IL GW ATTUALE È PARTE DEL CICLO NATURALE

Contributo delle scienze geologiche per la valutazione dei cambiamenti climatici

Finora abbiamo cercato di rispondere alla domanda «È vero che il RG ha un’origine antropogenica?» attraverso gli studi di numerosi specialisti di varie discipline, geofisici, fisici, astronomi, agronomi, ecc. Il clima, infatti, si presta ad essere studiato da varie angolazioni disciplinari. Tutte le discipline ricordate però, non possono indagare nel passato del nostro Pianeta oltre qualche migliaio di anni, fornendo dati importanti sul relativo comportamento climatico. Se però vogliamo avere un quadro più ampio di questa storia climatica, l’unica scienza che consente di indagare nel passato del nostro Pianeta ben oltre il migliaio di anni fino alle centinaia di milioni di anni, è la scienza geologica.

E questo è utile perché lo studio del passato, o meglio la conoscenza delle variazioni climatiche del passato, possono aiutarci a fare proiezioni future.

Come noto, le scienze geologiche, ed in particolare la Geologia e la Paleontologia, sono infatti scienze che consentono di indagare sulla storia del nostro Pianeta. Consentono cioè di ricostruire la geografia del passato, le sue modificazioni, la sua evoluzione, permettendo così di conoscere abbastanza nei dettagli “l’Organismo-Terra” su cui viviamo. Tutto questo è possibile dalla lettura della immensa biblioteca che la Natura mette a nostra disposizione, in cui la Terra ha scritto la propria storia in un libro grandioso. Questo libro è costituito dalle immense successioni di rocce stratificate; ogni strato è una pagina del grande libro della Natura, un vero e proprio grandioso archivio naturale. I geologi hanno fatto fatica a comprendere la scrittura della Natura, a leggere e ricostruire la storia della Terra. Tuttora, pur avendo le scienze geologiche fatto innumerevoli progressi per capire i “geroglifici” tramandati dalla Natura, ci sono in atto ricerche molto sofisticate per capire ogni dettaglio della storia del passato.

Questa capacità di lettura ha spinto i geologi, sin dall’800, a tentare di avere informazioni anche sulle eventuali modificazioni climatiche avvenute nel nostro Pianeta.

Il mezzo di lettura, all’inizio di questa ricostruzione storica era basato, come noto, principalmente sulle caratteristiche litologiche delle pagine del libro della Natura, cui ben presto si associarono le indagini paleontologiche. Fu così che nella prima metà del 1800 fu perfezionata la Teoria Glaciale, secondo la quale nel passato si sono succeduti vari periodi freddi con ghiacciai molto più estesi rispetto ad oggi, intercalati a periodi caldi. Furono così individuate più “ere glaciali” all’interno delle quali si sono succeduti ciclicamente periodi glaciali e interglaciali.

Ho sintetizzato in due articoli (CRESCENTI 2006 e 2008) lo sviluppo delle conoscenze dell’evoluzione climatica del nostro Pianeta, sulla base delle ricerche condotte da studiosi di scienze geologiche. Rimando a questi articoli per ogni dettaglio. Di seguito riferisco solo su alcuni studi utili per tentare di avere una risposta al nostro quesito.

Sul finire della prima metà del secolo scorso, la lettura delle rocce si è arricchita di una nuova metodologia che ha dato via via risultati sempre più brillanti. Si tratta delle analisi geochimiche degli isotopi, soprattutto ossigeno e carbonio, contenuti nelle rocce e nei gusci dei fossili (soprattutto microfossili) presenti nelle successioni sedimentarie di origine marina. Il concetto alla base di questo metodo è che gli organismi utilizzano gli isotopi a disposizione durante la loro esistenza; così, ad es. possono utilizzare l’O18 o l’O16 a seconda della loro disponibilità. Poiché l’O18 è prevalente sull’ O16 durante i periodi freddi e viceversa l’O16 prevale in quelli caldi, il rapporto O18/O16 (indicato con d18O‰) è indicativo delle variazioni di temperatura e quindi di quelle climatiche.

Dallo studio della variazione della composizione isotopica dell’Ossigeno contenuto nei gusci di microfossili di sedimenti oceanici, sono state ricavate le variazioni climatiche degli ultimi 70 milioni di anni (ved. Orombelli, 2005).

Lo studio condotto mediante perforazioni nelle calotte glaciali ha consentito di avere informazioni su intervalli di tempo più recenti. Nei ghiacciai sono conservate particelle di atmosfera imprigionata dalla neve e quindi dal ghiacciaio. Si tratta di veri e propri campioni di atmosfera fossile, su cui si eseguono le usuali analisi isotopiche.

La figura 6, desunta dalle analisi sui ghiacci estratti con la perforazione di Vostok (profondità raggiunta 2632 m), mostra le curve paleoclimatiche e paleoatmosferiche degli ultimi 400 mila anni. Le fasi calde sono di durata minore, circa 10 – 12 mila anni, rispetto a quelle fredde di durata pari a circa 90 mila anni.

Le variazioni climatiche per periodi più vicini a noi, sono riportate nella figura 7. Nella figura 7a si può osservare l’inizio dell’Olocene, a partire da 11.500 anni fa ad oggi, che viene a corrispondere alla più recente fase calda dopo i circa 90 mila anni di temperatura più fredda. Se il nostro Pianeta si dovesse comportare come negli ultimi 400 mila anni, dopo la fase calda olocenica in via di conclusione, si dovrebbe passare ad una nuova fase fredda. In tal caso, il cosiddetto effetto-serra potrebbe mitigare gli inconvenienti di un raffreddamento globale del nostro Pianeta.

Figura 7: Variazione delle curve isotopiche dell’ossigeno d18O ottenute dalle perforazioni in ghiaccio (GISP2) in Groenlandia, per gli ultimi 90.000 anni, in ghiacciaio North GRIP, per gli ultimi 9.000 anni. (da OROMBELLI, 2005)

Inoltre dalla figura 7 è possibile notare:

* la variabilità climatica ad elevata frequenza particolarmente accentuata tra 75 e 25 mila anni fa; le escursioni termiche hanno un’ampiezza stimata in 12-15°C, durata da uno a pochi millenni, delimitate da transizioni rapide che si realizzano in pochi secoli/decenni (figura 7a);
* il breve periodo freddo a 8200 anni fa, le condizioni termiche circa stabili tra 8500 e 5000 anni fa, il graduale declino della temperatura da 5000 anni al presente, la maggiore ampiezza delle variazioni negli ultimi 2500 anni (figura 7b).

In una recente nota COLLINS et alii (2007) si riferisce sui risultati presentati nell’ultimo rapporto 2007 dell’IPCC, ovviamente in modi catastrofistici. A pag 75, seconda colonna, così scrivono: «Le concentrazioni atmosferiche di anidride carbonica, metano ed ossido di azoto sono rimaste piuttosto stabili per quasi 10.000 anni…». Questa affermazione, che sarà pure vera, mette in evidenza che nel passato non c’è stata nessuna correlazione tra le concentrazioni citate e le variazioni climatiche che sono invece documentate nella figura 7b.

Questo dimostra che non si possono ignorare i contributi delle scienze geologiche, come di fatto avviene nell’IPCC. Tra gli autori qui ricordati, infatti, non c’è nessun geologo. Questa carenza scientifica è inammissibile. Così la figura 8 mostra la curva di risalita del Tirreno. Attorno ai 6.000 anni il livello del mare ha raggiunto il livello attuale senza importanti variazioni successive fino ad oggi. Analoghi risultati sono riportati da BISERNI et alii (2005).

La figura 9 si riferisce invece alle variazioni eustatiche del mare Adriatico. Si può notare che dopo circa 6.000 anni fa il tasso di risalita del mare è stato di circa 1,5 mm/anno (circa 15 cm per secolo). Ammesso che tale risalita dovesse continuare nei prossimi anni, appare del tutto fantasioso ipotizzare il mare in Piazza Duomo a Milano nei prossimi 50 anni. Anche se tale risalita dovesse invece essere pari a quella del periodo precedente ai 6.000 anni è molto difficile confermare tali previsioni catastrofiche, dannose ma emotivamente affascinanti. Tra l’altro, le previsioni di un significativo innalzamento del livello marino non trovano conferma nei dati mareografici, che evidenziano al contrario la sostanziale stabilità a partire dagli anni ’70 (PRETI, 1999). Anche se negli ultimi anni si sono moltiplicati gli allarmi sulla possibilità che dopo il 2000 gran parte del territorio costiero da Ravenna a Venezia finisca sott’acqua, si può ragionevolmente affermare che questi allarmismi sono destituiti di ogni fondamento.

Un’ultima considerazione sull’innalzamento del livello del mare. Circa 22 mila anni fa, il livello dell’Adriatico era circa 140 metri più basso dell’attuale (Vai e Cantelli,2004); 10 mila anni fa (figure 8 e 9) tale livello era di 40 metri inferiore all’attuale. Ciò significa che tra 22 mila anni e 10 mila anni fa il livello è salito di circa 100 metri. Dalla figura 7 si ricava che durante tale intervallo di tempo, o meglio fino a circa 11.500 anni fa (inizio Olocene) la temperatura media globale era nettamente inferiore rispetto a quella della fase olocenica (circa 20 mila anni fa la temperatura era di 10°C minore secondo C. Barbante, conferenza Epica 2008, 10-13 novembre 2008 Venezia, circa 4,5°C secondo Vai e Cantelli,2004). In tale contesto, è ipotizzabile che la risalita del livello marino è avvenuta a partire dall’inizio dell’Olocene, ossia con la fase di riscaldamento globale del nostro Pianeta. Pertanto i 100 metri di risalita dovrebbero essere avvenuti durante 1.500 anni (cioè tra 11.500 e 10.000 anni fa), se come è logico tale livello oscilla in relazione alle variazioni di temperatura. In questo modo, tra 11.500 e 10.000 anni fa il tasso di crescita del livello del mare è stato mediamente circa 6-7 metri per secolo ma con fasi di maggiore o minore incremento, sempre comunque associate a grandiosi eventi meteorici estremi. Se così fosse, potremmo collegare temporalmente a questi eventi la leggenda del diluvio universale.

Nell’ultimo decennio, la variazione dei cambiamenti climatici si è arricchita di una nuova metodologia; si tratta di analisi stratigrafiche di successioni molto recenti depostesi in aree archeologiche. Si è così affermata la geo-archeologia, grazie alle ricerche condotte da ORTOLANI e PAGLIUCA dell’Università “Federico II” di Napoli, che ha consentito di avere informazioni sul clima relative agli ultimi 2.500-3.000 anni.

Figura 8: Curva di risalita del livello del mare da 9.000 anni BP ad oggi secondo ALESSIO et alii, 1994. Nella figura vengono comparati dati provenienti da: reperti archeologici sommersi, datazioni su concrezioni marine, datazioni su speleotemi. Le frecce sotto il dato proveniente dalla datazione della punta di speleotemi, indicano l’effettivo livello del mare — almeno un paio di metri al di sotto di tempeste e maree (da ANTONIOLI e FERRANTI, 1996)

Figura 9: Curva di risalita del livello del mare negli ultimi 10000 anni nell’area padano-adriatica. La curva è stata ottenuta a partire dalle date calibrate di due campioni di torba prelevati in Adriatico, ed un guscio di Cerastoderma prelevato a Conselice (da PRETI, 1999).

Depositi di origine alluvionale che seppelliscono reperti archeologici sono significativi di periodi freddo-umidi; depositi di sabbie eoliche al contrario sono indicativi di periodi caldi. Così, ad esempio la figura 10 illustra la stratigrafia del sito archeologico di Velia, nel Cilento (Salerno). Si rilevano reperti archeologici databili storicamente, sia al di sotto di depositi alluvionali, sia di depositi sabbiosi. Ciò è testimonianza dell’alternanza di periodi freddi e periodi caldi.

Figura 10: Colonna stratigrafica geoarcheologica di Velia, nel Cilento (da ORTOLANI e PAGLIUCA, 1995).
a = sabbie dunari della crisi ambientale dell’XI-XIV sec. d.C.; 1 = manufatti di epoca bizantina; b = sedimenti alluvionali della crisi ambientale del V-VII sec. d.C.; 2 = manufatti del IV sec. a.C.; c = sedimenti alluvionali accumulatisi in 130 anni durante la crisi ambientale del VI-IV sec. a.C. includenti sismiti (s) e sabbie di tempesta (d); 3 = manufatti del VI sec. a.C.; e = sabbie di spiaggia emersa-duna pre-insediamento greco; h = argille, marne, arenarie del substrato.

Ad analoghi risultati ORTOLANI e PAGLIUCA (1995) sono pervenuti analizzando la stratigrafia archeologica, e di numerose altre località costiere del bacino del Mediterraneo (figura 11). Sulla base dei risultati ottenuti sono stati riconosciuti i periodi freddo-umidi e caldo-aridi riportati in tabella 1.

Figura 11: Ubicazione sezioni geoarcheologiche nel bacino del Mediterraneo tra i 30° e 45° di latitudine N, tra aree desertiche a sud ed aree con ghiacciai a nord (da ORTOLANI e PAGLIUCA, 1994); sono indicate le crisi ambientali registrate negli ultimi 2500 anni.
In legenda: a = ubicazione dei siti (1=foce del F. Arno; 2=Pianura Padana; 3=Piana Campana; 4=Velia; 5=Sibari; 6=Selinunte; 7=Nord Africa; 8=Valle del F. Nilo); b = crisi caldo-arida; c = crisi freddo-umida
PERIODI FREDDO-UMIDI
1430 – 1850 circa PICCOLA ETÀ GLACIALE
500 – 700 d.C. circa PICCOLA ETÀ GLACIALE ALTO MEDIEVALE
520 – 350 a.C. circa PICCOLA ETÀ GLACIALE ARCAICA
PERIODI CALDO-ARIDI
1100 – 1300 circa MEDIOEVO (Periodo caldo medievale)
EFFETTO SERRA MEDIEVALE
100 (150) – 350 d.C. circa ETÀ ROMANA
EFFETTO SERRA ROMANO

Tabella 1: Durante i periodi freddo-umidi nelle vaste pianure costiere si è avuto ripetutamente un improvviso e consistente accumulo di sedimenti alluvionali che hanno spesso ricoperto insediamenti urbani. Durante i periodi caldo-aridi si ha la desertificazioni di aree costiere del Mediterraneo e l’accumulo di notevoli volumi di sabbie eoliche.

Interessante è la ricostruzione delle variazioni climatiche documentate da ORTOLANI e PAGLIUCA (2001) nell’area mediterranea (figura 12). Si può così notare il succedersi ciclico di periodi freddi a periodi caldi e viceversa; il passaggio da un periodo all’altro avviene attraverso una fase di transizione della durata di circa 150-200 anni, per il passaggio da un periodo caldo-arido ad uno freddo-umido, e di circa 300-350 da un periodo freddo-umido ad uno caldo-arido. Attualmente, dopo la piccola età glaciale conclusasi attorno al 1850, siamo nel periodo di transizione che naturalmente evolve verso un periodo caldo (prossimo effetto serra). È importante notare la parola “naturalmente” perché il cosiddetto effetto serra attuale deve essere interpretato e correttamente attribuito soprattutto a cause naturali e non antropiche.

Figura 12: Variazioni climatico ambientali del periodo storico e previsione per il futuro lungo il transetto EUROPA SETTENTRIONALE – AREA MEDITERRANEA – SUDAFRICA (ORTOLANI e PAGLIUCA, 2001).

Infine tra i principali risultati conseguiti con le ricerche geoarcheologiche è da sottolineare la individuazione della ciclicità (periodo di circa 1000 anni) delle modificazioni climatico-ambientali più importanti di durata plurisecolare che hanno determinato vere e proprie crisi ambientali della durata compresa tra 100 e 200 anni dell’Area Mediterranea. Appare inoltre evidente una stretta correlazione tra le modificazioni climatico-ambientali e l’attività solare a scala plurisecolare (contemporaneità tra massimi prolungati di attività solare e periodi caldi “Incremento dell’Effetto Serra”) e contemporaneità tra minimi ripetuti di attività solare e periodi freddi (Piccole Età Glaciali) come è possibile osservare nella figura 13 (da CRESCENTI, ORTOLANI E PAGLIUCA, 2008).

Figura 13: Correlazione tra attività solare e anomalie di temperatura negli ultimi 1800 anni (grafico in alto, da USOSKIN, SOLANKI & KORTE, 2006), temperature e precipitazioni piovose nell’Italia meridionale (grafico al centro , da ORTOLANI e PAGLIUCA, 2006), evoluzione climatico-ambientale in base ai dati geoarcheologici dell’Area Mediterranea (grafico in basso). 1 = periodi di transizione tra le fasi freddo-umide (Piccole Età Glaciali) e le fasi caldo-aride (Incremento dell’Effetto Serra) con condizioni ambientali simile a quelle che hanno caratterizzato l’intervallo tra il 1750 e l’attuale; 2 = Incremento dell’Effetto Serra; 3 = Piccole Età Glaciali; 4 = periodi più piovosi delle Piccole Età glaciali; 5 = Incremento dell’Effetto Serra del Terzo Millennio.
Conclusioni

La storia del nostro Pianeta a partire dalla sua “nascita” (4.5 – 5 miliardi di anni fa) è registrata nell’immenso archivio naturale costituito dalle successioni rocciose. La lettura di questa storia ci documenta che il clima è sempre modificato; le variazioni climatiche sono avvenute ciclicamente, con il succedersi di periodi caldi e periodi freddi. I cicli non hanno avuto durata ed ampiezza omogenea.

Nel Quaternario (da 1,81 milioni di anni fa) i periodi freddi sono stati di durata nettamente maggiore di quelli caldi. In particolare, negli ultimi 400 mila anni le fasi fredde hanno avuto una durata di circa 90.000 anni, quelle calde di circa 10.000 anni. Attualmente, con l’Olocene (fase calda iniziata da circa 11.5 mila anni) si dovrebbe andare verso una fase fredda. In questo caso l’effetto serra potrebbe mitigare il raffreddamento.

Eventi climatici grandiosi durante l’Olocene sono stati, ad esempio, la desertificazione del Sahara, ed anche le crisi di siccità circoscritte, nel tempo e nello spazio, o fasi fredde ed umide che hanno interferito con la storia delle società umane, anche in modo grave. Negli ultimi 2000 anni, le variazioni da plurisecolari a pluriannuali, sono contenute nell’ordine di 1°C di temperatura.

Ogni previsione sull’andamento futuro del clima del nostro Pianeta è del tutto aleatoria: non si può valutare in quale misura l’attività antropica possa incidere sulle variazioni climatiche future del nostro pianeta.

Circa 11,5 mila anni fa siamo entrati nella fase calda nota come Olocene, che ha fatto seguito ai circa 90mila anni di fase fredda. Se la Terra dovesse comportarsi come nel passato, dovremmo andare verso i 90 mila anni di freddo. D’altro canto, se approfondiamo le variazioni cicliche all’interno dei nostri ultimi migliaia di anni, rileviamo che dopo l’optimum climatico medioevale, attraverso un periodo di transizione siamo entrati nella piccola età glaciale che si è conclusa dopo il 1850. Successivamente, attraverso una fase di transizione dovremmo entrare in una fase calda, che è quella cui stiamo assistendo. Il RG è allora un evento naturale e non può attribuirsi esclusivamente all’attività dell’uomo.

Le modificazioni climatico-ambientali documentate negli ultimi 2.500 anni si sono succedute ciclicamente. Così, le modificazioni tipo “Effetto Serra” si sono già verificate con durata di circa 150-200 anni, «…determinando differenti condizioni ambientali, favorevoli o sfavorevoli alle attività antropiche, in relazione alle latitudini. Il periodo attuale rappresenterebbe la transizione climatica tra la Piccola Età Glaciale ed il prossimo Effetto Serra che ciclicamente e naturalmente si sarebbe instaurato anche senza produzione di gas antropogenici. … La limitazione del dibattito istituzionale internazionale alla sola possibilità di ridurre l’immissione di gas nell’atmosfera, individuando in tale prospettiva … la unica possibilità di “salvare” il pianeta dagli effetti nocivi della modificazione climatica, appare scarsamente sostenuta scientificamente» (ORTOLANI e PAGLIUCA, 2001)

Per tutto quanto detto appare evidente che non corrisponde al vero l’affermazione che tutti sono d’accordo nell’attribuire all’Uomo la causa del RG. Il clima della Terra è sempre cambiato per cause naturali e così è per la fase attuale che siamo vivendo.

Tratto da un articolo del Prof Uberto Crescenti Presidente dell´Associazione Geologica italiana e Presidente dell’Associazione di Geologia Applicata ed Ambientale

Articolo originale tratto da:
http://lindipendente.splinder.com/tag/ucrescenti

Una intervista recente al Prof. Crescenti qui:
http://www.timestars.org/images/negazionismo.jpg

SANDRIO

32 pensieri su “IL GW ATTUALE È PARTE DEL CICLO NATURALE

  1. Complimenti Sandrio! Un bellissimo articolo molto esaustivo che centra perfettamente il problema. Non si può comprendere e risolvere il problema clima se non dal punto di vista interdisciplinare. E non si possono fare previsioni per il futuro se non guardando con attenzione al passato. Conciliando i dati astronomici con quelli geologici ci si sta avvicinando sempre di più ad un modello coerente.

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  2. Ottimo articolo
    è necessario un approccio interdisciplinare per capire la storia passata e poter fare ipotesi sul nostro futuro

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  3. Davvero un bell’articolo Sand, completo e argomentato 🙂

    Spero che questo articolo dia un contributo alla risoluzione del “conflitto” tra serristi ed antiserristi e induca i più ad una visione meno ideologica della questione, ma ben ancorata ai dati sperimentali (o alle scoperte archeo-paleontologiche), prima che alle teorie.

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  4. Peraltro molte informazioni (come quelle sul livello dei mari) sono note da decenni, tanto che ricordo di averle studiate a scuola tanti anni fa.
    Ma ora di certo acquistano una luce nuova, integrate da informazioni di natura paleoarcheologica e astronomica.

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  5. Carissimo Sandrio, COMPLIMENTI!!!!!!!!
    Da geologo, non posso che ammirare la splendida esposizione che hai saputo fare.
    E’ il succo di tutto quello che “noi geologi” dovremmo sapere sin dai primi anni di università, e che qualche collega forse ha dimenticato a forza di fare del geocabarettismo in TV.
    La geologia, in tutti i suoi campi, ci insegna che il clima è SEMPRE cambiato e SEMPRE cambierà, quando si parla di clima ci si riferisce sempre ed esclusivamente alla media dei parametri climatici riferita ad un determinato intervallo di tempo.
    Complimenti ancora!!!

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  6. Beh si, però è già anormale un massimo stagionale ottenuto ad aprile!

    Tutto grazie all’effetto albedo dovuto alle grandi nevicate di questo inverno nell’emifero nord.

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  7. Io aspetterei a dire che abbiamo raggiunto il record di estensione, il calo ancora nn pare molto marcato e quindi potrebbe sempre esserci un nuovo aumento a sorpresa nei prossimi giorni.
    Anche dopo l’otto marzo avevamo detto che era stato il massimo e poi però sono riaumentati, quindi io preferisco aspettare che ci sia un calo più deciso prima di dare per certo il giorno del massimo.

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  8. Come facciamo a dire che dipenda soprattutto dall’albedo elevato?

    Non può semplicemente dipendere dal tipo di circolazione, cioè dalla presenza frequente di anticicloni termici e dai relativi split del vortice polare, che poi hanno comportato un aumento della copertura nevosa, ma alle alte e medie latitudini boreali, fuori dal Circolo Polare Artico ?

    Cioè non è possibile che l’aumentato albedo sia solo una ragione secondaria, mentre la principale risiede nel tipo di circolazione atmosferica ?

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  9. Sarebbe interessante verificare se esistano precedenti, almeno dal 1979 ad oggi, di massimi di estensione così tardivi…….

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  10. La massima estensione precisamente è stata il 31 marzo con 14.407.344km2, e nn il primo aprile, cmq cambia poco, anzi nulla..

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  11. Sopra intendevo dire che, a mio modesto avviso, l’albedo sicuramente ha un peso su vasta scala, ma immagino che conti molto soprattutto quando un cambiamento climatico è già ben avviato, la copertura nevosa è assai estesa (es. Piccola Era Glaciale e, ancora di più, le ere glaciali vere e proprie) e contribuisce ad alimentarlo favorendo la nascita di anticicloni termici dove normalmente non dovrebbero esserci (es. Europa centro-occidentale).

    Nel nostro caso, quest’inverno, invece, per arrivare al record di copertura nevosa, c’è stato bisogno di una “forzante”, cioè una anomalia (i ripetuti split del vortice polare e la presenza frequente di anticicloni a latitudini artiche), che poi ha determinato la maggiore copertura nevosa, ad esempio in Europa, la quale sicuramente poi ha giocato un ruolo, sulla cui importanza però al momento non giurerei.

    Ma, attenzione, la “forzante”, come segnalava un utente, è tuttora all’opera (l’anticiclone artico, intendo), non c’è solo il maggiore albedo.

    Che ne pensate?

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  12. Cmq resta il fatto che la maggiore estensione dei ghiacci artici e il fortissimo recupero anche di quelli antartici, dati pochi giorni fa in completo scioglimento, dipende dal Riscaldamento Globale causato dalla CO2. Anzi questo aumento dei ghiacci é proprio la prove del nove del riscaldamento globale nell´artico e in Groenlandia. Poi non ci scordiamo dei ghiacciai alpini, come qualcuno amabilmente ci ricorda un giorno sí e un altro giorno anche.
    E come ce li potremmo dimenticare, io non ci dormo la notte al pensiero che i ghiacciai alpini sono in fase di scioglimento dal 1850.
    FA TUTTO PARTE DEL CICLO NATURALE!!!!!!

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  13. Poi non ci scordiamo che marzo sará certamente il mese con le temperature record piú calde, secondo GISS, CRU Met Office e compagnia bella.
    A questo punto credo che l´equazione + caldo = + estensione ghiacci sia una equazione che possa dimostrare proprio l´effetto dell´AGW sul congelamento planetario!!!!
    Alla faccia degli antiserristi che non capiscono nulla di fisica.

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  14. Fabio 2.Conclusione giusta,ma….attenzione la frittata si potrebbe pero girare al contrario e cioe la vasta copertura nevosa favorisce l”anticiclone artico

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