Premesse
La diffusione della strumentazione telescopica dall’inizio del 17° secolo è stata una rivoluzione nell’astronomia che ha condotto ad una maggiore conoscenza delle macchie solari. Si trattava però di telescopi di limitata potenza.
Eppure questi strumenti hanno lavorato bene durante il minimo di Maunder e di Dalton, fornendoci un marea di informazioni che usiamo attualmente come termine di paragone.
J.M. Vaquero del Dipartimento di Fisica Applicata dell’Universidad de Extremadura a Cáceres (Spagna) ha usato le rilevazioni di tutta Europa eseguite con questi telescopi per creare il suo database delle macchie solari presenti sul nostro astro nei secoli passati. Nella sua compilazione se in un sito di rilevazione erano presenti delle nuvole nell’altro il cielo era sereno. Ciò gli ha permesso di mettere assieme dei dati molto attendibili in una scala temporale molto ampia.
Molti astronomi all’epoca usavano proiettare l’immagine su uno schermo per non rovinarsi la vista e poi tracciavano il disegno delle macchie solari su carta. Solo successivamente sono stati usati dei vetri oscurati per l’osservazione diretta.
Poi dagli anni 50-60 sono comparsi dei filtri molto più selettivi a cominciare da quelli della banda H-alfa.
Molto esaustiva la spiegazione, per capire il salto qualitativo raggiunto da questi filtri, fornita da un progettista della Coronado, famosa per i suoi telescopi solari dedicati:
“La luce del Sole ha una sua “firma” inconfondibile, derivante dai vari elementi che lo compongono. Quando se ne osserva lo spettro si possono notare molte linee scure (linee di assorbimento) dovute all’azione di filtraggio esercitata sulla luce continua (quella che va dal lontano rosso al violetto) da quegli stessi elementi a diversi livelli della struttura solare mentre la luce procede verso lo spazio esterno.
Se si utilizzano degli strumenti che permettono di osservare il Sole in una di queste linee, il suo disco verrò osservato solo nella lunghezza d’onda di emissione dell’elemento che le ha prodotte. I filtri Coronado servono proprio a questo scopo. Sebbene vengano fatte osservazioni su quasi tutte le innumerevoli linee dello spettro, ve ne sono alcune che sono più importanti delle altre al fine di osservare i più significativi fenomeni solari.
Alla lunghezza d’onda di 656.28 nanometri (nm) si ha l’emissione più importante dell’elemento Idrogeno (H). Poiché questa e stata la prima linea mappata nello spettro solare, gli si è dato il nome di Idrogeno-Alfa (H-alfa). Proseguendo nel profondo violetto, troviamo un’altra importante riga di emissione, quella del Calcio-K (CaK), alla lunghezza d’onda di 393.3 nm.
Queste due sole linee ci consentono di trarre informazioni sulla maggior parte dei fenomeni veramente importanti che avvengono nel Sole: le protuberanze, le strutture che circondano le macchie solari (facole), le granularità, i flare, e molte altre. Poiché l’elemento che costituisce in maggior misura il Sole e l’idrogeno, la più importante di queste righe e proprio quella dell’H-alfa.“.
Ma la maggior parte delle rilevazioni fino agli anni ’20 non avevano questa tecnologia, le protuberanze, i flare e le granularità rimanevano di difficile osservazione.
Infatti se si guarda il Sole con un telescopio con filtro H-alfa si vedono cose che i vecchi astronomi non potevano proprio vedere e quasi tutti i grandi telescopi hanno ora questo tipo di filtraggio.
Anche l’immagine del Continuum di SOHO usa un filtro che fa vedere molto di più dei normali filtri per luce bianca.
Il MDI (Michelson Doppler Imager) di SOHO ha immagini prese vicino alla linea Ni I 6768 Angstrom. A questa lunghezza le caratteristiche più accentuate sono le macchie solari, ma si vede anche qualcosa di più, come certi pore che non sono assolutamente visibili da terra con i normali filtri per luce bianca.
Ma attualmente i filtri per luce bianca, dall’Astrosolar ai filtri in classe A o B, montabili su un telescopio amatoriale non sono molto dissimili nella possibilità di osservazione dai telescopi degli ultimi 300 anni.
Materiali e metodi
Il mio progetto di ricerca in atto è basato su una seconda osservazione del Sole con un telescopio a minor risoluzione che possa simulare un tipo di osservazione sovrapponibile a quella dei secoli passati.
Il mio termine di paragone nella scelta del modello di telescopio da utilizzare si è incentrata sul telescopio usato proprio dall’astronomo Rudolf Wolf nel 1848, inventore del numero di Wolf che consente la stima dell’attività solare in funzione del numero e della complessità delle regioni attive osservabili sulla fotosfera in luce bianca.
Questo telescopio, ancora in uso presso l’osservatorio di Zurigo, è un telescopio rifrattore di Fraunhofer di 80 mm di apertura e di 1100 mm di lunghezza focale, impiegato a 64 x.
Questo telescopio, che oggi appare obsoleto, servì a Wolf per confermare le osservazioni dell’astrofilo tedesco Schwabe, secondo il quale l’andamento dell’attività solare risultava modulato nel tempo e presentava un’ampiezza media di 11 anni. Quindi una strumentazione semplice, ma in grado di ottenere risultati più che notevoli.
Per le mie osservazioni utilizzo un telescopio rifrattore di circa 60 mm di apertura e una lunghezza focale di 1200 mm, quindi leggermente con una minore apertura, ma con una lunghezza focale un po’ più grande di quello usato personalmente da Wolf: di conseguenza con delle prestazioni quasi sovrapponibili ai telescopi usati fino a un secolo fa. Il filtro è autocostruito con foglio Astrosolar della Baader.
Il punto di osservazione e sulle Dolomiti in Trentino a 746 m. s.l.m. (Lat 46° 10′ 36″ N, Long 11° 49′ 56″ E)
Le osservazioni sono effettuate giornalmente di solito al mattino presto, quando il seeing (la turbolenza atmosferica, ossia la distorsione della visione dovuta alla diversa velocità degli strati d’aria contigui) è più basso. Se il cielo appare nuvoloso le osservazioni vengono spostate al pomeriggio. In ogni caso, come nei tempi passati, l’osservazione è unica nella giornata.
Attraverso questo telescopio viene eseguita una serie di fotografie con fotocamera digitale reflex (Olympus E-30 o E-420 di riserva) in formato jpg, circa 30-40, per simulare un’osservazione visiva continuata nel tempo di circa mezzora, ma senza l’intervento di alcun software di sintesi dell’immagine. Nella ripresa è applicato un filtro giallo-verde che non modifica l’immagine ricevuta, ma filtra semplicemente la dominante violetta dello spettro ottenuto con il filtro per luce bianca del filtro Astrosolar.
Tra le immagini riprese, viene scelta la migliore, ottenuta quando il seeing è più ridotto (il seeing si modifica in qualche secondo), che viene messa in rete. A questa, nel caso della presenza di macchie di un certo interesse, viene aggiunto un particolare della stessa immagine corretta solo nei toni del contrasto per simulare la sostituzione nel telescopio con un oculare di maggiore potenza per l’osservazione dei particolari.
In nessun caso, va sottolineato, le immagini sono trattate con il computer per favorire l’evidenza di rilievi non percepibili semplicemente con l’occhio dell’osservatore fissato sul telescopio direttamente.
Tale metodica non può portare, per una limitazione voluta dei mezzi, ad una sovrastima delle macchie osservate come nei grandi telescopi (ad es. Catania) che rende ormai non più paragonabili i dati odierni con quelli passati per una maggiore comprensione dell’attuale comportamento solare.
Siccome lo scopo del database di immagini ottenute con questa metodica è di rendere confrontabili le attuali osservazioni sul numero di macchie solari presenti sulla Fotosfera con quelle effettuate con un telescopio ottico dell’inizio dell’altro secolo, anche in relazione ad un calcolo del Numero di Wolf più corretto, le immagini sono pubbliche e vi è libero accesso dalla rete (http://www.palazzosomeda.it/Osservatorio/Databaseimmagini.htm ).
Nel database così compilato sono segnalati i giorni in cui non è possibile la rilevazione per un cielo totalmente coperto.
Macchia 1106 NOAA in alta risoluzione e uso di software specifico e basso seeing
Macchia 1106 NOAA in bassa risoluzione e senza uso di software specifico e alto seeing
Conclusioni
Dopo quattro mesi di osservazioni di cui almeno 30 giorni di messa a punto della metodica i risultati sono lusinghieri e possono essere considerati quasi del tutto sovrapponibili al calcolo del NIA’s SN in particolare nel definire in particolare i giorni spotless.
È indubbio che certe macchie non sono per nulla visibili con telescopi a bassa risoluzione.
Si ritiene che questa tecnica possa essere d’ausilio quando si è in dubbio per il calcolo del numero di Wolf ottenuto dalle immagini di SOHO.
Nel futuro è prevista l’espansione dei punti di osservazione in Italia. Attualmente è presente solo un secondo punto di osservazione in provincia di Avellino che supplisce con le proprie immagini a l’impossibilità di eseguire rilievi per cielo coperto in Trentino. Ma è aperta la collaborazione con altri astrofili disponibili a condividere la metodica da altri siti ed estendere come nelle grandi istituzioni il bacino da cui prelevare le immagini. In questo caso la passione per il Sole è d’obbligo!
Appendice
Alcune osservazioni per il calcolo del numero di Wolf in base alla strumentazione tratto dal sito dell’Unione degli Astrofili Italiani:
Siccome il numero di Wolf (R) si calcola secondo la seguente formula: R = Kc * (10*G + M)
dove
kc: è il fattore di correzione (strumentale e di condizioni atmosferiche)
G: è il numero di gruppi osservati
M: è il numero di macchie complessive osservate
il valore numerico del fattore di correzione kc dipende da tre variabili.
1. strumento impiegato (K): nel caso dello strumento di riferimento, il rifrattore da 80mm, il suo valore è pari ad 1. Strumenti con apertura maggiore sono caratterizzati da migliore risoluzione, e quindi consentono di individuare un maggiore numero di macchie minute. Al di sopra di 80mm di apertura, non si hanno però ulteriori vantaggi connessi al miglioramento della risoluzione, vista la dimensione tipica della granulazione se osservata da Terra (circa 1″). Strumenti di minore apertura, al contrario, portano a una stima inferiore del numero di macchie.
2. trasparenza dell’atmosfera (S1): la presenza di foschia rende meno evidenti i particolari minuti e le piccole macchie e porta a sottostimare il numero di macchie.
3. seeing (S2) : la turbolenza dell’atmosfera ha effetto sulla risoluzione. In condizioni di alta turbolenza la risoluzione è minore, quindi sono individuate meno macchie minute
Pertanto il valore di kc è determinato con la seguente espressione: Kc = K + S1 + S2
Ciascun osservatore viene quindi a ricevere un fattore correttivo personale kc che gli consente di confrontarsi direttamente con gli enti di riferimento per la determinazione dell’attività solare.
PABLITO