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Una Nina storica? Forse sì, forse no.

Cos’è la Nina

Da mesi, ormai, nel forum Meteo ricorre una parola: Nina. Forse non è un nome familiare a tutti: si tratta in sostanza di un’anomalia negativa di temperatura che ricorre nell’Oceano Pacifico equatoriale, appena al largo delle coste del Sudamerica, per migliaia di chilometri verso ovest, fino quasi alle coste dell’Australia e della Nuova Guinea. La seguente analisi delle anomalie di temperatura rispetto ad un periodo di riferimento, scelto opportunamente (10 anni almeno), spiega di che cosa si tratti in termini fisici:

 

 

 

Il suo opposto è il Nino, anomalia positiva. Ma ne parleremo quando si verificherà nuovamente, di solito Nino e Nina si alternano, spesso con periodicità circa annuale. Talvolta però (3 volte negli ultimi 60 anni), la periodicità cambia sostanzialmente: ad esempio, ad una Nina può seguire un’altra Nina e magari persino altre due. È proprio quello che si sta verificando ora: la Nina precedente si è conclusa la scorsa primavera e, dopo qualche mese di sostanziale neutralità, è iniziato un altro evento di Nina. In pratica, si può considerare quello in corso come un unico evento, con una breve pausa nel mezzo (primavera-estate 2011), che ha avuto inizio a Maggio 2010 e non si è ancora concluso. Questa è una ragione per cui di questa Nina si parla molto, ma non è l’unica, ce ne sono almeno altre due. Tutte e tre la rendono davvero “speciale”. La prima risiede nella sua intensità. Infatti, si osservi questo grafico:

 

 

L’unità di misura in ordinata è il MEI (Multivariate Enso Index), basato, dice letteralmente il NOAA (l’ente governativo americano di studi oceanici e climatologia) “on the six main observed variables over the tropical Pacific. These six variables are: sea-level pressure (P), zonal (U) and meridional (V) components of the surface wind, sea surface temperature (S), surface air temperature (A), and total cloudiness fraction of the sky (C)” Insomma, non si tratta semplicemente di temperatura, ma di un indice composito, i cui valori tuttavia (curiosamente) non si discostano poi molto dai valori di temperatura.

Il grafico testimonia la forza di questa Nina, rappresentata dall’ultima striscia blu sulla destra. E’ forte tanto quanto quella del 1975 e, almeno finora, poco meno quella del 1955. Ma sembra volerne condividere la durata: quei due eventi durarono ciascuno poco meno di tre anni. Il primo rappresentò in buona misura un cambiamento climatico: dopo gli anni Trenta e Quaranta, relativamente miti, negli anni cinquanta e Sessanta del Ventesimo secolo ci fu un calo delle temperature medie, accompagnato da una maggiore frequenza di inverni rigidi, anche in Europa. Quella Nina ne rappresentò una “spia” e in parte una causa. La Nina del 1975, invece, parve rappresentare il termine di quel periodo: da allora le temperature medie globali ripresero a salire.

 

Nina, PDO e sue peculiarità

Ecco, la Nina attuale è importante perché, forse, rappresenta una nuova svolta, come quella degli anni Cinquanta. Essa è stata accompagnata da un cambio di segno (da + a -) di un altro indice importante, la PDO, analoga come effetti alla Nina (raffredda anch’essa) ma operante su scale temporali ben diverse. Descrivere in dettaglio la PDO non è oggetto di questo articolo; comunque, è la coppia rosso-azzurra sopra la Nina, nell’Oceano Pacifico, nella prima figura. Tuttavia, riporto una frase significativa, riguardante la relazione tra ENSO (ovvero Nina/Nino) e PDO: “….the PDO has a modulating effect on the climate patterns resulting from ENSO. The climate signal of El Niño is likely to be stronger when the PDO is highly positive; conversely the climate signal of La Niña will be stronger when the PDO is highly negative. This does not mean that the PDO physically controls ENSO, but rather that the resulting climate patterns interact with each other.” Insomma, gli effetti della Nina attuale, nonché di quelle future, saranno probabilmente più intensi poiché la PDO è divenuta negativa qualche tempo fa

(fonte: http://ffden-2.phys.uaf.edu/645fall2003_web.dir/Jason_Amundson/enso.htm, Università di Fairbanks, Alaska, facoltà di Fisica). Almeno, questo è quanto gli studi più recenti indicano.

Dunque ora conosciamo almeno quattro ragioni per cui questa Nina è assolutamente degna di nota:

 

1)           è composta da (almeno) due eventi di Nina consecutivi, come nel 1973-1976 e nel 1954-1957;

2)           è intensa come quella degli anni Settanta e poco meno (finora) di quella degli anni Cinquanta;

3)           il ciclo PDO condiziona il ciclo ENSO, ovvero lo modula, come studi recenti hanno evidenziato; in sintesi, in fase PDO+ gli eventi di Nino risultano più intensi; viceversa, durante una fase PDO- gli eventi di Nina risultano a loro volta più intensi;

4)           il ciclo PDO ha una durata piu’ o meno decennale, pertanto è ragionevole supporre che da oggi al 2020 si verificheranno più eventi di Nina e mediamente più intensi rispetto al recente passato, con conseguente riduzione progressiva delle temperature globali.

 

Ma c’è almeno un’altra ragione, per ora solo probabile, per la quale questa Nina potrebbe divenire “storica”: le previsioni NOAA (in passato rivelatesi le più attendibili, sebbene un po’ approssimate per eccesso) per i prossimi mesi disegnano scenari da record.

A tale proposito, si osservino i seguenti due grafici:

Il primo è il più recente modello di previsione del NOAA, il secondo è quello “storico”. Entrambi si riferiscono alla zona 3.4, il cuore dell’ENSO (della Nina, in tal caso), nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico.

La linea nera continua testimonia le anomalie effettive di temperatura, quella tratteggiata le previsioni. Le altre linee costituiscono i vari “membri” previsionali. Si tratta infatti di una “ensemble”, ovvero la linea tratteggiata in grassetto è il risultato di una “famiglia” di previsioni, ciascuna ottenuta cambiando leggermente i  parametri in gioco.

In ogni caso, entrambi i modelli testimoniano di un evento di Nina che potrebbe essere epocale.

 

Gli effetti della Nina 

Un possibile evento epocale, dunque, mai visto negli ultimi 60 anni e forse persino oltre. Roba da brividi, e letteralmente da brividi, visto che l’effetto più noto della Nina è quello di abbassare le temperature del nostro pianeta. Va bene, ma di quanto? Beh, la prima parte della Nina attuale, quella conclusa la scorsa primavera, ha ridotto le temperature di circa mezzo grado. Questa seconda parte potrebbe fare persino di più.

La Nina però ha anche effetti specifici, diversi in zone diverse del nostro pianeta: ad esempio compatta e rafforza il Vortice Polare, ma favorisce lo spostamento dell’anticiclone delle Aleutine a ridosso delle coste nordamericane dell’Oceano Pacifico, rendendo probabili discese fredde sul suo bordo orientale, in inverno. In Europa produce quello che stiamo osservando da molti mesi ormai, perlomeno dal mese di gennaio: ostinata persistenza dell’alta pressione, estrema difficoltà da parte delle perturbazioni atlantiche di aprirsi la strada verso il Mediterraneo. Dunque siccità, anche temperature sopramedia ma soprattutto forti escursioni termiche man mano che la stagione avanza e le notti si allungano. E poi, man mano che la Nina (come pare) crescerà, che cosa dovremo attenderci? L’abbiamo già visto in un articolo pubblicato qualche giorno addietro, qui: http://daltonsminima.altervista.org/?p=16413 non aggiungo altro, è già tutto scritto, sono conclusioni tratte dalla storia degli eventi di Nina dei decenni passati.

 

Per concludere, quanto detto a proposito delle previsioni NOAA sottintende che queste siano sostanzialmente corrette. L’anno scorso, come accennato prima, sovrastimarono un po l’intensità della Nina al suo massimo. Ma sarà così anche stavolta? Lo vedremo, mese dopo mese. Non perdetevi il prossimo aggiornamento!

 

Infine, un doveroso ringraziamento a Giorgio per aver rivisto attentamente l’articolo ed avermi segnalato errori e possibili miglioramenti di merito.

 

FabioDue

Nevai sulle marittime. Piccolo aggiornamento

Grazie all’archivista di famiglia ho ritrovato la foto analogica relativa alla zona in cui ho recentemente fatto una gitarella.  L’ho immediatamente scannerizzata (scusate la scarsa qualità ma il convento non passa altro) e ritagliata per un confronto .

Purtroppo il periodo non e’ proprio lo stesso: su quella vecchia era scritto “luglio 1997” . Quella attuale e’ del 19 agosto (2011 ovviamente).

Allego le foto e poi una breve analisi e nessun commento (così in altri blog sul clima  non si alterano …)

Foto 1 : 1997

foto 2 : 2011

Nota geografica: La foto e’ relativa all’alta valle Gesso. Si intravvede il Rifugio Questa sullo sperone a sinistra.  La zona dello scatto e’ il vallone del “valasco” .

Prima osservazione : L’attenzione va concentrata sui quattro  nevai in alto, sulla cima triangolare in mezzo alle foto.  Si vede abbastanza bene, infatti, che la prospettiva e’ diversa (nel 2011 la foto e’ stata scattata molto più da “sotto” e i nevai che si notano in basso sulla destra nella foto del ’97 sono nascosti dalla placca rocciosa. Per chi fosse incuriosito, la “piana del Valasco”  da cui sono state scattate le foto e’ parecchio lunga, almeno 1.5km). Vi posso assicurare che i nevai c’erano ancora ma non essendo rimasti nella foto … non possono essere analizzati. Anzi, per par condicio non citerò le macchiette che appaiono sullo sperone all’estrema sinistra della foto del 2011 e completamente assenti in quella del ’97.

Seconda osservazione : Nevai in regressione : Partendo da sinistra i primi due nevai (uno piccolino e quello grande a forma di V) rovesciata appaiono leggermente più piccoli. Erano stati ripresi però almeno un mese prima…

Terza osservazione : Nevai in avanzamento : I due nevai sovrapposti a destra sono chiaramente cresciuti.

Quarta osservazione : Il limite della vegetazione non ha subito modifiche (gli alberi sono solo un pò cresciuti: se avete pazienza potete ritrovare il singolo larice nelle due foto.  Vi posso asscurare che in 14 anni un larice cresce parecchio . )

Fine dell’articolo . Breve breve, da leggersi d’un fiato (che figata!)
Luca Nitopi

P.S.

1) questo articolo voleva essere un “addon” al precedente…  http://daltonsminima.altervista.org/?p=15403

2) Come detto sopra per evitare alterazioni di umore mi astengo dai commenti . Ma un appello agli appassionati di montagna lo faccio…

Cercate nei vostri archivi … Cercate i NEVAI.  Se un ghiacciaio ha un’inerzia notevole, il nevaio risponde “quasi” in tempo reale a riscaldamenti e raffreddamenti, aumenti o diminuzioni delle precipitazioni etc.

E poi postate le foto del “Prima” e del “Dopo”….Senza commenti, per carità…

Luca

La Terra a Palla di Neve: Il presente è la chiave del passato!

Si tratta di uno dei grandi principi della geologia: le regole del mondo non si sono modificate con il tempo, e ciò che lo fa funzionare oggi, lo faceva anche milioni, miliardi di anni fa. Pertanto, dal passato della Terra possiamo ricavare le ragioni per alcuni fenomeni che avvengono nel presente, e forse anche trovare alcuni indizi per interpretare il futuro.
Ad esempio, uno degli indizi che hanno portato all’idea di una passata glaciazione, capace di estendersi dal Galles al polo nord, fu la presenza di enormi massi, dalla composizione del tutto diversa da quella del terreno, trovati a centinaia, se non migliaia, di chilometri di distanza dai più vicini depositi di roccia-madre.

Fig 1: Queste rocce, a volte di dimensioni enormi, furono chiamate “massi erratici”. La foto ne presenta uno, ritrovato in Italia qualche tempo fa, nella regione di Pianezza. Il masso fu poi utilizzato come materiale da costruzione.

Il mistero dei massi erratici fu risolto nel 1821 da Ignaz Venetz, un ingegnere svizzero, che ebbe l’intuizione di considerare i massi come resti di antiche morene, ovvero delle lingue di detriti trasportate dai ghiacciai; una volta che il ghiacciaio era scomparso, alcuni dei massi più grossi erano rimasti a testimonianza della sua presenza.
L’ipotesi sconvolse il mondo scientifico: l’idea di una tale estensione dei ghiacci appariva ridicola. Ma, con il tempo, e con altre prove rinvenute, si giunse alla conclusione che, in vari periodi negli ultimi milioni di anni, i ghiacci erano assai più estesi di adesso, toccando il loro ultimo massimo attorno a 18.000 anni fa.

Fig 2: In queste due immagini, una comparazione tra la Terra durante l’ultimo massimo glaciale e quella attuale. Colpisce non soltanto l’enorme estensione dei ghiacci nell’emisfero boreale, ma anche il basso livello del mare: enormi quantità d’acqua erano infatti trattenute nelle calotte. Dopo che esse si furono sciolte, lasciarono dietro di sé dei laghi stretti e lunghi, come quello di Como, in Italia, o i Grandi Laghi in America del Nord.

Qualche decennio più tardi, quando ormai la teoria delle glaciazioni era pienamente accettata, il mondo scientifico si ritrovò a vivere uno sconcerto ancora maggiore, quando in certe regioni dell’Africa centrale furono scoperti dei massi erratici. Con il tempo, altre strutture geologiche, come striature glaciali, o rocce di composizione glaciale, furono rinvenute a basse latitudini.
Queste anomalie furono considerate come derivanti da altri fattori, non imputabili ad un raffreddamento; la principale obiezione era che la fascia contenuta tra i tropici, ricevendo la maggior parte del calore del Sole, non poteva congelare. In effetti, anche durante l’ultima glaciazione, essi erano rimasti caldi.
Venne allora avanzata un’altra ipotesi: un’antichissima estensione dei ghiacci (i depositi imputati risalivano ad un’epoca tra i 700 ed il 600 milioni di anni fa) poteva aver raggiunto un livello tale da riflettere proprio la luce solare che avrebbe dovuto riscaldare i tropici, eliminando così il muro di calore che impediva loro di stringere tutta la Terra?
Ancora oggi, infatti, il ghiaccio riflette tra il 30% ed il 40% della luce ricevuta dal Sole (la neve fresca arriva al 90%, ed è per questo motivo che spesso in montagna si è accecati dal riverbero), ed i deserti ne riflettono tra il 25% ed il 30%; al contrario, la foresta ne restituisce al massimo il 15%, e l’acqua marina non arriva oltre l’8%. Questo fenomeno viene chiamato albedo, e significa che un mondo con molto ghiaccio, o ricoperto da deserti, riflette una maggior parte della radiazione solare di un mondo caldo ed umido.

Fig 3: L’albedo nella Terra attuale. Da notare che le zone glaciali, come la Siberia, il Canada, la Groenlandia, riflettano fino al 40% della radiazione solare; anche il deserto e le grandi catene montuose sono caratterizzate da un’albedo assai alta. Per contro, le regioni pluviali, come l’Africa centrale o l’Amazzonia, sono soggette ad un’albedo molto bassa.

Qual’era, allora, la situazione del mondo 700 milioni di anni fa?
Le prove geologiche del periodo hanno portato ad una configurazione che ha rafforzato le prove di una glaciazione globale; all’epoca, infatti, tutte le terre erano riunite insieme, formando un supercontinente simile a quello che avrebbe dominato l’epoca dei dinosauri, la Pangea.
Ma a differenza della Pangea, che vedeva un ecosistema completo, il supercontinente di 700 milioni di anni fa, Rodinia, sarebbe stato un deserto arso e senza vita: lo strato di ozono che protegge la superficie della Terra dai raggi solari, infatti, non era ancora completo. Le piante non esistevano, e non sarebbero comparse per ancora 180 milioni di anni. In mancanza di fotosintesi, tutta la vita si svolgeva in acqua, al riparo dalle radiazioni, dove peraltro non andava oltre cianobatteri o alghe verdi.
La Rodinia, continente desertico, avrebbe dunque avuto un’albedo molto più alta di quella della Terra attuale, riflettendo una parte assai maggiore della luce solare.
Ma più importante dell’albedo, sarebbe stata la sua posizione.
Il supercontinente si estendeva con una lama larga e piatta, partendo dal polo Sud fino alle latitudini dell’Islanda; l’ampia regione polare garantiva una base geologica per l’accumulo di ghiacci (la glaciazioni degli ultimi milioni di anni, infatti, hanno avuto una delle loro cause nella posizione dell’Antartide, che permette di avere un nucleo da cui protendere i ghiacci durante i periodi più freddi), ma, ancora di più, la larga “falce” di terre emerse in posizione tropicale avrebbe avuto un duplice effetto di raffreddamento.

Fig 4: Ricostruzione della Rodinia verso la fine della sua storia, circa 600 milioni di anni fa. Si nota bene la forma quasi ad “uncino” delle terre emerse, assieme alla vasta regione polare.

Per cominciare, essa avrebbe garantito un’albedo alta nelle regioni tropicali, dove la radiazione del Sole era più forte: se infatti si ha un’albedo elevata in regioni polari, gli effetti sono scarsi, in quanto l’energia ricevuta è minore. Ma in posizione tropicale, l’effetto sarebbe stato molto più accentuato. Inoltre, la posizione dei continenti li avrebbe fatti essere soggetti ad una maggiore erosione, cosa che avrebbe portato una quantità maggiore di rocce silicee a reagire con l’ossigeno nell’atmosfera e nell’acqua, intrappolando al loro interno una grande quantità di anidride carbonica e riducendo dunque il calore intrappolato dall’atmosfera.
La conseguenza maggiore, tuttavia, sarebbe stata la mancanza di una circolazione oceanica capace, come quella attuale, di trasportare con efficacia l’acqua più calda fino alle alte latitudini: di conseguenza, le regioni polari avrebbero visto climi estremi, con temperature molto al di sotto di quelle attuali.
Di solito, i meccanismi che tendono a portare la natura verso climi estremi ricevono delle retroazioni, così da condurre la Terra verso un optimum climatico, ma 700 milioni di anni fa tutti questi fattori (assieme ad altri come un Sole più giovane e quindi meno attivo, o sufficiente ossigeno nell’atmosfera da neutralizzare il metano presente in essa) puntavano in un’unica direzione.
Tra i 725 ed i 625 milioni di anni fa, dunque, in almeno due occasioni le regioni polari della Rodinia si raffreddarono, complice forse anche un mutamento nella circolazione oceanica; la maggiore quantità di ghiaccio portò l’albedo a crescere, riducendo la luce assorbita e portando le temperature a scendere ancora. Le calotte polari si espansero ed assorbirono acqua dal mare, portando nuova terra in superficie ed aumentando ulteriormente l’albedo.
Quando le calotte polari raggiunsero una latitudine di circa 34° (pressappoco l’altezza cui oggi si trova la Sicilia, od il Texas in America, quindi assai prima delle posizioni dei tropici), l’albedo divenne superiore alla luce assorbita: le calotte polari non trovarono più alcuna resistenza e si estesero ad un ritmo sempre più rapido, fino ad inglobare tutta la Terra sotto uno strato spesso un chilometro e mezzo.

Fig 5: Ecco come si presentava, forse, la Terra 700 milioni di anni fa, al tempo di una glaciazione globale. Non è chiaro se, almeno in alcuni periodi, una sottile cintura di acqua liquida si sia estesa lungo l’Equatore. Ma anche se così fosse stato, il resto della Terra avrebbe visto delle temperature medie di 40 gradi sotto zero, con una media di -110°, forse anche -120° attorno al polo sud. Per fare un riscontro, le temperature medie della parte più interna dell’Antartide, la zona più fredda di tutta la Terra attuale, sono di circa -57°.

Per la vita fu un disastro.
Quasi la totalità delle forme viventi fu spazzata via dal ghiaccio imperante; sopravvissero soltanto, in profondità nel mare, alcune forme di batteri ed alghe molto semplici attorno ai camini vulcanici, dove la presenza di nutrienti chimici, e l’adattamento alla mancanza di luce solare, concessero all’evoluzione di non ripartire da zero.
Con la Terra completamente ricoperta da ghiaccio, stretta in un circolo vizioso di abbassamento delle temperature, senza zone calde o temperate da cui le calotte potessero cominciare a ritirarsi, la glaciazione globale sembrava eterna.

Fig 6: Europa, una delle lune di Giove. La sua superficie è completamente ricoperta dal ghiaccio, che nasconde, forse, un oceano di acqua liquida. Detriti portati dagli asteroidi ed alta presenza di minerali nel ghiaccio mostrano le zone più scure. Forse era questo l’aspetto della Terra settecento milioni di anni fa.

Cosa ha permesso alla Terra di uscirne?
Negli anni, l’obiezione più forte contro l’ipotesi di una “Terra a palla di neve” (Snowball Earth) è stata che essa doveva presentare un circolo vizioso insanabile: l’albedo troppo alta non avrebbe mai consentito alla Terra di sciogliersi. Com’era possibile che solo cento milioni di anni più tardi, fosse avvenuta la più grande esplosione di vita nella storia della Terra, nel Cambriano?
La risposta venne dalla considerazione delle condizioni climatiche a quel tempo. La Terra si presentava come un enorme deserto, con pochissime precipitazioni in quanto l’acqua libera era in quantità davvero esigua; inoltre, la glaciazione globale avvenne verso la fine della vita della Rodinia, quando il supercontinente stava cominciando a spaccarsi. L’azione di deriva dei continenti portò ad un’intensa attività vulcanica lungo le faglie tettoniche (i punti in cui le placche si toccano, simili alle cuciture su un pallone da calcio), ed essa portò alla produzione di enormi quantità di anidride carbonica.
Nella Terra attuale, la produzione vulcanica viene trattenuta dalle reazioni delle rocce con l’ossigeno dell’atmosfera (che non potevano avvenire sotto chilometri di ghiaccio) ma soprattutto dalla pioggia, che ne conserva enormi quantità nel terreno e nel mare. In un mondo senza pioggia e con un’intensa attività vulcanica, la produzione di anidride carbonica non dovette ricevere alcun freno; e, in pochi milioni di anni, essa passò al 13% del totale, aumentando di circa 350 volte.
Una simile quantità di anidride carbonica dovette riuscire, all’incirca 625 milioni di anni fa, a creare un effetto serra tanto potente da contrastare l’azione dell’albedo, e da far ritirare in fretta le calotte polari, scoprendo di nuovo il mare e le terre.
La presenza di suolo e di acqua liquida avrebbe poi consentito all’anidride carbonica di tornare a dissociarsi e a diminuire, riportando la situazione ad uno stato ottimale.

Fig 7: L’anidride carbonica avrebbe condotto ad un rapido surriscaldamento della Terra, portando a temperature opposte a quelle precedenti, fino a +50° di media globale. Con la rapida scomparsa delle calotte polari, l’anidride carbonica si disciolse rapidamente nel mare e nel terreno, consentendo alle temperature di ritornare a valori meno estremi. Questa spiegazione, tuttavia, non tiene conto delle caratteristiche tipiche dell’anidride carbonica.

Questo almeno secondo le idee ufficiali sugli effetti dell’anidride carbonica nell’atmosfera: ovvero (basandosi su dati, poi considerati falsi, di carotaggi in Groenlandia effettuati negli anni ’80) un aumento lineare del calore atmosferico in base all’aumento della CO2; tale relazione, in realtà, non esiste. L’anidride carbonica ha una correlazione logaritmica con l’assorbimento del calore, ovvero l’aumento della quantità comincia presto ad esaurire il suo effetto, per vederselo poi ridurre a zero. Quindi, un’atmosfera composta al 13% di anidride carbonica non avrebbe avuto alcun effetto sullo scioglimento della palla di neve; mi sembra assai più plausibile una spiegazione legata alla deriva dei continenti: 650 milioni di anni fa, come già detto, la Rodinia era verso la fine della sua storia, e non è inverosimile che un mutamento delle posizioni dei continenti, con il loro allontanarsi dalle regioni polari, ed una rinnovata circolazione oceanica, abbiano riportato la situazione climatica ad uno stato meno estremo.
Soltanto in seguito, con la riapertura dei bacini marini ed il ritorno dell’erosione superficiale, a contatto con l’aria, l’anidride carbonica deve essere diminuita; senza, peraltro, che l’effetto avesse qualche correlazione con le temperature. Recenti carotaggi e studi di climatologia hanno dimostrato, infatti, che la correlazione tra l’aumento di anidride carbonica e crescita delle temperature, vada invertita: sarebbe proprio la maggiore temperatura a spingere i grandi “serbatoi” di anidride carbonica (come il terreno, il permafrost, ma soprattutto il mare) a liberarne grandi quantità, di solito con un ritardo di circa 800 anni rispetto alla crescita delle temperature.

Qualunque sia la spiegazione reale, ancora oggi il dibattito continua; ma la scoperta di nuovi depositi in Canada ha ulteriormente rafforzato la teoria.
Molto di recente, infine, alcuni studiosi hanno azzardato un’idea affascinante: l’imponente erosione che seguì al rapido scioglimento, dovuto sia al ritiro dei ghiacci, sia al clima alterato, sia al grande dilavamento dei fiumi, potrebbe avere disciolto nell’acqua marina enormi quantità di nutrienti (in particolare fosforo). Una simile manna avrebbe poi condotto gli organismi sopravvissuti alla catastrofe a replicarsi come mai prima; ma le poche specie di partenza (in quanto una situazione come quella della Terra a palla di neve ed il suo successivo scioglimento devono aver premiato gli organismi più semplici e facilmente adattabili), sottoposte ad un enorme sovrappopolamento, avrebbe poi condotto l’evoluzione a superare il costo riproduttivo di formare organismi pluricellulari, facendo così compiere alla vita sulla Terra quel balzo incredibile che avrebbe portato la biosfera a diventare quella che è oggi.

Fig 8: Forse l’Esplosione Cambriana, quel diffondersi di nuove specie che avvenne tra i 530 e i 490 milioni di anni fa, fu causata dall’enorme disponibilità di nutrienti dovuto all’erosione del terreno dopo la glaciazione globale. Se così fosse, il mistero delle cause dell’Esplosione Cambriana troverebbe finalmente una soluzione.

Il fenomeno della “Terra a palla di neve”, avrebbe dunque portato nuova vita dopo una lunga stagione di freddo mortifero (non per nulla il periodo che vide la Terra a palla di neve è stato nominato da qualche anno “Criogeniano”).
L’analisi delle cause della glaciazione globale porta ad un’ultima domanda: può accadere ancora? Può il passato essere la chiave del presente?
Ci sono buone probabilità che i due episodi del Criogeniano non siano stati gli unici della storia della Terra: alcune decine di milioni di anni prima, altre glaciazioni hanno forse raggiunto i tropici (anche se mancano le prove che siano riuscite ad inglobare tutta la Terra).
Un episodio molto più lungo è certamente avvenuto nel Sideriano, tra i 2500 ed il 2300 milioni di anni fa (quindi nei primordi della vita della Terra, quando persino i continenti erano giovani e molto meno estesi): un’enorme proliferazione di batteri portò ad una grande ossigenazione dell’atmosfera, e quindi a dissociare le enormi quantità di metano (il metano ha una capacità di trattenere il calore pari a circa 20 volte quella dell’anidride carbonica, e in questo caso la correlazione può aver avuto un senso; ma mi sembra più plausibile addurre cause relative allo spostamento dei continenti) allora presenti in CO2 ed acqua. A quell’epoca la Terra era riscaldata da un Sole molto più debole, e dunque la diluizione del metano può aver portato ad una glaciazione estesa a tutta la Terra, che sarebbe durata almeno 200 milioni di anni: la Glaciazione Huroniana.

Fig 9: La Glaciazione Huroniana fu la madre di tutte le glaciazioni, stringendo la Terra in una morsa di gelo per un periodo due volte più lungo di tutti gli episodi del Criogeniano messi insieme. Il Sole molto più debole deve avere portato a temperature ancora inferiori, ma la grande attività vulcanica lo spostamento dei continenti sarebbero comunque riusciti a decretarne la fine.

Abbiamo visto come, oltre all’albedo, anche la posizione dei continenti giochi un ruolo fondamentale nella temperatura media del pianeta; essa condiziona le correnti oceaniche, che possono portare in poco tempo ad un riscaldamento o ad un raffreddamento dell’atmosfera.
Negli ultimi anni, c’è stato il sospetto che proprio una di queste correnti sia in pericolo. Se ciò avvenisse, quali sarebbero le conseguenze? Potrebbe ciò condurre ad un episodio glaciale come quelli di 20.000 anni fa? O la situazione sarebbe ancora più grave, e porterebbe ad una nuova Terra a palla di neve?

 By Shaggley

(Articolo pubblicato anche su: http://survivalrule.wordpress.com/)

La PEG Partì dalle Isole Britanniche

— QUASI UFFICIALE —

Per L’Inghilterra è il 2° Dicembre più freddo dal 1659, dietro solo al Dicembre 1879

— Il Dr Vuckcevic sul suo sito ha appena Aggiornato il Dato a 2 giorni dalla chiusura del mese —> http://www.vukcevic.talktalk.net/CET2.htm

Il periodo molto freddo che l’Europa ha vissuto tra il 1300 e il 1850 è chiamato Piccola Era Glaciale, con il tempo si è scoperto che questo periodo freddo era prima incominciato nelle Isole Britanniche per poi trasferirsi anche al resto del continente, anche quindi verso il mediterraneo.

E quindi?

Nell’inverno 2008/09 le Isole britanniche tornarono ad avere nevicate intense come non accadevano da anni, a Londra Nevicò nell’Ottobre 2008 ed era da 70 anni almeno che non lo faceva, Gennaio fu molto freddo e ai primi di Febbraio molte zone furono colpite da un’intensissima nevicata, con accumuli dai 20 ai 30cm, ed era la più copiosa dal 1991.

Infine poi nell’Aprile 2009 Londra vide nuovamente la neve, proprio nel giorno di Pasqua, chissà da quanto non accadeva.

Lo scorso inverno poi, come tutti ben ricordano, è stato molto freddo, ma ancor di più lo è stato in Nord Europa e in Gran Bretagna, con Nevicate diffusissime in Dicembre e Gennaio, addirittura il satellite riuscì a mostrare interamente innevato il suolo Britannico, cosa che a memoria il satellite non era mai riuscito a catturare.

Caddero alcuni record di freddo e l’inverno fu il 4° più freddo dal Dopoguerra.

Ed eccoci allora a questo di Inverno, il 2010/11, il 3° di fila freddo nelle Isole Britanniche, e facciamo il punto della situazione da fine Novembre fino ad Oggi con tutti i dati disponibili.

Vi ricordo intanto che il fenomeno osservato l’anno scorso con la Gran Bretagna totalmente innevata è stata già ripetuta altre 3 volte in questo scorcio di Inverno, comprendendo però anche l’Irlanda, rimasta a secco nello scorso inverno.

Partiamo da Fine Novembre con la situazione in Scozia:

La temperatura più bassa è stata registrata ad Altnaharra in Scozia la scorsa notte con -21,1°C.
Comunque non è un record visto che Braemar con -23.3°C del 14 Novembre 1919, nelle Highlands scozzesi,
continua a detenere sia il record scozzese che dell’intero Regno Unito per il mese di Novembre.
Altre minime interessanti in Scozia:
Aviemore -16,2°C, Loch Glascarnoch -14,5°C, Tulloch Bridge -13,0°C, Lossiemouth -12,1°C, Strathallan -11,7°C

Si Registrano però ben 2 record nazionali di Freddo per Novembre

Irlanda del Nord: a Loch Fea -9.5°C (precedente -9.0°C il 28 Novembre del 1978)

Galles: a Llysdinam -18.0°C (precedente -11,7°C a Welshpool, il 9 novembre 1921)

Oltre a questi record ovviamente si registrano una valanga di altri record Territoriali o Locali.

Inizia Dicembre e cadono a valanga altri record, ecco i più freddi

-17.9 °C LEEMING (precedente -15.0 °C del 7/01/1970)
-17.3 °C LINTON ON OUSE (precedente -14.2 °C del 14/02/1991)
-17.5 °C CHURCH FENTON (precedente -15.2 °C del 14/02/1991)
-10.4 °C INVERBERVIE (precedente -8.1 °C del 29/12/1995)
-12.8 °C SPADEADAM  (precedente -12.7 °C del 4/03/2001)
-12.6 °C DISHFORTH AIRFIELD (precedente -10.0 °C del 21/12/1963)
-11.7 °C YEOVILTON (precedente -10.0 °C del 29/12/1964)

E cade anche il Record Nazionale Irlandese

La stazione meteorologica sul Mount Juliet all’interno del campo di golf e vicino a Thomastown Co Kilkenny ha fatto registrare una minima nella notte del 3 dicembre di -16.4°C
distruggendo il precedente record nazionale di freddo per il mensile che apparteneva a Carlow con -14.6°C del 31 dicembre 1961.

Il Mese di Dicembre intanto va avanti e macina record su record anche in tantissime altre stazioni europee, la Francia è la più colpita ma tutta l’Europa centrale vive un periodo di gelo, in Inghilterra continua il freddo sotto-media ma i record sono già stati battuti, difficile fare meglio, e invece………….

Cade anche il Record Dicembrino dell’Irlanda del Nord

Castlederg ha fatto registrare il Nuovo Record di Minima Dicembrina per l’intero territorio Nord Irlandese con -18.0°C

Il precedente record apparteneva a Katesbridge (County Down) con -16.1°C nel 28 December 2000.
Da rilevare che Castlederg ha anche stabilito il Nuovo Record di Massima Più Bassa per l’Irlanda del Nord con -11°C, battendo i -9,0° di C. Hall, Londonderry del 27 dicembre 1995.

Anche la capitale nord irlandese si mette in evidenza con record assoluto nella giornata di ieri: Belfast Aeroporto -14.9°C

Ecco la Neve presente al Suolo in Gran Bretagna al 21 Dicembre

Se il 20 Dicembre l’Irlanda del Nord batteva il suo record Nazionale il 22 Dicembre questo sarebbe stato di nuovo Ribattuto

Rabbiosa risposta di Castlederg, nella Contea di Tyrone, stanotte ha riscritto la storia registrando il Nuovo Record di Minima Assoluto passando dai -18° di lunedì 20 dicembre ai -18.6°C

Il precedente record di Castleberg, prima di questa feroce ondata di freddo 2010, era -17.4°C stabiliti nel lontano Gennaio 1886.

E se il freddo Inglese non stupisce più lo facciamo arrivare in posti dove non se lo sarebbero mai sognato:

Il freddo anglosassone si impadronisce anche della, forse, più mite località irlandese ovvero dell’isola di Valentia, situata a sudoccidentale della Repubblica d’Irlanda, nella Contea di Kerry, di fronte al Nord Atlantico..

Le media del mese di dicembre sono di 5°C per le minime e 10° per le massime
ma nell’ultima settimana l’isola è stata coinvolta, come il resto del paese, dalla forte ondata di gelo sfociando, mercoledì 22 dicembre,
in un ***Nuovo Record di Minima Assoluto***con -7.7°C, registrato presso lo storico Osservatorio di Valentia (NB: Assoluto vuol dire, non solo di Dicembre, ma anche di qualsiasi altro mese dell’Anno)
Il precedente record di minima assoluto era del gennaio 1969.

Impressionanti le anomalie giornaliere registrate negli ultimi 30 giorni:

Tutte le Informazioni sono state prese da questa pagina: http://forum.meteonetwork.it/meteorologia/130072-i-record-meteorologici-in-reale.html

Ricordo infine che Questo Dicembre 2010 nelle Isole Britanniche sta per chiudersi come il Mese più freddo in assoluto dal Gennaio 1963 ( l’inverno 62/63 è stato il 3°  INVERNO PIU’ FREDDO DAL 1659!!!!!!! )

Mentre Dicembre probabilmente chiuderà come il più freddo dal 1879

Queste le Anomalie di Temperatura:

21 Novembre – 30 Novembre

01 Dicembre – 10 Dicembre

11 Dicembre – 20 Dicembre

21 Dicembre – 25 Dicembre

FABIO

Parla il Dr. Archibald: a causa di un imminente Deep Solar Minimum si va verso una Nuova Era Glaciale!

Nel mitico sito di A.Watts, giorni fa è apparso quest’altro incredibile articolo di David Archibald, uno dei primi studiosi solari ad aver creduto che questo minimo solare era davvero qualcosa di importante!

Buona lettura, Simon.

Gli Dei puniscono l’arroganza eccessiva, ma Antonio mi ha chiesto di intervenire per commentare la nuova previsione del Dr.Hathaway sul ciclo 24, ed io non ho potuto rifiutare…

Il numero è ancora sbagliato

Ora il massimo per Hathaway è di 64. Ma probabilmente la migliore stima è di 48, come durante i minimi 5 e 6 (Minimo di Dalton). Abbiamo ancora 4 anni circa prima del massimo, quindi c’è tempo affinchè l’attività solare cresca, come si vede anche dal flusso solare che è a 75, indicando una linea molto piatta di crescita.

La forma è sbagliata

I cicli deboli sono simmetrici. E questo, essendo un ciclo debole, avrà un declino che sarà lungo come la fase di ascesa. Il Dr. Hathaway pensa che la transizione tra ciclo 24 e 25 sia nel 2020, invece sarà nel 2022.

L’anno del massimo è sbagliato

Per il Dr.Hathaway il massimo sarà nel 2013. Ma esso sarà nel 2015 come preanunciato dall’intensità della corona verde del sole, quindi a metà strada del ciclo solare di 12 anni partito a dicembre 2008.

Sulla base del tasso che il Dr.Hathaway si sta pian piano avvicinando alla previsione finale corretta, stimiamo che finalmente egli la inquadrerà con precisione nel 2012! 😉

Infine vorrei fare una previsione basata sul pensiero diuno studio di qualcuno che è ancora rimasto inedito, e cioè che NON VI SARA’ UN INVERSIONE DEI POLI MAGNETICI DURANTE IL PROSSIMO MASSIMO SOLARE! ( che tradotto, significa, Maunder like minimum!)

Col senno di poi, il cico 24 sarebbe dovuto esser stato previsto già alcuni decenni fa, in quello che noi conosciamo come  ciclo di Vries. Quest’ultimo è un ciclo di 210 anni, e l’ultimo fu nel 1798, quando iniziò il minimo di Dalton. E questo ciclo è iniziato prorpio 210 anni esatti. Negli ultimi 2000 anni, l’unica volta che il ciclo di Vries saltò, era durante il periodo caldo medievale. Quindi c’è una correlazione del 90%!

Poi Archibald parla della teoria di Svensmark sul rapporto della crescita dei neutroni e della copertura nuvolosa, proponendoci questo eloquente grafico:

E da qui prende spunto per parlare senza mezzi termini del Global Cooling che ci attende…secondo Archibald infatti, che cita anche i lavori sulla Drias recente di Brauer et al :

http://geoweb.princeton.edu/people/sigman/paperpdfs/Brauer08.pdf

ci attendono 21 inverni via via sempre più freddi per l’emisfero nord, ed afferma: ” 3 ci sono già stati, quindi ne rimangono 18, al termine dei quali, il clima shifetrà verso un irreversibile cabiamento votato al gelo, e tutto questo, accadrà entro pochissimo tempo (un anno). Come dicono anche Brauer e coll., fondamentale sarà il feedback negativo a causa del ghiaccio marino…”

Io non so se Archibald ci beccherà o meno, al momento posso solo dire che anni fa quando ancora la Nasa prevedeva che il ciclo 24 sarebbe stato il più forte della storia, lui già diceva che invece sarebbe stato molto debole. Oggi, che il tempo gli sta dando sicuramente ragione, osa spingersi oltre, molto oltre…non so se avete capito, ma il ricercatore parla proprio di una prolungata fase di quiescenza solare (Maunder?) a cui potrebbe seguire non solo una “semplice” peg, ma addirittura una nuova Drias recente!

Stay tuned, Simon