Fonte immagine: http://www.coolantarctica.com/Antarctica%20fact%20file/science/Antarctic_temps_AVH1982-2004%
La Penisola Antartica, che potete vedere nell’immagine, è particolarmente sensibile alle variazioni di temperatura media annuale, aumentata nella regione di circa 2,5°C negli ultimi 50 anni, ovvero 2 o 3 volte più velocemente rispetto alla media del resto del mondo. Non a caso molti scienziati studiano tale regione dell’Antartide Occidentale. Un articolo apparso di recente sulla rivista Science, i cui dettagli in italiano li potete trovare al seguente link:
http://lescienze.espresso.repubblica.it/articolo/Come_cambia_il_fitoplancton_antartico/1337504
denuncia, con i soliti toni allarmistici, la diminuzione del fitoplancton lungo le coste della Penisola Antartica a causa dell’innalzamento della temperatura media della regione. Nella zona settentrionale della penisola, la minore copertura di ghiaccio, accompagnata da una maggiore nuvolosità, diminuisce la quantità di radiazione luminosa che raggiunge la superficie marina. Questa riduzione si unisce al mescolamento delle acque, dovuto ai forti venti, nell’impoverire la presenza del fitoplancton. Nella parte meridionale c’è sempre meno ghiaccio marino, ma il minore mescolamento delle acque e la minore nuvolosità ha portato a un incremento di fitoplancton. In tutta l’area costiera della Penisola antartica ci sarebbe stata una diminuzione del 12% in circa 30 anni del fitoplancton. La sua presenza è fondamentale importanza per la sopravvivenza di tutte le specie animali dell’Antartide occidentale in quanto rappresenta il primo anello della catena alimentare.
Molti studi di paleoclimatologia, che si basano sull’analisi dei sedimenti marini, ci portano a pensare che questa riduzione di fitoplancton, come anche la riduzione dei ghiacci marini nella penisola siano del tutto naturali. I sedimenti sono composti per buona parte da materiale derivante dalla produzione biologica. Alghe, pesci, crostacei ed una varietà di micro-organismi completano il loro ciclo vitale nei primi metri della colonna d’acqua, al termine del quale precipitano sul fondo. È evidente che la composizione del materiale che compone i sedimenti dipende dalle condizioni chimico-fisiche dell’acqua del mare, che risentono delle caratteristiche della sovrastante atmosfera e quindi, delle condizioni climatiche. Lo studio dei sedimenti comporta, rispetto alle carote di ghiaccio una minore risoluzione temporale, essi consentono però di studiare periodi di tempo molto più lunghi (diversi milioni di anni), ed inoltre permettono di eseguire correlazioni con campioni provenienti da tutte le latitudini.
Molti studi fatti sui sedimenti marini mostrano chiaramente che, nel periodo dell’Olocene, la Penisola Antartica è stata soggetta a rapidi cambiamenti climatici collegabili alla periodica attività solare della durata di 200 anni. Leventer e altri ricercatori (1996), analizzando dei sedimenti marini prelevati nella Penisola Antartica, hanno registrato variazioni climatiche negli ultimi 3700 anni con una periodicità dai 200 ai 300 anni e un’altra di 2500 anni. L’aspetto più interessante è che le transizioni dal caldo al freddo sono avvenute in maniera molto rapida, nell’ordine delle decine di anni, una situazione del tutto analoga a quella odierna. Leventer collega direttamente queste variazioni periodiche alla variazione dell’attività solare. Barcena e altri ricercatori spagnoli (2006) hanno fatto un’analisi simile nello stretto di Bransfield, situato nella punta settentrionale della Penisola Antartica. Il loro lavoro è stato quello di analizzare i sedimenti marini per un periodo di 3000 anni per cercare di capire i cambiamenti nella produzione primaria come anche le variazioni di copertura dei ghiacci. L’analisi in particolar modo della presenza delle diatomee conservati nella colonna sedimentaria ha evidenziato una ciclicità di 200 anni.
In altre parole, il ghiaccio in Antartide subisce periodici episodi di rapida fusione per cause naturali e non determinate dal riscaldamento globale di origine antropica. La periodicità dei 200-300 anni, rilevata dai dati paleoclimatici nella Penisola Antartica, ma anche in altre regioni del pianeta, si può ricollegare facilmente al ciclo solare di Vries-Suess riscontrato nella variabilità dell’attività solare dell’olocene (già trattata in un altro mio articolo). La periodicità dei 2500 anni, come osservata da Leventer, potrebbe essere accostata al ciclo solare di Hallstatt. Tuttavia appare un azzardo in quanto l’arco temporale esaminato è di soli 3700 anni, ed appare troppo esiguo per dare una certezza in tal senso, infatti la Barcena non ne parla affatto. Concludo dicendo che molti articoli sulla scomparsa della fauna in Antartide e non solo, si basano, penso volutamente, su lavori scientifici che si soffermano su una scala temporale decennale, ma la natura ne ha una millenaria. La differenza è netta. Come dice Marcus la truffa mediatica continuerà anche su questo fronte.
fonti:
http://lescienze.espresso.repubblica.it/articolo/Come_cambia_il_fitoplancton_antartico/1337504
http://www.coolantarctica.com/Antarctica%20fact%20file/science/global_warming.htm
http://www.nsf.gov/od/opp/antarct/ajus/nsf9828/9828html/g12.htm
http://bulletin.geoscienceworld.org/cgi/content/abstract/108/12/1626
http://theresilientearth.com/?q=content/melting-antarctic-ice-part-natural-cycle
Scritto da ANGELO