale. Nelle Parti III e IV verranno illustrate le modalità con cui la bassa attività solare è in grado di influenzare il clima invernale alle medie latitudini nell’emisfero boreale. Infine nelle ultime Parti V e VI, sulla base di quanto imparato nelle precedenti parti, tenteremo di ricostruire il meccanismo che, innescatosi alla fine del Medioevo, ha portato nei secoli a venire un progressivo raffreddamento dell’emisfero nord (Europa in particolare). In particolare nell’ultima Parte saranno presentate una serie di prove storico/scientifiche a dimostrazione di quanto esposto nella precedente Parte V.
Prima di iniziare il nostro lungo percorso, consentitemi di fare un grosso ringraziamento ad una grande persona, nonché utente NIA, senza la quale non sarei mai riuscito a portare a termine il presente lavoro. Sto parlando di Andrea Zamboni, il quale, con infinita pazienza, cordialità e passione, ha tradotto dall’inglese all’italiano le innumerevoli ricerche scientifiche da me inviate. Inoltre, grazie alla sua ottima preparazione in materia, ha potuto aiutarmi nel risolvere alcuni nodi spinosi. Infine ci tengo a sottolineare che alcuni pezzi dell’articolo sono farina del suo sacco in quanto scritti da lui stesso.
Come già anticipato dunque, oggi ci limiteremo a spiegare in maniera estremamente semplicistica e veloce alcuni concetti base nel campo della fisica dell’atmosfera, in modo tale che tutti possiate seguirmi più agevolmente nelle fasi successive.

L’atmosfera è una gigantesca macchina termica che ha la funzione di rimuovere dalla fascia equatoriale il calore solare in surplus, per poi trasferirlo verso le calotte polari onde ripianare il sistematico deficit energetico di tali regioni. Il motore di questa macchina è ovviamente il Sole, senza i cui raggi i moti atmosferici verrebbero a cessare in appena 50-60 giorni. La circolazione generale dell’atmosfera è dunque la diretta conseguenza della diversa intensità con cui il Sole riscalda le basse e le alte latitudini. E in effetti il bilancio energetico al suolo su base annuale tra la radiazione solare assorbita e la radiazione persa per irraggiamento nell’infrarosso, mostra un surplus di calore all’Equatore e un deficit ai poli. Ora, se tale disomogeneità non venisse prima o poi rimossa, la temperatura all’Equatore dovrebbe aumentare senza sosta, anno dopo anno, mentre quella ai poli dovrebbe essere in costante diminuzione. Ovviamente non è così, in quanto nell’atmosfera esiste un meccanismo mediante il quale il surplus di calore equatoriale viene trasportato verso più alte latitudini, onde appianare il deficit energetico polare. In effetti la ridistribuzione del calore a scala planetaria è affidata per quasi l’90% alla circolazione generale dell’atmosfera e per il restante 10% alle correnti oceaniche.
Partendo da tale presupposto, Hadley nel 1735 propose il primo modello per descrivere la circolazione generale.
In tale modello si suppone, per semplicità, che la Terra sia priva di rotazione e che abbia superficie omogenea, così da poter trascurare il diverso riscaldamento stagionale tra oceani e continenti.
Sulla colonna d’aria equatoriale il riscaldamento, dovuto al surplus di calore, provoca un moto ascendente all’interno della colonna stessa, mentre il progressivo raffreddamento da deficit calorico sulla corrispondente colonna d’aria polare aumenta la densità dell’aria, instaurando così moti discendenti. Nella porzione troposferica superiore della colonna d’aria equatoriale, le correnti ascendenti determinano, per apporto d’aria dagli strati sottostanti, un aumento della pressione atmosferica (perché aumenta il peso della colonna d’aria avente la sua base nella media troposfera), con conseguente formazione di un’alta pressione rispetto alle zone circostanti. Al contrario nella parte superiore della colonna d’aria posta a latitudini polari, la sottrazione d’aria provocata dalle correnti discendenti favorisce la formazione di una bassa pressione rispetto alle aree circostanti. L’equilibrio tra le due colonne si è così spezzato, perché alle quote superiori le masse d’aria verranno sospinte dall’alta pressione verso la bassa pressione, ossia dall’Equatore verso i poli. Ma al livello del suolo, tale fuoriuscita orizzontale di aria dalla colonna equatoriale determina, rispetto alle zone circostanti, una bassa pressione al suolo alla base della colonna, perché è diminuito il peso della colonna d’aria sovrastante. Viceversa l’afflusso di aria equatoriale sulla colonna polare dà luogo al suolo a un’alta pressione rispetto alle zone circostanti, essendo aumentato il peso totale che la colonna d’aria esercita sulla sua base al suolo.
Di conseguenza in prossimità del suolo, le masse d’aria saranno sospinte dai poli verso l’Equatore e quindi tra alte e basse latitudini si instaura una megacella convettiva chiusa, denominata cella di Hadley. Tale cella permetterebbe di spiegare gli scambi di calore tra Equatore e poli.
Il modello di Hadley, pur rendendo conto della presenza effettiva della fascia di bassa pressione al suolo all’Equatore e dell’alta pressione ai poli, è palesemente inadeguato per descrivere la circolazione atmosferica osservata a scala planetaria e appena descritta.
In effetti, tale modello non riesce a spiegare alcune importanti caratteristiche, come la fascia di alta pressione subtropicale a 30° e quella di bassa pressione intorno a 60°. Evidentemente l’ipotesi che la circolazione dell’atmosfera sia regolata solo dallo squilibrio energetico tra poli ed Equatore non è pienamente valida. L’incongruenza nasce dalla presenza della forza deviante di Coriolis, che nel modello a una megacella non veniva presa in considerazione. Infatti, la forza di Coriolis è una forza deviante dovuta alla rotazione della Terra, la quale crea una deviazione verso la destra del moto nell’emisfero nord e verso la sinistra in quello sud. Introducendo l’effetto di deviazione delle correnti orizzontali da parte della forza di Coriolis, si deduce che, ad esempio nell’emisfero nord, a qualsiasi latitudine le correnti della medio-alta troposfera, dirette dall’Equatore verso il polo, tenderanno ad acquistare una forte componente occidentale, mentre quelle di ritorno nella bassa troposfera dovranno avere una componente orientale. A livello globale, il modello che ne deriva è una struttura a tre celle, come rappresentato nelle seguenti figure:

Sulla verticale dell’Equatore esistono, come previsto dal modello di Hadley, le correnti ascendenti di aria calda che, dopo aver raggiunto le alte quote, si dirigono poi verso nord, ma la cella di Hadley si interrompe intorno a 30° di latitudine perché la progressiva deviazione verso destra (nell’emisfero nord) imposta dalla forza di Coriolis, fa sì che, già intorno a 30° di latitudine, le correnti in quota, inizialmente dirette verso Nord, siano in realtà ormai allineate quasi da ovest verso est, interrompendo in tal modo anche il loro viaggio verso il Polo.
Ciò provoca, però, intorno a tale fascia di latitudini, un accumulo delle masse d’aria equatoriali, la cui “unica” via di uscita è il deflusso verso il basso fino al suolo, per poi ritornare verso l’Equatore come Alisei. Ecco perché nella fascia subtropicale l’atmosfera è animata permanentemente da correnti discendenti, le quali provocano, per subsidenza, il riscaldamento e l’essiccamento della colonna d’aria nonché la formazione di anticicloni permanenti. Questo spiega anche perché in tale fascia si trovino le regioni più aride del pianeta.
Tra 30° e 60°di latitudine (tali limiti sono indicativi in quanto tendono ovviamente a variare di stagione in stagione), dove le differenze termiche nord-sud sono più intense, la circolazione media meridionale è di verso opposto a quello previsto, secondo lo schema di Hadley, da una circolazione di tipo termico.
Infatti, in tale cella, denominata cella di Ferrel, l’aria si solleva sulla regione più fredda intorno a 60°, per poi ridiscendere nella regione più calda intorno a 30° di latitudine. Infatti, parte dell’aria divergente alla superficie vicino alla latitudine di 30° N si muove verso il polo ed è deviata ad est per l’effetto Coriolis formando i venti prevalenti occidentali. A circa 60° N, l’aria risale, si raffredda, si condensa e forma nuvole e precipitazioni. Parte dell’aria che risale ritorna verso i tropici dove scende nuovamente per chiudere la seconda cella. In tal modo, ai tropici la pressione si mantiene permanentemente alta.
Per completare la descrizione delle cellule di circolazione evidenziate nelle precedenti figure, si ponga l’attenzione sulla cella a nord del 60° parallelo. L’esistenza di cellule di questo genere non è sicura. Tuttavia l’osservazione mostra che sulle calotte polari in media prevalgono anticicloni termici. L aria fredda che diverge da tali anticicloni, dirigendosi verso le latitudini inferiori, devia verso ovest per Coriolis e va a convergere con quella più calda proveniente dalle medie latitudini e trasportata da correnti occidentali. Si determinano in questo modo condizioni di forte gradiente termico e di intensa baroclinicità, caratteristici dei sistemi frontali, sui quali si sviluppano i cicloni extratropicali. È in questa zona di confine tra le due celle (quella Polare e quella di Ferrel) che i venti occidentali (westerlies), nel loro moto verso i poli, incontrano i freddi venti polari e, a causa dell’interazione fra masse d’aria calda e le masse d’aria fredda, si origina una fascia di perturbazioni che è nota come fronte polare. Nello specifico, tale fascia di perturbazioni extratropicali è strettamente correlata alla Corrente a Getto (Jet Stream), che nient’altro è che un flusso d’aria di sezione relativamente piccola, che fluisce velocemente da est verso ovest e che si forma nell’atmosfera terrestre alla quota di circa 10-11 km dalla superficie, appena sotto la tropopausa, ai confini tra masse le due masse d’aria adiacenti aventi significative differenze di temperatura.
Per comprendere meglio la natura di dette correnti atmosferiche (jet stream) occorre ricordare che, a scala emisferica, il gradiente termico orizzontale nord- sud, assume valori molto intensi proprio in concomitanza della “linea” di separazione tra le due masse d’aria fortemente diverse che giace come detto intorno ai 60° di latitudine (più bassa in inverno). Nello specifico, nella parte settentrionale di tale linea, ovvero nella parte di aria fredda polare, a causa della maggiore densità atmosferica, la pressione diminuisce con la quota molto più rapidamente di quanto non accada nell’adiacente colonna d’aria occupata da aria molto più calda (appartenente alla cella di Ferrel). Ciò fa si che, tra le opposte parti del fronte, si generi una differenza orizzontale crescente nella pressione atmosferica , con un valore massimo raggiunto proprio ai limiti della troposfera (tropopausa ). Pertanto nell’alta atmosfera ed intorno ai 60° di latitudine, sotto la spinta di tali dislivelli barici, i venti occidentali divengono molto più intensi dando luogo alla cosiddetta corrente a getto polare (jet stream).

La modalità con cui la corrente a getto “produce”le fasce perturbate responsabili del maltempo alle medie-alte latitudini, è strettamente correlata ai concetti di convergenza e divergenza delle masse d’aria.
A tal proposito si immagini una colonna d’aria verticale, che vada dal suolo fino alla tropopausa (che si trova in media attorno ai 9-11 km di altezza alla nostra latitudine). Dentro questa colonna ci sarà una certa quantità di aria, che con la quota cambierà di densità, di temperatura, di velocità di spostamento orizzontale.
Ora, se si fa passare una Corrente a Getto alle alte quote, si andrà inevitabilmente a togliere massa d’aria dalla cima della colonna (divergenza). A quel punto il “buco” d’aria dovrà essere colmato in qualche modo. Ma, poichè dall’alto non può arrivare aria (a causa del “tappo” invalicabile della tropopausa), dovrà per forza arrivare aria dal basso, cioè far salire aria dagli strati inferiori (eventualmente dal suolo).
Ciò significa che gran parte dell’aria dagli strati bassi si muoverà verso quelli alti della troposfera, causando una convergenza al suolo e, dunque, la formazione di una bassa pressione “oceanica”.
Se con il prosieguo dell’azione della Corrente a Getto, la quantità d’aria in arrivo dal basso non sarà sufficiente a colmare il buco, allora la pressione continuerà a diminuire nei bassi strati con il passare del tempo, altrimenti (come accade nella maggior parte dei casi) dopo un primo brusco abbassamento la pressione si assesterà. Stesso discorso, alla rovescia, lo si deve fare per le alte pressioni: quando c’è forte convergenza in quota (ad esempio sul bordo meridionale di una corrente a getto, dove il vento all’improvviso si placa) mentre al suolo c’è una zona di relativa alta pressione (divergenza di massa d’aria relativamente debole), allora l’anticiclone al suolo, o comunque alle quote più basse, tenderà a rinforzarsi, in quanto l’aria in eccesso alle alte quote verrà schiacciata forzatamente verso il basso, facendo appunto aumentare la pressione (questo sul bordo meridionale dello jet-stream).
La corrente a getto, la cui posizione cambia di giorno in giorno all’interno della fascia occupata dalle correnti occidentali, ha dunque una notevole importanza per la genesi delle depressioni mobili. In realtà, a causa della presenza di terre emerse, la fascia di basse pressioni intorno al 60° nord si riduce, nella realtà, a due sole depressioni permanenti note con i nomi di “Ciclone d’Islanda” e di “Ciclone delle Aleutine”. La loro posizione, anche se fluttuante come già detto in precedenza, è caratterizzata da un minimo depressionario sull’Oceano Atlantico Settentrionale ed un altro sull’Oceano Pacifico Settentrionale, in prossimità del Circolo Polare Artico. Il Ciclone d’Islanda in particolare ricopre un ruolo particolare nelle vicende atmosferiche che interessano il continente europeo, perchè è il luogo in cui si ha la genesi di tutte le perturbazioni che poi si muovono verso le medie latitudini del continente. Da quanto appena spiegato in merito all’origine delle depressioni extratropicali in seno alla Corrente a Getto, emerge che il bordo meridionale della corrente a getto sia delimitato dagli anticicloni oceanico: è’ il caso dell’Anticiclone del Pacifico settentrionale e dell’anticiclone delle Azzorre nel vicino Atlantico. Durante l’inverno boreale tutte e tre le celle sin qui descritte tendono a traslare verso sud, mentre d’estate si assiste ad un inversa traslazione verso nord. In particolare lo Jet Stream, che in estate è posizionato attorno ai 60°-65° di latitudine, in inverno si trova fino ai 45°-50°.
Il modello climatico sin qui descritto, indurrebbe a pensare ad un’atmosfera divisa a comparti stagni, in cui ogni regione è sottoposta sempre e solo allo stesso clima (ad eccezione delle variazioni di latitudine stagionale al quale è soggetto lo Jet Stream). Infatti, se le correnti occidentali non deviassero mai dal loro percorso lungo i paralleli, non si potrebbe mai attuare lo scambio di calore tra l’aria calda equatoriale e l’aria fredda polare (o meglio sarebbe troppo esiguo), cosicché la temperatura salirebbe progressivamente sulla fascia equatoriale e diminuirebbe sulle calotte polari.
L’incremento progressivo del contrasto termico Equatore-poli porterebbe a sua volta a una graduale intensificazione delle correnti occidentali, fino a raggiungere 300 km/h dopo circa 3 mesi, ed inoltre verrebbe a determinarsi un maggiore dislivello barico fra la fascia di bassa pressione attorno ai 45°-60° e fra la cintura di alta pressione sottostante.
In realtà via via che aumenta il contrasto termico tra alte e basse latitudini, le correnti occidentali divengono sempre più veloci, fino al punto che, a causa delle forzate e improvvise deviazioni di percorso introdotte dalle catene montuose e dall’alternarsi di oceani e continenti, iniziano a oscillare lungo i meridiani, così come capita a una corda di violino quando viene pizzicata. Questa instabilità genera grandi moti ondulatori sul piano orizzontale (onde planetarie o onde lunghe di Rossby). Il crescere dell’ampiezza delle onde fa penetrare sempre più le masse di aria calda tropicale verso le regioni polari e le masse di aria fredda verso le regioni equatoriali determinando in tal modo, fra le zone polari e quelle tropicali, uno scambio termico a grandissima scala che attenua il contrasto determinato dalla diseguale distribuzione della radiazione solare. Le seguenti due immagini illustrano il passaggio dalla situazione “fittizia” senza scambi meridiani, a quella che vede la corrente a getto contraddistinta da una andamento ondulato (sinusoidale).

Le ondulazioni (onde di Rossby), una volta innescatesi, tendono a divenire via via più ampie, fino a raggiungere alternativamente le zone equatoriali e polari. A questo punto le singole onde, divenute ormai molto allungate nel verso dei meridiani, tendono a rompersi nella parte terminale (cut-off), isolando vortici a circolazione oraria, pieni di aria calda (anticicloni di blocco) alle alte latitudini, e vortici pieni di aria fredda (gocce fredde) a circolazione antioraria alle basse latitudini. Con questo processo si realizza un riscaldamento delle zone polari e un raffreddamento di quelle equatoriali. Lungo il tratto ascendente delle ondulazioni tendono a formarsi onde più corte (onde di Bjerknes) dalla cui evoluzione prendono poi origine i fronti, tipici sistemi responsabili a loro volta del maltempo che investe contemporaneamente vaste aree delle medie latitudini.
In parole povere le onde di Rossby sono marcate ondulazioni della corrente a getto grazie alle quali si realizzano intensi scambi meridiani tra diverse le diverse celle. Dette ondulazioni sono responsabili della maggior parte dei fenomeni perturbati che investono l’Europa occidentale, nonché delle discese gelide alle nostre latitudini. Detto in modo semplicistico, le onde di Rossby sono (talvolta) associate agli anticicloni di blocco lungo i quali scorre aria più fredda di estrazione artica. Quello delle onde di Rossby è comunque un fenomeno di estrema importanza, di maggiore interesse soprattutto per le vicende meteorologiche del nord emisfero.
Per ora ci fermeremo qui. Nella Parte successiva dell’articolo si parlerà ancora delle onde di Rossby e dell’importanza che hanno nell’ambito del clima dell’emisfero boreale (con particolare riferimento a quello europeo).

Riccardo