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4 miliardi di anni di cambiamenti climatici: non c’è nulla di nuovo sotto il sole!

Due dei termini sbandierati dagli allarmisti del riscaldamento globale sono “senza precedenti” e “irreversibile”. È inquietante che scienziati che dovrebbero conoscere bene la storia climatica della terra, insistono sull’uso di questi termini anche se la storia del nostro pianeta mostra chiaramente che nessuno dei due termini sono giusti. La prova di questa imprecisione è evidente se si guarda indietro la storia della terra — è il Fanerozoico, in particolare — essendo il “Grand View” del cambiamento climatico.

Secondo  Meg Urry, il capo del dipartimento di fisica all’Università di Yale: “Gli scienziati che osservano la natura,  hanno poi sviluppato teorie che descrivono le loro osservazioni. La Scienza è guidatala  dalla natura stessa e la natura non ci dá nessuna scelta. È quello che è.”

Circa 13,7 miliardi di anni fa, si è creato l’universo. Non molto tempo dopo si è creata la Via Lattea. Le Stelle si formano, trasmutano gli  elementi nel fuoco nucleare e si è conclude la vita in esplosioni di supernove. Questo ciclo è stato ripetuto molte volte con molte stelle diverse.

Poi 4,6 miliardi di anni fa il nostro sole è nato dalle ceneri delle più antiche stelle morte. Insieme con il sole un grande gruppo di pianeti fu anche costituito, compresa quella che noi chiamiamo Terra. (anche se qualcuno pensa ancora che la terra è il centro dell’universo e che la terra è piatta e il sole ruota intorno terra, e che l’uomo può distruggere l’universo e la terra) Un milione di anni dopo la nascita del nostro sole, iniziò la violenta esplosione di una vicina supernova che  quasi pose fine allavita sulla terra prima ancora che questa potesse iniziare. Durante i successivi quattro e mezzo miliardi di anni, le forze della natura modellarono il nostro pianeta e la vita che ospitava.

Sballottato da supernove, sopravvivendo  alla traumatica nascita della Luna, bombardata da asteroidi, la Terra ha resistito a tutto. E nonostante il pianeta fosse congelato, devastato da  estinzioni di massa la vita ha continuato a cambiare con il clima e non solo la vita é sopravvissuta ma la Terra é prosperata.  Sebbene meteore hanno continuato a piovere sul giovane  pianeta c’è la prova che  4. 2 miliardi di anni fa l’acqua, il prerequisito per la vita come la conosciamo, era presente. L’evidenza indica anche che la vita è stata presente nel nostro pianeta per quasi 4 miliardi di anni, ma per la maggior parte di quel tempo era vita relativamente semplice unicellulare. All’inizio, l’atmosfera terrestre è stata una miscela tossica di anidride carbonica, metano ed ammoniaca — l´ossigeno era quasi assente nell’atmosfera terrestre. Per gli esseri umani e per il mondo della flora e fauna come la conosciamo, questa atmosfera era tossica.

Gli impatti di asteroidi, enormi eruzioni vulcaniche e lo spostamento delle placche tettoniche hanno provocato cambiamenti drastici nel clima e l’emergere di nuove forme di vita. Da qualche parte i microrganismi semplici, che erano gli unici abitanti della terra antica, svilupparono la fotosintesi che ha creato un guadagno netto di ossigeno per la prima volta nell’oceano e più tardi nell’atmosfera. Quindi 2. 3 miliardi di anni fa, il primo disastro ecologico del mondo si è verificato quando l’ossigeno libero ha stabilito una sua presenza permanente nell’atmosfera. Conosciuto come la  grande ossidazione o l’ ossigeno catastrofe, quasi tutti gli esseri viventi sulla terra sono morti a causa di questo cambiamento climatico indotto dai batteri.

Gli scienziati hanno scoperto questo  per i minerali presenti nel Registro di sistema delle rocce. Tra 2. 5-2. 3 miliardi di anni fa, durante il Proterozoico vasti giacimenti di pirite (solfuro di ferro)e di uranite  (ossido di uranio) si isolarono e si trovano nei sedimenti dei fiumi. Questi minerali richiedono bassi livelli di ossigeno. 2. 3 miliardi di anni dopo può essere trovata ruggine, un’indicazione della presenza di ossigeno libero. Anche così, i livelli di ossigeno erano,  una frazione di quelli attuali  e c´era un´intensa radiazione da parte del Sole. Alla fine, l’ossigeno risolse il problema della radiazione, così come le molecole di ozono (il3) sono state create nella stratosfera a forma di protezione.

Questo é il primo esempio di cambiamenti ambientali radicali e di cambiamento della vita sulla terra, a volte a scapito delle più antiche forme di vita, era una buona cosa per la nostra specie perché  senza  nessun cambiamento nella composizione dell’atmosfera noi esseri umani non saremmo  mai esistiti. Secondo il Dott.Thorne, professore di Scienze della terra a UC Santa Cruz: “la loro vita ha cambiato il sistema della Terra.Con il cambiamento del  sistema, forme più complesse di vita divennero praticabili. Alla fine, molti organismi pluricellulari fiorirono. Ma non senza prima sbattere la faccia su   alcune palle di neve”. E che palle di neve!

Ottocento  milioni di anni fa, durante il Neoproterozoico , la Terra ha subito una mostruosa era glaciale. Ci sono prove del ghiaccio a latitudini tropicali, a solo 15 ° a 30 ° a nord dell’Equatore. Nel nostro mondo, questo significherebbe ghiacciai a Miami, in Florida. La terra sembrava essere  un altro pianeta, con quasi nessun mare aperto e alcune piccole aree rocciose.  Solo  ghiaccio e neve, un mondo  bianco quasi puro. La terra “a palla di neve”.

A quel tempo, la maggior parte della terra apparteneva al super-continente, Rodinia formatosi circa 1100 milioni di anni fa. Rodinia conteneva le terre che compongono i continenti moderni oggi, ma non in un ambiente che potremmo riconoscere. Il Nord America era in mezzo. il Sud America, Australia e Antartide sono stati confezionati nei dintorni del Nord America. Rodinia divise i tropici, lasciando un vasto oceano singolo spazzare in tutto il mondo. Non c’era nessuna terra nei Poli.

Nel 1992, Joseph l. Kirschvink, della California Institute of Technology di Pasadena, ha presentato una teoria che il pianeta era quasi completamente congelato da Polo a Polo, con il mare aperto appena completamente ghiacciato. Egli chiamò questa condizione “Terra a palla di neve”. Altri ricercatori hanno calcolato che alcuni dei periodi glaciali durante questo periodo durarono più di 10 milioni di anni. Durante questi periodi l’oceano può aver congelato completamente bloccando tutti i raggi solari e uccidendo la vita nell’oceano.

In realtà, gli scienziati ora pensano che le ere glaciali risalgono tutta la strada fino alla metà dell’eone Archeano, circa 2,8 miliardi di anni fa. Abbiamo prove di strati di sedimenti trovati in formazioni rocciose, che appartengono a questo periodo. In alcune occasioni, questi episodi sono  durati diverse centinaia di milioni di anni  e possono avere rivaleggiato con l’età di ghiaccio durante il Neoproterozoico per quello che riguarda la loro intensità. Ci potrebbero essere stati diversi periodi di terra a palla di neve in passato del nostro pianeta.

Il prossimo importante traguardo per la vita sulla terra si è verificato nei primi mesi del eone Fanerozoico, 542 milioni di anni fa, con l’esplosione del Cambriano. Questo evento, con nuovi organismi multicellulari, apparendo in grande profusione, provocarono un’esplosione di vita. Segnò la fine dell’eone Proterozoico e l’inizio del Fanerozoico, dal greco”vita visibile”. Questo eone segnala l’emergere di vita veramente complessa, dove i singoli organismi sono abbastanza grandi per essere riconosciuti senza un microscopio.

Diversi periodi geologici sono contrassegnati da cambiamenti significativi nei tipi di creature che vivono sulla terra. Le rocce depositate durante l’eone Fanerozoico contengono prove di parti del corpo rigido di fossili di esseri viventi e sono questi resti fossili che vengono utilizzati per datare gli strati di roccia. Leggendo i reperti fossili, gli scienziati hanno costruito uno schema di sviluppo della vita durante il periodo successivo all’esplosione del Cambriano. Si noti che è il cambio di cast di fossili che permette alla scienza di mappare il passato — la storia del nostro pianeta è stato scritto in rocce di resti fossili di innumerevoli specie estinte.

Così vediamo che ci sono stati estinzioni di massa, cambiamento di enormi proporzioni dei gas atmosferici e persino più epoche precedenti l’inizio del Fanerozoico. Tuttavia, l’argomento può essere visto dal fatto  che le condizioni durante l’Era precambriana ( prima di 542 milioni di anni fa) non erano davvero rappresentative del clima della terra dopo la diffusione di forme di vita complesse in tutto il pianeta così diamo un’occhiata al passato, al “recente”  Fanerozoico.

Benvenuti al Fanerozoico

Esaminare da vicino il periodo del Fanerozoico avrebbe bisogno di molto spazio per cui cerchiamo una  messa a fuoco sulla variazione di diversi fattori chiave dell’ambiente durante tutto il periodo. Questi fattori sono la temperatura, livelli di anidride carbonica, ere glaciali ed estinzione di specie e il suo impatto sulla diversità. Ma prima  voglio citare un periodo tra la fine dell’Era paleozoica che darà un assaggio ai tipi di variazioni osservate in passato.

Alla fine dell’Era paleozoica, durante il periodo Carbonifero, grandi foreste di piante primitive prosperarono sulla terra, formando paludi di torba estesa. Queste enormi masse di sostanze vegetali vennero sepolti con sedimenti, che alla fine formano il carbone dei principali depositi trovati in Nord America, Europa e nel mondo. Una diminuzione globale del livello del mare alla fine del Devoniano  creó grandi mari costieri ed enormi depositi di minerali carbonatici. Questi depositi prenderono grandi quantità di carbonio nell’atmosfera e che più tardi avrebbero formano grandi strati di calcare.

Durante la parte finale del Carbonifero, la quantità di ossigeno nell’atmosfera terrestre è stato di circa il 35%, molto più grande di quello che è oggi. Secondo Robert Berner, i livelli di ossigeno atmosferico hanno cambiato dal 15% al 30% negli ultimi  550 milioni di anni (vedi “ossigeno atmosferico nel tempo Fanerozoico” in PNAS 28 settembre 1999). Allo stesso tempo, la  CO2 globale era meno di 300 parti per milione — un livello che è ora associato a periodi glaciali. L´abbondanza di O2 ha portato all’esistenza degli insetti più grandi mai visti sulla terra. Libellule come falchi con 29 pollici (75 cm) di larghezza delle ali, ragni delle dimensioni delle piante di casa, centopiedi lungo 5 piedi (1,5 m) ecc. Era davvero un tempo in cui gli insetti governarono il pianeta. Forse è un bene che il livello di ossigeno atmosferico è solo il 21% oggi!

Le piante durante il carbonifero assomigliavano alle piante che vivono oggi in zone temperate e tropicali. Dai fossili, sappiamo che molte di loro non avevano alcun anello di crescita, suggerendo un clima uniforme. Ma il clima stava cambiando. Entro la metà del Carbonifero, la terra stava  correndo verso  un’era glaciale, il Permiano-Carbonifero o era glaciale del Karoo.  La crescita di grandi strati  di ghiaccio presso il  Polo Sud è rinchiuso in grandi quantità di acqua come ghiaccio. Siccome tanta acqua è stato presa   diventando ghiaccio, il livello del mare è sceso, portando ad un’estinzione di massa di invertebrati marini, al graduale declino delle paludi e a un aumento della terraferma.

Spesso, queste condizioni sono state invertite quando i ghiacciai si ritirarono. L´acqua di fusione dei ghiacciai è stato portata indietro agli oceani e nuovamente hanno invaso le pianure basse e le paludi. Formazioni rocciose nel Carbonifero si verificano spesso come un modello di striscie, con alternanza di depositi scisti e carbone che indica il ciclico periodo di essiccazione e allagamento della terra. Anche in queste condizioni stressanti, o forse a causa di questo, la vita continuò a svilupparsi. Alla fine della stagione, i primi grandi rettili e le prime piante moderne, le conifere, apparvero.

Per molti aspetti il Carbonifero è unico nella sua combinazione di atmosfera, di clima e di forme di vita, ma ogni periodo di tempo geologico è unico — Ecco perché sono distinte con singoli nomi. Il fatto è che la cosa che rende questi periodi remoti nel tempo simili è che sono tutte diversi uno dall´ altro — il fattore unico costante che attraversa la storia della terra è il cambiamento. Per maggiori dettagli sulle caratteristiche di questi periodi geologici vedi terra resiliente capitolo 4, “climatici senza precedenti?,” o ottenere una copia del nostro libro di Amazon.

Ora che abbiamo un assaggio dei tipi di cambiamento che la terra ha sperimentato nel passato, diamo un’occhiata alla variazione della temperatura durante l’Era del Fanerozoico. Qui sotto c’è una figura che mostra l’ipotesi migliore della scienza che spiega come la temperatura è variata negli ultimi 542 milioni di anni. Guardate la grande variazione di temperatura, a volte più fredda rispetto alla media di oggi di 14 ° C, ma  per molto piú tempo la Terra fu considerevolmente più calda di quella di oggi. Si noti inoltre i rettangoli blu lungo la parte inferiore della trama che rappresentano i periodi di condizioni del ghiaccio. Anche se ci sono stati molte ere durante i Fanerozoico, per la maggior parte della metà degli ultimi miliardi di anni non c´è stato nessuna calotta di ghiaccio permanente in ogni emisfero. Di conseguenza, la totale di fusione dei ghiacciai della Groenlandia e dell’Antartide segnerebbe un ritorno alla normale condizione storica per il nostro pianeta.

Allora date un’occhiata alla variazione dei livelli di CO2 atmosferici mostrato nel grafico seguente. Anche se l’incertezza nelle misure cresce come guardiamo più lontano nel passato,  la tendenza generale può essere vista —avendo molto di più  CO2 in aria nella maggior parte del tempo. C’è una tendenza generale a livelli ridotti, ma più interessante è quello di confrontare il grafico di CO2 con il grafico qui sopra della temperatura.

Questo grafico mostra che  non c’è davvero alcun apparente correlazione tra i livelli di biossido di carbonio e le temperature globali. Inoltre, ci sono  state glaciazioni, quando la CO2 è stata di piú di quanto ne abbiamo oggi e cioé 10-15 volte i livelli odierni (ad esempio l´era glaciale di fine-Ordoviciano). Inoltre ci sono stati momenti che stava aumentando la temperatura ma la CO2 era decrescente e a volte quando la CO2 era in aumento, ma le temperature in diminuzione (durante il Siluriano e Devoniano e durante il Triassico e Giurassico, rispettivamente).

Immersioni nei livelli di CO 2 alla fine del Carbonifero e Permiano possono  essere attribuiti alle enormi paludi che sono stati impegnate a raccogliere uno spesso strato di carbone, che fornisce energia per gran parte del mondo di oggi. Queste immersioni  persisterono  in tutto il grande periodo glaciale del Karoo  (360-260 milioni di anni fa), ma hanno iniziato ad aumentare dopo l’evento di estinzione di massa (251 milioni di anni fa). Molti hanno speculato che le ere glaciali sono le cause degli eventi di estinzione di massa e ci può essere una connessione. I tempi degli  eventi di estinzione è illustrato nel grafico sottostante.

L’estinzione del Siluriano Ordoviciano, chiamato anche estinzione del fine-Ordoviciano, fu la terza più grande dei cinque eventi principali di estinzione nella storia della terra in termini di percentuale di generi che si è estinta e la seconda più grande perdita globale della vita. Da qualche parte tra 450 e 440 milioni di anni fa, avvennero due picchi di estinzione, separati da circa un milione di anni. Osserviamo come, dopo ogni grande estinzione (indicata con triangoli rossi) la vita rifiorisce con una maggiore diversità. Chiaramente la vita si eleva a un’altra grande sfida (per ulteriori informazioni sull’estinzione vedere “lanatura, crudele e Uncaring“).

Il grafico qui sotto mostra la CO2, la temperatura e le informazioni di temporizzazione in una trama di ogni singola era glaciale. Il freddo  ha qualcosa a che fare con l’estinzione? La Scienza non lo potrà mai sapere.

Quello che sappiamo è che i gas umani delle emissioni di CO2 al suo peggior livello non si avvicina nemmeno lontanamente  ai livelli di rilascio di gas serra per eventi  naturali (vedere “potrebbero le umane emissioni di CO2 causare un’altra PETM?“). “In poche parole, i modelli teorici non possono spiegare che cosa abbiamo osservato nel tempo geologico,” dice l´oceanografo della Rice University Gerald Dickens, “sembra esserci qualcosa di fondamentalmente sbagliato in come temperatura e carbonio sono incollati nei modelli climatici.”

Ci sono stati molti altri fattori che influiscono sul cambiamento climatico  nel corso degli ultimi migliaia di anni. Questi prendono esame  i livelli di anidride carbonica, la temperatura e la comparsa di ere glaciali — ignorando l’impatto della modifica dei continenti, le variazioni nell’attività solare, cicli orbitali e il possibile impatto dei raggi cosmici sul clima terrestre. Una cosa interessante da notare è che avendo una massa di terra continentale che copre qualsiasi Polo sembra contribuire a promuovere le condizioni climatiche di ere glaciali. Fu durante il Devoniano che  il supercontinente Gondwana passó il Polo Sud, durante il Carbonifero la calotta polare coprí  l’estremità meridionale della Pangea, e oggi abbiamo l´Antartide  sulla regione polare sud.

Commenti

Ci sono un certo numero di osservazioni che possono farsi  nella nostra panoramica del Fanerozoico:

  • La temperatura della terra è sempre in evoluzione.
  • Nel corso del tempo, ci sono stati periodi in cui è stato più freddo di quanto lo sia oggi.
  • Per la maggior parte del Fanerozoico c´è stato molto più caldo di oggi.
  • La Vita ha continuato ad esisterea durante i periodi di caldo e freddo.
  • Non non c’è nessuna temperatura “giusta”.
  • Il Biossido di carbonio è stato sempre presente nell’atmosfera terrestre.
  • Nel corso del tempo, ci sono stati periodi quando la CO2 è caduta e risorta naturalmente.
  • Per la maggior parte del Fanerozoico la CO2 è stata molto più grande di quanto lo sia oggi.
  • La Vita ha persistito durante i periodi con alta CO2 e bassa CO2.
  • I livelli di CO2 cambiano con o senza contributi umani.
  • Nel corso del tempo, ci furono una serie di ere glaciali —la vita ha subto e superato  diverse ere glaciali.
  • Per la maggior parte del tempo nel Fanerozoico non ci state calotte di ghiaccio polare persistenti.

Cosa riserva il futuro,  gli scienziati del clima non possono saperlo  malgrado  tutti i loro computer e i modelli e i rapporti dell´IPCC. La Terra e il suo clima stanno cambiando costantemente. Coloro che dicono che la  CO2 è il fattore più importante per il clima, che le emissioni di gas serra umane causano il riscaldamento globale, non hanno alcuna base storica per tali rivendicazioni.

Come dimostra la storia del clima della terra, nulla di quello previsto dagli allarmisti del  riscaldamento globale  sarebbe  senza precedenti —  la Terra è stata molto, molto più calda e più fredda di oggi. I  livelli di CO2 sono stati anche molte volte più grandi di quanto sono attualmente, anche durante le ere glaciali.Le  Ere glaciali vanno e vengono, causate da meccanismi che l’umanità non è in grado di controllare. E dopo tutte le ere glaciali che il mondo si riscalda e i ghiacciai scompaiono solo per rinascere  milioni di anni più tardi. Nessun cambiamento climatico è irreversibile. Dati i 4 miliardi di anni di storia della Terra e i 542 milioni di anni di vita complessa, ora si accusa l’umanità per 9000 anni del riscaldamento globale, tutto ció sembra un po’ sciocco. Come si suol dire nell´ Ecclesiaste: “ciò che è stato è quello che sarà,  e quello che  è stato fatto è quello che verrà fatto; Non c’è nulla di nuovo sotto il sole.”

SAND-RIO

Google e il più grande Business del 20° Secolo

Inserisco subito il link dell’articolo scritto da Guido Guidi ( che aveva già collaborato per NIA e non mi dispiacerebbe certo risentirlo )

http://www.climatemonitor.it/?p=16613

l’articolo del Guidi era tratto da una lettera inviata da Willis Eschenbach a Google e pubblicata su WUWT ( il Blog di Antony Watts )

http://wattsupwiththat.com/2011/03/19/an-open-letter-to-google/

Sta per esplodere una polemica niente male, o forse no la faccenda passerà inosservata, perché riguarda il mondo dei buoni e perché dalle nostre parti circa il conflitto di interessi abbiamo degli anticorpi speciali. Vorrà dire che ce la cucineremo da soli. Google, la più grande azienda del mondo della rete ha deciso di scendere in campo nel dibattito sul clima. Come? Non finanziando progetti di ricerca (magari questo lo faceva già come del resto il suo concorrente principale Microsoft che progetta fantasiose navi aspira CO2), ma gettandosi anima e corpo nella comunicazione scientifica (qui i dettagli del programma).

Dopo attento screening, sono stati selezionati 21 “esperti” di comunicazione scientifica e di provata fede AGW, perché si facciano venire delle idee su come far capire al mondo che i cambiamenti climatici sono un problema. Avete capito bene, anche i guru della comunicazione globale sono così a digiuno in materia di clima e dinamiche dello stesso, da essere convinti che in fondo sia un problema di comunicazione se ancora non ci siamo presi tutti per mano per far fronte alla minaccia globale del climarrosto. Forse è questa la chiave di lettura: proiezioni climatiche e realtà non coincidono perché la temperatura media superficiale globale non è stata avvisata. Anche questo può essere un problema di comunicazione.

Aspettiamoci dunque una bella offensiva mediatica, perché la rete o almeno una discreta parte di essa, sta per entrare in azione. C’era da aspettarselo, stiamo parlando dei maestri del business dei tempi moderni e quello del clima che cambia per cause antropiche è un business enorme. C’era da aspettarselo, perché Al Gore l’uomo più specializzato al mondo su come far soldi attorno alla CO2, è senior advisor del gigante di internet.

Eppure non va bene, il fatto che rientri nelle possibilità non rende affatto più digeribile la faccenda. Riusciranno infatti i padroni delle gerarchie di ricerca della rete a mantenere la loro imparzialità? Come saperlo? Non ci interessa, perché questa non e’ una domanda che vorremmo essere costretti a porci. Non e’ un segreto infatti che il dibattito sul clima abbia assunto una fortissima, anzi, preponderante connotazione politica. Si può accettare che i padroni di tutti i nostri segreti, cosa cerchiamo sulla rete, quali pseudonimi utilizziamo, quali idee abbiamo, cosa mangiamo, cosa leggiamo etc etc, entrino così a gamba tesa nel dibattito politico?

No, non lo è, e a pensarci bene non conviene neanche a loro. Se non e’ detto infatti che google possa perdere la sua imparzialità, fin qui governata “solo” dalla volontà di far soldi, è pero’ probabile che così facendo possano perdere le sembianze di imparzialità e quindi la fiducia di molti clienti. Dal punto di vista strategico potrebbe non essere stata una grande scelta. Se c’è un posto dove lo scetticismo sull’ipotesi AGW è forte, anzi, fortissimo, è proprio il mondo di internet. Con i media tradizionali tutti proni al “terrore-del-clima-che-cambia” vuoi per faciloneria, vuoi per generalismo, vuoi per convenienza vera e propria, la rete invece è diventata territorio di caccia per gli scettici, e la caccia è stata spesso anche molto buona. Un caso su tutti il climategate, lo scandalo degli imbarazzanti scambi epistolari degli scienziati della Climatic Research Unit inglese, che se non fosse stato per la rete non avrebbe mai potuto vedere la luce, né diventare di dominio pubblico. Se è quello il genere di comunicazione scientifica che con questa operazione verità si vorrebbe potenziare stiamo freschi.

D’altra parte non so quanto i sapientoni del comunicare potranno far bene, l’inizio non si può certo dire che sia sfavillante. Così ha infatti esordito Paul Higgins, co-direttore del programma di policy dell’American Meteorological Society, nonché, ovviamente tra gli eletti di Google:

[…] The vast majority of people don’t know and understand the details of climate science […]

[…] La stragrande maggioranza della gente non conosce e non capisce i dettagli della scienza del clima […]

I poche parole, voi non potete capire, ci pensiamo noi a mettere tutto in bella copia per farvi digerire la pillola.

Sinceramente, al di là degli ovvi risvolti di natura economica, faccio veramente fatica a comprendere questa scelta. Un’azienda il cui core business è quello delle informazioni, non dovrebbe mai accettare di sostenerne solo una parte, alla lunga questo potrebbe non essere pagante. Sento puzza di grande fratello, speriamo bene.

Guido Guidi

NB: L’articolo è stato ripresentato pari pari da come era stato pubblicato su Climate Monitor


Il perduto lago Agassiz

Se osserviamo una cartina del Canada centrale, si possono notare una serie di laghi che procedono verso nord-ovest, in diagonale, tutti di forma piuttosto allungata; sono tutti laghi glaciali, e sono verosimilmente i resti di un unico immenso lago che alcune migliaia di anni fa ricopriva tutta la regione.

Fig 1: Una cartina del Canada odierno: si nota subito la cintura di laghi che procede verso l’Alaska, dei quali una buona parte, tra cui il lago Winnipeg ed il lago Manitoba, facevano parte di un unico, immenso bacino idrico.

L’esistenza di un grande lago nel Canada fu postulata per la prima volta nel 1823, ed esso venne poi rinominato lago Agassiz nel 1879, dal nome di Louis Agassiz, studioso che ebbe una parte nella formazione della teoria delle glaciazioni (di cui abbiamo parlato qui). Sin dall’inizio, ci si rese conto che l’Agassiz non era un lago comune: il bacino idrico stimato alla fine dell’Ottocento da Upham fu poi rivisto al rialzo nel corso del secolo scorso, e secondo certe misurazioni giunse a coprire un’area totale di 440.000 chilometri quadrati, ma altri dati portano questo numero all’incredibile area di un milione e mezzo di chilometri quadrati, pari a cinque volte l’estensione totale dell’Italia.
Le misurazioni non sono facili non solo perché il lago, ovviamente, è scomparso da tempo, ma anche perché si è trattato di un bacino dalla storia movimentata: in circa 5000 anni di storia, il suo livello è cambiato profondamente oltre trenta volte, tra svuotamenti e reflussi; inoltre, la posizione dell’Agassiz si è spostata sempre più verso Nord-Ovest.

Fig 2: La storia dell’Agassiz mostra un lago che ha cambiato la propria estensione e profondità molte volte; di sicuro, il lago da solo era più grande di tutti quelli presenti al momento sul pianeta Terra, anche concentrati insieme. La sua scomparsa avrebbe avuto un effetto notevole sul clima dell’emisfero Nord e, forse, dell’intero pianeta. La superficie in grigio è la calotta ghiacciata che si andava ritirando durante la fine dell’ultimo periodo glaciale, terminato circa 10.000 anni fa.

Ma l’importanza del lago perduto non si limita alla sua estensione; in almeno due occasioni, l’Agassiz vide un’imponente e rapida riduzione della sua estensione, che portò al discioglimento di un’enorme quantità di acqua dolce nell’Atlantico settentrionale.
All’incirca 12.900 anni fa, quando i ghiacci si stavano ritirando dal Canada e da tutto l’emisfero boreale a causa della fine del periodo glaciale, il lago Agassiz non aveva alcuna comunicazione con l’Artico, e l’unico affluente di una certa importanza era il Missisippi, che ne faceva defluire le acqua nel Golfo del Messico. Poi, accade qualcosa nella calotta di ghiaccio che chiudeva l’Agassiz verso nord: forse un diaframma si ruppe, forse l’acqua riuscì ad insinuarsi in una spaccatura. Qualunque fosse la ragione, 9500 chilometri cubi di acqua si riversarono nell’Atlantico, e la superficie totale del lago si ridusse di circa 100.000 chilometri quadrati; ci volle quasi un secolo perché si completasse la fuga dell’acqua, e, proprio in quel momento, accadde qualcosa di molto strano alle temperature dell’emisfero boreale.

Fig 3: L’acqua dell’Agassiz avrebbe potuto dirigersi nell’Atlantico verso Nord lungo il fiume Mac Kenzie, oppure verso est; qualunque fosse la direzione, una quantità d’acqua quasi pari a quella dell’intero Lago Superiore si riversò nell’Atlantico nel corso di qualche decennio.

Dall’ultimo massimo glaciale (circa 20.000 anni fa), la Terra aveva visto ridursi le proprie calotte di ghiaccio, in particolare in America del Nord, ma tale diminuzione non fu continua e graduale, e vide alcuni periodi di ritorno del freddo glaciale: il primo di questi periodi avvenne poco dopo il massimo glaciale, tra i 18.000 ed i 15.000 anni fa, e fu chiamato Oldest Dryas (Dryas più antico), dal nome di un fiore tipico delle alpi e della tundra. Seguì un riscaldamento ed un successivo periodo di freddo intenso, all’incirca 14.000 anni fa, dalla durata molto breve, di circa tre secoli.
Infine, all’incirca 12.800 anni fa, avvenne un ultimo raffreddamento improvviso, che portò ad un’altra grande estensione dei ghiacci e ad un ritorno alle condizioni polari del periodo glaciale: lo Younger Dryas.

Fig 4: Seguendo un periodo caldo (l’immagine va letta da destra a sinistra), vi fu un notevole stadio di raffreddamento delle temperature, che avvenne assai rapidamente e terminò in maniera altrettanto brusca. Rilevazioni compiute in Groenlandia indicano che la temperatura media era di circa 15° inferiore a quella attuale.

Un simile cambiamento repentino costituiva un piccolo mistero della paleoclimatologia; i Cicli di Milankovic non riuscivano a spiegarlo, e nemmeno l’attività solare sembrava correlata. L’imputato allora divenne terrestre: proprio nello stesso periodo dello Younger Dryas, infatti, vi era stato il riversamento delle acque dell’Agassiz nell’Atlantico. Poteva una semplice massa d’acqua, per quanto estesa, provocare un tale mutamento del clima, ed in un periodo così breve?
Uno dei più importanti mezzi di regolazione della temperatura del pianeta sono le correnti marine: basta fare un semplice raffronto tra le temperature medie di Lisbona e di New York, che sono pressapoco alla stessa latitudine, per rendersi conto che la differenza è notevole, ed è dovuta alla presenza della famosa Corrente del Golfo, che sospinge acqua calda nell’Atlantico, riscaldando le coste dell’Europa fino all’Islanda. Superata l’isola, la corrente si sfalda e si mescola con l’acqua più fredda del mare artico, per poi tornare a discendere lungo le coste americane, questa volta come la fredda Corrente del Labrador. Il meccanismo di scambio tra le due correnti è legato alla temperatura, ma è determinato in maniera notevole dalla salinità dell’acqua: pertanto, un suo brusco cambiamento avrebbe potuto determinarne l’arresto.

Fig 5: L’Agassiz avrebbe disciolto nell’Atlantico enormi quantità d’acqua, quasi diecimila chilometri cubi (sufficienti a riempire una vasca di cento chilometri di lato), che nel corso di alcune decine di anni avrebbero alterato la salinità dell’oceano, interrompendo il meccanismo che consente alla Corrente del Golfo di spingersi fino alle alte latitudini, e quindi di riscaldare le coste vicine. Ne sarebbe seguito un improvviso ritorno del ghiaccio.

La coincidenza delle date è impressionante, ed il meccanismo è considerato corretto. Quindi, si può dire che sia stato il lago Agassiz a scatenare il ritorno dell’Era Glaciale in Nord America; inoltre, alcune prove raccolte in giro per il mondo (come un aumento della polvere nell’atmosfera a causa di un espandersi dei deserti, il ritorno della tundra in Scandinavia al posto delle foreste, un espandersi generale dei ghiacciai montani) mostrano come il raffreddamento abbia stretta anche il resto dell’emisfero boreale (in particolare l’Europa), e forse anche l’America meridionale, nella sua morsa.
Non è chiaro quanto abbia impiegato a tornare il freddo, anche perché si parla di un calo delle temperature di circa 5 gradi in un periodo di decenni (questo è comunque un dato da prendere con le pinze, in quanto parlare di un calo di 5° nella temperatura globale, quando si parla di un fenomeno regionale, sebbene esteso come lo Younger Dryas, non sembra avere molto senso; più utili possono essere informazioni su un abbattimento delle temperature di 7° in Europa ed un ritorno dei ghiacciai in Inghliterra, per rendersi conto del fenomeno), ma secondo uno scienziato canadese, William Patterson, sarebbero stati necessari soltanto alcuni mesi, invece di molti anni: nel corso di una singola stagione, dunque, la Corrente del Golfo sarebbe stata bloccata, e ad un’estate normale sarebbe seguito un inverno rigidissimo e molti anni di ghiaccio.

Fig 6. Durante lo Younger Dryas, per oltre mille anni, questo deve essere stato l’aspetto di buona parte dell’emisfero settentrionale: un’enorme distesa di ghiacci a perdita d’occhio.

Rapidamente come era giunto, ad ogni modo, lo Younger Dryas se ne andò. All’incirca 1300 anni dopo il blocco delle correnti che avevano determinato l’arrivo del ghiaccio, le temperature segnarono un brusco aumento (sembra nell’arco di pochi decenni, o forse addirittura di anni), e riportarono le zone dell’America del Nord e dell’Europa ad inverni più simili a quelli attuali.
E nel centro del Canada, ridotto ma ancora imponente, rimaneva il lago Agassiz.
Circa tremila anni dopo la fine del Younger Dryas, dopo un’altra lunga stagione di mutamento di livello, avvenne un altro grande prosciugamento dell’Agassiz, che condusse ad un ulteriore, periodo di raffreddamento, anche se meno accentuato e molto più breve dello Younger Dryas; a differenza del primo evento, questa volta vi è una differenza di più di due secoli tra la scomparsa dell’acqua dall’Agassiz (ancora una volta ceduta all’Atlantico) e il decadimento delle temperature, e come soluzione è stato proposto un drenaggio dell’acqua avvenuto in fasi distinte, forse aggravato da altri riversamenti di acqua dolce  in Siberia.

Dopo quest’ultimo riversamento, il lago Agassiz finì per prosciugarsi definitivamente, e scomparve attorno a settemila anni fa, lasciando poche tracce dietro di sé. Ad ogni modo, gli effetti del suo riversamento hanno intrigato gli scienziati, e c’è chi negli ultimi anni ha paventato un raffreddamento rapido e intenso a causa del ghiaccio disciolto dalla Groenlandia nell’Atlantico, ma misurazioni successive hanno stroncato l’idea.

Con questo articolo si chiude un dittico sulle glaciazioni che è la prima parte di una serie di articoli sulla storia della Terra che ho in mente di fare nei prossimi mesi. Una delle considerazioni più interessanti che ho ritrovato nello spulciare decine e decine di pagine di paleoclimatologia, geologia, geografia eccetera, è che il clima ha sempre fluttuato in maniera selvaggia non solo negli ultimi 100, 1.000 o 10.000 anni, ma in tutta la storia della Terra, e spesso non si è comportato come noi pensiamo.
Quindi, forse le paure di un surriscaldamento nei prossimi anni, o decenni, sono più una paura irrazionale che un modello scientifico.

By Stefano Sciarpa

(Articolo pubblicato anche su: http://survivalrule.wordpress.com/)

La Terra a Palla di Neve: Il presente è la chiave del passato!

Si tratta di uno dei grandi principi della geologia: le regole del mondo non si sono modificate con il tempo, e ciò che lo fa funzionare oggi, lo faceva anche milioni, miliardi di anni fa. Pertanto, dal passato della Terra possiamo ricavare le ragioni per alcuni fenomeni che avvengono nel presente, e forse anche trovare alcuni indizi per interpretare il futuro.
Ad esempio, uno degli indizi che hanno portato all’idea di una passata glaciazione, capace di estendersi dal Galles al polo nord, fu la presenza di enormi massi, dalla composizione del tutto diversa da quella del terreno, trovati a centinaia, se non migliaia, di chilometri di distanza dai più vicini depositi di roccia-madre.

Fig 1: Queste rocce, a volte di dimensioni enormi, furono chiamate “massi erratici”. La foto ne presenta uno, ritrovato in Italia qualche tempo fa, nella regione di Pianezza. Il masso fu poi utilizzato come materiale da costruzione.

Il mistero dei massi erratici fu risolto nel 1821 da Ignaz Venetz, un ingegnere svizzero, che ebbe l’intuizione di considerare i massi come resti di antiche morene, ovvero delle lingue di detriti trasportate dai ghiacciai; una volta che il ghiacciaio era scomparso, alcuni dei massi più grossi erano rimasti a testimonianza della sua presenza.
L’ipotesi sconvolse il mondo scientifico: l’idea di una tale estensione dei ghiacci appariva ridicola. Ma, con il tempo, e con altre prove rinvenute, si giunse alla conclusione che, in vari periodi negli ultimi milioni di anni, i ghiacci erano assai più estesi di adesso, toccando il loro ultimo massimo attorno a 18.000 anni fa.

Fig 2: In queste due immagini, una comparazione tra la Terra durante l’ultimo massimo glaciale e quella attuale. Colpisce non soltanto l’enorme estensione dei ghiacci nell’emisfero boreale, ma anche il basso livello del mare: enormi quantità d’acqua erano infatti trattenute nelle calotte. Dopo che esse si furono sciolte, lasciarono dietro di sé dei laghi stretti e lunghi, come quello di Como, in Italia, o i Grandi Laghi in America del Nord.

Qualche decennio più tardi, quando ormai la teoria delle glaciazioni era pienamente accettata, il mondo scientifico si ritrovò a vivere uno sconcerto ancora maggiore, quando in certe regioni dell’Africa centrale furono scoperti dei massi erratici. Con il tempo, altre strutture geologiche, come striature glaciali, o rocce di composizione glaciale, furono rinvenute a basse latitudini.
Queste anomalie furono considerate come derivanti da altri fattori, non imputabili ad un raffreddamento; la principale obiezione era che la fascia contenuta tra i tropici, ricevendo la maggior parte del calore del Sole, non poteva congelare. In effetti, anche durante l’ultima glaciazione, essi erano rimasti caldi.
Venne allora avanzata un’altra ipotesi: un’antichissima estensione dei ghiacci (i depositi imputati risalivano ad un’epoca tra i 700 ed il 600 milioni di anni fa) poteva aver raggiunto un livello tale da riflettere proprio la luce solare che avrebbe dovuto riscaldare i tropici, eliminando così il muro di calore che impediva loro di stringere tutta la Terra?
Ancora oggi, infatti, il ghiaccio riflette tra il 30% ed il 40% della luce ricevuta dal Sole (la neve fresca arriva al 90%, ed è per questo motivo che spesso in montagna si è accecati dal riverbero), ed i deserti ne riflettono tra il 25% ed il 30%; al contrario, la foresta ne restituisce al massimo il 15%, e l’acqua marina non arriva oltre l’8%. Questo fenomeno viene chiamato albedo, e significa che un mondo con molto ghiaccio, o ricoperto da deserti, riflette una maggior parte della radiazione solare di un mondo caldo ed umido.

Fig 3: L’albedo nella Terra attuale. Da notare che le zone glaciali, come la Siberia, il Canada, la Groenlandia, riflettano fino al 40% della radiazione solare; anche il deserto e le grandi catene montuose sono caratterizzate da un’albedo assai alta. Per contro, le regioni pluviali, come l’Africa centrale o l’Amazzonia, sono soggette ad un’albedo molto bassa.

Qual’era, allora, la situazione del mondo 700 milioni di anni fa?
Le prove geologiche del periodo hanno portato ad una configurazione che ha rafforzato le prove di una glaciazione globale; all’epoca, infatti, tutte le terre erano riunite insieme, formando un supercontinente simile a quello che avrebbe dominato l’epoca dei dinosauri, la Pangea.
Ma a differenza della Pangea, che vedeva un ecosistema completo, il supercontinente di 700 milioni di anni fa, Rodinia, sarebbe stato un deserto arso e senza vita: lo strato di ozono che protegge la superficie della Terra dai raggi solari, infatti, non era ancora completo. Le piante non esistevano, e non sarebbero comparse per ancora 180 milioni di anni. In mancanza di fotosintesi, tutta la vita si svolgeva in acqua, al riparo dalle radiazioni, dove peraltro non andava oltre cianobatteri o alghe verdi.
La Rodinia, continente desertico, avrebbe dunque avuto un’albedo molto più alta di quella della Terra attuale, riflettendo una parte assai maggiore della luce solare.
Ma più importante dell’albedo, sarebbe stata la sua posizione.
Il supercontinente si estendeva con una lama larga e piatta, partendo dal polo Sud fino alle latitudini dell’Islanda; l’ampia regione polare garantiva una base geologica per l’accumulo di ghiacci (la glaciazioni degli ultimi milioni di anni, infatti, hanno avuto una delle loro cause nella posizione dell’Antartide, che permette di avere un nucleo da cui protendere i ghiacci durante i periodi più freddi), ma, ancora di più, la larga “falce” di terre emerse in posizione tropicale avrebbe avuto un duplice effetto di raffreddamento.

Fig 4: Ricostruzione della Rodinia verso la fine della sua storia, circa 600 milioni di anni fa. Si nota bene la forma quasi ad “uncino” delle terre emerse, assieme alla vasta regione polare.

Per cominciare, essa avrebbe garantito un’albedo alta nelle regioni tropicali, dove la radiazione del Sole era più forte: se infatti si ha un’albedo elevata in regioni polari, gli effetti sono scarsi, in quanto l’energia ricevuta è minore. Ma in posizione tropicale, l’effetto sarebbe stato molto più accentuato. Inoltre, la posizione dei continenti li avrebbe fatti essere soggetti ad una maggiore erosione, cosa che avrebbe portato una quantità maggiore di rocce silicee a reagire con l’ossigeno nell’atmosfera e nell’acqua, intrappolando al loro interno una grande quantità di anidride carbonica e riducendo dunque il calore intrappolato dall’atmosfera.
La conseguenza maggiore, tuttavia, sarebbe stata la mancanza di una circolazione oceanica capace, come quella attuale, di trasportare con efficacia l’acqua più calda fino alle alte latitudini: di conseguenza, le regioni polari avrebbero visto climi estremi, con temperature molto al di sotto di quelle attuali.
Di solito, i meccanismi che tendono a portare la natura verso climi estremi ricevono delle retroazioni, così da condurre la Terra verso un optimum climatico, ma 700 milioni di anni fa tutti questi fattori (assieme ad altri come un Sole più giovane e quindi meno attivo, o sufficiente ossigeno nell’atmosfera da neutralizzare il metano presente in essa) puntavano in un’unica direzione.
Tra i 725 ed i 625 milioni di anni fa, dunque, in almeno due occasioni le regioni polari della Rodinia si raffreddarono, complice forse anche un mutamento nella circolazione oceanica; la maggiore quantità di ghiaccio portò l’albedo a crescere, riducendo la luce assorbita e portando le temperature a scendere ancora. Le calotte polari si espansero ed assorbirono acqua dal mare, portando nuova terra in superficie ed aumentando ulteriormente l’albedo.
Quando le calotte polari raggiunsero una latitudine di circa 34° (pressappoco l’altezza cui oggi si trova la Sicilia, od il Texas in America, quindi assai prima delle posizioni dei tropici), l’albedo divenne superiore alla luce assorbita: le calotte polari non trovarono più alcuna resistenza e si estesero ad un ritmo sempre più rapido, fino ad inglobare tutta la Terra sotto uno strato spesso un chilometro e mezzo.

Fig 5: Ecco come si presentava, forse, la Terra 700 milioni di anni fa, al tempo di una glaciazione globale. Non è chiaro se, almeno in alcuni periodi, una sottile cintura di acqua liquida si sia estesa lungo l’Equatore. Ma anche se così fosse stato, il resto della Terra avrebbe visto delle temperature medie di 40 gradi sotto zero, con una media di -110°, forse anche -120° attorno al polo sud. Per fare un riscontro, le temperature medie della parte più interna dell’Antartide, la zona più fredda di tutta la Terra attuale, sono di circa -57°.

Per la vita fu un disastro.
Quasi la totalità delle forme viventi fu spazzata via dal ghiaccio imperante; sopravvissero soltanto, in profondità nel mare, alcune forme di batteri ed alghe molto semplici attorno ai camini vulcanici, dove la presenza di nutrienti chimici, e l’adattamento alla mancanza di luce solare, concessero all’evoluzione di non ripartire da zero.
Con la Terra completamente ricoperta da ghiaccio, stretta in un circolo vizioso di abbassamento delle temperature, senza zone calde o temperate da cui le calotte potessero cominciare a ritirarsi, la glaciazione globale sembrava eterna.

Fig 6: Europa, una delle lune di Giove. La sua superficie è completamente ricoperta dal ghiaccio, che nasconde, forse, un oceano di acqua liquida. Detriti portati dagli asteroidi ed alta presenza di minerali nel ghiaccio mostrano le zone più scure. Forse era questo l’aspetto della Terra settecento milioni di anni fa.

Cosa ha permesso alla Terra di uscirne?
Negli anni, l’obiezione più forte contro l’ipotesi di una “Terra a palla di neve” (Snowball Earth) è stata che essa doveva presentare un circolo vizioso insanabile: l’albedo troppo alta non avrebbe mai consentito alla Terra di sciogliersi. Com’era possibile che solo cento milioni di anni più tardi, fosse avvenuta la più grande esplosione di vita nella storia della Terra, nel Cambriano?
La risposta venne dalla considerazione delle condizioni climatiche a quel tempo. La Terra si presentava come un enorme deserto, con pochissime precipitazioni in quanto l’acqua libera era in quantità davvero esigua; inoltre, la glaciazione globale avvenne verso la fine della vita della Rodinia, quando il supercontinente stava cominciando a spaccarsi. L’azione di deriva dei continenti portò ad un’intensa attività vulcanica lungo le faglie tettoniche (i punti in cui le placche si toccano, simili alle cuciture su un pallone da calcio), ed essa portò alla produzione di enormi quantità di anidride carbonica.
Nella Terra attuale, la produzione vulcanica viene trattenuta dalle reazioni delle rocce con l’ossigeno dell’atmosfera (che non potevano avvenire sotto chilometri di ghiaccio) ma soprattutto dalla pioggia, che ne conserva enormi quantità nel terreno e nel mare. In un mondo senza pioggia e con un’intensa attività vulcanica, la produzione di anidride carbonica non dovette ricevere alcun freno; e, in pochi milioni di anni, essa passò al 13% del totale, aumentando di circa 350 volte.
Una simile quantità di anidride carbonica dovette riuscire, all’incirca 625 milioni di anni fa, a creare un effetto serra tanto potente da contrastare l’azione dell’albedo, e da far ritirare in fretta le calotte polari, scoprendo di nuovo il mare e le terre.
La presenza di suolo e di acqua liquida avrebbe poi consentito all’anidride carbonica di tornare a dissociarsi e a diminuire, riportando la situazione ad uno stato ottimale.

Fig 7: L’anidride carbonica avrebbe condotto ad un rapido surriscaldamento della Terra, portando a temperature opposte a quelle precedenti, fino a +50° di media globale. Con la rapida scomparsa delle calotte polari, l’anidride carbonica si disciolse rapidamente nel mare e nel terreno, consentendo alle temperature di ritornare a valori meno estremi. Questa spiegazione, tuttavia, non tiene conto delle caratteristiche tipiche dell’anidride carbonica.

Questo almeno secondo le idee ufficiali sugli effetti dell’anidride carbonica nell’atmosfera: ovvero (basandosi su dati, poi considerati falsi, di carotaggi in Groenlandia effettuati negli anni ’80) un aumento lineare del calore atmosferico in base all’aumento della CO2; tale relazione, in realtà, non esiste. L’anidride carbonica ha una correlazione logaritmica con l’assorbimento del calore, ovvero l’aumento della quantità comincia presto ad esaurire il suo effetto, per vederselo poi ridurre a zero. Quindi, un’atmosfera composta al 13% di anidride carbonica non avrebbe avuto alcun effetto sullo scioglimento della palla di neve; mi sembra assai più plausibile una spiegazione legata alla deriva dei continenti: 650 milioni di anni fa, come già detto, la Rodinia era verso la fine della sua storia, e non è inverosimile che un mutamento delle posizioni dei continenti, con il loro allontanarsi dalle regioni polari, ed una rinnovata circolazione oceanica, abbiano riportato la situazione climatica ad uno stato meno estremo.
Soltanto in seguito, con la riapertura dei bacini marini ed il ritorno dell’erosione superficiale, a contatto con l’aria, l’anidride carbonica deve essere diminuita; senza, peraltro, che l’effetto avesse qualche correlazione con le temperature. Recenti carotaggi e studi di climatologia hanno dimostrato, infatti, che la correlazione tra l’aumento di anidride carbonica e crescita delle temperature, vada invertita: sarebbe proprio la maggiore temperatura a spingere i grandi “serbatoi” di anidride carbonica (come il terreno, il permafrost, ma soprattutto il mare) a liberarne grandi quantità, di solito con un ritardo di circa 800 anni rispetto alla crescita delle temperature.

Qualunque sia la spiegazione reale, ancora oggi il dibattito continua; ma la scoperta di nuovi depositi in Canada ha ulteriormente rafforzato la teoria.
Molto di recente, infine, alcuni studiosi hanno azzardato un’idea affascinante: l’imponente erosione che seguì al rapido scioglimento, dovuto sia al ritiro dei ghiacci, sia al clima alterato, sia al grande dilavamento dei fiumi, potrebbe avere disciolto nell’acqua marina enormi quantità di nutrienti (in particolare fosforo). Una simile manna avrebbe poi condotto gli organismi sopravvissuti alla catastrofe a replicarsi come mai prima; ma le poche specie di partenza (in quanto una situazione come quella della Terra a palla di neve ed il suo successivo scioglimento devono aver premiato gli organismi più semplici e facilmente adattabili), sottoposte ad un enorme sovrappopolamento, avrebbe poi condotto l’evoluzione a superare il costo riproduttivo di formare organismi pluricellulari, facendo così compiere alla vita sulla Terra quel balzo incredibile che avrebbe portato la biosfera a diventare quella che è oggi.

Fig 8: Forse l’Esplosione Cambriana, quel diffondersi di nuove specie che avvenne tra i 530 e i 490 milioni di anni fa, fu causata dall’enorme disponibilità di nutrienti dovuto all’erosione del terreno dopo la glaciazione globale. Se così fosse, il mistero delle cause dell’Esplosione Cambriana troverebbe finalmente una soluzione.

Il fenomeno della “Terra a palla di neve”, avrebbe dunque portato nuova vita dopo una lunga stagione di freddo mortifero (non per nulla il periodo che vide la Terra a palla di neve è stato nominato da qualche anno “Criogeniano”).
L’analisi delle cause della glaciazione globale porta ad un’ultima domanda: può accadere ancora? Può il passato essere la chiave del presente?
Ci sono buone probabilità che i due episodi del Criogeniano non siano stati gli unici della storia della Terra: alcune decine di milioni di anni prima, altre glaciazioni hanno forse raggiunto i tropici (anche se mancano le prove che siano riuscite ad inglobare tutta la Terra).
Un episodio molto più lungo è certamente avvenuto nel Sideriano, tra i 2500 ed il 2300 milioni di anni fa (quindi nei primordi della vita della Terra, quando persino i continenti erano giovani e molto meno estesi): un’enorme proliferazione di batteri portò ad una grande ossigenazione dell’atmosfera, e quindi a dissociare le enormi quantità di metano (il metano ha una capacità di trattenere il calore pari a circa 20 volte quella dell’anidride carbonica, e in questo caso la correlazione può aver avuto un senso; ma mi sembra più plausibile addurre cause relative allo spostamento dei continenti) allora presenti in CO2 ed acqua. A quell’epoca la Terra era riscaldata da un Sole molto più debole, e dunque la diluizione del metano può aver portato ad una glaciazione estesa a tutta la Terra, che sarebbe durata almeno 200 milioni di anni: la Glaciazione Huroniana.

Fig 9: La Glaciazione Huroniana fu la madre di tutte le glaciazioni, stringendo la Terra in una morsa di gelo per un periodo due volte più lungo di tutti gli episodi del Criogeniano messi insieme. Il Sole molto più debole deve avere portato a temperature ancora inferiori, ma la grande attività vulcanica lo spostamento dei continenti sarebbero comunque riusciti a decretarne la fine.

Abbiamo visto come, oltre all’albedo, anche la posizione dei continenti giochi un ruolo fondamentale nella temperatura media del pianeta; essa condiziona le correnti oceaniche, che possono portare in poco tempo ad un riscaldamento o ad un raffreddamento dell’atmosfera.
Negli ultimi anni, c’è stato il sospetto che proprio una di queste correnti sia in pericolo. Se ciò avvenisse, quali sarebbero le conseguenze? Potrebbe ciò condurre ad un episodio glaciale come quelli di 20.000 anni fa? O la situazione sarebbe ancora più grave, e porterebbe ad una nuova Terra a palla di neve?

 By Shaggley

(Articolo pubblicato anche su: http://survivalrule.wordpress.com/)

IL SEGRETO DEGLI INVERNI EUROPEI

Introduzione

Spesso su NIA dibattiamo sulle future (possibili) vicende meteo a lungo e lunghissimo termine: confrontiamo carte di previsione alle varie quote atmosferiche, commentiamo indici teleconnettivi (i famosi AO, NAO, QBO, ecc.), citiamo precedenti storici per ipotizzare i possibili scenari futuri della stagione successiva, oppure del proseguimento di una stagione già iniziata. I risultati di tali sforzi di indagare nelle nebbie, ben al di là dei fatidici 5 o 7 giorni, sono di solito altalenanti, ma non di rado del tutto inutili. Il tempo sembra spesso farsi beffe dei nostri tentativi di interpretarne in anticipo il comportamento, ma soprattutto degli sforzi dei migliori centri meteo internazionali, dotati di mezzi potentissimi e modelli estremamente sofisticati.

Ciò significa che non si può fare più di quanto non si stia già facendo, nel mondo e, ben più umilmente, su NIA? No, forse si può ottenere qualcosa di più. Forse si può scrutare una stagione futura, nei suoi tratti essenziali, con qualche settimana e magari anche qualche mese di anticipo, delineandone le tendenze, con un grado di attendibilità che, vedremo, può essere sorprendente.

Allo stesso modo cerchiamo di comprendere le cause che hanno determinato e che determinano specifiche condizioni meteo sul vecchio continente, non riuscendo ad esprimere spiegazioni plausibili. Ad esempio attualmente ci stiamo chiedendo il perché di un inverno finora deludente in Europa, nel pieno di un lungo minimo solare, dopo un inverno (2009-2010) tanto prodigo di freddo e di neve per le stesse zone? In realtà, una logica c’è, ed in questo articolo cercheremo di illustrarla nel modo più chiaro possibile.

Sappiamo che gli indici teleconnettivi  si possono definire descrittivi (AO, NAO, PNA, ecc…) o predittivi (AMO, PDO, ENSO, ecc…). I primi vengono tratti dalle corse dei modelli, quindi subiscono dei bei ribaltoni, i secondi possono essere impiegati per delineare un quadro previsionale a lunghissimo termine. Ebbene tra tutti gli indici predittivi ce n’è uno che ricopre un ruolo fondamentale per le sorti degli inverni europei: la QBO, o meglio l’accoppiata QBO/ATTIVITA’ SOLARE.   

Ai fini della nostra ricerca abbiamo considerato gli inverni europei (i lettori ci perdoneranno, l’Italia è troppo piccola per costituire un campione di studio significativo), dal 1950 ad oggi. Scorrendo gli archivi delle mappe a 500 ed 850Hpa (sono disponibili, ad esempio, su www.wetterzentrale.de) abbiamo notato sorprendenti correlazioni tra alcuni indici e certe configurazioni bariche e le relative isoterme. In sintesi, dall’esame della QBO a 30mb,  dall’esame dell’andamento del solar flux (ovvero dalla condizione di vicinanza ad un minimo o ad un massimo solare) e del sunspot number, abbiamo tratto alcune importanti conclusioni.

Ad onor del vero, esiste già uno studio in merito, che abbiamo individuato solo in corso di lavorazione del presente articolo, condotto dallo Stratospheric Research Group del FU Berlin . Poco male, ci conferma che l’idea non è affatto campata in aria e comunque non intendevamo concorrere al Premio Nobel…….!

Di seguito riportiamo quanto abbiamo potuto riscontrare, poi trarremo qualche conclusione.

 

Andamento degli inverni oggetto di analisi

  • INVERNO 1952-1953: Gennaio rigido con ondata di gelo intorno a metà mese (il 13 la -10 a 850hpa abbraccia il centro Italia). Febbraio molto freddo con nuova ondata di gelo intorno al 9 con la -10 sul centro Italia e la -15 sul nord-est. Anche marzo prosegue il trend con incursione fredda a metà mese. INDICI: QBO negativa (intorno a -2/-3); attività solare bassa con N. SPOTS MEDIO NEI MESI INVERNALI=18.6 e SOLAR FLUX=76.

 

  • INVERNO 1953-1954: Sia gennaio che febbraio mediamente freddi sull’Europa. Ondata di gelo storica a fine gennaio che colpisce Italia Francia e Spagna (il 1° febbraio la -15 è sulla Spagna!!!). INDICI: QBO negativa (-5/-7); attività solare bassa con N. SPOTS MEDIO NEI MESI INVERNALI= 5.9 e SOLAR FLUX=61.4.

 

  • INVERNO 1957-1958: Dicembre parte subito gelido con discesa fredda che colpisce il centro-sud (addirittura con la -10). Gennaio e febbraio sono contraddistinti da tre ondate di freddo intenso sull’europa (la prima il 22 gennaio, la seconda il 18 febbraio e la terza più intensa il 27-28 febbraio. Anche marzo risulta gelido per l’europa centrale e italia settentrionale. INDICI: QBO positiva (+4/+7); attività solare elevatissima con N. SPOTS MEDIO NEI MESI INVERNALI=200 e SOLAR FLUX=245

 

  • INVERNO 1959-1960: Gennaio storico con ondata di gelo il 9 (che colpisce soprattutto l’europa occidentale) e l’altra il 14 con la – 10 su Roma. Anche febbraio propone 2 avvenzioni gelide con maggior coinvolgimento dell’europa centrale e orientale. INDICI: QBO positiva (+8/+4); attività solare molto elevata con N. SPOTS MEDIO NEI MESI INVERNALI=120 e SOLAR FLUX=170

 

  • INVERNO 1961-1962: Ondata di gelo intensa  sull’italia il 17 dicembre con la -10 che abbraccia quasi tutto il paese. Dicembre propone una nuova avvezione gelida sull’europa il 24 ma l’italia questa volta resta ai margini. Nuova incursione fredda il 31 gennaio con la -10 sul nord italia. Altre ondate fredde rilevanti a febbraio marzo (in particolare il 15 marzo la -10 è ancora sul centro italia). INDICI: QBO positiva (+8/+5); attività solare in calo ma ancora abbastanza elevata con  N. SPOTS MEDIO NEI MESI INVERNALI=44 e con SOLAR FLUX=95 (tenendo conto che siamo in uscita dal ciclo più forte del XX sec.)

 

  • INVERNO 1962-1963: Oltre al celebre gennaio 1963 è da segnalare l’ondata di gelo del Natale 1962. INDICI: QBO negativa (-15/-19); attività solare bassa con N. SPOTS MEDIO NEI MESI INVERNALI=21 e SOLAR FLUX=77.5

 

  • INVERNO 1964-1965: Gelido febbraio 1965 con svariate ondate di gelo che colpiscono l’europa. A Roma cadono 40 cm di neve!!! INDICI: QBO negativa (-2/-3); attività solare ai minimi con N. SPOTS MEDIO NEI MESI INVERNALI=11.8 e con SOLAR FLUX=74.5

 

  • INVERNO 1966-1967: Inverno mediamente freddo con i due mesi invernali per eccellenza gennaio-febbraio costantemente freddi su europa e italia. Due ondate di freddo notevoli: la prima intorno all’8 gennaio con la -10 su firenze, e l’altra il 10 febbraio molto duratura. Freddo sull’italia anche a fine marzo. INDICI: QBO positiva (+13/+10); attività solare elevata con N. SPOTS MEDIO NEI MESI INVERNALI=96.7 e con SOLAR FLUX=141.2

 

  • INVERNO 1970-1971: Inverno molto mite sull’europa fino a fine febbraio-marzo. Ad inizio marzo infatti si registra un ondata di gelo intensa sull’europa e sull’italia (nevica nuovamente in modo copioso a Roma con la -15 sul nord italia il giorno 7). INDICI: QBO che è negativa fino a metà febbraio. Da lì volta su valori positivi; attività solare abbastanza elevata con N. SPOTS MEDIO NEI MESI INVERNALI=78.6 e con SOLAR FLUX=138

 

  • INVERNO 1978-1979: Gennaio storico su parte d’europa ed italia: ad inizio gennaio la -15 è sul nord italia (il 3 la -10 abbraccia quasi tutta l’italia) . Ancora gelo il 17 con nuova discesa polare. INDICI: QBO positiva (+1/+4); attività solare ai massimi con N. SPOTS MEDIO NEI MESI INVERNALI=141.2 e con SOLAR FLUX=187

 

  • INVERNO 1980-1981: Gennaio gelido sull’italia con due avvenzioni fredde notevolissime: la prima è la più intensa con la -10 su tutto il centro italia il 9 gennaio, la seconda il 28. INDICI: QBO positiva  (+9/+7); attività solare ancora elevatissima con N. SPOTS MEDIO NEI MESI INVERNALI=141.3 e con SOLAR FLUX=197

 

  • INVERNO 1984-1985: Inverno forse più famoso del XX sec. per la possente ondata di gelo verificatasi la prima decade di gennaio. INDICI: QBO negativa (-8 a dicembre e -0.37 a gennaio. Da febbraio svolta su valori positivi); attività solare ai minimi con N. SPOTS MEDIO NEI MESI INVERNALI=17 e con SOLAR FLUX=72.5

 

  • INVERNO 1986-1987:  Celebre, il Gennaio 1987. In zone come Scandinavia, Paesi Baltici, Polonia è fra i mesi più freddi di tutti i tempi e all’ondata di gelo di inizio gennaio di quell’anno appartengono più della metà dei record assoluti di quelle zone; l’Italia fu solo sfiorata dal grosso del gelo, ma al Centro-Nord riuscì comunque a nevicare copiosamente a metà mese. Freddissimo anche Febbraio in Europa, prima che scoppiasse il mese di marzo più freddo del secolo in Italia e zone come i Balcani: l’ondata di gelo del marzo 1987 durò oltre 15 giorni e fu eccezionale in zone come la Puglia, per durata e picchi, un’ondata di gelo che sarebbe stata eccezionale anche se fosse capitata a gennaio. INDICI: QBO negativa (-10/-14); attività solare bassissima con N. SPOTS MEDIO NEI MESI INVERNALI= 8.5 e con SOLAR FLUX=71

 

  • INVERNO 1990-1991: E’ entrato nella storia il gelido febbraio 1991 per l’Europa ed italia (si registrano  punte di -15-18° in Pianura Padana). INDICI: QBO positiva (+10/+8); attività solare ai massimi con N. SPOTS MEDIO NEI MESI INVERNALI=144 e con SOLAR FLUX=221 (con picco proprio a febbraio)

 

  • INVERNO 1992-1993: Ondata di gelo epocale sull’italia a gennaio 93. Il 3 la -15 è sul nord italia e la -10 sul centro: INDICI: QBO positiva (+8/+11); attività solare ancora alta con N. SPOTS MEDIO NEI MESI INVERNALI=75.6 e con SOLAR FLUX=139

 

  • INVERNO 1996-1997: Si registra una delle ondate di gelo siberiano più forti del secolo (il 27 dicembre la -15 tocca il centro italia). INDICI: QBO negativa (-12/-16); attività solare ai minimi con N. SPOTS MEDIO NEI MESI INVERNALI=8.8 e con SOLAR FLUX=72.9

 

  • INVERNO 2001-2002: Dicembre 2001 (prima al Centro-Nord, il famoso blizzard di S. Lucia, poi al Sud) e Gennaio 2002, ultimo inverno in cui siano gelati per più giorni (ovvero settimane) gran parte della Laguna Veneta, alcuni tratti fluviali del Nord Italia e laghi come quello Trasimeno. INDICI: QBO positiva (+1.5/+9); attività solare molto elevata con N. SPOTS MEDIO NEI MESI INVERNALI=113 e con SOLAR FLUX=206

 

  • INVERNO 2005-2006: inverno 2005/2006, che ha limitato il suo gelo in Russia (a Mosca si è scesi sotto i -30° dopo quasi 20 anni, dal gennaio 1987), ma è stato freddo anche in Italia con medie invernali di molto inferiori a quelle delle annate precedenti e col freddo da fine novembre a metà marzo. Spicca una nevicata superiore ai 50-80 centimetri sul Nordovest e sul Veneto alla fine di gennaio. INDICI: QBO negativa (-25/-0.38); attività solare bassa con N. SPOTS MEDIO NEI MESI INVERNALI=18 e con SOLAR FLUX=78.

 

  • INVERNO 2009-2010: Gelido in tutta la sua durata su gran parte d’Europa e sul Nord Italia come non accadeva da anni. INDICI: QBO negativa (-15/-19); attività solare bassissima con N. SPOTS MEDIO NEI MESI INVERNALI=14.55 e con SOLAR FLUX=79.5

 

Tutti gli altri inverni non citati risultano essere stati miti, o perlomeno non contraddistinti da incursioni fredde rilevanti. Le eccezioni, poche ma degne di nota, sono riportate di seguito in un paragrafo specifico.

 

Le tre regole

A nostro avviso, è possibile enunciare almeno tre regole, valide nella grande maggioranza degli inverni, dal 1950 ad oggi, in cui abbiamo riscontrato forti ondate di freddo su buona parte dell’Europa:

  • in presenza di QBO positiva, specie se ampiamente positiva, si verificano ondate di freddo, di origine artica o continentale, solo se il ciclo solare è al suo massimo o prossimo ad esso (solar flux e sunspot number prossimi ai valori massimi del ciclo in corso);

 

  • viceversa, in presenza di QBO negativa, specie se ampiamente negativa, le ondate di freddo sono molto spesso associate a situazioni di minimo solare o prossime ad esso (solar flux e sunspot number prossimi ai valori minimi del ciclo in corso);

 

  • infine, se si verifica un’accoppiata QBO-ciclo solare diversa dalle prime due, osserviamo tipicamente un “non inverno”, caratterizzato da zonalità, alta pressione distesa in prevalenza sui paralleli, nessuna irruzione artica nè alcuna retrogressione fredda continentale di rilievo, ecc.

 

Ulteriori considerazioni

La storia degli inverni europei  sembra ora limpida e di facile lettura. Prendiamo ad esempio in considerazione la serie degli inverni che parte dal 1957-58, inverni collocati  in un periodo di elevatissima attività solare. Si può constatare che da qui parte la famosa secuenza di un inverno freddo ogni due: inverno 57-58 gelido, causa QBO+; inverno 58-59 mitissimo causa QBO-, inverno 59-60 di nuovo freddo causa QBO+; inverno 60-61 anonimo causa QBO-;inverno 61-62 di nuovo gelido causa QBO+. Di quì si interrompe la sequenza uno ogni due, risultando l’inverno 62-63 storico per il gelo. La causa? Inizia il minimo solare  e gli inverni buoni si presentano in concomitanza  con la QBO-. Non a caso l’inverno 63-64 fu mite causa QBO+; 64-65 di nuovo gelido causa QBO-;e così via…..

A tal proposito ci piace farvi notare come entrambi gli inverni 1988-1989, 1989-1990, famosi per la loro straordinaria mitezza sono stati caratterizzati da condizioni di elevatissima attività solare e QBO- (in quel frangente si è riscontrata una QBO rimasta in campo negativo per un periodo anomalo). Il disaccoppiamento tra attività solare e QBO è stato anche causa del mitissimo inverno 2006-2007.

Ci siamo chiesti quale possa essere la spiegazione fisica, almeno di massima, di tale regola. Riportiamo testualmente quella descritta nell’articolo citato nell’introduzione, ci è parsa abbastanza chiara:

“…….Tra queste, forse la più importante, è quella che correla la frequenza di MMW al segno della QBO e all’intensità del ciclo solare.

Prendendo come riferimento il segno della QBO a 30hpa in entrata alla stagione invernale e l’intensità del Solar Flux, si è scoperto che episodi di Stratwarming e, in particolare, di MMW, sono più frequenti durante gli anni dominati da QBO+ e massimo solare e da QBO– e minimo solare. Al contrario QBO+ e minimo solare, così come QBO– e massimo solare, tendono a favorire la modalità positiva del Northern Annular Mode.
Tale relazione ha conseguenze pure nei confronti della Brewer-Dobson Circulation (BDC), la circolazione che descrive le modalità di trasporto di ozono dai tropici verso le regioni polari. La maggior parte dell’ozono è infatti prodotto a latitudini tropicali, come effetto della fotolisi dell’ossigeno che viene sollevato fino ad entrare nella stratosfera. La continua produzione di ozono sospinge quello degli strati superiori della stratosfera tropicale a muoversi verso le alte latitudini, dove le molecole di ozono si accumulano, risultando quindi quantitativamente maggiori rispetto al volume di molecole presente ai tropici.

Il processo sopra descritto avviene in tempi molto lunghi alle latitudini tropicali, basti pensare che una particella di aria impiega 4-5 mesi per passare da un’altezza di 16km ad un’altezza di 20 km e venire coinvolta nei processi che porteranno alla trasformazione in ozono.

La BDC, oltre ad essere modulata dalla variazione di intensità dell’attività convettiva in sede tropicale (MJO), come conseguenza di un innalzamento o abbassamento della tropopausa, trae influenza dai diversi abbinamenti QBO/ciclo solare che si vengono a creare. Com’è facilmente intuibile, durante QBO+ e massimo solare o QBO– e minimo solare, si ha un rafforzamento della BDC, con conseguente maggior trasporto di ozono ai poli. L’opposto accade con le altre due combinazioni, quando si ha un indebolimento della BDC e di riflesso un minor trasporto di ozono verso le latitudini polari”.

La motivazione risulta dunque essere abbastanza chiara: l’ozono viene prodotto in presenza di irradiamento solare. Dunque la maggior quantità di ozono stratosferico si dovrebbe riscontrare lungo l’equatore poiché lì la radiazione solare è maggiore. Ma non è affatto così poiché l’ozono è un gas che viene trasportato dai forti venti stratosferici verso i poli per compensare il deficit termico indotto da un minore soleggiamento. Il risultato è che la maggior concentrazione dell’ozono stratosferico si riscontra sopra i poli anziché sopra l’equatore. Un’accoppiata favorevole QBO/ATTIVITA’ SOLARE comporta un indice BDC maggiore, dunque una circolazione dell’ozono più forte. In questo caso si possono avere concentrazioni di ozono maggiori sopra i poli, favorendo di conseguenza situazioni di Stratwarming.

A sua volta la stratosfera ha un ruolo fondamentale per le sorti degli inverni europei. Per avere ondate di gelo rilevanti sulla “mite” europea è di fondamentale importanza che la stratosfera prenda le redini dell’inverno, esattamente come accaduto nella scorsa stagione invernale. In altre parole con una stratosfera fredda difficilmente si riscontrano situazioni eclatanti sul “vecchio continente”.

 

Le eccezioni: il ruolo della Nina

A tal proposito si può osservare che i soli inverni che rappresentano un eccezione  rispetto all’ipotesi da noi formulata sono stati contraddistinti da condizioni di NINA STRONG. Infatti gli inverni 74-75 e 76-77 che sono stati caratterizzati da QBO- e bassa attività solare, avrebbero dovuto portare gran freddo in Europa, ed invece entrambi sono risultati incredibilmente “miti”. La spiegazione va ricercata appunto nella NINA che, non favorendo l’intensificazione della East Asian Low, fondamentale per lo sviluppo dei fenomeni di Stratwarming, riduce le probabilità che si verifichino grossi disturbi in sede polare . Lo stesso discorso vale per il recente inverno 2007-2008, anch’esso trascorso in condizioni di minimo solare e QBO negativa ma con NINA STRONG.

E’ però d’obbligo una nota specifica sull’inverno 1955-1956. Apparentemente rappresenta l’anomalia per eccellenza: fu contraddistinto da condizioni di elevata attività solare, QBO lievemente negativa (a febbraio) e NINA STRONG; eppure è ricordato come un’inverno “storico” per il freddo e la neve, sull’Italia e su buona parte dell’Europa. In realtà, il freddo e la neve sono concentrati unicamente nelle prime tre settimane di febbraio, mentre il resto dell’inverno, in particolare dicembre e gennaio, è trascorso in modo sostanzialmente anonimo.

 

Il ruolo dell’attuale bassa attività solare

Infine è d’obbligo una considerazione in rapporto al profondo minimo solare che stiamo vivendo in questi anni. Tutti gli anni da noi presi in considerazione per la nostra indagine (dal 1950 ad oggi) fanno riferimento ad un periodo complessivamente di elevata attività solare, vale a dire che un profondo minimo di notevole durata, come si sta manifestando quello attuale, rappresenta un fattore del tutto inedito. Riteniamo possa essere in grado di cambiare del tutto le carte in tavola. Vale a dire una vera e propria variabile aleatoria. Ora abbiamo visto come gli episodi più eclatanti in Europa si sono avuti in coincidenza di minimo solare e QBO negativa (1963 e 1985), dettati da potenti fenomeni di riscaldamento stratosferico in sede polare con conseguente rottura del vortice polare stratosferico, e di conseguenza anche di quello troposferico. Quello che ci aspettiamo da un grande minimo solare (se tale sarà quello attuale), soprattutto nel lungo termine, è un ulteriore indebolimento del VP ed una sua maggiore vulnerabilità e dunque una propensione a situazioni che innescano eventi eclatanti sui lidi europei. Inoltre, in condizioni di minimo permanente l’accoppiata migliore (QBO-/BASSA ATTIVITA SOLARE) si presenterebbe circa una volta ogni due anni, a differenza dei periodi caratterizzati da cicli solari fortissimi (come sono stati gli ultimi) in cui tale accoppiata, per ovvii motivi, si riscontrava una volta ogni 10-11 anni. In altre parole non sarebbe necessario attendere ogni volta 10 o addirittura 20 anni per registrare episodi epocali in Europa. Quest’ultima condizione corrisponde proprio a quanto accadde nei decenni scorsi, quando, a causa della NINA STRONG del 75, per assistere nuovamente a condizioni di gelo estremo dettato “dall’accoppiata migliore”, si è dovuto attendere dal 1963 al 1985, esattamente 22 anni, cioè ben 2 cicli solari completi!!

Infine, non è nemmeno da escludere che nel pieno di un minimo solare eclatante (tipo Maunder o Dalton) la QBO si mantenga negativa per più anni consecutivi, generando condizioni favorevoli al freddo in Europa ogni inverno o quasi.

 

FabioDue e Riccardo