Archivio mensile:Ottobre 2009

Incredibile Noaa: vede 20 macchie all'interno della regione?

E rifila un SN di 30!

http://www.swpc.noaa.gov/alerts/solar_indices.html

Non aggiorna il Continum Soho, ma da quello di Big Bear, anche se ha meno risoluzione, 20 macchiette non ci sono di sicuro!

Oramai è chiara lì’intenzione del Noaa/SWPC:

1) Accontentare le assicurazioni ed il Governo

2) Fare in modo che le loro previsioni siano finalmente giuste, in un ottobre che non aveva praticamente avuto macchie fino ad oggi, prima l’invenzione della 1028, poi i conteggi esagerati della regione odierna, che attenzione deve ancora superare la prova del L&N’s count, nel senso che la regione deve avere 23 pixels almeno fino a domattina intorno alle 8 utc.

Io mi dissocio da questo modo di fare scienza, si spera solo nel Sidc a sto punto, purtroppo sempre più schiavo di osservatori ultra moderni che di continuità col passato non hanno proprio niente a che fare.

Appena aggiorna il Soho Continum sottoporremo di nuovo la regione al Layman’s count.

Stay tuned, Simon

Ecco come gli “sputtano” subito quelli del Noaa ragazzi:

il 15/1/2006 il sole era messo così:

2 regioni, quindi bisogna moltipicare per 2, in più le macchie sono molto più serie di quelle che vediamo oggi, eppure l’SN di quel giorno fu 32 (praticamente sovrapponibile al 30 di oggi):

http://www.swpc.noaa.gov/ftpdir/indices/old_indices/2006_DSD.txt

guardate al 15 gennaio e vedrete un 32 di Wolf…

Ripeto, questa non è scienza!

Update: mi accorgo ora che il Noaa conta 2 regioni, ma di nuove solo una (quella di oggi, la 1029), quindi rivede qualcosa dentro la 1028?

http://www.swpc.noaa.gov/alerts/solar_indices.html

Sempre più ridicoli, non ho parole.

Update2: cerchiamo di fare chiarezza, perchè quello che sta accadendo oggi ha del tragicomico ormai (io spero in un errore del tecnico a sto punto, magari nell’aver immesso i dati)…

vediamo un pò:

4Dato che scrivono 1 nuova regione (1029) ma 2 spotted (cioè con macchie), vuol dire che una delle 4 che vi ho cerchiato ha ridato una macchia (ovviamente secondo loro).

Situazione che ha dell’incredibile, aspetto il soho Continum che ovviamente e chissà perchè non aggiorna mai, per avere delle chiarificazioni.

Al momento resto basito!

Update3: Credo si tratti della 1028! (guardate il continum big bear sopra)

Oggi al Noaa hanno battuto tuti i record precedenti…sono riusciti a far resuscitare qualcosa che NON ESISTEVA!

Nemmeno Gesù ha potuto fare tanto… 😆 lol: 😆

Cercate di rendervi conto cosa sta contando il Noaa, e mi riferisco ai 2 microbi all’interno della ex-regione fantasma 1028, insomma SN di 30 AMPLIFICATO DI 13-14 UNITA’ COME MINIMO! (nella pagina Layman&NIA’s count c’è l’aggiornamento invece sulla 1029 che è cresciuta, MA PERCHè SIA CONTATA CON TALE METODO I 23 PIXELS LI DEVE PRENDERE SINO A DOMATTINA ALLE 8 )

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The Layman and NIA’s Count: proviamo a ricavare i dati di questo minimo

Come tutti avete potuto notare i centri internazionali hanno contato una macchia che non era neanche piccola, non esisteva proprio, e Simon si è incavolato davvero!

Parte quindi il NIA’s Count, che, nonostante la mancanza di mezzi tecnologici adeguati, ha come scopo quello di poter dare un’idea di quello che i centri internazionali avrebbero contato se ancora oggi fossero in uso gli strumenti e i metodi di conteggio del passato, il nostro non è quindi un metodo concorrente, ma uno standardizzante.

Sappiamo che nel 2009, fino al giorno 21 Ottobre i giorni spotless con il conteggio Layman sono stati 271, questo conteggio è molto simile se non del tutto uguale a quello che utilizzeremo noi, percui prendiamo come prima approssimazione quella di considerare lo stesso numero di giorni spotless.

Dobbiamo quindi prendere un dato sui cui poter fare un confronto per poter estrapolare i giorni spotless degli anni precedenti.

Il metodo che ho utilizzato io è stato quello di considerare tutti i giorni spotless contati dal SIDC, che è l’ente sui cui pesa l’obbligo scientifico di mantenere un confronto con il passato, ma sappiamo che un po’ per la tecnologia superiore e un po’ perché esso presenta tra le proprie fila l’osservatorio di Catania questo non avviene più, a cui ho aggiunto tutti i giorni spotless contati solo dal NOAA ( che utilizza strumenti all’avanguardia ), questo perché è inammissibile per il SIDC contare delle macchie che neanche il NOAA riesce a vedere.

Ci troviamo quindi con 242 giorni spotless contati dai centri internazionali e 271 con il nostro metodo, entrambi sono derivati dallo stesso numero di giorni.

Facciamo il rapporto tra di essi e troviamo come risultato 1.12, ora dobbiamo solamente calcolare i giorni spotless “ufficiali” anche per gli altri anni e moltiplicare questo dato per 1.12

Dico subito che però facendo così il dato sarà solo empirico e non avrà alcun valore scientifico, serve solo per “avere un’idea” di come sarebbe stato il conteggio supponendo che il rapporto tra i due dati resti invariato.

Per avere una base scientifica bisognerebbe reperire le aree di tutte le macchie contate ed eliminare quelle troppo piccole, Simon starà certamente lavorando anche su questo, ma per ora accontentiamoci di queste approssimazioni.

Utilizzando questo metodo per il 2008 il numero di giorni spotless “ufficiali” è di 276, che moltiplicato per 1.12 da 309 giorni spotless, di seguito elenco anche gli altri anni, indicando prima il numero calcolato con il metodo sopra descritto e il dopo il risultato della moltiplicazione con il fattore 1.12

2007: 164 – 184

2006: 78 – 87

2005: 19 – 21

2004: 4 – 4

Ci troviamo quindi con 2 sommatorie completamente diverse, la prima da infatti come risultato 783 giorni spotless, ricordando però che al 21/10/09 i giorni spotless totali del minimo per il NOAA sono 745 e per il SIDC 743, mentre la seconda, che sarebbe il nostro conteggio, da ben 876 giorni spotless, poco più di 100 giorni di differenza.

Questi dati servono solo per avere un’idea di come poteva essere stato il conteggio se il rapporto tra i giorni spotless fosse rimasto costante, il dato infatti potrebbe variare di molto, infatti se prendiamo come errore un intervallo di ± 10 giorni, calcolando lo stesso errore ( rapportandolo al diverso numero di giorni spotless ) per gli altri anni si ha un errore complessivo di 876 ± 32, quindi l’intervallo di valori possibile è praticamente triplicato di grandezza, questo considerando come errore un cifra piuttosto piccola, perché 10 su 271 equivale al 3.7% come errore percentuale, quando io invece avrei considerato come base minima il 5% che porterebbe l’intervallo di variabilità a 876 ± 44

Concludiamo questo articolo dicendo quindi di non prendere troppo sul serio questi dati e di utilizzarli solo come confronto elementare con il passato.

FABIO

N.B.: NASCE LA PAGINA “THE LAYMAN&NIA’S COUNT, la trovate in alto a fianco alla pagina dati sole in diretta, andateci subito a dare un’occhiata perchè al momento nessuna delle macchiette apparse stamane ha superrato la prova del L&N’s count.

http://daltonsminima.wordpress.com/the-laymannias-count/

La Corrente Circumpolare Antartica

La Corrente Circumpolare Antartica (ACC) è la corrente oceanica più importante dell’emisfero australe e l’unica corrente che fluisce intorno all’intero globo terrestre.
L’ACC circonda il continente antartico e scorre da ovest ad est attraversando l’oceano Atlantico, l’oceano indiano e il Pacifici.
Fu scoperta da Edmond Halley, l’astronomo britannico, mentre esaminava la regione durante una spedizione nel 1699/1700. In seguito la ACC fu descritta e studiata da J. Cook nel 1772/1775, da T. Bellingshausen nel 1819/1821 e da J.C. Ross nel 1839/1843 che ne parlarono nelle loro pubblicazioni.

correnti

La ACC svolge un ruolo di primo piano nella regolazione del clima a scala globale; interagendo con la circolazione atmosferica e con le acque di scioglimento dei ghiacciai antartici, funge da motore della circolazione delle correnti oceaniche del Pianeta.
E’ guidata dal regime dei potenti venti occidentali e dalla topografia del fondo marino. In vicinanza del continente antartico, il regime dei venti orientali innesca una corrente mediamente diretta verso ovest definita corrente polare. Fra la corrente circumpolare e quella polare il sistema dei venti mantiene attivi i vortici ad andamento orario che caratterizzano le regioni dei mari di Ross e di Weddell.
Nell’Oceano Meridionale avviene un notevole scambio di energia fra le acque fredde antartiche e quelle settentrionali più calde.
Si tratta di un processo che tende a compensare il surplus di energia prodotto nelle acque equatoriali e fondamentale per il mantenimento del sistemo climatico globale.

ghiaccio_inverno
Ghiacci marini Sett/Ottobre

ghiaccio_estate

Ghiacci marini Febb/marzo

Lungo la corrente circumpolare si realizza, infatti, lo scambio di energia e del contenuto di sali che regola e condiziona il trasferimento delle sostanze chimiche e delle specie biologiche, consentendo all’ecosistema antartica di mantenere le sue peculiari caratteristiche.
La zona che meglio manifesta questi fenomeni è la Convergenza antartica dove l’acqua superficiale antartica molto fredda, ma di minore salinità, incontra l’acqua superficiale subantartica più calda e più salata.
La zona polare frontale è definita in superficie dall’isoterma di 2° C ed in profondità da un minimo di salinità. La zona della convergenza è caratterizzata dal succedersi di sistemi ciclonici che causano tempeste con vento di grande intensità ed onde gigantesche tanto da essere nota nella letteratura come i “50 ruggenti ed i 60 urlanti”.

La ACC non ha punti di riferimento continentali. Quindi i suoi contorni sono definiti dalle proprietà delle acque oceaniche. Il “confine ” nord dell’ACC è la zona di convergenza subtropicale o fronte subtropicale (STF) solitamente disposto tra i 35°S e i 45°S, dove l’acqua ha una temperatura media superficiale (SST) che varia da 12°C a 7/8°C circa ed una salinità che diminuisce da 34,9 a 34,6 o meno.

sezione_oceano
L’unica parte del percorso dell’ACC confinato da terre emerse è quella, larga 800 km, dello stretto di Drake, tra Capo Horn e la Penisola Antartica. E’ qui che si svolgono le principali osservazioni e misurazioni della ACC. La sezione delle acque dello stretto rappresenta con buona approssimazione quella della corrente in ogni punto della sua estensione. In questo punto sono state svolte il maggior numero di indagini che hanno rivelato la struttura dinamica, fisica e biochimica dell’ACC. Bryden e Pillsbury (1977) hanno studiato il flusso della corrente fino ad un aprofondità di 2700 metri. Wearn e Baker (1980), Whitworth (1983) e Peterson (1988), hanno individuato in tal modo le fluttuazioni nei flussi della corrente riconducendoli ad una ciclicità stagionale.
Le velocità tipiche sono intorno 10 cms-1 con punte di fino a 50 cms-1 vicino al limite settentrionale. Anche se le correnti sono lente, trasportano molta acqua perché il flusso è profondo e largo. Whitworth e Peterson (1985) hanno calcolato il trasporto attraverso lo stretto di Drake studiando i dati raccolti in parecchi anni e misurati da 24 rilevatori disposti in linea a circa 50 km di distanza tra loro fino ad una profondità di 91 metri. Hanno trovato che il flusso medio attraverso lo stretto di Drake era di 125 ± 11 Sv (Sverdrups; 1 Sv=106 m3s-1) e che il trasporto è variato da 95 Sv a 158 Sv. Il flusso massimo tende ad avvenire tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera.
Negli ultimi anni altri campi di indagine sono stati scelti per lo studio dell’ACC, in particolare il braccio di mare tra la Tasmania e la Nuova Zelanda. Nuove tecnologie hanno permesso uno studio più approfondito. Le osservazioni hanno rivelato un trasporto medio dell’ACC di 100-150 Sv che può variare di 50 Sv nel giro di 1 o 2 mesi (Knauss, 1996). La variabilità del flusso nell’ACC è dovuto soprattutto alle maree (5/10 cms-1), agli eddies (gorghi di mesoscala) (35750 cms-1), a movimenti inerziali (10 cms-1) dovuti all’intrusione di acque più dense e fredde provenienti dalla fusione dei ghiacci antartici che non riescono ad entrare nel flusso prinipale e a quelli forzati della variazione dell’intensità dei venti (25 cms-1) (Sarukhanyan, 1985).

Ricercatori tedeschi e australiani indagano l’effetto dell’intensificarsi dei venti nell’emisfero australe sulla corrente circumpolare antartica, che ha il più grande volume di trasporto degli oceani mondiali, per accertarne l’effetto sul riscaldamento globale. I venti occidentali dell’emisfero australe sono responsabili dello spostamento di circa 140 milioni di metri cubi di acqua degli oceani al secondo. Questo ha un ruolo importante nel controllo del clima, visto che l’interazione tra venti e correnti è responsabile del trasporto di una quantità di emissioni di anidride carbonica dall’atmosfera alle profondità degli oceani, rallentando in questo modo il tasso di riscaldamento globale.

Questi venti si stanno rafforzando e si prevede che ciò continuerà nei prossimi decenni. È ora sotto esame l’effetto di questo aumento sulla corrente circumpolare artica. La corrente circumpolare artica è sempre stata colpita dai venti occidentali dell’emisfero australe e l’interazione delle due correnti è di fondamentale importanza per lo scambio di calore, gas serra e acqua dolce

Le temperature medie dell’ACC varia da da -1 a 5°C, secondo il periodo dell’anno e della posizione. La salinità media di superficie diminuisce avvicinandosi al Polo e, generalmente, passa da 34.9 a 35° lat. S ai 34.7, valori tipici di salinità a 65°lat.S. Questa variazione della temperatura e della salinità è dovuto al mescolamento delle masse d’acqua che vengono a contatto nell’oceano meridionale (quella di origine tropicale e quella proveniente dallo scioglimento dei ghiacci polari) ed che è mescolata e ridistribuita dalla ACC.

L’analisi satellitare della superficie del mare e l’esame altimetrico ha rivelato una caratteristica precedentemente sconosciuta dell’ACC, l’Onda Circumpolare Antartica.
Questa onda si propaga verso ovest, controcorrente, e percorre l’intera circonferenza terrestre in 8/9 anni (White e Peterson, 1996). Ha una lunghezza d’onda molto lunga (wavenumber=2) con due creste e due depressioni. Le creste e le depressioni sono associate con zone o pools di acqua calda e di acqua fredda rispettivamente. Queste zone possono essere lunghe migliaia dei chilometri . Le zone calde hanno un’anomalia positiva di 3°C rispetto alla media della superficie e le zone fredde un’anomalia di pari valore ma negativa (White e Peterson, 1996).
Benchè non sia ancora chiaro come queste aree siano generate, esse influenzano direttamente la temperatura dell’atmosfera sovrastante.
Mentre non sono noti gli effetti dell’onda sul clima, l’alternanza di queste aree concorda con i cicli quinquennali di piovosità dell’Australia e della Nuova Zelanda del sud (White e Cherry, 1998).

Nel 1996 i ricercatori hanno individuato un’onda, grande quanto l’intero continente australiano e alta più di 1 km, che ruota in senso orario intorno all’Antartide impiegando un periodo di 8-9 anni per compiere un giro completo attorno al continente. Gli scienziati ritengono che l’onda circumpolare antartica, che si muove in gran pare al di sotto della superficie dell’oceano, influenzi il clima delle regioni meridionali di Australia, America, Africa, Nuova Zelanda e del Pacifico, provocando le alluvioni e la siccità che periodicamente colpiscono ‘emisfero australe.

Alcuni scienziati ritengono che l’Onda Circumpolare Antartica possa essere più importante di EL Niño nel regolare la piovosità in quelle regioni.

Gli scienziati stanno ancora raccogliendo informazioni sugli effetti prodotti dall’onda antartica attraverso il rilevamento e l’analisi satellitare, facendo uso di sofisticate strumentazioni e potenti computer che, prima del 1980, non erano disponibili per la ricerca. Con questi strumenti è stato possibile costruire modelli di interazione tra l’onda circumpolare antartica e altre importanti cause di variazione del tempo, come El Niño e La Niña, che si verificano nell’Oceano Pacifico. Un confronto tra le previsioni fornite da questi modelli e le condizioni del tempo che si sono verificate negli anni recenti nell’emisfero meridionale sembra confermare la validità dei modelli. Per esempio, gli scienziati avevano previsto che nel 1999, anno in cui l’Oceano Pacifico è stato interessato da La Niña, l’onda circumpolare antartica avrebbe potuto salvare gran parte del Sud del mondo da grandi precipitazioni e catastrofiche alluvioni, e così in effetti è stato. I ricercatori hanno inoltre individuato un complicato intreccio di relazioni che legano l’onda circumpolare antartica El Niño, La Niña e un fenomeno, chiamato “dipolo indiano”, costituito da un alternarsi periodico di grandi masse d’aria calda e aria fredda sopra l’Oceano Indiano, e stanno elaborando modelli delle interazioni tra questi tre fenomeni che permetteranno di fare previsioni sempre più accurate delle variazioni climatiche del futuro.

Mentre gli scienziati cercano ancora di capire le interazioni tra questi grandi fenomeni naturali c´é chi dice pomposamente che pochi anni l´antardide sará completamente liquefatto!! Ma se non hanno capito ancora come funziona il clima terrestre vogliono farci credere alle influenze dell´uomo su queste enormi mutazioni naturali?

In un prossimo articolo vedremo quali potrebbero essere le influenze della CCA sul Niño e Niña e di conseguenza su tutto il clima mondiale.

immagini:

http://www.mna.it/italiano/antartide.htm

SAND-RIO

Sta arrivando una regione "seria"…??????

La parte orientale del nord emisfero solare non è quieta in questi ultimi giorni…

A parte il conteggio della regione 1028 di cui ormai abbiam detto tutto quello che si doveva dire, e di fatto l’abbiamo anche consegnata alla storia, stanno arrivando nella parte visibile del sole altre 2 regioni.

Trattasi delle stesse regioni che già descrissi giorni fa quand’erano ancora nel behind, quella un pò più in alto ormai si è sfaldata, mentre quella più in basso è rimasta abbastanza attiva e come dissi allora, ha buone possibilità di contenere macchie al suo interno, sicuramente per Catania e per il Noaa, vedremo se passeranno anche la prova del Layman&Nia’s count.

Il flusso solare si mantiene tra valori di 70 e 71, ed è incredibile che non sia salito, visto la contemporanea presenza dell’ enorme plage della 1026 nel sud emisfero, della 1027 in quello nord, della “famigerata” 1028 e da domani anche delle altre 2 sopra descritte.

La media del solar flux di ottobre al 20/10 è di 70.09, questi non sono assolutamente valori di un sole ripartito…

Vediamo comunque domani che combinerà la nuova regione…lascio qui sotto anche il magnetogramma Gong autoaggiornante dove si sta già iniziando a vedere la sua sagoma:

Intanto ricordo che almeno fino al primo di novembre, con ieri per il Sidc abbiamo raggiunto un’altra serie di 20 giorni spotless consecutivi!

Stay tuned, Simon

UPDATE: Attenzione perchè si sta formando velocemente un’altra regione sempre nell’emisfero nord a livello praticamente equatoriale, la vedete bene dal magnetogramma Gong sopra proprio sotto alla ex 1028. E nel continum Gong si intravvede già una flebile macchietta (chiamiamola così).

In questi ultimi giorni il lato nord-orientale del sole sta cercando di lavorare al massimo, vediamo domani cosa riusciranno a sfornare queste 2 regioni attive nel nord emisfero (spero tanto che aggiorni anche il soho continum, perchè senza di quello non possiamo usare il L.&N.’s count.)

Al Cern un test senza precedenti decifra le metamorfosi del riscaldamento globale e il ruolo del Sole.

Va beh, rilassiamoci con un articolo apparso sul quotidiano “La stampa” qualche giorno fa che spiega le potenzialità di un profondo minimo solare secondo la nota teoria di Svensmark. ringrazio Michele (rn) per avermelo proposto.

La data si avvicina: il 7 dicembre si aprirà a Copenaghen la conferenza sul clima dell’Onu e i delegati di 194 Paesi dovranno decidere quali contromisure prendere per contrastare il riscaldamento del Pianeta. L’accordo resta lontano, soprattutto tra i paesi più ricchi – per anni i grandi inquinatori – e la economie emergenti, Cina e India in testa, poco inclini ad accettare vincoli a una crescita sempre impetuosa.

Intanto, anche gli scienziati si preparano a questa scadenza che molti giudicano decisiva e intervengono nel dibattito con l’unico strumento a loro disposizione: il rigore del metodo galileiano. Intanto nel più grande laboratorio di fisica del mondo, il Cern di Ginevra, gli studiosi si apprestano a dare il via, quasi in contemporanea all’accensione dell’acceleratore di particelle Lhc, all’esperimento “Cloud” (l’acronimo, che sta per “Comics leaving outdoor droplets”, è il termine inglese di nuvola): per la prima volta utilizzerà proprio un acceleratore di particelle per ricreare in laboratorio una delle realtà più evanescenti in natura, le nuvole. È un tentativo senza precedenti, che, in realtà, ha un’origine antica: l’idea di coinvolgere il laboratorio di Ginevra in questo tipo di studio nasce alcuni anni fa, in seguito alla partecipazione dell’ex direttore del Cern stesso, Robert Aymar, a una sessione dei seminari di Erice dedicata ai mutamenti climatici.

Scopo del progetto, a cui prendono parte una ventina d’istituti di Russia, USA e Unione Europea, è studiare l’influenza della formazione delle nuvole, e di conseguenza sul clima terrestre, dei raggi cosmici, il cui flusso è correlato all’attività del Sole. Il momento sembra particolarmente azzeccato. La nostra stella, anche se non ce ne accorgiamo, sembra essersi un po’ addormentata. Da quasi 700 giorni, ormai, la sua superfice non presenta macchie, come rilevano le immagini della sonda europea “Soho”. Un record assoluto da qundo (era la prima metà dell’Ottocento) si raccoglie questo tipo di dati. Una condizione che sta mettendo in allerta gli studiosi come dimostra “Sky&Telescope”, la rivista di astronomia più diffusa al mondo, che ha dedicato al fenomeno la copertina con un titolo eloquente: “Che cosa non funziona nel nostro Sole?”.

Le macchie solari, regioni della fotosfera caratterizzate da una temperatura più bassa rispetto al resto della superficie, furono osservate per la prima volta da Galileo Galilei 400 anni fa. Caratterizzate da una periodicità di circa 11 anni, la loro assenza è spesso associata a un irrigidimento delle temperature sulla Terra. Sarebbe bastato che il genio pisano fosse vissuto alcuni decenni dopo, tra il 1645 e il 1715, e non avrebbe visto nulla. In quel periodo, infatti, la nostra stella attraversò una fase di letargo, battezzata ”Minimo di Maunder”. Una lunga quiete, accompagnata sul nostro pianeta da un calo della temperatura globale, noto come piccola era glaciale. “Le prove di un collegamento tra la storia climatica della Terra e l’attività solare sono talmente marcate che non è più impossibile ignorarle”, dice adesso Jasper Kirkby portavoce del progetto “Cloud”. E aggiunge: “Se le variazione nel Sole sembrano condizionare il clima terrestre, il meccanismo con cui ciò avviene, però, non è noto. Scopo di “Cloud” , quindi, è capire attraverso lo studio delle interazioni dei raggi cosmici – le “ceneri” del Big Bang formate perlopiù da protoni, con aerosol e particelle di vapore acqueo in sospensione – se questi fasci energetici possono o meno avere un ruolo nella formazione delle nuvole.

Nell’ultimo secolo, infatti, il vento solare, una pioggia di particelle che si staccano dalla fotosfera e come tanti minuscoli proiettili investono la Terra, ha prodotto un aumento della schermatura contro i raggi cosmici del 15%, con la conseguente diminuzione della copertura nuvolosa”. Ma come si formano le nuvole? Secondo gli scienziati del Cern, quando i raggi cosmici entrano nell’atmosfera, sottraggono elettroni ai gas circostanti, lasciando una scia di molecole cariche, gli ioni. È attorno a questi ioni che si aggregano poi alcune particelle di aerosol, fino a formare dei nuclei di condensazione, che, legando in successione molecole d’acqua, generano le nuvole. Un processo che ora, a Ginevra, gli studiosi cercheranno di replicare in una camera di tre metri di diametro, utilizzando al posto dei raggi cosmici un fascio di particelle generato da un sincrotrone. “Il vantaggio di questo esperimento rispetto alle tradizionali osservazioni atmosferiche – precisa Kirkby – è che potremo per la prima volta controllare il flusso dei raggi cosmici e ciò che succede nella camera, osservando in dettaglio le tappe del processo. Si tratta di un progetto ambizioso ed eccitante, perché la sua natura interdisciplinare unisce specialisti di diverse materie, tra cui fisici dell’atmosfera, chimici, fisici solari e delle particelle. Studieranno il fenomeno da prospettive differenti e quindi le probabilità di successo saranno maggiori”

Articolo tratto da “LA STAMPA”, scritto da Davide Patitucci.