Archivi giornalieri: 9 Novembre 2016

I dati, i dubbi e gli eccessi sul cambiamento climatico

È ragionevole che, sia pure a titolo precauzionale, vengano prese misure
anche drastiche contro il global warming. È invece irrazionale dar retta a chi lo ritiene un campo delle certezze assolute

Un nuovo uragano di irragionevolezza rischia di abbattersi sul mondo in coincidenza con l’apertura — oggi a Marrakech — della Conferenza sui cambiamenti climatici. Intendiamoci: è del tutto ragionevole che, sia pure a titolo precauzionale, vengano prese misure anche drastiche per combattere il global warming. È invece irrazionale dar retta ai sostenitori della tesi che questo sia un campo delle certezze assolute (tra loro molti attori cinematografici, spiccano per spirito militante Leonardo DiCaprio e Arnold Schwarzenegger) . Ed è ignobile accodarsi al linciaggio di chi muove legittime obiezioni all’assunto che riconduce interamente all’uomo il surriscaldamento del pianeta.

In ogni caso, in riferimento a quelli che non hanno dubbi sull’origine antropica del riscaldamento, sono degni di considerazione i dati su cui invita a riflettere Thomas Piketty. Il basso livello di emissioni dell’Europa si spiega in parte con il fatto che noi subappaltiamo massicciamente all’estero, in particolare in Cina, la produzione dei beni industriali ed elettronici inquinanti destinati al nostro consumo. Sarebbe molto più sensato, sostiene lo studioso, ripartire le emissioni in funzione del Paese di consumo finale piuttosto che di quello di produzione. Constateremmo in questo modo che le emissioni europee schizzano in su del 40% (quelle nordamericane del 13%) mentre quelle cinesi scendono del 25 per cento.

Tenuto conto che i cinesi sono 1,4 miliardi poco meno del triplo dell’Europa (500 milioni quando ancora era inclusa la Gran Bretagna) e oltre quattro volte più del Nord America (350 milioni) dovremmo riflettere sul fatto che i cinesi emettono attualmente, per persona, l’equivalente di 6 tonnellate di anidride carbonica l’anno (più o meno in linea con la media mondiale) contro le 13 tonnellate europee e le oltre 22 nordamericane.

I Paesi ricchi continuano a rappresentare la stragrande maggioranza del fronte degli inquinatori e non possono chiedere alla Cina (accantonato ogni discorso sull’inquinamento che qui cadrebbe a sproposito) di farsi carico di una responsabilità superiore a quella che le spetta. La metà del pianeta che inquina meno — 3,5 miliardi di esseri umani dislocati principalmente in Africa, Asia meridionale e Sudest asiatico — emette meno di 2 tonnellate per persona ed è responsabili di appena il 15 per cento delle emissioni complessive. All’altra estremità della scala, l’1 per cento che inquina di più, settanta milioni di individui (il 73 per cento dei quali risiede tra gli Stati Uniti, il Canada e il nostro continente) è responsabile di circa il 15 per cento delle emissioni complessive. Settanta milioni di individui inquinano quanto 3,5 miliardi di persone. Osservazioni interessanti, che meritano di essere discusse.

Non si capisce però perché tale discussione debba essere imbarbarita da una certa dose di fanatismo. Perché il leader dei laburisti inglesi, Jeremy Corbyn, deve quasi scusarsi di avere un fratello maggiore, Piers, fisico e meteorologo, il quale, sulla base di evidenze scientifiche (anch’esse meritevoli d’essere prese in esame), sostiene che il riscaldamento globale non sia dovuto ai guasti provocati dal genere umano o dalla industrializzazione sregolata e trovi piuttosto spiegazione nel sole? Perché è passato quasi sotto silenzio il licenziamento su due piedi di Philippe Verdier, per un ventennio «Monsieur Météo» di France 2 , reo d’aver dato alle stampe «Climat Investigation»un libro in cui si relativizzavano le conseguenze del global warming? È normale che lo abbiano buttato fuori dall’emittente televisiva solo per aver messo in evidenza «alcune connessioni opache tra scienziati, politici, lobbisti e ong ambientaliste»? «Siamo ostaggi di uno scandalo planetario … una macchina da guerra che fa soldi mantenendoci in uno stato di ansia», sosteneva Verdier. Può darsi che esagerasse, che avesse torto. Ma è il licenziamento il modo giusto di cimentarsi con le sue tesi?

Perché poi (quasi) nessuno ha fiatato quando la presidente della Società italiana di fisica, Luisa Cifarelli, fu aggredita per aver tolto il logo della società da lei presieduta dal documento di dodici associazioni italiane che, in vista della Conferenza sul clima di Parigi, affermavano essere «inequivocabile» l’influenza umana sul sistema climatico? Avrebbe voluto, la Cifarelli, che il termine «inequivocabile» fosse sostituito con «verosimile» o «probabile» . La nostra, diceva, è un’associazione di fisici abituati a considerare leggi della scienza «regolate da equazioni». Le verità scientifiche, sosteneva, «non possono basarsi sul consenso generalizzato mescolando scienza e politica, come sta avvenendo in questo caso … Avrei solo voluto qualche cautela in più». Sensato. E invece la Cifarelli fu lapidata.

Il clima poi ha una sua storia molto particolare. Tra il 21 e il 50 d.C. si ebbero temperature superiori a quelle di oggi, tanto che fu possibile importare in Inghilterra la coltivazione della vite. Intorno all’anno mille il riscaldamento continentale consentì ai vichinghi di colonizzare la Groenlandia (che fu così chiamata proprio perché era diventata «gruene», verde) e l’America del Nord. Dopo l’anno mille, come ha ben raccontato Emmanuel Le Roy Ladurie, si sono alternate epoche di riscaldamento e di glaciazione senza che l’uomo avesse alcun potere di influenzare questi cambiamenti. Nel ventesimo secolo la temperatura è salita tra il 1910 e il 1940, è scesa poi fino alla metà degli anni Settanta (a causa della Seconda guerra mondiale?), ha ripreso a crescere a partire dal 1975 ma si è fermata una seconda volta alle soglie del nuovo millennio (per effetto delle politiche ecologiste?). Tutti temi da studiare, da approfondire. Se ne può discutere?

Se la risposta è sì non si può cedere in presenza di chi si sente detentore di una qualche verità. Come l’ ex vicepresidente Usa nonché premio Nobel, Al Gore. Un suo documentario, «An Inconvenient Truth», (premiato con l’ Oscar) si è imposto come la Bibbia della lotta al surriscaldamento . Il governo inglese ne ha addirittura imposto la proiezione in tremilacinquecento istituti secondari. Ma una Corte di giustizia britannica ha stabilito che si tratta di un film «politico» e «allarmista», talché la proiezione dovrebbe avvenire in presenza di esperti in grado di evidenziare le affermazioni prive di riscontri scientifici. Di queste affermazioni senza riscontro ne sono state individuate nove tra cui quella degli «orsi polari annegati in conseguenza dello scioglimento dei ghiacci». La Corte l’ha smontata, sulla base di una documentazione (questa sì inconfutabile) da cui si evinceva che gli orsi affogati erano non più di quattro, tutti a seguito di una tempesta. I sostenitori dell’origine antropica del global warming a quel punto hanno obiettato che anche la tempesta poteva essere stata originata dal riscaldamento . Il giudice Michael Burton ( pur essendo tutt’altro che un negazionista in materia di effetto serra) ha reagito con un sorriso. Prendiamo esempio da lui.

Fonte : http://www.corriere.it/cultura/16_novembre_07/i-dati-dubbi-eccessi-d4eb9f16-a457-11e6-9261-ffaafc24ed7d.shtml